Catturare le ombre: intervista ad Ester Segarra

Pubblicato il 08/03/2021

A cura di Benedetta Gaiani
(The Hurricane Photography sito, pagina facebook, instagram)
Traduzione di Luca Pessina e Sara Sostini

Ester Segarra

Che si tratti della copertina di un disco, di un articolo su un magazine, di un poster sul muro della camera da letto o della sala prove, di una locandina o di una promo online, la fotografia da alcuni decenni accompagna e definisce la figura del musicista nell’immaginario collettivo. L’iconografia della musica è divenuta strumento fondamentale nel mondo contemporaneo per rendere riconoscibile una band, e gli scatti passati alla storia diventando simboli sono moltissimi e costituiscono una vera e propria forma d’arte. Molto meno noti sono, spesso, i volti e le storie di chi ha immortalato quei momenti, i nomi di quegli artisti che con il loro lavoro visionario hanno contribuito a costruire la rappresentazione visiva di un intero genere musicale.
Partiamo da qui. Che ne siamo o meno consapevoli, tutti conosciamo il lavoro di Ester Segarra. Da quando ha messo le radici a Londra nel 1997, la fotografa spagnola ha contribuito in maniera massiccia alla costruzione dell’immaginario visivo della scena metal più estrema. Nel suo archivio troviamo alcune delle immagini più iconiche degli ultimi due decenni di personaggi quali Watain, Tom G. Warrior, Rotting Christ, Immortal, Gaahl, Ghost, parte delle quali raccolte in un meraviglioso volume pubblicato poco più di due anni fa, “Ars Umbra”. Abbiamo ripercorso con lei i suoi oltre quindici anni di esperienza dietro le quinte dei maggiori palchi della scena, con un occhio sul cosmo e uno sul futuro.

Erik Danielsson (Watain), Cronos (Venom) e Tom G. Fischer (Triptykon, Celtic Frost) fotografati da Ester Segarra

COME SEI ENTRATA IN CONTATTO CON LA FOTOGRAFIA?
– Il mio primo ricordo della fotografia è l’immagine di un tramonto che ho visto su un libro quando ero bambina. Ricordo che ero in una stanza buia, molto lontano dalla terra esotica dove era stata scattata la foto del tramonto. Per un attimo tutto si è fermato e io mi sono ritrovata da qualche altra parte. Ho stabilito una connessione con un luogo estraneo e sconosciuto attraverso un’immagine. Sono stata trasportata altrove… senza il mio permesso, una testimonianza del potere viscerale della fotografia. Sono nata e cresciuta in una famiglia cattolica molto tradizionale e allora la fotografia, proprio come l’arte, non era un’opzione di carriera seria. Quando ero adolescente, oltre a materie tradizionali come storia, matematica, ecc., ho avuto la possibilità di seguire altri corsi, come computer, cucina e fotografia. I miei genitori speravano e insistevano moltissimo che studiassi programmazione, ma io volevo fare fotografia. Tuttavia, come giustamente mi venne ricordato, non avevo nemmeno una macchina fotografica. Non mi importava. Non avevo bisogno del loro permesso, quindi mi sono iscritta al corso e ho usato una fotocamera di un mio amico. La prima foto che abbiamo scattato è stata con una scatola da scarpe su carta fotografica… è stato magico! Da quel momento mi sono innamorata.

COSA TI HA SPINTO A TRASFERIRTI A LONDRA NEI PRIMI ANNI DUEMILA? CHE IMPATTO HA AVUTO QUESTA DECISIONE SUL TUO PERCORSO DI VITA?
– Non avevo mai avuto in programma di trasferirmi a Londra; ho deciso di andarci con cento sterline in tasca e tentare la fortuna per trovare un lavoro e guadagnare soldi per pagarmi il secondo anno di studi di fotografia a Barcellona. Era durante l’estate, e dopo aver lavorato sette giorni alla settimana su due lavori per mesi finalmente avevo tutti i soldi, quando qualcuno è entrato in casa e me li ha rubati. Non mi è rimasto niente. Tornare a Barcellona avrebbe significato farlo a mani vuote e accettare la sconfitta, quindi ho deciso di restare un anno. È stato più di quindici anni fa.
Arrivando a Londra con pochi soldi, un inglese scadente e senza contatti, ho imparato l’autosufficienza nel modo più duro. Ho anche imparato quanto possa essere testarda, motivata, intraprendente e laboriosa. Il tutto imparando una lingua e i modi di un nuovo paese.
È la stessa acqua bollente quella che indurisce un uovo e ammorbidisce una patata: non sono le circostanze che ti definiscono, ma il modo in cui rispondi ad esse.

