A cura di Chiara Franchi e Vanny Piccoli
Foto di Enrico Dal Boni ed Emanuela Giurano
Uno degli slogan con cui si presenta il Venezia Hardcore Fest è “il concerto in sala prove che non ha mai smesso di sognare”. Non è un modo di dire: il VEHC è davvero nato come un concerto in sala prove; la prima edizione infatti poteva finire in una bella serata tra amici, se non vi si fossero presentate quasi mille persone.
Dieci anni dopo quella prima festa allargata, il VEHC è diventato un evento unico nel panorama italiano e un appuntamento immancabile per centinaia di persone che ogni anno confluiscono da tutta Italia (e in parte dall’estero) al Centro Sociale Rivolta di Marghera, un’ex officina a due passi dalla Fincantieri che c’entra poco con le prospettive tintorettiane della città lagunare.
Dieci anni che non corrispondono, però, a dieci edizioni. La pandemia ha infatti messo in pausa anche questo festival, la cui natura fieramente DIY non esime da tutte le difficoltà con cui si misurano gli eventi organizzati da agenzie e grandi promoter. Soprattutto, la pandemia ha minacciato di mettere in crisi l’elemento essenziale che fa del Venezia Hardcore Fest la realtà che è, a livello organizzativo ma anche e soprattutto identitario: le relazioni umane.
Quando l’anno scorso il festival è tornato ad annusare l’aria in un’inedita edizione settembrina, il successo non era scontato. Senza l’abbraccio del pubblico, l’unione mai così forte del team di volontari e il grande, caloroso desiderio condiviso di tornare a stare insieme “come prima”, forse oggi non saremmo qui a parlare dell’edizione 2023. Che più che un punto di arrivo, potrebbe essere un punto di partenza.
A pochi giorni dall’evento, atteso per il 19 e 20 maggio prossimi, abbiamo parlato di tutte queste cose con Samall Ali, promoter, fondatore del collettivo Trivel e mastermind del Venezia Hardcore Fest.
LE ORIGINI
Prima ancora che in sala prove, il Venezia Hardcore Fest è nato attorno ad un calcetto balilla. É lì che quattro ventenni della periferia di Venezia, cresciuti in un’area industriale di rara bruttezza alle porte di una delle città più belle del mondo, decidono di costruirsi da soli le occasioni di ritrovo di cui sentono la mancanza.
“Passavamo i pomeriggi, anzi le giornate, a giocare al biliardino. Il biliardino aveva il completo controllo delle nostre vite, nelle estati delle superiori, e il nome Trivel è venuto da lì. Il verbo che usavamo per quel gioco era ‘trivellare’, perché ci ‘trivellavamo’ i polsi. Tutto è partito da lì, al centro giovanile Dedalo di Mira, una sala prove gestita dal comune dove è nato il gruppo che poi è diventato il collettivo. Prima di aggregarci intorno al Dedalo passavamo i pomeriggi a fumare nei parcheggi, a Mestre e a Mira”.
In quel centro di aggregazione giovanile, figlio forse di altri tempi e altre visioni politiche, Samall e i suoi amici (Leonardo, poi compagno di band negli Slander; Piero, autore del logo di Trivel e delle prime grafiche del festival) decidono di dare una forma concreta al loro impulso creativo. Lo scopo è dare vita ad un progetto artistico, ma soprattutto a qualcosa che possa metterli in contatto con altre persone che condividano i loro gusti e i loro interessi. All’inizio, quel ‘qualcosa’ sono i graffiti. Poi arriva l’opportunità di organizzare un concerto in un locale di Mira, con band della zona. Il membri del nucleo originario di Trivel incontrano così dei coetanei di quella che allora era la provincia e oggi è la Città Metropolitana di Venezia, animati dallo stesso desiderio di offrire occasioni di ritrovo a chi, come loro, si riconosceva in un certo modo di pensare e nella passione per un certo tipo musica.
Non è un caso che aggregazione, connessione, comunità siano forse le parole più ricorrenti nella chiacchierata con Samall. Sono questi, dopo tutto, i veri pilastri sui quali il primo Venezia Hardcore Fest ha gettato le proprie fondamenta e attorno ai quali ha continuato a crescere.
