AVANTASIA: lo studio report di “Ghostlights”!

Pubblicato il 25/11/2015

A cura di Giovanni Mascherpa

Pensare che avrebbe dovuto restare un progetto con un inizio e una fine prestabiliti, una costola degli Edguy, destinata a offrire una fastosa metal opera in due parti, e lì terminare. Si era nelle annate 2001-2002. Tredici anni più tardi, siamo qui a parlarvi di uno dei progetti heavy metal più di successo del nuovo millennio, cresciuto nel tempo quanto a spettro sonoro, numero di musicisti coinvolti e partecipazione emotiva degli addetti ai lavori. Tobias Sammet, che a soli 38 anni può già vantare una discografia da veterano, si è permesso il lusso di lavorare con un numero di personaggi di alto blasone che in molti casi anche musicisti più famosi di lui non sono mai riusciti a intercettare per una collaborazione. Il genietto tedesco è diventato invece un punto di riferimento per tutta la scena heavy e l’elenco di grandi cantanti che hanno posto la firma sui suoi dischi è oramai sterminato. Tanti ritornano, collaborando su ogni nuova release di Avantasia; altri si aggiungono, pennellando di nuove sfumature il variopinto caleidoscopio sonoro del metal operistico firmato da Tobias Sammet e dall’ormai inscindibile Sascha Paeth. Il sodalizio con il polistrumentista/produttore è il segreto del successo dell’intero progetto: Sascha e Tobias lavorano all’unisono, quasi come se fossero una sola mente e un solo corpo, abbinando produttività e qualità. Anche il nuovo album “Ghostlights” nasce con le identiche premesse dei suoi predecessori: un lotto di canzoni variegato, contraddistinto da ospitate di lusso che tutte, ma proprio tutte, riescono a dare un’impronta profonda al materiale affrontato. Assieme ad altri rappresentati della stampa specializzata internazionale – il grosso dei presenti proveniente da testate nordiche – ci siamo recati direttamente sul ‘luogo del delitto’, i famigerati Gate Studio alla periferia di Wolfsburg, dove Paeth ha forgiato il sound di almeno due generazioni di album-icona del power metal europeo. Una cornice sorprendentemente spartana, dopo un rapido tragitto in taxi costeggiando la gigantesca fabbrica Volkswagen, ci introduce nella casetta sede degli studi di registrazione. L’area, diciamo, di ‘accoglienza’, quella nella quale trascorreremo il tempo prima e dopo la listening session e per il primo round di interviste, sembra essere rimasta intrappolata negli Anni ’60 del secolo scorso: fili elettrici a vista, arredamento da casa della nonna, soffitti bassissimi, un’atmosfera vintage diffusa in ogni dettaglio. Tutto il contrario, ovviamente, degli studi veri e propri: qui, da un avveniristico impianto audio del valore di chissà quante migliaia di euro, abbiamo avuto il piacere di un singolo ascolto del nuovo materiale, che sarà ufficialmente disponibile il 29 gennaio 2016 per Nuclear Blast Records. Ecco le nostre prime impressioni, il commento di Tobias Sammet alle singole tracce e una breve intervista col suo partner in crime Sascha Paeth.

avantasia - ghostlights - 2016
AVANTASIA – “Ghostlights”
Etichetta: Nuclear Blast
Data di pubblicazione italiana: 29 gennaio 2016
www.tobiassammet.com/
www.nuclearblast.de/

 

01. Mystery Of A Blood Red Rose (03:51)
voce: Tobias Sammet
chitarra solista: Sascha Paeth

Tobias Sammet: “La cosa divertente di questa canzone è che somiglia al materiale di Meat Loaf, perché doveva esserci proprio lui a cantarla! Abbiamo sentito il suo management e, dopo una prima apertura, loro hanno fatto marcia indietro e non siamo riusciti a concretizzare questo sogno. La lavorazione per alcuni aspetti è stata molto complessa, per le backing vocals abbiamo impiegato circa tre giorni e mezzo per registrarle tutte come le volevamo. Quando ho fatto sentire a qualcuno le demo con la versione originaria di ‘Mystery…’, tutti mi hanno detto che sembrava un brano di Meat Loaf. E io allora gli dicevo: ‘Certo, la deve cantare lui!’. Poi non se n’è fatto nulla, ma l’impronta musicale è ovviamente rimasta”.