QUAL È STATO IL TUO PRIMO APPROCCIO CON LA FOTOGRAFIA AI CONCERTI?
– Ho iniziato a scattare foto di amici che suonavano in alcune band. Ho ottenuto il mio primo pass fotografico fingendo di lavorare per una rivista musicale spagnola. Volevo vedere i Nebula, ma era tutto esaurito, quindi sono andato al locale, il Borderline, e ho detto loro che stavo lavorando per una rivista spagnola. Ho chiesto un pass per le foto e hanno detto di sì. Ho colto l’occasione per scattare foto e inviarle a Terrorizer magazine, e quelle foto mi hanno procurato il mio primo lavoro per loro: gli Static-X all’Astoria di Londra nel 2001. Ero nervosa e terrorizzata. Non avevo mai scattato fotografie in un luogo così grande e, peggio ancora, quando sono entrata nel pit, mi è stato detto che avevo solo tre canzoni e che non potevo usare il flash. Ero totalmente fuori dalla comfort zone. Quindi, nel mio primo ingaggio, ho dovuto imparare a scattare in tre canzoni e a utilizzare le impostazioni della fotocamera per la fotografia senza flash. Non stavo usando una macchina digitale, quindi non ho avuto la possibilità di controllare i risultati fino a quando non ho ricevuto le foto dal laboratorio… la prova del fuoco. E in qualche modo ce l’ho fatta! E quello è stato l’inizio di un rapporto di lavoro che sarebbe durato per molti anni facendo foto dal vivo, immagini per articoli e alla fine molte copertine.

LA PRIMA RIVISTA CON CUI HAI LAVORATO È STATA APPUNTO TERRORIZER, SENZA DUBBIO IL MAGAZINE PIÙ IMPORTANTE PER IL METAL ESTREMO E L’UNDERGROUND NEGLI ANNI NOVANTA E NEI PRIMI DUEMILA. COM’È STATO LAVORARE PER LORO? È STATO DIVERSO DAL LAVORARE PER METAL HAMMER, DECIBEL O PER QUALSIASI ALTRA RIVISTA CON CUI HAI COLLABORATO IN SEGUITO?
– Non avrei potuto chiedere una rivista migliore per iniziare. Allora, sotto la saggia guida di Jonathan Selzer, eravamo una famiglia. E c’era molto amore, dedizione e passione per quello che stavamo facendo. E tanta esperienza! Ho imparato così tanto da tutti i collaboratori. La linea editoriale era assai ampia. Il metal estremo era al centro della rivista, tuttavia, trovavi anche tutti quegli altri generi che hanno influenzato il metal: punk, goth, noise, industrial. Comprendeva e abbracciava la natura caotica della musica. Ho fatto migliaia di concerti per loro! Ho seguito i festival Inferno, Hole in the Sky e Roadburn ogni anno per oltre dieci anni. Oggi vorrei che più riviste fossero così. Considerando che Decibel è una rivista americana, è piuttosto sorprendente lo stretto rapporto che ho sviluppato con loro. C’è molta fiducia reciproca e ammirazione. Albert Mudrian è un grande capitano. Metal Hammer invece è completamente diverso per una lunga serie di motivi.

QUAL È STATA LA TUA SFIDA PIÙ GRANDE COME FOTOGRAFA AI CONCERTI?
– La mia altezza. Non sono molto alta! Quindi, quando giravo i festival e in luoghi più grandi con palchi alti, è sempre stata una lotta. Una maledizione, oserei dire. Ma la benedizione è che ho sempre potuto mettermi rapidamente di fronte a tutti senza che nessuno si infastidisse per avergli bloccato la visuale!

Electric Wizard

QUANDO E PERCHÈ SEI PASSATA DAI CONCERTI ALLA FOTOGRAFIA A SCOPO PROMOZIONALE?
– Non è stato un cambio brusco o deciso a tavolino. Sono solo diventata una fotografa promozionale migliore di quanto non fossi mai stata una fotografa di concerti. Mi è piaciuto subito di più e l’ho trovato più gratificante. Sono diventata più impegnata con il lavoro promozionale, quindi ho avuto meno tempo per fare fotografie ai concerti. Tuttavia, fino a quando non mi sono rotta il polso un paio di anni fa, ho comunque cercato di scattare foto ad eventi live.

