DARK QUARTERER: i padri dell’epic-progressive

Pubblicato il 17/11/2008
A cura di Alessandro Corno e Andrea Raffaldini
 

LA STORIA

Dark Quarterer (1987)
Recensione a cura di Andrea Raffaldini
 

The Etruscan Prophecy (1988)
Recensione a cura di Andrea Raffaldini

War Tears (1994)
Recensione a cura di Alessandro Corno
 
Violence (2002)
Recensione a cura di Andrea Raffaldini
 
Symbols (2008)
Recensione a cura di Alessandro Corno

La band nasce a Piombino nel lontano 1974 sotto il monicker Omega Erre. Il gruppo, composto da Fulberto Serena alla chitarra, Gianni Nepi al basso e alla voce e Paolo Ninci alla batteria, passa i suoi primi otto anni facendo cover di gruppi progressive, hard rock e metal quali Black Sabbath, Thin Lizzy, Iron Maiden, Genesis, Jethro Tull, Cream, Manowar, Deep Purple e altri ancora. E’ Duccio Marchi, un amico e cultore del rock, che durante una sessione di prove fiuta il talento del terzetto e lo spinge a comporre musica propria. Dopo un primo e purtroppo poco convincente tentativo di composizione, Fulberto Serena inizia a sperimentare sonorità classiche ispirate a Bach e orienta il songwriting verso una ricerca di tonalità più sabbathiane e doomy che diano alle canzoni un taglio più oscuro. Il nome Omega Erre non si addice più alla band e Duccio propone Dark Quarterer, definizione inglese arcaica di “squartatore di bestie da macello”. Il gruppo prosegue nella stesura dei primi brani, con la personalità ombrosa di Fulberto determinante nel proporre quelle idee, melodie e tematiche che la band trasforma poi in brani sotto l’occhio critico di Duccio, sempre molto attento alle scelte musicali del trio e pronto a suggerire correzioni. Nasce così “Dark Quarterer” nel 1987, il primo album autoprodotto dalla band e pubblicato per l’etichetta toscana Label Service. Considerato un capolavoro, il disco non gode di una produzione di alto livello ma contiene brani suggestivi ed incredibilmente affascinanti come “Red Hot Gloves”,  la lunga “Colossus Of Argil” o la stupenda, epica e coinvolgente titletrack. La band si affaccia dunque sul panorama metal italiano come una nuova stupefacente realtà e l’anno successivo il produttore Giorgio Mangora propone al gruppo di realizzare un secondo album. La band pubblica dunque “The Etruscan Prophecy”. Il disco è parecchio debitore nel precedente come stile e soluzioni adottate ma permette ai Dark Quarterer di affinare lo stile epic-progressive e di ritagliarsi uno spazio tutto loro nella scena heavy. Pezzi più classic come “Retributioner” si affiancano a vere e proprie perle  come la titletrack, epica ed evocativa in ogni sua nota. L’album ottiene buoni risultati in termini di critica sia in Italia che all’estero. Purtroppo, quando il gruppo inizia a raccogliere i frutti di tante fatiche, Fulberto lascia la band per motivi poco chiari. Nel 1991 entra nei ranghi dei Dark Quarterer il chitarrista Sandro Tersetti, dotato di uno stile più hard rock e bluesy rispetto al sound heavy della band. Lo stesso anno il gruppo partecipa al Festival Degli Sconosciuti di Ariccia, vince nella categoria “Gruppi Musicali” con la canzone “Out Of Line” e arriva a suonare la stessa in diretta su RaiDue. E’ senza dubbio una grossa soddisfazione per una formazione metal italiana. L’anno successivo arriva dall’etichetta tedesca Inline Music la proposta di realizzare un terzo capitolo. Nel 1995 esce “War Tears”, dove per la prima volta Paolo Ninci è impegnato nella fase di composizione, in ogni caso in gran parte affidata a Gianni Nepi. Il disco contiene brani di assoluto spessore come la solenne titletrack, “Nightmare”, “Out Of Line” e le più lente “Lady Scolopendra” e “A Prayer For Mother Teresa Of Calcutta”. Il disco vende più di 2500 copie ma l’etichetta fallisce e il gruppo non solo non riceve i diritti che gli spettano per contratto, ma incassa anche la mancata pubblicazione dell’album in Italia per problemi con il distributore italiano. I Dark Quarterer iniziano a pensare ad un nuovo album ma nel 1997 Sandro Torsetti abbandona per incompatibilità con gli impegni della band, che si ritrova di nuovo senza chitarrista. Un anno dopo entra nel gruppo Francesco Sozzi, giovane e talentuoso chitarrista che si dimostra subito all’altezza del compito e contribuisce alla realizzazione del quarto disco “Violence”. L’album è la fusione tra la nuova linfa portata da Francesco e l’esperienza di Gianni e Paolo, nel frattempo cresciuti notevolmente come musicisti. Il disco viene registrato ma manca l’etichetta che si occupi della pubblicazione. Dopo varie ricerche il gruppo si accasa presso la Andromeda Relics e, su consiglio del produttore Tony Soddu, ri-registra il lavoro questa volta con un approccio più live. Nel 2002 L’album viene finalmente pubblicato e attira subito l’attenzione della stampa specializzata, ottenendo ottime valutazioni. L’opener “Black Hole (Death Dance)”, l’ipnotica “Last Breath”, “Rape” o “Last Song” sono brani che dimostrano in tutto e per tutto  come la vena compositiva del terzetto sia ancora una volta ispiratissima. Il gruppo sente il bisogno di riproporre in sede live le atmosfere e le sonorità proprie di ogni sua produzione ed entra quindi nel gruppo il tastierista Francesco Longhi. Seguono una serie di concerti tra cui quello al Keep It True, festival tedesco dedicato al metal classico, dove il gruppo condivide il palco con i Manilla Road. Nel 2006 la band trova un accordo con la MyGraveyard di Giuliano Mazzardi, per la quale ristampa “War Tears” nel 2007 e pubblica nel 2008 il quinto lavoro, intitolato “Symbols”. Il nuovo disco è il risultato dell’esperienza di una band attiva ormai da più di trent’anni, un nuovo prezioso capitolo meno heavy e più progressive ma sempre ricco di atmosfere epiche ed evocative. Sei lunghi brani di elevata caratura tra cui vere e proprie gemme come “Wandering In The Dark”, “The Blind Church” o “Crazy White Race”. Le recensioni sono a dir poco entusiastiche. A pochi mesi dall’uscita vengono vendute tutte le copie del disco e la MyGraveyard programma subito una ristampa.

