A cura di Dario Cattaneo
Continuano gli Speciali di Metalitalia.com dedicati a meritevoli band italiane che stanno cercando di emergere dall’affollato panorama metal tricolore. ‘Emergere’ è tra l’altro il tema portante del nuovo album della band di cui stiamo per parlar, i BEJELIT, formazione di Arona da poco accasata alla neoformata Bakerteam che con il nuovo disco intitolato appunto “Emerge” raggiungono il considerevole traguardo del quarto album in studio. Il preascolto dell’album, ancora privo di missaggio finale ed effettuato presso gli Old Ones Studio di Paruzzaro, ci dà fin da subito il polso di una band in gran forma e vogliosa di affrontare il futuro con rinnovata energia, sfruttando tutte le armi a propria disposizione che in questo caso sono riconducibili ad un songwriting vario e maturo ed ad un’ammirevole cura posta sull’aspetto lirico. Con l’inserimento dell’ottimo solista Marco Pastorino (Secret Sphere, The Ritual) e con l’indispensabile aiuto nella stesura delle liriche di Nick ‘Xas’ Giordano, poeta e compositore, i Bejelit si pongono all’attenzione del pubblico con un album solido e pieno di risorse nascoste.
All’interno di questo speciale analizzeremo dunque “Emerge” traccia per traccia, arricchendo la nostra descrizione di ogni canzone con una descrizione parallela effettuata dai disponibili membri della band.
BEJELIT – “Emerge”
The Darkest Hour
C4
Don’t Know What You Need
Emerge
We Got The Tragedy
To Forget & To Forgive
Dancerous
Triskelion
FairyGate
The Defending Dreams Battle
Deep Waters
DefCon/13
Boogey Man
Data di pubblicazione: 26/03/2011
Etichetta/Distribuzione: Bakerteam Records/Audioglobe
Registrazione: Old Ones Studio, Italia
Mix: Sonic Pump Studios, Finlandia
Mastering: Charmaker, Finlandia
Voce – Fabio Privitera
Chitarra – Sandro Capone
Chitarra Solista – Marco Pastorino
Basso – Giorgio Novarino
Batteria – Giulio Capone
Sito ufficiale: http://www.bejelit.com/
THE DARKEST HOUR
Sandro: “Il testo è stato scritto in larga parte da Giorgio (Novarino, basso, NdR), e rappresenta una sorta di viaggio all’interno della depressione e della schizofrenia. La musica contiene molte variazioni e cambi di ritmo anche per questo motivo, proprio per rappresentare il tema trattato nelle liriche. E’ un pezzo cupo ed introspettivo, come partorito da una mente disturbata, e per noi rappresenta una continuità con il cupo lavoro precedente. E’ stata posta in apertura per questo motivo, per rappresentare la base dalla quale poi si ‘emerge’ con il resto del lavoro”.
Quasi a voler gettare un ponte con il passato, “The Darkest Hour” si pone più in linea con quanto già ascoltato sul precedente “You Die And I…” che con le canzoni che la seguiranno su “Emerge”. Il riffing è rabbioso ed ossessivo, tradendo la chiara matrice thrash presente già in passato, e le vocals aggressive seguono instancabili un tessuto ritmico cangiante e mutevole, che non lascia tempo all’ascoltatore di ambientarsi. L’impianto disturbante e schizoide dei primi minuti del brano viene interrotto però da un chorus più fruibile ed immediato, uno squarcio della maggiore melodicità che vedremo in seguito. Nel suo essere nervosa e complessa, però, “The Darkest Hour” si pone come uno dei pezzi più personali dell’album, con un chiaro rimando appunto a quanto fatto dalla band sin’ora. Un ottimo inizio, che mette in chiaro la personalità della band, pur introducendo qualche elemento diverso.