TI CAPITA DI ANDARE A CONCERTI SENZA UNA MACCHINA FOTOGRAFICA CON TE?
– Sì! Lo faccio e lo adoro! Spesso devo chiudere gli occhi per smettere di ‘scattare’ foto mentalmente o con il telefono, così posso perdermi nel momento. È bello essere davanti, pugno in aria, gridare e fare headbanging liberamente, senza una fotocamera da tre chili che pende dal collo.

NONOSTANTE IL TUO PORTFOLIO MUSICALE SPAZI FRA VARI GENERI MUSICALI, È INDUBBIO CHE UNA GROSSA FETTA DI ESSO SIA OCCUPATA DAL BLACK METAL. COME HAI SCOPERTO QUESTO GENERE? E COME TROVI SCATTARE PER ALTRE SONORITÀ? PENSI CHE SIA POSSIBILE DEDURRE DALLE FOTOGRAFIE SE ALL’AUTORE LA BAND PIACE DAVVERO O NO?
– Trovare casa cambia qualsiasi cosa. E questa era la sensazione che ho provato quando mi sono imbattuta per la prima volta nel black metal. Mi sono connessa con una parte di me che era sempre lì, ma che non era mai riuscita a prendere forma. Alcuni la chiamerebbero l’ombra. Una volta che la fiamma è stata accesa, tutto quello che ho desiderato è stato venire consumata dal fuoco.
Per quanto riguarda gli scatti, puoi vedere nelle immagini se queste ultime sono state fatte con la passione e l’amore o semplicemente se si tratta di qualcosa che doveva essere fatta.
Vivo la musica come suoni, melodie e ritmi che evocano sentimenti, colori, immagini e odori. Ogni band ha una propria lingua. Queste sono le differenze che cerco di catturare, non i generi.

DI SOLITO COME ENTRI IN CONTATTO CON LA BAND CHE DEVI FOTOGRAFARE? È TRAMITE IL MANAGEMENT O LA CASA DISCOGRAFICA, OPPURE IN PRIMA PERSONA?
– Per le immagini promozionali, di solito mi contattano direttamente oppure lo fa il loro manager/etichetta. Spesso, la decisione su quale fotografo utilizzare per le foto promozionali arriva da una raccomandazione del management o dell’etichetta, ed è anche compito loro studiare la logistica affinché ciò avvenga. Molte volte, non ho quasi nessun contatto diretto con la band fino al giorno delle riprese.

COME HA INIZIO UNO SHOOTING PROMOZIONALE? LAVORI SU IDEE FORNITE DAL GRUPPO, ASCOLTI L’ALBUM O HAI ALTRI INPUT? TI SEI MAI TROVATA IN CONFLITTO CON LA VISIONE DELLA BAND?
– Quando lavoro a un servizio per una band, inizio con la loro musica e il loro linguaggio visivo. Ascolterò la loro musica (preferibilmente l’album su cui stanno lavorando), guarderò l’artwork e qualsiasi altro riferimento visivo adatto alla band. Se possibile, preferisco avere un contatto diretto con loro per discutere idee e una visione per le riprese. Prenderò anche ispirazione dai testi e da qualsiasi altro concept utilizzato nella creazione della musica. Tendo a lavorare con band con cui sento un’affinità, quindi in generale le nostre visioni sono allineate. In caso contrario, possiamo sempre trovare una via di mezzo.

TI CAPITA MAI DI ISTRUIRE I MUSICISTI CHE SCATTI PER I RITRATTI? O LI LASCI SEMPLICEMENTE MUOVERSI E METTERSI A PROPRIO AGIO EMNTRE STAI SCATTANDO?
– Quando scatto, posso entrare in quello stato in cui perdo il senso della realtà e di ciò che sta accadendo intorno a me oltre a fotografare. Perdo il senso di me stessa. Mi muovo, canalizzo e catturo ciò che si sta svolgendo davanti alla telecamera. Alla fine è come svegliarsi da un sogno… o da un incubo (ride, ndR)! Nel processo, dico loro che obiettivo ho in mente e lascio che trovino la loro strada. È un dialogo costante. Di solito mi avvicino a un servizio con un’idea di una storia che voglio raccontare. Non hanno bisogno di conoscere la storia, è solo la mia luce guida.
In ogni caso, sono anche nota per essere piuttosto prepotente (ride, ndR)!