Pianoforte ed orchestrazioni preparano il terreno all’entrata della voce di Tobias. L’avvio sommesso lascia presto spazio a tempi medio-veloci, sui quali melodie teatrali volteggiano e planano secondo cadenze briose tipiche dei musical. Il generoso ricorso alle polifonie vocali e la trasmutazione del timbro di Tobias ci confermano l’impressione iniziale: non sapessimo che stiamo ascoltando un disco di Avantasia, crederemmo di essere al cospetto di un’outtake di “Bat Out Of Hell”! Un ritornello semplice ed ad effetto viene arricchito da possenti contrappunti di voci femminili, prima di un’uscita di solo pianoforte. Bel biglietto da visita, non a caso è stata scelta come primo singolo e sarà disponibile su iTunes e le altre piattaforme digitali a partire dall’11 dicembre.

 

02. Let The Storm Descend Upon You (12:09)
voce: Tobias Sammet, Jorn Lande, Ronnie Atkins, Robert Mason
chitarra solista: Oliver Hartmann

Tobias Sammet: “Questa è una canzone che suona molto complicata. Il bello è che in un primo tempo non avrebbe dovuto esserlo! La scrittura di ‘Let The Storm Descend Upon You’ si è sviluppata mano a mano che scrivevo il testo. Avevamo dei versi molto lunghi, delle strofe prolungate e quattro cantanti assieme. Così la musica è andata di pari passo e il minutaggio è stato esteso, anche se non avevamo programmato di espandere tanto la durata. Non avevamo pianificato che questa fosse una traccia tanto lunga, abbiamo solo continuato a scrivere, scrivere, scrivere… Questo ha influito anche sulla struttura: possiamo suddividere ‘Let The Storm…’ in alcune sezioni ben definite, con momenti di ascesa seguiti da un affievolimento e poi di nuovo un crescendo. Da un certo punto di vista, richiama le sinfonie di Wagner. Infatti, dopo la prima parte, ripartiamo con un intro, quindi la musica sale d’intesità, scende e proponiamo nuovamente un intro e una ripartenza. Uno crede che la canzone sia finita, invece riparte. Accade più volte e in questo modo teniamo alto il livello di attenzione”.

Che coraggio! Lo pensiamo durante l’ascolto, nei minuti appena successivi e ancora tante altre volte quando usciamo dalla sala di ascolto. La canzone più lunga, complessa, ambiziosa di “Ghostlights” arriva già alla seconda casella, quando tutto ti aspetteresti fuorché una tortuosa suite. La struttura del pezzo è particolare: il brano infatti per almeno tre volte sembra finire, per poi ripartire con nuovo slancio ed energia. Iniziamo a notare un’insolita durezza nel riffing e la scelta di un suono compresso e pompato, a fronte di una leggera riduzione della componente orchestrale. Si prende subito slancio con una prolungata parte strumentale, Sammet è il primo dei quattro cantanti ad entrare in campo, ad un roccioso mid-tempo fa presto seguito un’accelerazione decisa che fa svoltare la musica verso un power metal teatrale e luminosissimo. Si potrebbe scrivere un intero articolo su tutte le pause enfatiche, i magniloquenti interventi di tastiera, gli emozionanti inseguimenti delle voci di Lande, Atkins e Mason, tutti egualmente protagonisti e autori di prove davvero eccellenti. La ricchezza di dettagli è impressionante, la costante e poliedrica enfasi di cui la traccia è pervasa dà quasi il capogiro e anche il vortice di assoli finali è assolutamente travolgente. Crediamo che in tanti avranno in questa traccia la loro preferita del nuovo album.

03. The Haunting (04:42)
voce: Dee Snider, Tobias Sammet
chitarra solista: Sascha Paeth

Tobias Sammet: “Per ‘The Haunting’ sono partito dal ritornello, mi è venuto in mente in fretta e da lì ho iniziato a costruire tutto il resto. Il ritornello infatti è molto dolce, lo definirei ‘alla Broadway’ e mi tormentava il fatto che avesse un tono troppo delicato, da ballad, quando il tema del testo era quello di una creatura misteriosa pronta a colpire. Finalmente sono riuscito a concepire queste sonorità sinistre che senti in apertura, poi la musica ha iniziato a fluire più facilmente, tra metà bridge e il secondo chorus ho aggiunto delle backing vocals inquietanti e quindi mi sono messo a unire le parti che avevo a disposizione. A questo punto sono andato alla ricerca di un cantante che potesse evocare l’idea di pericolo ma che questo non fosse eccessivamente manifesto, doveva dare l’impressione che ci fosse una creatura nascosta là fuori che ti stesse osservando. Insomma, si doveva percepire una sensazione di disagio ma senza sentirsi oppressi. Allora ho creduto che Dee Snider si adattasse perfettamente a questo ruolo, è un incrocio tra un cattivo da film e Bugs Bunny (ride, ndR). Io lo chiamavo anche ‘pavone’, è troppo divertente Dee Snider (ride un’altra volta, ndR). È stato bravissimo a ricreare l’atmosfera che volevo”.

