AMORPHIS – “Queen of Time” studio report!

Pubblicato il 10/04/2018

A cura di Luca Pessina

Quando, nel 2004, Tomi Joutsen è diventato il nuovo cantante degli Amorphis, la band finlandese non stava certo vivendo il periodo più felice della propria carriera. I rapporti con il frontman Pasi Koskinen si erano profondamente deteriorati da qualche tempo e dischi dalle sonorità più soft e accessibili come “Am Universum” e “Far From The Sun” avevano alienato una buona fetta dei fan della prima ora; in generale, la scena metal sembrava sul punto di dimenticarsi di questi ragazzi, in quel momento apparentemente intenti a ricercare (con scarsa fortuna) un successo al di fuori del circuito che li aveva visti nascere e crescere. La separazione da Koskinen e l’arrivo del carismatico e duttile Joutsen – assieme alla decisione di tornare almeno in parte alle origini, a livello stilistico – hanno però contribuito a invertire la rotta del gruppo, il quale, a partire da un album come “Eclipse”, è riuscito pian piano a risalire la china e a tornare un nome di prima grandezza nel firmamento metal mondiale. “Silent Waters”, “Skyforger” e tutte le opere pubblicate nel secondo decennio del Duemila, sino al fortunato “Under the Red Cloud” (2015), hanno messo in mostra una formazione concreta ed esperta, abile nel capitalizzare su una formula accattivante e subito riconoscibile. Heavy ma mai troppo estremi, orecchiabili senza uscire del tutto da canoni metal, sempre abili nel sottolineare al massimo quella componente folk ed eroica che da diversi anni è motivo di grande fascino tra gli ascoltatori più giovani mantenendo però una propria coerenza; così gli Amorphis sono riusciti a tornare in alto, mettendo d’accordo tanti tipi di appassionati. Dopo una fitta serie di lavori così fortunati, serviva tuttavia un nuovo scossone per evitare che qualche fan e addetto ai lavori iniziasse a tacciare seriamente il gruppo di immobilismo stilistico. Ci ha pensato il noto produttore Jens Bogren (Kreator, Katatonia, Paradise Lost) a mettere gli Amorphis su coordinate in parte nuove, suggerendo un approccio più epico e orchestrale e mettendo il gruppo in contatto con professionisti in grado di aiutarlo a concretizzare queste nuove idee. Alla lavorazione di “Queen of Time” hanno dunque preso parte un coro, un’orchestra e vari ospiti, fra cui Chrigel Glanzmann degli Eluveitie e Francesco Paoli e Francesco Ferrini dei Fleshgod Apocalypse. Il risultato è certamente uno dei dischi più sontuosi della carriera degli Amorphis, in cui le tipiche melodie del sestetto (che di recente si è riunito con lo storico bassista Olli-Pekka Laine) vengono amalgamate con trame sinfoniche ad ampio respiro e arrangiamenti più profondi e minuziosi che mai. Per celebrare il completamento dell’opera, alla fine di febbraio il gruppo e Nuclear Blast Records hanno invitato Metalitalia.com e altri esponenti di varie testate europee per un pre-ascolto in quel di Helsinki, al quale sono intervenuti tutti i musicisti e il produttore Jens Bogren. “Queen of Time” è stato presentato all’interno dei Sonic Pump Studios e durante un primo ascolto ci è stato dato modo di prendere alcuni appunti su quanto stava fuoriuscendo dagli amplificatori dello studio. Ecco quindi un primo track-by-track, in attesa che i tempi siano maturi per proporvi una vera e propria recensione e un’intervista con la band.

AMORPHIS

Esa Holopainen – chitarre
Tomi Koivusaari – chitarre
Tomi Joutsen – voci
Olli-Pekka Laine – basso
Jan Rechberger – batteria, tastiete
Santeri Kallio – tastiere

QUEEN OF TIME

Data di uscita: 18/05/2018
Etichetta: Nuclear Blast Records

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1. The Bee (05:30)
Il disco si apre con uno dei suoi brani più sfaccettati, come a volere subito mettere in chiaro la direzione complessiva dell’opera. Ad un attacco a base di tastiere dal taglio moderno e ad un primo accenno di cori e voce femminile in sottofondo, segue un riff molto groovy e compatto, sul quale si staglia il potente growling di Tomi Joutsen. “The Bee” procede su un solido midtempo che viene squarciato regolarmente da un tipico ritornello pulito di marca Amorphis, dolce e triste al tempo stesso. In questa traccia si nota come il gruppo cerchi di sposare un impianto ritmico molto concreto con un apparato di arrangiamenti più ricco e ricercato del solito, conseguenza del contributo di una serie di ospiti e delle intuizioni del produttore Jens Bogren, il quale ha insistito affinchè la band si avvalesse per la prima volta in carriera dell’apporto di un coro e di un’orchestra per valorizzare ulteriormente certi suoi tratti.

