A cura di Marco Gallarati
Dark Tranquillity, tredicesimo capitolo, la saga continua. E continua nonostante le avversità e i molteplici cambiamenti che ne hanno costellato la storia, perlomeno negli ultimi anni. Una storia che, mai come nella sua evoluzione più recente, ha fatto vacillare le stesse fondamenta della band, dopo che, come pilastri indeboliti e crepati da una fragilità crescente, praticamente tutti i membri fondatori del gruppo svedese hanno abbandonato il loro leader ad una guida pressoché solitaria, all’apparenza solida e mai assillata dal dubbio…sì, ma chi può davvero dirlo, in effetti?
Se una volta i pionieri del death metal melodico svedese – e quindi del death melodico tutto – erano rinomati per la loro coesione, la loro unione, la loro amicizia strettamente connessa ad un’etica del lavoro appassionata e sincera, con i distacchi centellinati del chitarrista/bassista Martin Henriksson prima (ultimo album in cui è apparso: “Construct” del 2013), del chitarrista Niklas Sundin poi (“Atoma” del 2016) ed infine del batterista Anders Jivarp (“Moment” del 2020), la sensazione dall’esterno è stata certamente quella di una band un po’, se non decisamente, allo sbando.
Il susseguirsi di musicisti, spesso assoldati solo per svolgere singoli tour, scelta peraltro convintamente supportata dallo stesso gruppo, non ha aiutato a migliorare la percezione della ‘retta via abbandonata all’apparenza’, soprattutto agli occhi di plotoni di appassionati duri a morire.
Nonostante tutto questo mare magnum di incertezza e nuove modalità d’uso, i Dark Tranquillity si sono cementati attorno alla figura ipercarismatica del loro frontman, il guascone Mikael Stanne, personaggio in grado di – passateci la metafora calcistica – ‘fare reparto da solo’. Con al suo fianco la silente figura di Martin Brändström, a questo punto il più longevo membro non fondatore della band, il Michelone nazionale ha perseverato nel tenere in vita la sua più cara creatura fino all’arrivo di un nuovo album, mentre allo stesso tempo è riuscito a dare sfogo come non mai al suo estro musicale in altre entità, i Grand Cadaver, i Cemetery Skyline e, soprattutto, i The Halo Effect, gruppo che, per un certo periodo, era in odore di rimpiazzare a tutti gli effetti, anche nel cuore dei fan più accaniti del melo-death scandinavo, le morenti realtà di In Flames e Dark Tranquillity.
Frutto dunque di questa iperattività artistica di Stanne, ma soprattutto frutto di un ritrovato nucleo compositivo più adatto e funzionale alle sonorità classiche della band, “Endtime Signals” segna quindi un ritorno importante nella carriera dei DT, il ritorno ad un songwriting meglio bilanciato e pienamente organico, vario, imprevedibile a tratti, costruito partendo sia da spunti chitarristici, sia mantenendo quella composizione più soft e melodica del trittico “Construct”/”Atoma”/”Moment”, giocato molto sui giri di tastiera.
Merito di ciò – ovvero del piacere di risentire riff e assoli di nuovo incisivi in un brano dei Dark Tranquillity – va dato al mantenimento in formazione di Johan Reinholdz, un chitarrista da cui ci si poteva aspettare quella dose di fantasia e sapienza necessaria a smuovere un po’ le torbide acque in cui i Nostri, soprattutto con l’ultimo “Moment”, erano andati a parare.
Con l’apporto della nuova sezione ritmica formata da Christian Jansson al basso (Grand Cadaver) e Joakim Strandberg-Nilsson alla batteria (ex In Mourning fra gli altri), “Endtime Signals” presenta una tracklist ricca, caleidoscopica, lontana da alcune soluzioni anonime di recente fattura e baciata da un’organica sapienza compositiva, oltre che da una produzione ben più profonda, aggressiva e moderna se confrontata con quanto presentato ultimamente.