I fan di Avantasia e quelli dei Twisted Sister sicuramente si saranno chiesti come Sammet avrebbe utilizzato un tipico cavallo di razza hard rock come Snider in un contesto così distante da quello usuale. Semplice: facendolo cantare su uno spartito che non richiama quasi per niente la sua band principale! Una similitudine coi Twisted Sister a dire il vero ci sarebbe ed è quella gemma un po’ sottovalutata di “Horror-Teria”. Snider sfoggia le non sfruttatissime – di solito – note basse e, come il titolo fa presagire, siamo subito immersi in atmosfere molto darkeggianti. Siamo in presenza di un hard rock barocco che può ricordare certe cose dell’Alice Cooper più cupo e scenico, come richiamare velatamente l’amarezza dei Savatage di “Handful Of Rain”. Qui, come in molti altri punti del disco, si avverte la voglia di Sammet di insistere sui contrasti, alternando pennellate chitarristiche bluastre a grintose impennate di adrenalina. Le compenetrazioni delle voci di Snider e Tobias, assieme ai cori, non fanno altro che aggiungere pathos a un brano piuttosto sorprendente.

04. Seduction Of Decay (07:18)
voce: Geoff Tate, Tobias Sammet
chitarra solista: Sascha Paeth

Tobias Sammet: “All’inizio questo pezzo era intesa come una versione heavy metal molto epica del classico dei Led Zeppelin ‘Black Dog’. Una epic song con un tocco blues. Quindi nella mia testa, in un primo tempo, accostavo ‘Seduction Of Decay’ con una voce old-school, molto blues, come David Coverdale. In seguito ho scartato l’idea perché era troppo ovvia. Avremmo tributato il blues rock e sarebbe stata una cosa scontata. Allora ho immaginato qualcosa di più folle. E qui si è fatta strada l’ipotesi Tate. Mi veniva voglia di cantare “Seduction Of Decay” con il suo inconfondibile stile (Tobias si produce anche in una riuscita imitazione dell’ex-Queensryche, ndR), e questa cosa mi entusiasmava. Allora ho detto a Sascha: ‘Provo a cantare come Tate e vediamo cosa viene fuori’. Una volta registrata la demo, da Sascha a chiunque altro gliel’abbia fatta sentire, tutti mi hanno detto che quelle linee vocali calzavano a pennello alla musica. A quel punto ero convinto al cento per cento che ci voleva Geoff. A volte accadono eventi imprevedibili come questo: parti con un l’idea di rivisitare i Led Zeppelin, e finisci per avere un brano fortemente heavy metal come questo. Anche questo è un aspetto eccitante di Avantasia”.

In questi tempi di immagine pubblica deturpata dal suo carattere irrequieto, Geoff Tate guadagnerà qualche punto nella considerazione dei fan di Avantasia con questa interpretazione. Si cambiano le carte in tavola un’altra volta: se “The Haunting” ondeggiava nel buio, qua ne veniamo completamente inondati. Ovunque vada, Tate si porta dietro le torbide ambientazioni cospirazioniste di “Operation: Mindcrime” e “Seduction Of Decay” in questo senso non fa eccezioni. Considerando inoltre che, oggi come oggi, il vecchio Geoff si trova più a suo agio sui toni medio-bassi, una traccia tanto oscura gli calza proprio a pennello. Al martellante incedere della prima parte fa seguito, dopo un drammatico arpeggio, una seconda fase più intimista, vagamente alla “Suite Sister Mary”. Le orchestrazioni si accordano alla spessa tensione evocata dalle chitarre, i violini in particolare intervengono con suoni taglienti e severi. Altro episodio destinato a essere meglio compreso dopo alcuni ascolti.

