DARK FUNERAL: il nuovo “We Are the Apocalypse” traccia per traccia!

Pubblicato il 15/02/2022

A cura di Giacomo Slongo

Eternamente bistrattati da chi – anche in un genere eccessivo e blasfemo come il black metal – esige un minimo di quello che potremmo definire ‘buon gusto estetico’, i Dark Funeral si apprestano a dividere nuovamente il pubblico e la critica con la loro settima prova sulla lunga distanza, attesa per il prossimo 18 marzo su Century Media. “We Are the Apocalypse” spezza un silenzio discografico che, come da abitudine del progetto guidato dal chitarrista/leader maximo Lord Ahriman, iniziava a farsi assordante, e lo fa inseguendo la più spiccata alternanza di stili e registri del precedente “Where Shadows Forever Reign”, opera particolarmente fortunata (e ispirata) con la quale il combo svedese aveva saputo rilanciarsi dopo l’abbandono di un membro storico come Emperor Magus Caligula e una serie di dischi intercambiabili anche a livello di veste grafica. Un lavoro quindi ben lungi dal potersi definire coraggioso o foriero di chissà quali novità strutturali, ma che nel rispetto della sua natura oltranzista sceglie comunque di assumersi qualche rischio e di mescolare il sound gelido e violentissimo dei Nostri con alcune soluzioni più compassate, le quali però – come vedremo nel track-by-track che segue – non riescono ad incidere e a fare la differenza come probabilmente era nelle intenzioni dei loro autori. In attesa di sviscerare ulteriormente il discorso in sede di recensione, ecco a voi le nostre prime impressioni sull’atteso comeback di questo totem della scena estrema…

DARK FUNERAL
Lord Ahriman – chitarra
Chaq Mol – chitarra
Heljarmadr – voce
Adra-Melek – basso
Jalomaah – batteria

WE ARE THE APOCALYPSE
Data di uscita: 18/03/2022
Etichetta: Century Media
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01. Nightfall (05:13)
Sotto molti punti di vista, “Nightfall” potrebbe essere eletta a manifesto del disco e a perfetta rappresentazione di ciò che nel 2022 sono i Dark Funeral. Ad un incipit roboante che strizza l’occhio a quello della mitica “The Arrival of Satan’s Empire” non riuscendo però a replicarne l’intensità, complice una produzione che sacrifica l’impatto delle chitarre in favore dello screaming lancinante di Heljarmadr e della sezione ritmica (ottimi comunque i suoni di batteria, molto caldi e naturali), segue un chorus francamente spompo e banalotto, durante il quale la velocità di esecuzione cala senza la giusta dose di mordacia e cazzimma a supportarla. Il brano lascia quindi una sensazione di insoluto: nel momento in cui il gruppo macina chilometri a velocità insostenibili, secondo lo stile che lo ha reso leggendario negli anni, i risultati sono più che soddisfacenti, mentre quando decide di stemperare la propria furia – cercando forse di intercettare un’audience poco addentro certi suoni – qualche interrogativo sull’indispensabilità delle scelte fatte sorge spontaneo. Come vedremo, “We Are the Apocalypse” saprà fare un po’ meglio di così…

02. Let the Devil In (04:40)
…Ma non ancora, ricollegandoci a quanto appena suggerito. Il primo estratto del disco, accompagnato dall’immancabile video becero di turno, è un up/midtempo non privo di trovate insolite per il quintetto, dalla ricerca di una vena catchy e orecchiabile al suddetto incedere a metà strada fra aggressione e controllo, che però fatica a lasciare il segno in virtù di un riffing mai veramente ingegnoso e – soprattutto – non paragonabile a quello presente in altri brani rocciosi partoriti dalla band di Stoccolma (basti pensare a “My Funeral”). Un episodio ‘soltanto’ piacevole, troppo poco per un’entità del calibro dei Dark Funeral, che finisce per scorrere senza colpo ferire con i suoi velati influssi classic metal. Con ogni probabilità, funzionerà meglio dal vivo che qui.