C4
Fabio: “Questo pezzo è una sorta di fumettone, se vogliamo. Parla di un uomo chiuso in un sotterraneo segreto, una sorta di rifugio antiatomico, dopo che la terra è stata invasa e devastata da degli alieni. Uno dei pochi sopravvissuti, il suo compito è monitorare tutto quello che succede. Ad un certo punto, con la sola presenza delle sue macchine e strumenti cui rapportarsi, senza la consapevolezza se ci sono altri sopravvissuti oltre lui, e sentendo infine l’oppressione degli alieni che aspettano solo che lui venga allo scoperto, decide di uscire dal suo buco, con un’arma e una sana dose di C4. ‘Assaggia il mio C4’, dice, subito prima di farsi saltare in aria. Dietro questa canzone si nota un’oppressione, ma da essa il protagonista esce con una decisione forte, una decisione finale. Il tema di ‘emergere’ dell’album è in questa canzone pienamente rappresentato”.
Pezzo dalle tematiche strettamente legate al concetto base dell’album, ovvero l’uscire con qualsiasi mezzo, anche il più estremo, da situazioni che ti schiacciano nell’immobiilità, musicalmente “C4” fa iniziare il nostro percorso alla scoperta della principale caratteristica dell’album: l’energia. Elemento prima mancante nel songwriting cupo e disperato di “You Die And I…”, l’energia è il leit motiv di questo “Emerge”, e tale elemento è riconoscibile sia a livello lirico che musicale. Pur non rinunciando ad alcuni tecnicismi meno immediati di pura marca Bejelit, il pezzo segue un impianto più lineare, con maggiore attenzione alla pienezza dei suoni e ad una sorprendente robustezza esecutiva. L’accelerazione finale del pezzo non lascia dubbi sulle intenzioni della band: con questi nuovi dodici pezzi lo scopo è quello di non lasciare prigionieri, e farsi notare grazi ad un deciso attacco frontale.
DON’T KNOW WHAT YOU NEED
Sandro: “E’ una canzone che probabilmente useremo in apertura ai concerti. La velocità, le melodie più immediate ed il gran tiro la rendono molto funzionale a questo scopo. Liricamente, la canzone è opera di Marco e rappresenta un uomo che si rapporta alla propria donna in un momento di difficoltà, in quanto egli non riesce a capire cosa effettivamente ella voglia. Tematicamente, siccome tratta di un risvolto amoroso, può essere una canzone atipica per la band, ma anch’essa risulta invece in linea col tema portante dell’album. Presenta infatti una situazione negativa dalla quale uscire e racconta del desiderio del protagonista di rompere questa situazione, e di non subirla passivamente”.
Canzone composta in larga parte da Marco Pastorino, il suo sound generale tradisce l’appartenenza del chitarrista alla thrash-core band The Ritual. Anche se rimane ancora categorizzabile come power, il brano denota una marcata tendenza ad interfacciarsi ad un sound più moderno, accostando robuste ritmiche trashy giocate su elevati ritmi in doppia cassa a momenti più melodici, come apprezzabile nei chorus o nel fantasioso assolo. Brano dal sicuro appeal live, diventerà presto uno dei cavalli di battaglia della band proprio in virtù di quest’accostamento violenza/melodia, riscontrabile peraltro molte band nate proprio in questo ultimo periodo.
EMERGE
Fabio: “Che dire? Rappresenta ovviamente il tema portante dell’album. Una sorta di incitazione, di inno. Non mollare, resisti, cerca di uscire dai problemi, cerca di emergere dal fango di situazioni che ti vogliono tenere bloccato. La canzone parla di rabbia, ma una rabbia trasformata in energia, un’energia che ti dà la forza di uscire. La copertina del disco rappresenta completamente la canzone e così anche la musica di questa traccia è lo specchio dell’energia interna di cui parliamo. Il testo così come lo vedete è quasi tutto opera del ‘sesto membro’ della band, il compositore Nick. In questo specifico caso gli abbiamo solo detto il titolo della canzone, il testo è uscito dalla sua penna, senza nessuna guida da parte nostra”.