QUAL È LA TUA FOTO PREFERITA, QUELLA DI CUI SEI PIÙ ORGOGLIOSA? E QUAL È LA STORAI DIETRO DI ESSA?
– È impossibile individuarne una, è come chiedermi di scegliere il mio dito preferito! Il libro “Ars Umbra” contiene la selezione delle mie foto preferite e spiega anche le storie dietro di esse.

QUAL È IL SERVIZIO FOTOGRAFICO PIÙ STRANO CHE TU ABBIA MAI FATTO?
Quale non è stato strano? Sono stata interrogata dalla polizia, poi ho dovuto fare i conti con persone spaventate, elicotteri in perlustrazione, fiamme andate male, fiamme andate bene, violazione di proprietà… ho tantissime storie! Comunque, uno dei più divertenti è stato quello di Abbath che camminava per le strade di Londra.

VI È UNA BAND O UN ARTISTA CHE NON HAI ANCORA FOTOGRAFATO E CHE VORRESTI AGGIUNGERE AL TUO CURRICULUM?
– Black Sabbath, King Diamond, Nick Cave, Diamanda Galas…

Abbath

HAI RECENTEMENTE PUBBLICATO ARS UMBRA, UN MAGNIFICO LIBRO FOTOGRAFICO DI 220 PAGINE CHE INCLUDE OLTRE 150 FOTOGRAFIE CHE RIPERCORRONO QUINDICI ANNI DI LAVORO NELLA SCENA METAL. CURIOSAMENTE, IL LIBRO È STATO PUBBLICATO DA UNA CASA DISCOGRAFICA, LA SEASON OF MIST, ED È ACCOMPAGNATO DA UNA COLONNA SONORA. QUAL È L’IDEA ALLA BASE DI QUESTO LAVORO? COME HAI SCELTO LE FOTOGRAFIE E DA DOVE NASCE L’IDEA DI ALLEGARE UN ACCOMPAGNAMENTO MUSICALE?
– Nel 2015 ho sentito il bisogno di fare un bilancio di quello che avevo fatto negli ultimi quindici anni. Ho affrontato l’idea che potessi morire e avevo bisogno di aprire un nuovo capitolo. Dovevo pubblicare un libro. Una delle prime decisioni è stata se si sarebbe trattato principalmente di fotografia dal vivo o di ritratti. E non c’erano dubbi che sarebbero stati per lo più ritratti. Ho dovuto esaminare quasi mezzo milione di foto! Non è stato facile né veloce. È stato anche molto emozionante. Ho ricevuto feedback dalle persone più vicine a me, ma alla fine è stato un processo piuttosto intuitivo, in cui il mio ruolo era quello di svelare il libro in forma fisica. Come diceva Michelangelo: “Ogni blocco di pietra ha una statua al suo interno, ed è compito dello scultore scoprirla”.
L’ispirazione per la colonna sonora è stato un rituale Macumba a cui ho partecipato in Brasile. L’idea era di fornire un ritmo con un andamento che alterasse la percezione delle immagini utilizzando una delle prime forme di musica, ovvero delle percussioni. È un libro di fotografia musicale, quindi contiene musica e fotografia ed è stato creato in un formato che rispecchia un album, invertendo il processo con cui nascono le immagini musicali. La fotografia musicale esiste a causa della musica, la colonna sonora che ti riporta all’origine stessa della musica esiste grazie alle immagini.
La fine/la morte diventa l’inizio/nascita, il serpente che si mangia la coda.
Il simbolo del libro è un Ouroboros.

La copertina di “Ars Umbra”, il libro di Ester Segarra

COSA TI HA SPINTO A TRASFERIRTI DA LONDRA ALLE FORESTE DELLA SVEZIA ALCUNI ANNI FA? HA QUALCOS A ACHE FARE CON LA LAVORAZIONE DEL LIBRO?
– Ho sentito un richiamo verso la Svezia e avevo anche bisogno di tempo e spazio per iniziare a scrivere il libro, cosa piuttosto difficile da trovare a Londra. Tramite un amico, mi sono trovata davanti a un’incredibile opportunità di vivere nella periferia di Göteborg, quindi l’ho colta. Ciò mi ha dato quello che stavo cercando e altro ancora.