2. Message in the Amber (06:44)
L’incipit di “Message in the Amber” è più Amorphis che mai: questo tipo di melodia folk è stato per la prima volta sperimentato dal gruppo ai tempi di “Tales from the Thousand Lakes” e da allora ha fatto costantemente parte dei trademark della proposta. L’attacco è agile, ma il tutto viene interrotto da un break acustico che introduce la limpida voce del cantante. Si viene a creare un senso di suspense che serve da ponte per una ripartenza molto possente, sorretta da un riff corposo e dalla doppia cassa di Jan Rechberger. Da qui il pezzo prende una piega progressive nel suo recuperare la melodia dell’inizio, la successiva strofa inquieta e nell’introdurre arrangiamenti sempre più trionfali. La voce spazia continuamente fra pulito e growl, per poi lasciare spazio ad un’apertura corale che quasi richiama i greci Septicflesh. Il brano sembra qui destinato a diventare ancora più sfarzoso, ma poco dopo la melodia folk torna a fare la propria comparsa, chiudendo il pezzo su registri familiari.

3. Daughter of Hate (06:20)
“Daughter of Hate” parte in modo particolarmente arcigno dopo un breve intro a base di organo e chitarra solista, ma la doppia cassa e la potente ritmica da essa generata lasciano presto spazio ad un midtempo più leggero punteggiato da tastiere e guidato dal pulito di Joutsen. Il chorus riaccende gli animi, presentando anche delle backing vocals in screaming particolarmente velenose, ma un intervento di sax e un’atmosfera mediorientale stemperano la violenza, andando a creare quella miscela di umori diversi da tempo marchio di fabbrica degli Amorphis. Un altro break corale interviene per evocare un’epicità non lontana da quella di certe realtà symphonic (death) metal, confermando l’impressione di trovarsi al cospetto di un’altra traccia assai ricca di input; il gruppo tuttavia è bravo nel mantenere il tutto su registri digeribili, la prosperità degli arrangiamenti e la varietà delle soluzioni utilizzate non risultano troppo schiaccianti poichè le ritmiche optano sempre per la solidità, evitando giri troppo contorti. Una canzone semi-prog, insomma, impreziosita anche da una parte spoken word molto suggestiva posta verso il finale.

4. The Golden Oak (06:22)
Una voce femminile che sembra provenire da lontano e un lieve lavoro di effettistica introducono un brano molto pimpante basato su una melodia subito memorizzabile e un riffing di chitarra che in qualche circostanza si avvicina a canoni classic metal. Variegata come sempre l’interpretazione di Joutsen, ma l’attenzione va tutta sul chorus pulito, sinora il più orecchiabile del disco. A livello di atmosfera siamo in pieno territorio Amorphis, con una componente folk sempre presente nei lead di chitarra e un retrogusto malinconico costante. La novità si manifesta sotto forma di un’apertura centrale a base di archi, seguita da un affascinante assolo acustico. Il finale riprende i temi della prima parte, spingendo però certe trame orchestrali maggiormente in primo piano. Su tutto, comunque, spicca il ritornello. Nonostante la durata corposa, un brano che potrebbe funzionare bene da singolo.

5. Wrong Direction (05:09)
Con “Wrong Direction” respiriamo per un attimo certe atmosfere di “Tuonela”: restiamo su registri agili inequivocabilmente Amorphis, esaltati da un ottimo interplay fra chitarra solista e tastiere. La strofa, in pulito, è ricca di suspense, come se Joutsen cantasse guardandosi le spalle, e il ritornello è giustamente catchy e liberatorio. Con una produzione più sobria, il pezzo potrebbe venire spacciato per un episodio risalente ai tardi anni Novanta o ai primi Duemila. Niente da appuntare, però: “Wrong Direction” si lascia ascoltare e canticchiare con grande piacere. Il break centrale a base di fiati e percussioni, così come le orchestrazioni e il growl che spuntano nel finale sembrano solo un espediente per congiungere “Wrong Direction” al materiale presentato in precedenza. Anche questa canzone potrebbe candidarsi a singolo/video, magari per fare breccia fra gli ascoltatori meno fissati con il metal più estremo.