Non ci azzardiamo a parlare di rinascita, ci mancherebbe: primo perchè la band non è mai morta e, con “Atoma” soprattutto, ha saputo raccogliere ampi consensi anche negli anni del dominio spurio Brändström/Jivarp in cabina di regia; secondo perchè non avrebbe senso dare ad “Endtime Signals” più importanza e valore di quello che rappresenta.
Sappiamo tutti quali sono i lavori seminali degli svedesi, non si vogliono scomodare qui paragoni assurdi: certo è che era dall’epoca di “Fiction” che un disco di Stanne e soci non ci colpiva così positivamente in poco tempo. Segnale soggettivo, di parte, poco affidabile quanto vogliate, ma pur sempre un segnale.
Vi lasciamo ora, finalmente, al track-by-track atteso, sottolineando ancora come la parola d’ordine di “Endtime Signals” pare essere proprio ‘varietà’. Buona lettura!
DARK TRANQUILLITY
Mikael Stanne – voci
Martin Brändström – tastiere, elettronica, programming
Johan Reinholdz – chitarre
Christian Jansson – basso
Joakim Strandberg-Nilsson – batteria
ENDTIME SIGNALS
Data di uscita: 16/08/2024
Etichetta: Century Media
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01. SHIVERS AND VOIDS (3.48)
La traccia d’apertura di “Endtime Signals” si intitola “Shivers And Voids” e, al contrario di quanto più di una volta successo ultimamente, fa ben partire l’album, rappresentandone puntuale, come è quasi d’obbligo per una opening track, i principali contenuti.
E’ da ascrivere al gruppo di canzoni ibride che miscelano sapientemente aggressione, melodia e anche dolcezza, con un incipit arpeggiato ed oscuro e le chitarre di Reinholdz a destreggiarsi molto bene tra riff penetranti e giri vorticosi, nonchè un groove non indifferente, dal quale finalmente spicca a volumi decenti il basso, tanto sacrificato in tempi non sospetti.
Stanne si esprime esclusivamente in growl, declamando le sue strofe inconfondibili con le solite perizia e profondità. E’ solo all’altezza del bel ritornello, cantabile ma senza esagerare, che ci accorgiamo delle tastiere, in “Shivers And Voids” utilizzate come mero accompagnamento e volutamente dimesse. E che stupendo assolo (di chitarra) arriva nella sezione centrale, un assolo che odora di Niklas Sundin lontano un miglio!
Un bel primo pezzo, potente ma raffinato, che non faticherà a piacere fin dai primissimi ascolti.
02. UNFORGIVABLE (3.44)
Con “Unforgivable”, già udita da tutti in quanto secondo singolo presentato in anteprima, si torna su consoni binari di violenza e velocità, ormai rari da sentire fin dai tempi di “Character” ma comunque da sempre marchio di fabbrica dei Dark Tranquillity.
La partenza è affidata a Joakim Strandberg-Nilsson con un attacco di batteria che anticipa un decollo verticale in pieno tupa-tupa svedese. Reinholdz ancora una volta ci prende per mano di prepotenza nel gorgo del riff portante in salsa thrash-death, mentre Stanne ruggisce con piglio leonino.
Il bridge si apre arioso e quasi solare, simile al chorus della precedente, mentre l’effettivo ritornello di “Unforgivable” si adagia su velocità di nuovo elevate.
Brevi spezzoni in blastbeat ci fanno commuovere, non abbiamo timore ad ammetterlo: tutto lo speciale centrale al fulmicotone è da brividi, mentre anche qui troviamo un assolone notevole, prima di tornare all’alta dinamicità della canzone, un andirivieni di adrenalina molto coinvolgente, di certo uno degli highlight del lavoro, piazzato in seconda posizione quasi a voler dire “eccoci qua, e se vogliamo sappiamo ancora pestare come si deve!“. Bravissimi.
03. NEURONAL FIRE (4.32)
Dopo il brano ibrido e quello aggressivo, tocca rallentare un pochetto con “Neuronal Fire”, nel quale le tastiere di Martin Brändström si ritagliano, per la prima volta durante “Endtime Signals”, uno spazio di primo piano.