“La prima edizione del VEHC nasce dalla volontà di connettere gli artisti tra di loro. Non c’era un obiettivo diverso da quello di connettere le persone, lo scopo non era raggiungere una grande partecipazione o ottenere qualcosa di tangibile a livello materiale. C’era una volontà che nasceva dall’esigenza di connetterci con chi ascoltava, come noi, quella musica. All’epoca non sapevamo nemmeno chi fossero tutti i gruppi o tutte le persone che avevano partecipato a questo ambiente negli ultimi vent’anni. Prima di noi c’era stato qualcosa, anche se con una conformazione diversa dalla nostra – penso a band come L’Amico di Martucci o La Piovra.”
Un’occasione, quindi, per guardarsi attorno e al tempo stesso farsi vedere, tra band, ma anche solo tra persone che avevano qualcosa in comune e nessuna (o poche) occasioni ‘tagliate’ sulla loro misura. Insomma, la quintessenza del do-it-yourself, concretizzata da un pugno di ragazzi appena usciti dalla scuola dell’obbligo, con nessuna esperienza nell’organizzazione di eventi ma con l’incoscienza e l’entusiasmo necessari per provarci davvero.
In quella prima edizione si esibirono solo band del veneziano e, come dicevamo sopra, si registrarono quasi un migliaio di presenze. Se l’obiettivo era mettere insieme le persone, si trattava di un ottimo risultato. E allora, come non dare seguito a quella prima esperienza così positiva?
Il passo successivo era far sì che la connessione che si era creata andasse oltre il semplice momento di ritrovo, ma diventasse una rete solida in grado di alimentare le relazioni che aveva intrecciato e di portare avanti dei progetti. Grazie ad un entusiasmo contagioso e alla spinta che viene dall’incontro con spiriti affini, la “festa in sala prove” ha continuato a sognare fino alla prima vera svolta, che ne ha fatto un festival a tutti gli effetti. Come ricorda Samall:
“Nel 2013 c’è stata una sorta di boom di gruppi veneziani, anche nuovi: si erano formati gli Slander e gli Slow Animals, gli Hobos sono entrati a far parte del nostro giro anche se venivano dagli ambienti metal… Penso che in quel lasso di tempo si sia accesa una sorta di miccia che ci ha permesso di avere a disposizione tante energie, di avere accanto tante persone che si davano da fare per questa cosa. Tante cose sono rimaste uguali da allora, anche se sono più radicate, ma lì c’era proprio la fotta di fare qualcosa. Lì veniva tutto dal basso.”
DIVENTARE IL VEHC
Il VEHC non è rimasto una festa in sala prove. Nel 2014 è spostato da quello che allora si chiamava Pop Corn Club, sempre a Marghera, al CSO Rivolta, che ormai da tanti anni è la casa del festival.
Oltre a uscire da spazi angusti, il festival ha anche cambiato dimensioni e prospettiva, diventando qualcosa di più ampio e strutturato, senza però tradire le proprie origini. Questo, secondo Samall, è quello che rende riconoscibile il Venezia Hardcore Fest e che ne fa un’esperienza peculiare nel nostro panorama live.
Alla domanda su quali siano gli elementi alla base di questa formula vincente, Samall risponde ancora una volta mettendo al centro le persone e le energie che scaturiscono da un gruppo coeso e motivato.
“Lo spirito del VEHC si è creato dal basso. Non è arrivato qualcuno a dirci come andava fatto. Lo abbiamo fatto noi, coi nostri pregi e i nostri difetti – che inevitabilmente si ripercuotono sull’evento. Non lo facciamo perché qualcuno ci obbliga, ma perché sulla bilancia delle nostre vite, nonostante lo stress, fare il VEHC pende dalla parte delle cose positive. Anche dieci anni fa creava stress: magari uno stress diverso, più legato alla speranza di aver fatto tutto per bene e di aver fatto stare bene le persone, sia i musicisti che il pubblico. Oggi siamo più rodati e abbiamo preoccupazioni diverse, ma è comunque faticoso. Devi sentire dentro che è la cosa giusta da fare, altrimenti non lo faresti.”