6. Heart of the Giant (06:32)
La parentesi più ‘frivola’ dell’episodio precedente viene soppiantata dall’arrivo della tonante “Heart of the Giant”, sorta di brano power-folk che mette in luce buona parte del bagaglio metal della formazione: dal growling stentoreo di Joutsen ad abbondanti dosi di doppia cassa, sino ad arrivare ad un lavoro di chitarra molto classico. Siamo al cospetto di quel metal dal sapore nordico che gli Amorphis hanno iniziato a maneggiare a partire da “Eclipse”: una proposta robusta, dai contorni estremi (vedi appunto il growl), ma mai realmente esasperata e brutale. Qualcosa capace insomma di mettere d’accordo vari tipi di ascoltatori. “Heart…” colpisce soprattutto per il suo chorus sincopato, magistralmente sottolineato dagli archi, e per l’ennesimo solenne break corale sulla tre quarti, utile per lanciare gli assoli e per spingere il pezzo verso una conclusione ancora più pomposa, nella quale la voce del frontman viaggia su arie orchestrali sempre più in evidenza.

7. We Accursed (04:59)
Tastiere e fiati introducono un’altra traccia dal forte sapore folk. Siamo nuovamente su registri metallici e baldanzosi: un midtempo roccioso avvolto da un tema orchestrale che viaggia lineare e spedito sino ad un’apertura nella quale emerge la passione del gruppo per i Seventies. Un organo Hammond introduce infatti una serie di assoli vintage in grado di richiamare vari periodi della carriera degli Amorphis. Nel complesso, “We Accursed” si dimostra tuttavia un episodio piuttosto lineare, nel quale la band recupera una certa spigliatezza dopo il grande impatto simil-“viking” del brano precedente.

8. Grain of Sand (04:44)

L’arpeggio iniziale fa subito intuire il motivo portante del pezzo: la melodia è 100% Amorphis, tuttavia il brano, anzichè procedere spedito e arrembante, rallenta improvvisamente, dando spazio al growl su un mid-down tempo interlocutorio che ha il chiaro obiettivo di creare suspense. Non è la prima volta che gli Amorphis adoperano tale soluzione nel disco, ma il risultato continua ad apparire apprezzabile, se non altro perchè il successivo chorus pulito è ficcante e arioso al punto giusto. Il brano procede alternando tutti gli ingredienti sin qui messi in mostra, velocizzandosi leggermente solo dopo una bella apertura corale. La doppia cassa dona nerbo alle trame e rilancia il pezzo sino ad un finale nel quale il ritornello viene sempre più sottolineato prima di cedere il passo ad una nuova serie di assoli.

9. Amongst Stars (04:50)
Con “Amongst Stars” gli Amorphis sperimentano un incrocio fra il vigore folk di un brano come “Heart of the Giant”, rintracciabile soprattutto nell’intro e all’altezza del chorus, e trame più duttili e armoniose sulle quali Joutsen duetta con l’ospite Anneke van Giersbergen. L’ex cantante dei The Gathering prende addirittura le redini del pezzo dopo un breve break flautistico, almeno sino all’ennesimo intervento interlocutorio del frontman, sempre abile a sottolineare questi momenti di sospensione. Il finale è un trionfo di orchestrazioni su doppia cassa, nel quale sembra quasi di trovarsi davanti ad un sorta di versione folk-nordica degli Epica.

10. Pyres on the Coast (06:19)
“Pyres on the Coast” prende le distanze dall’ampollosità del pezzo precedente, optando per un incipit più grave sul quale Joutsen sperimenta registri più sporchi e tediati. L’andatura è severa ed evoca amarezza anche quando gli arrangiamenti orchestrali si fanno più insistenti. Nella sua prima parte, “Pyres…” pare vivere di una struttura un po’ macchinosa, ma dopo circa tre minuti la traccia si trasforma in un midtempo incalzante dominato da un riff autorevole, splendidamente sottolineato dagli archi. Il growl ha gioco facile su queste trame. Sorprende tuttavia ancora di più il bel break malinconico nel mezzo, sempre giocato su uno scambio fra arpeggi e tastiere, prima che la canzone riparta riprendendo prima il tema iniziale e, successivamente, l’esaltante midtempo illustrato poc’anzi. Un finale aspro dopo qualche traccia più ritmata e orecchiabile.

11. As Mountains Crumble (06:17)
La prima delle due bonus track registrate per le edizioni speciali del disco è un brano che alterna melodie tipicamente Amorphis ad aperture quasi opethiane. Si respira un che di bucolico in questa traccia, soprattutto grazie a delle voci pulite particolarmente calde e passionali. Interventi di voce growl e organo hammond tuttavia rimandano al consueto trademark Amorphis e a formule già note.

12. Brother And Sister (06:03)
Un motivo di tastiera tetro, quasi di matrice Goblin, introduce un brano pimpante nel quale gli Amorphis provano a miscelare ritmiche solide e un’ariosità più pronunciata a livello melodico e vocale. Di nuovo torna alla mente “Tuonela”, soprattutto quando emerge il ritornello, orecchiabile ed elegante al tempo stesso. Un pezzo Amorphis al 100%, che si incattivisce un po’ nella seconda parte, ma che nel suo insieme non si rivela forse del tutto in linea con il resto del disco.

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