05. Ghostlights (05:43)
voce: Michael Kiske, Tobias Sammet, Jorn Lande
chitarra solista: Sascha Paeth, Oliver Hartmann

Tobias Sammet: “Non ci sono molti cantanti che possano affrontare queste melodie, e in questa ristretta cerchia Michael Kiske è il migliore. La canzone è stata scritta apposta per la sua voce. Michael mi ha chiesto perché tutte le volte che lo chiamo gli faccio cantare su note tanto alte: io gli rispondo che non c’è nessun altro che le possa cantare, non lo faccio per sadismo! Quando ho scritto ‘Ghostlights’ stavo pensando a ‘Eagle Fly Free’, una canzone che avrò ascoltato migliaia di volte nella mia vita e che mi ha fatto scegliere di diventare un cantante. Per questo sono molto legato alla voce di Kiske”.

Signore e signori, Michael Kiske! Non c’è bisogno di osservare Tobias quando parla dello schivo ex cantante degli Helloween per capire quanto importanza rivesta la sua voce all’interno dell’ecosistema di Avantasia. Dopo un primo terzo dell’album notevolmente sperimentale, i fan tradizionalisti reclamavano un tributo al power melodico di tradizione teutonica. La titletrack è infatti una canzone classica, veloce e ritmata, con la doppia cassa sparata in faccia come ai bei tempi ruggenti quando il power melodico dominava le playlist dei metaller di tutta Europa. Kiske è in gran forma e dialoga benissimo con le seconde voci, che infondendo un pizzico di barocchismo elevano il nostro giudizio a questo primo ascolto.

06. Draconian Love (04:58)
voce: Herbie Langhans, Tobias Sammet
chitarra solista: Sascha Paeth

Tobias Sammet: “All’inizio ‘Draconian Love’ non era destinata ad essere una dark song. Avrebbe dovuto avere una certa atmosfera, ma non esattamente quella che ha finito per avere nella sua versione finale. Inizialmente infatti le tonalità del bridge erano alla mia portata, ero in grado di cantarle. Sascha ha deciso di abbassarle, per creare un maggiore contrasto col refrain. Io a quel punto non ero più in grado di cantare al meglio quelle parti e ci siamo rivolti a Herbie. Quando ha provato a riprodurre quel tipo di voce con noi in studio, siamo rimasti sorpresi da come era riuscito a cambiare radicalmente l’atmosfera. Siamo rimasti stupefatti sia io che Sascha. All’inizio doveva essere una specie di hard rock song dal sapore epico e malinconico. Quando Herbie ha completato la demo, allora è andata ad avvicinarsi alle sonorità dei The Sisters Of Mercy. Ci sarebbe piaciuto avere Andrew Eldritch a cantarla, ma non è stato possibile e visto che la demo era dannatamente buona abbiamo deciso di farla cantare a Langhans. Lui era in studio con noi ad occuparsi di alcune backing vocals, è un grande amico di Sascha: quando ci siamo accorti che non riuscivo a cantare così in basso, Sascha gli ha chiesto di cantare sulla versione demo per avere un’idea di come avrebbe potuto suonare la versione finale. E ne siamo rimasti così soddisfatti che poi l’ha cantata anche sulla versione definitiva”.

Le sorprese non finiscono mai quando c’è di mezzo la coppia Paeth-Sammet. L’apertura è affidata a sospiri di tastiera che rimandano ai Paradise Lost di “One Second” e capiamo abbastanza presto che non sono state messe lì per ingannarci. “Draconian Love” è in tutto e per tutto uno sposalizio fra il gothic rock del gruppo di Nick Holmes quando si era allontanato dal metal estremo, i Moonspell più leggeri e il power melodico. Langhans, conosciuto per la sua militanza nei power metaller teutonici di ispirazione cristiana Seventh Avenue, canta in maniera irriconoscibile, quasi come se fosse diventato improvvisamente un emulo di Fernando Ribeiro! Le tenebre – quando canta Langhans – e la luce – nelle linee vocali di pertinenza di Sammet – si danno incessantemente il cambio su una base ritmica semplicissima. Brano che ci metterà pochissimo a entrare in circolo.