Quella del VEHC, però, non è solo la bella storia di un manipolo di post-adolescenti che dal nulla crea un evento di successo e raccoglie attorno a sé una comunità unita e affiatata. Quando si organizza un festival senza nessuna esperienza di come si faccia, si sbaglia. Quando si basa un progetto sul gruppo, vanno messe in conto anche tutte le inevitabili criticità che emergono nelle relazioni umane. Sono cose che fanno crescere, ma lo fanno ad un certo prezzo e sono molto meno romantiche dello scenario che abbiamo dipinto finora. Spiega Samall:
“Nessuno di noi aveva un barlume di conoscenza legato all’organizzazione di eventi. Il fatto di partire da zero ci ha molto fortificati come gruppo, perché abbiamo dovuto sbattere il naso su tutti i problemi che possono emergere. Ma queste cose ti fanno crescere a livello umano. Organizzare un evento del genere ti porta anche allo scontro, e se va bene cresci nella tua capacità di relazionarti con gli altri, se va male, purtroppo, si chiudono delle porte.”
Il momento più critico in assoluto, per il Venezia Hardcore Fest come per molte altre realtà underground, è stato il biennio della pandemia da Covid-19. Il congelamento totale di tutte le attività live, le difficoltà enormi del settore musicale, ma anche i problemi personali, in un contesto in cui le persone sono fondamentali, hanno messo un grande punto interrogativo sul futuro del festival. I recenti annunci della chiusura di kermesse musicali blasonate e le cancellazioni di tour di band importanti danno la misura di quanta incertezza possa gravare su un evento sì consolidato e forte di uno zoccolo duro di affezionati, ma pur sempre piccolo e retto sostanzialmente dalla volontà di ci lavora. Una volontà che per fortuna la pandemia non ha fiaccato, anzi.
“Una situazione come quella della pandemia inevitabilmente ti allontana dagli altri, a livello sia fisico che spirituale”, continua Samall. “Ho avuto molta paura, in quel periodo. Non sapevo cosa stesse passando ciascuno di noi a livello personale. Il VEHC è una passione e le passioni, quando attraversi un momento difficile, sono la prima cosa a cui devi rinunciare. Per me è stato bellissimo vedere che dopo la pandemia, dopo tutti i problemi che ci sono stati, dopo tutte le questioni – anche molto grosse – che tanti di noi hanno dovuto affrontare, le passioni sono rimaste.
Quando ci siamo ritrovati, quello che ho visto è stato un gruppo di persone che non vedeva l’ora di rifare quello che faceva prima. Mi ha gasato. Per quanto io sia una persona un po’ paranoica e che tende a pensare sempre al peggio, ho avuto una dimostrazione di quanto chi fa questo festival ci tenga e ci creda. Penso che ci fosse anche molta voglia di rivalsa, dopo la pandemia. Spero che quest’anno si confermi il ritorno del nostro gruppo: se è così, sfighe permettendo, possiamo guardare avanti. L’anno scorso ho visto un gruppo di persone unite come non mai. Se quest’anno riusciremo a mantenere quell’unità, il VEHC può pensare di restare per altri dieci anni.”
Abbiamo provato a chiedere a Samall se ci sono dei concerti in particolare, tra i tanti che hanno animato il VEHC, che ricorda con particolare piacere o orgoglio, o che secondo lui hanno segnato delle tappe importanti nella storia del festival. Ancora una volta, la sua risposta è stata rivelatoria di quello spirito di aggregazione che è da sempre la base portante dell’evento:
“ Sono contento di aver portato grandi gruppi che hanno fatto felice il pubblico, ma soprattutto mi interessa aver portato al VEHC la comunità del nostro territorio e vedere che da persone che si sono incontrate gravitando attorno al VEHC sono nati dei gruppi nuovi. Sono contento soprattutto di aver portato al festival gruppi emergenti, che hanno avuto la possibilità di esibirsi davanti a mille persone di una stessa community che altrimenti avrebbero trovata sparsa per l’Italia, cinquanta o cento persone alla volta.”
IL VEHC DI DOMANI
Anche quando si parla degli obiettivi per il VEHC del futuro, Samall non guarda tanto ai nomi o ai numeri (“Pensare in grande non è una nostra prerogativa”), quanto alla preservazione e al rafforzamento della comunità che si è creata attorno al festival. Non si tratta solo di portare avanti una sorta di ‘brand’, ma ne va della sopravvivenza stessa del VEHC:
“I nomi di punta dell’evento sono sempre stati nomi storici, come i Vitamin X, Harley [Flanagan, NdR] dei Cro-Mags, i Drop Dead… C’è sempre stata la volontà di portare a Marghera le colonne del genere, le persone che hanno fatto la storia.