Difatti, pare proprio di essere al cospetto di una delle migliori canzoni di “Atoma” o “Construct”, impreziosita da una produzione più su di giri e potente.
Attenzione però, non stiamo descrivendo una ballata e neanche una semiballata, bensì un episodio leggermente più educato e sognante se paragonato ai due iniziali, comunque in grado di far battere il piedino a ritmo senza troppe rimostranze. Midtempo avvolgente e quadrato, “Neuronal Fire” cresce piano ascolto dopo ascolto, sorretto da un ritornello davvero molto classico per i DT degli ultimi quindici anni, enfatizzato da arrangiamenti che si apprezzano procedendo con le fruizioni. Manco a dirlo, il terzo importante assolo di chitarra in tre tracce fin qui presentate ci fa ben sperare per l’andatura del resto del lavoro.
Un finale leggermente più atmosferico ci accompagna mestamente fino al termine del brano.
04. NOT NOTHING (4.52)
Si conclude con “Not Nothing”, quarta traccia del disco e terzo singolo-video edito, lo showcase iniziale delle qualità di “Endtime Signals”, questa volta con un brano più delicato e caratterizzato dal primo apparire della caratteristica voce pulita di Mikael Stanne.
Discreti groove identificano l’incedere di questo pezzo piuttosto malinconico, che però catalizza l’attenzione del fruitore con strofe toccanti ed un uso dell’elettronica di Brändström pressoché perfetto. Anche per tale episodio veniamo ricondotti tra i meandri di “Atoma” e/o “Moment”, per un proseguo tutto sommato riuscito dei discorsi stilistici aperti con gli album menzionati.
Il chorus ha il tipico incedere ritmico del drumming di Jivarp, qui ovviamente riproposto da Strandberg-Nilsson, mentre il momento centrale fa da pista di lancio ad una parte strumentale dove, ancora una volta, fa bella mostra di sè un assolo di chitarra.
La chiusura dolceamara ci ripropone il pulito effettato di Stanne che si allontana elegante, accompagnato dall’afflato atmosferico di chitarre ed elettronica.
05. DROWNED OUT VOICES (3.54)
In un (tredicesimo) disco contenente dodici tracce inedite, è difficile immaginare l’assenza di qualche filler, ma dobbiamo dare atto ai Dark Tranquillity di aver composto del materiale per buona parte convincente, che ci crea difficoltà a definire come meri riempitivi praticamente tutti i brani.
“Drowned Out Voices” è uno di quei momenti che ha rischiato di rientrare nella ostica categoria dei sopracitati riempitivi, in quanto non inventa nulla, ha poco di significativo e possiede una cifra qualitativa del tutto nella media: la partenza è affidata ad un groove moderno e potente, simile alle cose più circolari dei Gojira, poi l’uptempo imperversa ed un altro chorus tra l’epico ed il sognante la fa da padrone. I saliscendi di ritmo e di velocità si susseguono per tutta la canzone, con i vari arrangiamenti che danno la reale cifra di quanto ormai la band sappia curare i particolari con attenzione maniacale, si ascolti la lunga strofa pulita a centro canzone a proposito.
Una traccia che probabilmente vi salirà parecchio con il progredire degli ascolti.
06. ONE OF US IS GONE (4.36)
Tastiere, synth, effetti e archi aprono la sesta canzone di “Endtime Signals”, che vede ancora protagonista Stanne con la sua versione vocale più edulcorata. Idolatrato a più riprese per le sue interpretazioni in growl, il timbro del pulito non riesce mai a convincere tutti, tra chi lo giudica dark e crepuscolare il giusto, chi lo trova spettacolare e chi invece lo reputa un obbrobrio: diciamo che molto dipende dal contesto, dalla scelta della linea vocale e da tutto ciò che la circonda.