Siamo quindi al presente e abbiamo il piacere di  presentarvi questa intervista condotta con Gianni Nepi e incentrata soprattutto sull’ultima fatica della band. Come è nato “Symbols”, le sue fonti d’ispirazione, le tematiche su cui si basa ogni pezzo e altro ancora sulla storia di un gruppo seminale e per molti ancora tutto da scoprire.

 
 
 
 
 
CIAO GIANNI. I COMPLIMENTI PER UN GRANDE ALBUM COME “SYMBOLS” SONO ASSOLUTAMENTE D’OBBLIGO. QUANTO TEMPO AVETE LAVORATO PER SCRIVERE E DARE ALLA LUCE QUESTO CAPOLAVORO, CONSIDERANDO CHE SONO PASSATI BEN SEI ANNI DALLA VOSTRA PRECEDENTE USCITA?
“I Dark Quarterer ringraziano per i complimenti ricevuti e sperano di avervi trasmesso emozioni e sensazioni come è sempre nelle nostre primarie intenzioni! Il lavoro di composizione è iniziato circa tre anni fa. Il primo brano concepito è stato ‘Pyramids Of Skulls’ poi lentamente tutte le altre composizioni. Il tempo è stato dedicato alla stesura delle strutture, all’arrangiamento e, infine, alla fusione della musica con il testo in modo da offrire all’ascoltatore parole che abbiano nella musica i colori e le atmosfere del loro senso… i tempi di registrazione sono stati piuttosto lunghi, avendo uno studio personale, possiamo permetterci di fare il lavoro con relativa calma, in tutto circa un mese di lavoro”.

VUOI DUNQUE DIRCI QUALCOSA IN PIÙ SU COME SI È SVOLTA LA STESURA DEI NUOVI BRANI?
“Come ti ho detto, si parte quasi sempre da un’idea di un riff o di un ritmo, o di una linea melodica… non esiste un cliché prefissato. Ovviamente Paolo (Ninci, batterista, ndR) di solito propone un ritmo quasi mai semplice su cui costruiamo un riff. In altri casi, se trovo una buona melodia la propongo, si cerca l’armonia relativa e pian piano si aggiungono gli strumenti ognuno con il proprio stile, cercando di fondersi bene insieme. Il testo non viene composto subito ma l’idea del soggetto e l’ambientazione sì, quindi si cerca di ‘cucire’ la musica addosso al testo”.