07. Master Of The Pendulum (05:01)
voce: Marco Hietala, Tobias Sammet
chitarra solista: Sascha Paeth

Tobias Sammet: “Il riff principale ricorda ‘Mysteria’, il pezzo degli Edguy, ha la stessa durezza metallica. Non è lo stesso riff, ma ha quel tipo di impatto. Non credo che il ritornello sia per forza accostabile all’’happy metal’ degli Helloween, ma ha un effetto sing-a-long ed è molto anthemico. E secondo me rimane comunque molto aggressivo, anche se ha sonorità più leggere del resto del brano”

Il peso delle chitarre in questo disco raggiunge il suo apice a questo punto, quando la presenza di un tipo come Marco Hietala dei Nightwish farebbe credere l’esatto opposto. Invece dovete immaginare “Master Of The Pendulum” come una riuscita rivisitazione di Annihilator o Eldritch, caratterizzata da chitarroni claustrofobici e una batteria titanica. Tobias e Hietala sporcano la voce e impersonano la parte dei cattivi in strofe arcigne, ‘inquinate’ da filtri vocali e arrangiamenti elettronici, mentre la musica scorre ai bassi regimi, ossessiva e nerastra. Nel refrain, ecco una nuova mutazione: i tempi accelerano, la notte scompare in un istante e Hietala si produce in un ritornello che suona quasi esattamente come quelli degli Helloween degli Anni ’80. Altro capitolo a due facce di questa lunga saga, quindi, tra i più difficili da digerire al primo impatto, ma anche tra quelli più meritevoli a nostro avviso di essere esplorati con attenzione.


08. Isle Of Evermore (04:28)
voce: Sharon Den Adel, Tobias Sammet

Tobias Sammet: “Abbiamo adottato un tipo di suoni che stanno a metà strada fra la colonna sonora alla ‘Braveheart’-‘Il Gladiatore’ e la musica pop. Gli effetti e gli arrangiamenti utilizzati secondo me si sposano molto bene alla musica heavy metal. Creano una grande atmosfera, danno una forte enfasi alla musica. Senza strumenti rock, senza chitarre, vai a dare una nuova colorazione alla tua musica. Per come la vedo io, ‘Isle Of Evermore’ unisce Lisa Dal Bello alla colonna sonora. Lisa Dal Bello è un’artista darkwave ma è stata importante anche per un certo tipo di heavy metal, in molti hanno coverizzato delle sue canzoni, persino i Queensryche. Non è un problema che non sia una metal song, dà una sfumatura differente all’album e ritengo abbia un’ottima melodia portante. Nel comporla, non ho fatto nulla di diverso dal solito, sono partito dalla melodia vocale e poi ho aggiunto l’armonia e tutto il resto”.

Niente chitarra e spazio a sonorità che mischiano le arie delle colonne sonore fantascientifiche a un flavor gotico Anni ’90. Ballad amara, sofferta, questa “Isle Of Evermore”, gli arrangiamenti sintetici lasciano un sapore di algido distacco nelle nostre orecchie. Tobias sperimenta con la voce e scende di tonalità per assecondare il feeling intristito della composizione. Non particolarmente toccante, anche se formalmente impeccabile, la prova vocale di Sharon Den Adel dei Within Temptation. Una leggera progressione di intensità nel finale serve giusto da chiosa a un esperimento che pare segnare leggermente il passo rispetto a quanto abbiamo sentito prima.

09. Babylon Vampyres (07:09)
voce: Tobias Sammet, Robert Mason
chitarra solista: Bruce Kulick, Oliver Hartmann, Sascha Paeth

Tobias Sammet: “Già da quando abbiamo finito di scriverla io e Sascha abbiamo capito che sarebbe stata una canzone focalizzata sulle chitarre, a partire dal primo, pazzesco, assolo di Sascha proprio all’inizio. Le parti di basso sono più difficili che altrove, mi sono reso conto che non ce la facevo ad affrontarle e abbiamo chiesto a un altro bassista di registrarla. Abbiamo dato molto spazio alle chitarre e avendo tre chitarristi, abbiamo lasciato a ognuno di loro la libertà di esprimersi. È l’unica traccia con tre guitar player, è interessante sentire la differenza di stili: Sascha ha un modo di suonare funambolico, molto metal; Oliver ha anche lui un tocco metallico molto accentuato, però lontano da quello di Sascha, più lineare; infine c’è Bruce Kulick, siamo arrivati al quarto disco di Avantasia assieme ed è uno dei miei idoli della giovinezza. Bruce ha suonato su ‘Crazy Nights’, ‘God Gave Rock’n’Roll To You’ dei KISS, esprime una personalità fortissima in quello che suona. Gli assoli sono l’espressione di sentimenti molto forti, se questi mancano non ci potranno ottenere dei solo di qualità”.