03. When Our Vengeance Is Done (04.20)
Le cose vanno decisamente meglio con “When Our Vengeance Is Done”, sebbene – a voler essere cattivi – sia le metriche vocali che la linea melodica intrecciata dalle chitarre ricordano da molto vicino la titletrack della precedente fatica in studio. La ferocia sprigionata non lascia comunque indifferenti, per una classicissima rasoiata in stile Dark Funeral che, senza reinventare la ruota (e come potrebbe, dopo più di trent’anni di carriera?), fa il suo sporco lavoro a colpi di blast-beat raggelanti e riff spietati.

04. Nosferatu (04:41)
Il freno viene tirato nuovamente da “Nosferatu”, episodio concettualmente simile a “Let the Devil In” nonostante una malvagità di fondo più pronunciata. Mentre le chitarre evocano melodie orrorifiche che ben si sposano al titolo scelto, il brano zampetta fra uptempo poco convinti e brutali staffilate che – di nuovo – si confermano gli elementi migliori della composizione, in un saliscendi emotivo (e qualitativo) che arrivati a questo punto dell’ascolto inizia a lasciare un po’ interdetti, come se il vero appagamento fosse lì, a portata di mano, ma mai raggiungibile a causa di puntuali elementi di disturbo. Al solito, l’insufficienza risiede altrove, ma dal caro vecchio Lord Ahriman siamo stati abituati a ben altri standard.

05. When I’m Gone (05:46)
Fin dal titolo, “When I’m Gone” si ricollega al midtempone del 2016 “When I’m Ascend”. Detto che quest’ultimo vantava comunque livelli di presa ed epicità maggiori, il brano si difende col suo incipit mutuato dai Metallica più cupi e ossianici, il quale funge poi da base ritmico-melodica per l’intera struttura del pezzo. Anche qui giocoforza si rallenta, ma il risultato finale – tutto sommato – non dispiace.

06. Beyond the Grave (05:08)
Con “Beyond the Grave” si torna ad essere investiti dal turbinio parossistico che abbiamo imparato a conoscere grazie ad opere come “Vobiscum Satanas” e “Diabolis Interium”, anche se – in controtendenza rispetto a quanto detto finora sulle parentesi più aggressive del disco – la convinzione espressa dal songwriting non sembra esattamente quella dei tempi d’oro, con le succitate scelte di produzione che di certo non aiutano il riffing ad emergere e a far male come da pronostici.

07. A Beast to Praise (04:49)
Non c’è molto da dire su “A Beast to Praise”, se non che è la gemella – con variazioni minime – di “Beyond the Grave”. Un ‘more of the same’ a cui manca però la proverbiale scintilla, il quid necessario a confezionare una hit sulla scia delle recenti “Unchain My Soul” o “Nail Them to the Cross”.

08. Leviathan (04:34)
L’incipit arpeggiato non mente: “Leviathan” è un altro episodio dall’indole contenuta che potrebbe fare il paio a “Let the Devil In” e “Nosferatu”. Non un gran complimento, visto il generale senso di spossatezza delle tracce menzionate, e che si riflette nelle soluzioni poco incisive di guitar work e sezione ritmica. Ancora una volta, ci preme sottolineare come la performance di Heljarmadr sia davvero troppo invasiva, quasi fossimo alle prese con una produzione ‘da stadio’ per i fan di ultimi Arch Enemy e Amon Amarth.

09. We Are the Apocalypse (04:33)
Com’era stato per “Where Shadows…”, anche “We Are the Apocalypse” si conclude sulle note della titletrack, probabilmente il brano migliore dell’opera insieme alla succitata “When Our Vengeance Is Done”. Nient’altro che una tipica badilata di marca Dark Funeral, spezzata da un break simil-death metal che rimanda al periodo di “Attera Totus Sanctus”, in cui tuttavia il riffing diabolico della coppia Lord Ahriman/Chaq Mol riesce a fare la voce grossa e a sprigionare la giusta cattiveria. Non ci stupiremmo se finisse per diventare una presenza fissa nelle setlist della band, quando i concerti torneranno ad essere la norma.

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