AVEVATE DUNQUE UN OBIETTIVO PREFISSATO SU COSA DOVEVANO ESSERE INCENTRATI ESSERE I NUOVI PEZZI?
“C’era l’obiettivo di preparare un album che trattasse i sentimenti dell’uomo ma per  enfatizzarne il significato dovevamo pensare a qualcosa di forte. Ecco quindi l’idea di personaggi che con il loro sentimento esaltato all’ennesima potenza, hanno fatto la storia dell’ umanità”.

VUOI ENTRARE NEL DETTAGLIO DELLE TEMATICHE CHE STANNO ALLA BASE DI “SYMBOLS”?
“I sentimenti umani espressi ai loro massimi livelli.
‘Wandering In The Dark’: l’ amore, la paura e l’ angoscia di Tutankamon. L’ amore per la sua amata Ankesapaton lasciata sola ancora giovanissima, la paura di chi lo ha ucciso alle spalle (probabilmente il suo consigliere, perché il giovane Re non era di stirpe reale), l’angoscia del non sapere chi lo ha ucciso e la ricerca della verità che dia libertà alla sua anima.
‘Ides Of March’: la gloria e la disperazione di Giulio Cesare. La gloria conquistata negli anni e la disperazione per essere stato tradito dalle persone che più amava.
‘Pyramids Of Skulls’: l’ambizione e l’arroganza di Gengis Khan, che gli hanno permesso di creare il più grande impero mai esistito sulla terra.
‘The Blind Church’: la fede e il coraggio di Giovanna D’Arco che le impediscono di avere paura della morte sul rogo e che hanno portato la Francia a risvegliare il suo nazionalismo e riconquistare la libertà.
‘Shadow Of The Night’: la volontà di Kunta Kinte che, nonostante sia imprigionato e tenuto in catene, tenta ogni volta di riprendersi la sua libertà.
‘Crazy White Race’: l’orgoglio e la tenacia di Geronimo che non vuole rinunciare alla sua stirpe e vive una vita di guerriglia contro chi gli ha ucciso le persone più care”.

IN CHE MODO LA PRESENZA DI UN TASTIERISTA IN PIANTA STABILE HA INFLUITO SULLE NUOVE COMPOSIZIONI?
“L’ingresso in pianta stabile di Francesco è avvenuto nel 2002, quindi ormai sono sei anni che lavoriamo e ci divertiamo insieme. Francesco ha una cultura più classica e jazzistica ma non disdegna anche il nostro genere. Ha una grande fantasia e riesce a coprire ed abbellire spazi musicali altrimenti di difficile realizzazione. Tutte le soluzioni dell’Hammond o delle parti dei violini o dei suoni con rumori di catene sull’appoggio della nota (‘Shadow Of  The Night’) sono una sua idea e molto spesso le sue soluzioni hanno influito in modo determinante sull’intero arrangiamento del brano. Noi lo chiamiamo l”ingegnere’ e in effetti questo è il suo lavoro, ma anche ‘Bimbo Mangione’ perché al tavolino è veramente una tramoggia! Sornione e simpaticissimo! Quindi ‘insostituibile’, anche perché è un amico sincero”.

AVETE DATO ANCHE UN “RITOCCO” AI VECCHI PEZZI CON L’AIUTO DI FRANCESCO?
“Certo in quanto, durante le esibizioni in concerto, Francesco ha arricchito gli arrangiamenti con sonorità ben costruite che hanno impreziosito gli arrangiamenti dei nostri precedenti album”.

