A cura di Emanuele Giarlini
L’uscita di un nuovo album di una band che calca i palchi da quaranta anni è sempre accompagnata dal fisiologico chiacchiericcio che solo i gruppi di grande successo riescono a generare. Rumore di fondo che viene enfatizzato e amplificato, se parliamo di un quintetto come i Dream Theater, da sempre in grado di spaccare in due il mondo del prog metal generando fazioni distinte e manichee composte tanto da adoratori – spesso memori delle antiche glorie del passato – quanto di hater sfrenati, pronti a criticare qualsiasi cosa esca dal cappello di Petrucci, La Brie e compagnia cantante.
Se a questo contesto scottante aggiungiamo che l’ultimo album dei newyorkesi vede il contributo del figliol prodigo Mike Portnoy dietro le pelli, ci rendiamo facilmente conto che la pressione intorno alla nuova release è destinata ad essere alta.
“Parasomnia” – questo è il titolo dell’ultimo lavoro discografico rilasciato dai nostri – è un disco che punta molto a creare un senso di amarcord con le opere passate, andando a citare soprattutto “Scenes From A Memory”, probabilmente il maggior successo dei Dream Theater rilasciato nel lontano 1999. Questo ponte con il passato viene creato principalmente grazie a citazioni all’interno dei testi di “Parasomnia” o a strutture ritmico melodiche che si ispirano – a volte riproducendoli fedelmente – i temi musicali dei precedenti album.
In questo track-by-track andremo ad analizzare le otto tracce che compongono l’ultima release del quintetto prog americano, la cui uscita è prevista per il prossimo 7 Febbraio 2025.
Chiudete gli occhi, iniziate a rilassarvi e fate un profondo respiro, questo è “Parasomnia”.
DREAM THEATER
James LaBrie – Voci
John Petrucci – Chitarre
John Myung – Basso
Jordan Rudess – Tastiere
Mike Portnoy – Batteria
PARASOMNIA
Data di uscita: 07/02/2025
Etichetta: Inside Out Music/Sony Music
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01. In The Arms Of Morpheus (05:22)
Il primo brano di “Parasomnia” è – come già accaduto per i Dream Theater – un intro puramente strumentale. “In The Arms Of Morpheus” scandisce il momento in cui ci corichiamo al caldo, sotto le coperte, in attesa che gli occhi si chiudano e ci venga dato accesso al regno dei sogni.
Sebbene la struttura del brano riporti alla memoria “Overture 1928”, il memorabile intro di “Scenes From A Memory”, lo stile compositivo risulta decisamente incupito: un iniziale arpeggio accompagnato da violoncelli esplode in un fastidioso, quanto paradossale, suono di sveglia che fa da base ad una chitarra baritona e graffiante. Esattamente come fu per “Overture 1928”, un solo di chitarra luminoso e melodico interrompe il sogno onirico che sembra averci catturato sin dalle primissime battute di questo album e porta l’ascoltatore verso il secondo brano.
02. Night Terror (09:55)
Il primo singolo dell’album conferma il mood chiaramente già percepito nell’intro strumentale e descrive quella che sarà la notte di terrore che inesorabile aspetta un individuo affetto dai molteplici disturbi che vengono identificati nella parasomnia. Questo è il primo brano dell’album in cui la spinta compositiva di Mike Portnoy si lascia assaporare, facendo riemergere quei contro tempi terzinati e quei suoni di batteria asciutti e quasi compressi che tanto avevano caratterizzato il drumming degli album più iconici della band.
Vale la pena di sottolineare che il rilascio di “Night Terror” come primo singolo ha anche lo scopo – un po’ ruffiano, ad opinione di chi scrive – di riportare l’ascoltatore a quelle sonorità che hanno reso i Dream Theater famosi: il ritornello melodico cantato da James La Brie regala un sapore molto simile a quello della ben più famosa “Strange Déjà Vu”, così come le parti solistiche di John Petrucci vanno a riprendere addirittura idee dai Liquid Tension Experiment, sua band parallela.
03. A Broken Man (08:29)
Un uomo irrimediabilmente spezzato dalla privazione di sonno è il protagonista del secondo brano, intitolato “A Broken Man”.
Continuando sulle sonorità finora presentate, il pezzo apre con un lungo intro in cui chitarra e batteria la fanno da padrona e accompagnano gli stati emotivi dell’uomo che vede la sua mente sgretolarsi, una notte insonne dopo l’altra. A fare da contrappunto, un ritornello cantilenante e – ci sembra – di poco mordente, intervalla le diverse strofe di un brano che punta decisamente sull’impatto sonoro dato dai registri baritoni di una chitarra e da linee di basso aggressive.
Molto interessante il solo eseguito dal chitarrista John Petrucci, che rompe gli schemi e vira su sapori blueseggianti supportati da una sorta di be-bop di piano che alleggerisce un pezzo lungo, roccioso e difficile da digerire; stessa tecnica, questa, utilizzata in passato per gli intermezzi di pezzi leggendari come “The Dance Of Eternity”.
Leggendo il testo di “A Broken Man”, si nota come questo sia stato quasi lasciato in secondo piano rispetto al lato musicale; l’ascoltatore si trova davanti a frasi aperte, veloci domande e parole lasciate come generica descrizione dei sintomi legati al disturbo del sonno.
La struttura testuale si lega bene con il reparto strumentale ma l’asciuttezza dei testi rimane un tratto distintivo di un brano in cui la dimensione sonora è stata evidentemente curata in modo più certosino.