In “One Of Us Is Gone”, un brano poco immediato, crepuscolare e probabilmente dedicato a qualcuno che non c’è più – forse l’ex chitarrista Fredrik Johansson? – il contesto ben si addice all’uso delle voci pulite, grazie ad un ricco arrangiamento orchestrale e a cadenze drammatiche e tristi. Di metal ce n’è poco, bisogna dirlo, le chitarre sono volutamente tenute leggerine e di mero accompagnamento, in modo da far gestire tutto alla strumentazione di Brändström, ma ciò non è affatto un male.
Un pezzo che emerge soffuso e delicato, da imparare ad apprezzare ascoltandolo con attenzione e ripetutamente.
07. THE LAST IMAGINATION (3.46)
Arriviamo al giro di boa della seconda parte del lavoro e ci troviamo davanti quello che è il primo singolo-video proposto dalla band qualche mese fa, ovvero “The Last Imagination”.
Il brano rientra nelle soluzioni ibride presentateci dai Dark Tranquillity, pezzo avente una forma-canzone ben delineata ed un buon bilanciamento tra le posizioni preponderanti di ritmica, chitarre ed elettronica: si ricorda facilmente e a tratti dà l’idea di essere una canzone che, seppur vigorosamente rallentata, avrebbe potuto stare su un disco come “Character”. Non c’è la furia parossistica che si respirava nel 2005, ma l’amalgama di riffing e tastiere rammenta un po’ quel disco ed in più un altro ottimo solo ne impreziosisce le note.
Forse non l’episodio più adatto per fare da apripista ad “Endtime Signals”, però è anche vero che rappresenta sotto vari aspetti e punti di vista la rinnovata maturità compositiva raggiunta dal gruppo con tale album.
08. ENFORCED PERSPECTIVE (3.20)
La traccia più breve di “Endtime Signals” è anche quella più veloce, ed arriva a riprendere i temi esposti in “Unforgivable”, ovvero l’aggressione tout-court.
Non solo velocità, tupa-tupa e ritmiche telluriche, però, per “Enforced Perspective”, bensì una piacevole amalgama di uncini melodici, variazioni sul tema melo-death, un assolo velocissimo e ben riuscito ed anche una buona dose di impatto tastieristico, che va magicamente ad incastonarsi tra le note del riff portante e dei vari momenti della canzone.
Strandberg-Nilsson qui si diverte oltremodo, sfoderando tutta una serie di pattern alla batteria che possono permetterci di affermare come, almeno sotto il profilo della capacità tecnica e dell’esecuzione, il nuovo arrivato non fa per nulla rimpiangere Anders Jivarp.
Arrangiamenti fra i migliori del disco si fanno notare in tale brano, che solo all’apparenza è quella botta esplosiva che sembra: “Enforced Perspective” è un perfetto esempio di come i Dark Tranquillity sappiano inserire secchiate di idee e soluzioni in poco tempo senza snaturare la traccia o senza farla sembrare troppo ‘carica di cose’.
Non siamo ovviamente allo stesso livello, ma la tipologia di canzone si porta dietro qualcosa dagli episodi più rapidi di “The Mind’s I”: una parvenza, un sentore, una sferragliata, una scapocciata… Qualcosa che ci fa sorridere soddisfatti, insomma.
09. OUR DISCONNECT (5.19)
Dopo il pezzo più breve, ecco di seguito quello più lungo e corposo, intitolato “Our Disconnect”.
Un brano complesso, interessante, costruito, lo si intuisce, con dovizia di particolari e voglia di perfezionarlo il meglio possibile. L’atmosera è piuttosto apocalittica e qui le keys di Brändström sfoderano probabilmente la prestazione migliore di “Endtime Signals”, fantasiose, puntuali, di appoggio a tratti e di costruzione in altri tratti, fino a spedire tutto al destinatario tramite un buon assolo di Reinholdz.