Con la title-track prosegue il cammino della band verso lidi maggiormente lineari e easy listening. Pur mantenendo una marcata aggressività soprattutto nelle ritmiche, il pezzo risulta maggiormente fruibile ad un primo ascolto, limando una volta per tutte le asperità di sound che limitavano parzialmente il potenziale del disco precedente. Il songwriting si fa più maturo e definito, convincendoci che la nuova e definitiva dimensione della band aronese è infine questa. Musicalmente siamo ancora in territori power, pur mantenendo un’accesa modernità. Il paragone più immediato viene con il disco “Motion” dei brasiliani Almah, per via appunto di un suono decisamente moderno e potente, in netta contrapposizione con le più veloci ma scarne costruzioni del power più classico.
WE GOT THE TRAGEDY
Sandro: “Un pezzo ispirato dalle esperienze passate del gruppo. In esso puoi trovare tutto quanto rappresenta i Bejelit e quello che provano, messo in musica. Tematicamente, affronta le critiche che in passato ci sono state rivolte da parte di persone che credono di sapere le motivazioni che stanno dietro alcune scelte, mentre in realtà non sanno niente di tutto ciò. E’ una sorta di esortazione a ‘farsi i fatti propri’, a lasciarci andare per la nostra strada senza impicciarsi, visto che siamo in grado di seguirla da soli. Anche qui il tema portante di ‘Emerge’ si ripropone, dunque”.
Con “We Got The Tragedy” i Bejelit sembrano invece fare la pace con il power melodico di vecchia scuola. Canzone decisamente più scontata delle altre, mostra soluzioni melodiche decisamente più ‘happy’ di quello a cui la band ci ha abituato. Questo è in parziale contrapposizione con il tema polemico e di protesta della canzone, elemento che alla fine finisce dunque un po’ per spiazzare. La posizione al centro dell’album di questa traccia la rende forse un po’ più filler di altre, e di questa finiamo principalmente per apprezzare le belle melodie vocali.
TO FORGET & TO FORGIVE
Giulio: “Anche se era partita con l’idea di essere la prima vera e propria canzone d’amore della nostra band, poi è finita col diventare una canzone completamente autobiografica. Anche in questo caso però l’autore principale del testo è stato Nick, che ha deciso autonomamente di parlare di noi come band, guardandoci da un punto di vista esterno e dipingendo un nostro ritratto, per così dire. Una nota particolare è che gli assoli sul pezzo sono tutti opera di Niccolò Da Gradi, grande amico della band che ci ha dato una mano importante dopo l’abbandono di Daniele”.
La prima canzone in ordine di tracklist, che vede la collaborazione negli assoli del bravo Niccolò da Gradi, riprende il suono più metal e meno ‘happy’ che fino ad ora che ha accompagnato l’ascolto di “Emerge”. A stupirci positivamente qui è la buonissima prestazione vocale di Privitera, mentre l’assolo melodico ad opera del già citato Da Gradi si fa immediatamente notare per pienezza e feeling. Un bel momento, che ci mostra i Bejelit al pieno della loro salute, comodi nella propria rinnovata veste più ‘positiva’, distante anni luce dalla cupezza e dalla complessità del passato.
DANCEROUS
Sandro: “Gli strumenti particolari che si sentono sul pezzo sono opera di un fisarmonicista e di un violinista, membro dei nostri amici Furor Gallico. La difficoltà di questo pezzo consisterà nel riprodurre dal vivo tutti gli arrangiamenti e la pienezza sonora del pezzo in sé. Liricamente, parla della fine del mondo e dell’ultima festa sulla faccia della terra. Il gioco di parole del titolo riguarda le parole ‘dance’ e ‘dangerous’, e si ricollega anch’esso al tema portante dell’album: la canzone ci presenta infatti una situazione brutta, la fine del mondo appunto, ed una maniera invece positiva di affrontarla, ovvero danzando al ritmo dell’ultima vera festa del nostro mondo. Anche qui traspare la voglia di essere attivi, di non subire quello che succede”.