Con la presenza di ben tre chitarre soliste a duellare, per una volta la nostra attenzione non cade sulle vocals, comunque meritevole di menzione, di Sammet e Mason, ma sul baluginare di assoli incrociati del trio Kulick-Hartmann-Paeth. L’ultimo che abbiamo nominato dà il primo colpo con un’esagerata sviolinata da shredder nelle prime battute, un modo spettacolare di lanciare “Babylon Vampyres” sulle alte velocità del power. Del lotto di canzoni più ‘classiche’, questa emerge come la più violenta, nonostante il refrain vada a cercare melodie gioiose e trascinanti. Nella seconda metà campo libero alle evoluzioni delle tre asce, che ammaliano passando dal tocco hard vecchio stampo di Kulick, a quello tipicamente metal di Hartmann, alle scale mirabolanti quasi alla Racer X-Malmsteen di Paeth. Magari si insiste un po’ troppo sul refrain, ma sulla bilancia tra pregi e difetti pesano sicuramente di più i primi.

10. Lucifer (03:48)
voce: Jorn Lande, Tobias Sammet
chitarra solista: Bruce Kulick

Tobias Sammet: “La cosa buffa di questa canzone è che in origine doveva essere una bonus song. Questo clima così silenzioso, pacato, la rendeva perfetta per questo compito. ‘Lucifer’ nasce abbastanza da lontano. Nella mia testa ho cominciato a pensare di scrivere una ballad con Jorn da un episodio ben specifico accaduto durante il primo tour di Avantasia: eravamo in Repubblica Ceca, appena tornati sul tour bus dopo lo show e un lungo party. Eravamo tutti stanchissimi, distrutti, e stavamo andando verso l’aeroporto. Volevamo tutti una sola cosa: dormire. Appena saliti sul bus, Jorn, che aveva ancora addosso l’energia di mille elefanti (scroscio di risate, ndR) si mette a cantare, a cappella, una ballad mai sentita prima. Eravamo combattuti: da un lato volevamo ammazzarlo perché non ci lasciava dormire, dall’altro eravamo estasiati da quello che stavamo sentendo. Era il 2008 e da allora mi sono ripromesso di scrivere una ballad per Jorn. All’inizio ‘Lucifer’ doveva essere una semplice showcase delle incredibili capacità di Jorn”.

Accennavamo prima ai contrasti di “Ghostlights”: eccone un altro. Il titolo annuncerebbe un sabba metallico in piena regola, al contrario siamo al cospetto della seconda ballad dopo “Isle Of Evermore”. Lande quasi lo vediamo contorcersi al pianoforte mentre spinge la sua ugola su toni melodrammatici, portandoci alla mente quella sottile melanconia in passato professata dagli Ark. Suggestioni leggere, manca l’intraprendenza rock degli autori di “Burn The Sun”, ma qualcosa di una “Missing You” qua dentro potrete sentirlo. Peccato che, quando una rullata impetuosa sembri accendere i motori dell’heavy metal e portarci verso un trascinante assalto conclusivo, la musica si interrompa di colpo, dandoci la sensazione che forse “Lucifer” avrebbe necessitato di una continuazione.

11. Unchain The Light (05:03)
voce: Tobias Sammet, Ronnie Atkins, Michael Kiske
chitarra solista : Sascha Paeth, Oliver Hartmann

Tobias Sammet: “È una delle ultime tracce che abbiamo scritto, riflette il conflitto tra il Bene e il Male e quindi si basa ancora una volta su dei forti contrasti. È molto energetica, fa parlare direttamente il protagonista principale del concept, puoi sentire in ‘Unchain The Light’ la voce della sua anima, senza filtri. Avevamo bisogno di una composizione di questo tipo a questo punto dell’album, viste le tematiche dei testi doveva essere molto veloce e diretta”.

Cori positivi e stentorei detonano ovunque nella penultima track, dove rapidi giri chitarristici e alto numero di bpm portano immediatamente sui binari dell’heavy metal melodico. Riff sfumati e quasi in dissolvenza si adagiano su pattern elementari, le tastiere intervengono a ondate regolari a caricare di enfasi i cori. Assieme alla titletrack e a “Babylon Vampyres” rappresenta la continuità con i primi tempi di Avantasia e degli Edguy, oltre ad essere un sentito omaggio alla scuola artistica di provenienza del mastermind. Forse emerge più mestiere che creatività in una canzone del genere, ma non si può dire “Unchain The Light” non sia ben congegnata.