IL VOSTRO SOUND APPARE ANCOR PIÙ COMPLESSO CHE IN PASSATO E RICCO DI INFLUENZE CHE SPAZIANO DAL PROG ROCK, ALL’HARD ROCK E AL METAL CLASSICO. COME DEFINIRESTI IL VOSTRO STILE ATTUALE E QUALI SONO QUINDI LE DIFFERENZE RISPETTO AL PASSATO?
“Tutto dipende dal fatto che noi stiamo ricercando sonorità che si intreccino, si incastrino e sempre teniamo sotto controllo l’omogeneità del tutto. Cercare di complicare senza dare al tutto un filo conduttore rischia di diventare un semplice esercizio tecnico… una dimostrazione di perizia tecnica sullo strumento. La musica non ha bisogno di ipertecnici ma di ispirazione e melodie e buon gusto. Se dovessi definire il nostro stile di oggi lo chiamerei epico e progressivo, con ovviamente molti riferimenti alle nostre radici hard rock. La differenza tra i Dark Quarterer di oggi e quelli di vent’anni fa è essenzialmente la ricerca. Gia ‘The etruscan Prophecy’ è in parte una riproposizione del nostro primo lavoro e come saprai non è affatto considerato da ‘noi’ il nostro miglior lavoro ma soltanto il più commercializzato e quindi conosciuto. Molte idee del nostro primo album (il più bello sicuramente di quell’epoca) sono state riproposte nel secondo (giri armonici, e addirittura linee vocali). ‘War Tears’, ‘Violence’ e ‘Symbols’ hanno sonorità completamente diverse. Non puoi fare accostamenti tra di loro se non nel timbro della voce (ovviamente) e nella ricerca di melodie ‘importanti’”. 

SE DOVESSI DEFINIRE I VOSTRI CINQUE DISCHI IN POCHE PAROLE?
‘Dark Quarterer’: istintivo, evocatico, emotivo e irripetibile.
‘The Etruscan Prophecy’: un lavoro molto ‘copia’ del primo con alcune ottime idee ma troppo isolate.
‘War Tears’: un album di transizione con ottimi suoni e alcune belle idee.
‘Violence’: viscerale e istintivo ma, forse, a volte troppo ostico.
‘Symbols’: emozionale, evocativo, ricco”.

NONOSTANTE LA VOSTRA NOTEVOLE CARATURA NON AVETE MAI RAGGIUNTO UNA GRANDE NOTORIETÀ. QUALE CREDI SIA IL MOTIVO? CREDI CHE IL NUOVO DISCO POSSA RILANCIARVI IN TAL SENSO?
“Amico mio… è il mercato del nostro ‘Grande paese Italia’ che ci penalizza (parole sante, ndR). Ti faccio un esempio: noi con ‘Symbols’ abbiamo ricevuto finora recensioni entusiastiche, spesso con parole del tipo ‘Capolavoro’, ‘Pietra Miliare’ e voti altissimi. Alcuni gruppi mooolto più blasonati di noi hanno avuto voti e recensioni alquanto negative e nonostante tutto sono ai primi posti in classifica delle vendite. Probabilmente dipende dalla poca voglia di rischiare su un nome meno ‘conosciuto’ e la convinzione che il ‘meglio’ sia solo quello che è più pubblicizzato…”.

SIETE IN GIRO ORMAI DA PIÙ DI TRENT’ANNI: COME È CAMBIATO, SECONDO UNA TUA OPINIONE, IL PANORAMA HARD ROCK E HEAVY ITALIANO RISPETTO A QUANDO ESORDISTE?
“C’è molta più qualità e capacità tecnica nei giovani musicisti perché esistono in ogni città scuole di musica. Non sempre a questo segue una altrettanto alta qualità compositiva…”.

UN MUSICISTA DELLA TUA ESPERIENZA COSA CONSIGLIA QUINDI ALLE NUOVE LEVE?
“Riprendendo il discorso della risposta precedente io consiglieri a tutti i musicisti di ascoltare molto e di non fossilizzarsi su un singolo genere musicale. Le idee nascono dalla mutevolezza delle ispirazioni e delle soluzioni musicali. E poi, fondamentale, non fidarsi mai del ‘bello’ al primo ascolto!”.

IL MIGLIOR RICORDO DELLA TUA LUNGA CARRIERA MUSICALE?
“Ce ne sono davvero tanti, ma fra tutti scelgo: un’intervista a Milano su Rock FM con Marco Garavelli, una diretta su RaiDue, un mese in Germania per registrare ‘War Tears’ e il concerto ad Atene di quest’ anno”.

GRAZIE MILLE DELLA DISPONIBILITÀ, GIANNI, TI FACCIO ANCORA I MIEI COMPLIMENTI E LASCIO A TE LE ULTIME PAROLE PER I NOSTRI LETTORI.
“Se leggete quest’intervista e almeno un po’ siete incuriositi, provate ad ascoltare sul nostro MySpace qualche brano. Fatelo senza fretta e non accontentatevi di un solo ascolto. Poi fate le vostre scelte… Un abbraccio da tutti noi a tutti voi che ci sostenete e che da sempre ci avete aiutato ad andare avanti! Morte al falso Metal!”.

 
 

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