L’elemento di principale distinzione di “Dancerous” risultano essere le quanto mai presenti tastiere, usate nello stile proprio di gruppi quali Stratovarius e Sonata Artica. La maggiore importanza assegnata ai suoni sintetici a discapito delle chitarre, parallelamente all’introduzione di strumenti atipici quali archi e una fisarmonica, dà una brusca virata al genere suonato riportandoci su territori propri del power sinfonico. Con l’assolo di tastiera centrale e melodie sia strumentali che vocali poste sempre in primo piano, l’illusione è quella di trovarsi davanti ad una band completamente diversa dal passato. Più che al pezzo in sé, il plauso in questo caso va al coraggio di presentarsi in una maniera diversa dal solito, mantenendo però inalterati energia e tiro, risultando a proprio agio anche in questa insolita veste.
TRISKELION
Fabio: “Il Triskelion del titolo rappresenta la Sicilia, i Tre Corni, la Trinacria, ed è dunque dedicata alla mia terra, l’isola siciliana, da cui provengo. Vuole rappresentarne tutti gli aspetti, positivi e negativi. Il fuoco, dell’Etna e delle persone, la passionalità, intesa sia come forza individuale positiva, sia nella sua accezione di ira violenta. E’ il tentativo di rappresentare le duplici facce della terra siciliana, raccogliendole in immagini. Musicalmente è il tentativo di riscrivere la cosiddetta ‘Taranta dell’Etna’ in una chiave prettamente metal”.
Pezzo che il cantante Privitera ha deciso di dedicare alla terra natia dei propri genitori, è il tentativo di fusione di musica popolare regionale con il metal. Tentativo che sembrerebbe parzialmente anche riuscito, ma che sicuramente richiede maggiori ascolti per poter essere del tutto assimilata. L’immediatezza che si era raggiunta negli ultimi tre o quattro brani viene qui del tutto accantonata, e ci ritroviamo davanti invece ad una composizione più varia, composta di diversi momenti anche differenti tra loro che ancora una volta sono restii a farsi seguire con facilità. Un tentativo di sposare la taranta con il metal era già stato fatto ai tempi da Luca Turilli con il pezzo “New Century Tarantella”, ma quello che nella canzone dell’ex chitarrista dei Rhapsody Of Fire era solo il tentativo di dare un ritmo più serrato ad una base power classica, mentre la “Triskelion” dei Bejelit rivela invece il più difficile proposito di inglobare non solo il ritmo ma anche i suoni in un contesto che non alla fine non risulta adeguato. Rimandiamo un giudizio finale in attesa di compiere altri ascolti su questo insolito pezzo.
FAIRYGATE + THE DEFENDING DREAMS BATTLE
Fabio: “I due testi sono collegati, e formano una specie di suite. La prima parte, ‘Fairygate’, si lega ad una leggenda del lago di Arona, luogo in cui i membri della band vivono, e ci presenta una grotta, sita all’interno della Rocca Borromea, che ogni cento anni si ricollega al nostro mondo tramite un portale magico. All’interno della grotta ci sono una campana, una donna addormentata e un sacco pieno d’oro. Colui che vi entra può decidere di portare fuori solo uno di questi elementi, abbandonando gli altri. Il protagonista della storia sceglie l’oro, diventando ricchissimo, ma una volta trascorsi gli anni, si rende conto che la scelta che ha compiuto era sbagliata. Si era infatti innamorato della donna, e passa dunque il resto della propria esistenza cercando di rientrare nella porta magica, pur sapendo bene che essa si apre solo ogni cento anni. ‘The Defending Dream Battle’ è invece il prequel della canzone ‘Fairygate’. La ragazza della grotta si scopre in realtà essere una fata, proveniente da Arcadia, che con l’arrivo dell’ Inquisizione si trova a scegliere tra ritornare nel suo mondo e abbandonare la terra nelle mani dei malvagi o restare e combattere. Pienamente in linea con il tema dell’album, piuttosto che nascondersi la ragazza resta e combatte, fino a cadere in un sogno eterno. La campana e l’oro erano gli elementi che l’avrebbero resa certa che colui che eventualmente l’avrebbe risvegliata non sarebbe stato né un avido né uno stupido sempliciotto, ma piuttosto un uomo di saldi valori morali”.