LA FOTOGRAFIA È TROPPO SPESSO VISTA COME UN HOBBY, MA SI PUÒ EFFETTIVAMENTE FARNE UNA PROFESSIONE? COSA VUOL DIRE, OGGI, ESSERE UNA FOTOGRAFA PROFESSIONISTA?
– La fotografia può essere sia un hobby che il fulcro di una carriera redditizia. Ci sono molte aree della fotografia in cui puoi guadagnare un sacco di soldi, ma il metal estremo non è una di queste. A livello di carriera, poi, non è per tutti: devi essere affidabile, professionale, decisa, saper gestire l’incertezza, avere competenze social, autodisciplina ed essere costantemente creativa. Devi anche essere pronta a farlo essere più che il tuo lavoro, può diventare davvero tutta la tua vita. Insomma, nel 2020 essere una fotografa professionista fa schifo.

ANALOGICO O DIGITALE? CHE ATTREZZATURA USI PER LAVORARE?
– Ho cominciato usando l’analogico, poi sono passata al digitale. Uso una Nikon D3s digitale, e i principali obiettivi che uso sono 24-85 mm, poi ci sono filtri ed altri accorgimenti particolari che mi piace usare. Per l’illuminazione, invece, uso luci Bowens quando posso collegarmi all’elettricità e luci Profoto a batteria quando viaggio o scatto all’aperto. Per le foto ai concerti, uso obiettivi 2.8, 17-35 mm per i locali piccoli , 24-70 mm per quelle di capienza media e 70-200 mm per i festival o negli stadi.

COM’È ESSERE UNA FOTOGRAFA DONNA NELLA SCENA METAL?
– Quando sei una donna, vieni prima vista come tale e dopo arriva tutto quello che fai; per gli uomini invece il genere non è così rilevante, sono visti solo per quello che fanno. Sembra come se ci sia sempre questa falsa credenza che l’essere donna comporti dei problemi, tutti mi fanno questo genere di domande.
Essere una donna è bellissimo; è una risorsa di energia illimitata, più la si abbraccia assecondandola e più si diventa grandiose.

Cathedral

TU NON TI OCCUPI SOLO DI FOTOGRAFIA METAL, MA ANCHE DI ALTRI GENERI E DI ARTE. TI ANDREBBE DI PARLARNE? IN COSA CONSISTE “COSMOPLANNER”?
– Sono una fotografa che si è innamorata del metal ed è stata abbastanza fortunata da poter portare il proprio lavoro nella scena, però il mio interesse nella fotografia e nell’arte vanno ancora oltre. A livello di guadagni, lavorare solo nell’ambito della musica metal non era abbastanza remunerativo, così ho intrapreso altri percorsi artistici. Non sono un mistero, basta googlare il mio nome o guardare le mie pagine social per saperne di più.
“Cosmoplanner” è un calendario che ho creato per aiutare le persone ad allineare il proprio conteggio del tempo con i cicli cosmici nella routine quotidiana. Il proposito alla base di questo progetto è abituarsi a lavorare in cicli per fare in modo di far tutto al momento giusto. Invece di provare a fare tutto subito, usando i cicli naturali puoi aggiustare il tuo ritmo sincronizzandolo con le energie cosmiche: Mercurio, ‘il nostro pensiero’ e la Luna, ‘le nostre emozioni e creatività’. È un bel metodo per conoscere meglio il modo migliore di pianificare le cose, quando cominciare a mettere in pratica e il momento giusto per riposarsi – insomma, per trovare il proprio flusso attraverso la vita.

QUALI SONO GLI ALBUM FONDAMENTALI, SENZA CUI NON PUOI VIVERE?
– Black Sabbath – “Black Sabbath”, Motörhead – “Ace Of Spades”, Iron Maiden – “Seventh Son Of A Seventh Son”, Pink Floyd – “Wish You Were Here”.

COSA PENSI TI RISERVI IL FUTURO, ESTER?
– Seguire il cuore, prima di tutto. “È impossibile”, dice l’orgoglio. “È rischioso”, puntualizza l’esperienza. “È senza senso”, ribadisce la ragione. “Provaci”, sussurra il cuore – ed io lo faccio, sempre.

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