12. A Restless Heart And Obsidian Skies (05:53)
voce: Bob Catley, Tobias Sammet
chitarra solista: Bruce Kulick

Tobias Sammet: “È la tipica canzone di Bob Catley, lui è il gentleman, l’anima buona in questo mondo terribile. Bob è il cantante ideale per una chiusura di questo tipo, accompagna il protagonista verso la naturale conclusione della storia. La musica è possente ma insieme gentile, morbida; una forte positività pervade tutta ‘A Restless Heart And Obsidian Skies”. Non sarà propriamente metal ma è perfettamente adatta ad Avantasia e non poteva esserci chiusura migliore per ‘Ghostlights’”.

Il caro vecchio Bob Catley arriva a cullarci con calde vocals da vecchio zio saggio. Il cuore romantico del cantante dei Magnum batte forte in questa chiosa di ampio respiro, ariosa e riflessiva, elegante e signorile. Si viaggia con la mente tramite note che guardano al passato non indulgendo in sentimentalismi o nostalgie eccessive: quando già si è entrati in piena modalità-relax, rapiti dalla magica vocalità di Catley, ci pensa Sammet a riportarci in moderni ambienti metallici. I cori crescono di volume e intensità, una legione vocale che nel refrain sembra guardare ad alcune sofisticazioni del pop ottantiano. Una chiusura che si fa ricordare.

Avantasia - immagine studio report 2 - 2015

INTERVISTA A SASCHA PAETH

A margine della listening session, abbiamo potuto scambiare due chiacchiere con la seconda architrave di Avantasia, importante quasi quanto Sammet nella creazione di “Ghostlights”. Suoi tutte le chitarre ritmiche, la maggior parte degli assoli, basso e alcune parti di tastiera. Determinante anche dal punto di vista compositivo, Sascha Paeth ha attraversato in punta di piedi, nell’approccio umano educato e tranquillo, la scena metal europea degli Anni ’90 e 2000, lasciando un segno indelebile sulla storia delle sonorità power. Nel poco tempo disponibile abbiamo cercato di carpirgli qualche impressione ‘a caldo’ sull’ennesimo collaborazione con il leader degli Edguy.

DOPO TUTTI QUESTI ANNI CHE TU E TOBIAS COLLABORATE, NON HAI TALVOLTA LA PAURA DI RIPETERTI, DI PRODURRE MUSICA CHE POSSA ASSOMIGLIARE TROPPO AD ALTRE COSE GIÀ FATTE IN PASSATO, SIA PER QUANTO RIGUARDA LA COMPOSIZIONE, SIA PER LA PRODUZIONE?
“Il rischio c’è sempre, ma non è questo il caso, perché siamo migliorati assieme nei nostri rispettivi campi io e Tobias. Oggi sappiamo molte più cose di un tempo. Negli anni ci siamo permessi molte sperimentazioni, dialogando intensamente l’uno con l’altro e capendo come le nostre idee potessero fondersi. È sempre appassionante lavorare con Tobias, quando c’è la giusta chimica non hai limiti. Non ci si annoia mai con lui”.

PRIMA DELLA LISTENING SESSION, HAI ACCENNATO CON ME ED ALTRI GIORNALISTI ALLA DIFFICOLTÀ DI METTERE ASSIEME VOCI MOLTO DIVERSE, REGISTRATE IN MODI DIFFERENTI E OGNUNA CON CARATTERISTICHE MOLTO NETTE. QUALE È STATO L’ASPETTO PIÙ DIFFICILE DA CURARE NEL TUO LAVORO DI PRODUTTORE?
“Il compito più arduo è stato proprio quello di omogeneizzare tutto quello che mi arrivava e fare in modo che le canzoni non suonassero come dei collage di vari interventi ma fossero coese al loro interno e l’intero disco scorresse come un flusso continuo, senza bruschi cambiamenti di suono e di approccio fra una traccia e l’altra”.

DAL LATO OPERATIVO, COME PROCEDETE TU E TOBIAS?
“Normalmente prima scriviamo la struttura base dei pezzi e poi arrangiamo direttamente in studio di registrazione. Non registriamo molti demo, lavoriamo sullo scheletro del brano direttamente quando è il momento di ‘chiudere’ la canzone.

COME FUNZIONA LA SCELTA DEI CANTANTI?
“Discutiamo molto tra di noi su questo punto, in base a quello che ci comunica una canzone ci facciamo guidare dalle nostre intuizioni e cerchiamo di contattare i cantanti che ci vengono in mente. Robert Mason, ad esempio, l’ha visto cantare mio figlio in uno show televisivo, ‘A Trip’s Rock Band’, me l’ha segnalato e, quando ho guardato chi era, mi sono accorto che era il singer degli Warrant! Allora abbiamo provato a contattarlo. Lo stesso è accaduto con Geoff Tate: ci siamo accorti che una traccia si adattava benissimo al suo stile, e ci siamo mossi per averlo sul disco”.