“Our Disconnect” è decisamente cupo e, pur avendo in sè il songwriting risalente agli ultimi lavori, secondo noi il mood che avvolge in buona parte questa canzone è quello di “We Are The Void”, fatalista e dark. Molto riuscito lo special centrale elettronico, prima che si ridecolli verso l’ennesima altalenza di emozioni e sensazioni. Nonostante si possa pensare il contrario, considerato il tenore qualitativo, Mikael Stanne non propone qui la voce pulita, bensì segue piuttosto anonimamente il fluire della traccia, preparando delle linee vocali certo sufficienti ma non proprio memorabili. Eppure questa canzone risuona di un’eccezionale sapienza, trovando il suo meritato posto nella tracklist.
10. WAYWARD EYES (3.28)
Un giro epico di tastiera sopra un groove sincopato apre le danze di “Wayward Eyes”, episodio conciso e raccolto che ripresenta il timbro pulito di Stanne, qui davvero a proprio agio nel cesellare una linea melodica molto bella (e molto ‘stannesca’!) che prende per mano la più classica delle andature ritmiche dei Dark Tranquillity, sentita mille volte quando di base a tali ritornelli vagamente mielosi. Mielosi un po’, sì, ma pregni di quella malinconia nostalgica che rabbuia non poco la solarità insita nella ‘mielosità’. E ciò ci piace.
Non ci saremmo stupiti se “Wayward Eyes” fosse stato scelto quale singolo d’esordio, in quanto è decisamente il brano più melodico e radio-friendly del lotto, con una forma-canzone chiara e limpida, brano che riesce molto bene dove tante altre canzoni passate hanno più o meno fallito e/o deluso. Un pezzo che vi entrerà in testa e faticherà ad uscirne, soprattutto se considerate ritornelli come quelli di “Misery’s Crown” uno dei must assoluti della band.
11. A BLEAKER SUN (4.23)
Ci si avvia verso la fine, ma con “A Bleaker Sun” non c’è proprio tempo per addormentarsi: un riff serratissimo accompagnato da botte di ritmica e da un prevalente effetto ‘stomp’ lancia un’altra traccia che troviamo giusto definire ibrida. Qui, come in altre sezioni della tracklist, la band è brava a miscelare i propri ingredienti nelle giuste dosi, quelle utili affinchè nessun’anima dei Dark Tranquillity prevalga sull’altra.
C’e un po’ di aggressione e un po’ di cattiveria, dunque, tecnica e melodia, sentimento e arrangiamenti sopraffini, le note gravi del growl di Stanne, la ricerca delle migliori soluzioni possibili per un determinato frangente, il ritornello che ci slega dalla tensione del brano e – ci rendiamo conto di ripeterci ma è un tratto distintivo proprio di “Endtime Signals” – un nuovo, superlativo solo di chitarra.
Altro episodio poco attaccabile e piacevole, “A Bleaker Sun”, forse un po’ sacrificato in tale posizione di fondo disco.
12. FALSE REFLECTION (4.42)
Ed eccoci giunti all’ultima traccia di “Endtime Signals”, brano che, sottoforma di ballata straziante e nostalgica, accomiata l’ascoltatore con altissima qualità e gran gusto compositivo.
“False Reflection” esordisce con un’introduzione pacata, dominata dalle tastiere e dagli effetti echeggianti di Martin Brändström; poi ci si trasferisce dalle parti di Mikael Stanne, con un paio di strofe pulite riuscite benissimo e toccanti, che quasi all’improvviso diventano un chorus decadente, struggente e, in definitiva, bellissimo. La band ripete tutto con un secondo passaggio, per uno dei pezzi conclusivi più riusciti della seconda parte di carriera, fino a portare ad un outro tranquillo e rilassante destinato a farci chiudere l’ascolto quasi con amarezza e disillusione.
Come specificato più sopra, arrivare al tredicesimo disco in studio e riuscire a ritrovarsi dopo un periodo altalenante, proponendo un pacchetto di canzoni sostanzioso e senza riempitivi di sorta… Be’, c’è di che accontentarsi, altro che ‘segnali della fine del tempo’!