04. Dead Asleep (11:06)
Il quarto brano dell’album inizia a tracciare la linea narrativa di quello che comincia a svilupparsi come un vero e proprio concept album in cui la descrizione della parasomnia si intreccia con gli avvenimenti di un individuo, generando un embrionale episodio narrativo.
“Dead Asleep”, a differenza della precedente traccia, risulta più semplice dal lato musicale, quasi banale, al fine forse di focalizzare l’attenzione dell’ascoltatore sulla tragica storia di un uomo che, in preda ad un episodio di sonnambulismo, si ritrova ad uccidere la sua compagna.
L’episodio, scandito da un monotono martellare pulsante di chitarra e batteria, esiste sospeso tra il sogno e la realtà e segna forse l’inizio del malessere psicologico che impedisce al protagonista di trovare riposo.
05. Midnight Messiah (07:58)
Se, fino a questo punto dell’album, le citazioni ai bei tempi andati erano principalmente musicali e basate su richiami ritmico armonici o accennati leitmotif, con “Midnight Messiah”, i riferimenti ai vecchi capolavori della band entrano nel testo, attraverso vere e proprie citazioni.
Troviamo quindi chiari richiami a “Home”, “This Dying Soul”, passando per “Strange Déjà Vu”. Riferimenti che, tuttavia, non sembrano avere un vero e proprio significato all’interno di quello che appare come un testo piuttosto minimale, scritto quasi con l’unico obiettivo di riportare alla luce vecchi titoli e riconfermare ancor di più lo sguardo al passato che i Dream Theater vogliono condividere con i fan.
Dal punto di vista musicale, “Midnight Messiah” ha una struttura alquanto veloce e thrash, mentre le parti vocali risultano tirate e raschiate, di certo non un contesto comodo per lo spettro vocale di James LaBrie. Il pezzo, seppur gradevole, appare abbastanza piatto e regala all’ascoltatore quasi otto minuti di quello che ha il retrogusto di un riempitivo che fatica a rimanere in mente.
06. Are We Dreaming? (01:28)
Il brano puramente strumentale “Are We Dreaming” è un intermezzo liturgico ed ecclesiastico in cui due voci dialogano sommessamente su una leggiadra parte di organo.
Il silenzio, l’intimità e l’odore d’incenso che possiamo quasi percepire all’interno di una cattedrale avvolta dall’oscurità ci riporta davvero indietro nel tempo a quella che fu “Through My Words”, brano iconico di “Scenes From A Memory” che faceva da perfetto apripista per una delle più memorabili ballate del quintetto statunitense: “Through Her Eyes”.
07. Bend The Clock (07:24)
E – come, a questo, punto ci saremmo aspettati – il ruolo di “Through Her Eyes” all’interno di “Parasomnia” è preso proprio da “Bend The Clock”: una ballata che sprizza Dream Theater da tutti i pori.
La chitarra acustica di Petrucci, suonata sul piano di Rudess fa da tappeto, un Portnoy pacato e quasi melodico accompagna dalle retrovie ritmiche incastrandosi perfettamente con il basso di Myung. Per finire, troviamo un James La Brie che – nonostante i sessanta anni suonati – ci mette tanta anima e tanto talento, quasi ad azzittire le innumerevoli critiche sul suo stile canoro che i sedicenti vocal coach da tastiera condividono giornalmente sul web.
Il brano altro non è che la disperata preghiera di un uomo che vorrebbe solo riportare indietro il tempo, tessendone nuovamente le trame in modo da tornare al momento precedente l’inizio di questo massacrante dormiveglia.
Nonostante il lettore possa tracciare una vaga connessione con la precedente “Midnight Messiah”, si fa fatica a trovare un continuum narrativo all’interno dell’album e “Parasomnia” ha sempre il sapore di un concept album a metà, che non ci ha creduto fino in fondo.
08. The Shadow Man Incident (19:32)
La chiusura dell’album è affidata a “The Shadow Man Incident”, aperta da un triste carillon che introduce le diverse sezioni del brano, vincitore a mani basse – con una durata di quasi venti minuti – del premio di brano più lungo di “Parasomnia”.
Dal punto di vista strumentale il pezzo è sicuramente ben scritto e assolve perfettamente al ruolo di chiusura che gli viene dato anche se, in alcuni passaggi, risulta fuori dalle corde di un non più giovanissimo James LaBrie, che fisiologicamente fatica a star dietro a raschiati più aggressivi.
Il testo di “The Shadow Man Incident” introduce un’oscura figura: un essere senza faccia, alto più di due metri con un cappello nero; un intruso all’interno della stanza, la cui presenza è ben percepita dal dormiente protagonista del brano e le cui eteree fattezze possono essere intraviste osservando la copertina dell’album.
La connessione tra il losco figuro e i precedenti brani non è chiara e non ci è dato sapere se questo fantomatico uomo nero abbia qualcosa a che fare con il delitto descritto in “Dead Asleep” o se faccia solamente parte del susseguirsi di incubi e allucinazioni che tormentano il dormiveglia dello sfortunato protagonista.
Il suono metallico e fastidioso di una sveglia ci riporta finalmente nel mondo della realtà, mentre una voce ci ordina di svegliarci; il percorso introspettivo, attraverso una notte di incubi, è finito e il protagonista può tornare alla sua vita normale svegliato dal rumore delle macchine e della giornata che inizia.