“GHOSTLIGHTS” COMPRENDE CANZONI STILISTICAMENTE MOLTO SFACCETTATE. QUAL È LA TUA PREFERITA? QUALI SONO LE TIPOLOGIE DI BRANI CHE PREFERISCI ALL’INTERNO DELLA TRACKLIST?
“Guarda, non sono il tipo di persona che ritiene tutto bellissimo e fantastico solo perché ci ha lavorato sopra. Se qualcosa non mi piace, lo dico. In questo caso, sono contento di tutto quello che c’è nell’album e non sono in grado di dirti, al momento, quale possa essere l’episodio migliore di ‘Ghostlights’: potrebbe essere qualsiasi traccia! Una di quelle che per prime mi ha conquistato è l’opener, ‘Mystery Of A Blood Red Rose’, molto orecchiabile e trascinante”.

COME SI LAVORA, IN UN CONCEPT ALBUM COME “GHOSTLIGHTS”, PER ADATTARE TUTTA LA MOLTEPLICITÀ DI STILI MUSICALI DISPONIBILI ALLE LYRICS?
“Si ragiona caso per caso: in un pezzo come ‘The Haunting’, ad esempio, è chiarissimo il rapporto fra testi e musica. In generale, comunque, il peso più importante ce l’hanno le voci, quando scegliamo il cantante designato a interpretare un certo brano sappiamo qual è il suo personaggio all’interno dell’intera storia, di conseguenza i testi saranno direttamente collegati al ruolo impersonato da quel determinato singer. Questo lavoro di ‘incastro’ è molto delicato, niente affatto immediato”.

QUEST’ULTIMO È UN DISCO DI GRANDI CONTRASTI E CREDO CHE UNA TRACCIA IN PARTICOLARE, “MASTER OF THE PENDULUM”, CANTATA DA MARCUS HIETALA, CONTENGA GLI ACCOSTAMENTI PIÙ SINGOLARI DELL’ALBUM. SE IL GROSSO DEL PEZZO SCORRE SUI BINARI QUASI DEL MODERN THRASH, IL REFRAIN È MOLTO VICINO AI VECCHI HELLOWEEN, QUELLI DEI DUE “KEEPER…”. CI PUOI SPIEGARE COME SIETE ARRIVATI A QUESTO RISULTATO TU E TOBIAS?
“Non avevamo assolutamente pensato di aver creato qualcosa del genere, sei il primo che me lo fa notare! Non saprei rintracciare una così forte somiglianza con gli Helloween, anche se il contrasto fra le strofe e il ritornello è molto forte: prima hai queste chitarre molto dure, massicce, poi ecco l’apertura liberatoria del chorus. La canzone ha questo ritmo generale abbastanza statico, quando arriva al ritornello avverti una specie di esplosione, uno scompaginamento dei ritmi fin lì tenuti”.

UN ALTRO PEZZO CHE MI HA COLPITO MOLTO È L’OPENER, “MYSTERY OF A BLOOD RED ROSE”, CHE SEMBRA UN PEZZO DI MEAT LOAF IN CHIAVE HEAVY METAL. CHE OPINIONI HAI A RIGUARDO?
“Sono totalmente d’accordo con te! Sia io che Tobias ammiriamo molto Meat Loaf”.

AL DI FUORI DEI DISCHI DI AVANTASIA, QUAL È LA TUA METAL OPERA PREFERITA?
“ Non è che avresti un’altra domanda (risate, ndR)? Fammici pensare un attimo… Ti direi i dischi di quel progetto di Arjen Lucassen, come si chiama… Ayreon! Sì, i dischi degli Ayreon sono molto buoni”.

ALLARGANDO IL CAMPO AI CONCEPT ALBUM, QUALI SONO I TUOI FAVORITI?
“Non ne conosco tantissimi a dire il vero. Non è conosciutissima, ma una band che andrebbe assolutamente riscoperta sono i Phenomena (super gruppo hard rock degli Anni ’80, vi hanno militato personaggi di spicco come Glenn Hughes, Cozy Powell, Don Airey tra gli altri, ndR) e i loro primi due album”.

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