Ma la volontà è soprattutto quella di dare spazio ai gruppi nuovi, che spero siano sempre più spesso formati da gente di vent’anni, o anche meno. Solo se riusciamo a far passare il messaggio delle nuove generazioni, saremo anche in grado di passare loro anche il testimone del festival. Senza gruppi nuovi, finiremmo per proporre qualcosa che non è più in grado di attrarre i giovani. Non dico che a trent’anni sei vecchio, ma è a vent’anni che ti fai tutti i concerti e ti godi tutto al 110%. É l’intensità dei pensieri che hai in testa che è diversa. Quando cominci ad avere delle responsabilità, o a fare i conti coi problemi della vita adulta, organizzare un concerto hardcore non è la cosa per cui ti alzi alla mattina, ma un plus.”
Dietro la scelta di non allargare il VEHC e di non farne qualcosa di più grande in termini di presenze, di location o di durata, ci sono anche delle considerazioni di ordine pratico. Da un lato c’è la volontà di conservare l’atmosfera intima dell’evento, dove ci si muove in tranquillità e le band bazzicano tra il pubblico. Dall’altro c’è la consapevolezza dei propri mezzi, della capienza degli spazi a disposizione e delle difficoltà materiali di gestire con la stessa cura un evento più grande.
Del resto, non servono grandi cose per cambiare in meglio una giornata o un pezzo di vita delle persone. A volte basta un biliardino.
COSA ASPETTARSI DA QUESTA EDIZIONE
Il VENEZIA HARDOCORE FEST celebrerà i suoi primi dieci anni al Centro Sociale Rivolta di Marghera (VE) il 19 e 20 maggio 2023.
Oltre ai due palchi sui quali si esibiranno le oltre trenta band in programma, il pubblico potrà godersi un’ampia area merchandising e l’immancabile zona skate, oltre a vari punti di ristoro che offrono, tra le altre cose, ottime pizze e una buona scelta di snack vegetariani e vegani.
Il bill del decennale vede in cartellone nomi importanti della scena internazionale, veterani del panorama italiano e alcune giovani realtà locali che gli appassionati del genere farebbero bene a tenere d’occhio: HIGH VIS, BONGZILLA, RAEIN (show speciale con tutto “Il n’y a pas de orchestre”), THE SECRET (show speciale con tutto “Solve et Coagula”), ED (reunion show), 3ND7R, ARMA X, BLAIR, CAGED, DE4TH, DIPLOMATICS, ETERNO RITORNO, GREASEBALL, GÜERRA, HIDE, IMPLORE, IF I DIE TODAY, MENAGRAMO, OJNE, OVERCHARGE, JORELIA, QUERCIA, PLAKKAGGIO, REGROWTH, ROUGH TOUCH, SILVER, SLUG CORE, SPEEDWAY, STEGOSAURO, STIGLITZ, STRAIGHT OPPOSITION, THE END OF SIX THOUSAND YEARS.
BIGLIETTI
I biglietti e gli abbonamenti per le due giornate del VENEZIA HARDCORE FEST saranno acquistabili solo in cassa, all’ingresso del festival.
VENERDì 19 MAGGIO: € 15
SABATO 20 MAGGIO: € 20
ABBONAMENTO WEEKEND: € 30
COME ARRIVARE
IN AUTO: il CS Rivolta si trova a 5 minuti dall’uscita autostradale Mestre/Marghera e dispone di un ampio parcheggio. Altri posteggi auto sono disponibili nei pressi della venue.
IN TRENO: stazione di Venezia Mestre, da lì il CS Rivolta è raggiungibile anche a piedi.
CON FLIXBUS: http://www.flixbus.it
IN AEREO: Gli aeroporti più vicini sono Venezia Marco Polo (VCE) e Treviso Sant’Angelo (TSF). Il CS Rivolta è facilmente raggiungibile in circa 30 minuti coi mezzi pubblici.
INFO E CONTATTI
Venezia Hardcore Fest, 19 e 20 maggio 2023
Indirizzo della venue:
Centro Sociale Rivolta
Via Fratelli Bandiera, 45
30175 VE
Evento Facebook
Per info: trivelparty@gmail.com