Tematicamente collegate le canzoni “Fairygate” e “The Defending Dreams Battle ” sono indiscutibilmente da ascoltare in un’unica soluzione, in quanto la più corta iniziale “Fairiygate” fa da logica intro alla seconda. I due brani, analizzati assieme, sembrano ricordare i lavori degli Skylark prima maniera, basate su costruzioni legate al power classico che finiscono appunto per ricordare quelle presenti nei lavori di Eddy Antonini. L’argomento fantasy delle liriche completa l’illusione di trovarsi davanti al più classico del power melodico di origine europea. Anche in questo caso, però, ci rendiamo conto che questa nuova veste sembra dipingersi più che bene sul suono storico dei Bejelit. Più che di una vera e propria virata stilistica possiamo dunque parlare di una ‘riscoperta’ da parte della band di sonorità e melodie che sui dischi precedenti erano presenti ma nascoste sotto la spessa coltre della cupezza che caratterizzava quelle uscite. Soprattutto adesso notiamo nella musica la tematica dell’emergere, dello riscoprire elementi che si erano in qualche modo messi da parte, dando ad essi più luce e visibilità. Da un certo punto di vista, sono proprio queste due canzoni e la successiva a darci la vera chiave di lettura dell’album. Da segnalare anche qui la collaborazione del chitarrista Da Gradi atuore di tutte chitarre presenti sulla seconda canzone “The Defending Dreams Battle”.
DEEP WATERS
Fabio: “E’ la prima suite dei Bejelit. Con tredici minuti di canzone, ‘Deep Waters’ è sicuramente la nostra canzone più lunga e articolata. Impossibile descriverla in poche parole, però volendo riassumere parla di un guerriero che, giunto sulle sponde del lago di Arona, vede questa bella terra circostante le profonde acque del lago e decide di conquistarla, di renderla sua. Nonostante lo stile fantasy eroico più puro, nel testo si notano elementi come la voglia di emergere, di essere protagonisti, di prendere in mano il destino, il proprio e in questo caso anche quello degli altri. Anche sotto questo aspetto la canzone risulta dunque allineata tematicamente alle altre”.
Come sempre accade con le suite sopra i dieci minuti, dare un parere sopo un unico ascolto è quantomeno riduttivo e ingeneroso nei confronti dello sforzo compositivo effettuato dagli autori. Nella struttura e nei suoni comunque “Deep Waters” richiama indiscutibilmente alla mente i Rhapsody Of Fire e gli Ancient Bards, e ci fornisce uno spaccato di power metal sinfonico dalle liriche quanto mai eroiche e battagliere. Questa canzone rappresenta l’indiscusso apice delle sonorità guerresche positive dell’album, e ci spiega senza lasciarci alcun dubbio il perché della decisione di accompagnarsi con i Rhapsody stessi per l’imminente tour primaverile. In tredici minuti possiamo ascoltare di tutto: poderosi stacchi strumentali, cori in pura matrice Staropoli & Co. e interruzioni strumentali ad opera di violini e pianoforte.
BOOGEY MAN
Sandro: “L’album si chiude con questa strana canzone, scritta a tre mani. Anch’essa è fortemente atipica per noi, con una lunga parte acustica iniziale e una coda strumentale in chiusura molto particolare. Come dice il titolo, essa parla dell’uomo nero, il ‘Boogeyman’, appunto”.
Introdotta da una suggestiva intro acustica, la canzone funge da soffice letto per una prestazione ottima di Privitera dal punto di vista vocale. I toni cupi e darkeggianti rientrano prepotenti nel tessuto del brano, mantenendosi anche quando il sottofondo musicale si incrudisce con il progressivo entrare degli strumenti elettrici. Una lunga fuga strumentale chiude il pezzo, rivelandosi come un solido lavoro di insieme della band tutta.