ENTOMBED: I Signori della Morte

Pubblicato il 11/02/2009

INTRODUZIONE

A cura di Luca Pessina
In tempi di download selvaggio, ascolti distratti e musica usa e getta, può spesso capitare di non avere ben presente lo sviluppo di un genere musicale o di conoscere superficialmente la storia di un gruppo che ha effettivamente gettato le basi del suddetto e, successivamente, influenzato più o meno direttamente centinaia di altre formazioni. In questo speciale – costituito da una biografia, dalle recensioni delle pubblicazioni principali e da un’intervista con il frontman Lars Goran Petrov – ripercorreremo la storia dei seminali Entombed, un tempo re incontrastati del death metal svedese e, in seguito, inventori del cosiddetto death’n’roll. Dagli esordi sino a oggi, la band si è (quasi) sempre resa protagonista di album di valore e di scelte coraggiose e/o rivoluzionarie, che, anche a distanza di anni, non possono essere ignorate nè sottovalutate. Dunque mettetevi comodi e preparatevi a un viaggio nel tempo, destinazione 1987, quando la Svezia – musicalmente parlando – era ancora considerata da tutti una nazione pacifica e innocente, quasi del tutto estranea al mondo metal…
 

LA STORIA

L’ERA NIHILIST

1987, Stoccolma, Svezia. Un gruppo di ragazzini nati e cresciuti nei sobborghi della capitale svedese, tutti reduci da brevi esperienze in band punk/hardcore e thrash-death alle prime armi, iniziano a suonare assieme. Nascono i Nihilist. E le porte dell’inferno si aprono. Il gruppo è guidato dal polistrumentista quattordicenne Nicke Andersson, un giovane attivissimo nella scena locale, in grado di suonare sia la chitarra che la batteria. Al suo fianco ci sono Leif Cuzner, Alex Hellid, Uffe Cederlund e Lars Goran Petrov, questi ultimi due compagni di scuola conosciuti tramite un annuncio affisso nel mitico Heavy Sound, negozio di dischi/ritrovo/mecca dell’emergente scena metal di Stoccolma. Ispirandosi ai colossi thrash dell’epoca (Slayer, Kreator) e dalle primissime realtà death metal (Autopsy, Death, Repulsion), nonchè prendendo come esempio i conterranei Merciless e Morbid (dei quali facevano parte sia Cederlund che Petrov), che da poco avevano rilasciato le loro primissime registrazioni, i Nihilist compongono e incidono in breve tempo il loro primo demo-tape, “Premature Autopsy”. Il suono è grezzissimo, l’esecuzione a tratti un po’ approssimativa, ma qua e là si sentono delle intuizioni decisamente “avanti” per l’epoca, come strutture poco convenzionali e un groove di estrazione punk/hardcore che fanno subito segnalare i Nihilist come una formazione a sè stante nel giovane panorama locale. In questo periodo, i cambi di lineup all’interno della band sono però all’ordine del giorno: Andersson desidera che le persone coinvolte nel gruppo si dedichino a esso al 100%, ma, essendo la scena in continuo fermento e piena di opportunità, è dura riuscire ad ottenere il massimo dell’attenzione da tutti. Proprio per questo motivo, Cederlund – che, assieme a Petrov, viene inspiegabilmente citato nel libretto di “Premature…” come semplice turnista – abbandona per concentrarsi su altri progetti. Nel dicembre del 1988, giunge il momento di registrare un nuovo demo. Seguendo l’esempio dei Morbid, i nostri decidono di registrare negli allora semi-sconosciuti Sunlight Studios, scelta che si rivelerà poi cruciale per la loro carriera. A questo punto i Nihilist sono formati da Andersson alla batteria, Hellid e Cuzner alle chitarre, Petrov alla voce e dal nuovo arrivato Johnny Hedlund al basso. Tre giorni di intense registrazioni partoriscono “Only Shreds Remain”, oggi considerato come il primo, vero esempio di swedish death metal realizzato. Rispetto al precedente lavoro, i passi in avanti sono enormi: il riffing è più vario, compatto e preciso, il growling di Petrov cupo e spietato, le strutture dei pezzi ancora più elaborate. A rendere l’opera ulteriormente unica, ci pensa il suono di chitarra adottato dai ragazzi: un suono saturo e graffiante come nessun’altro al mondo, che quasi subito viene paragonato a quello di una motosega. Con “Only Shreds Remain”, i Nihilist diventano la punta di diamante della neonata scena death metal svedese e iniziano immediatamente a fare proseliti tra i loro amici e colleghi. Nonostante la loro popolarità sia assolutamente in ascesa, il gruppo continua però a conoscere problemi di lineup: Cuzner, infatti, decide di trasferirsi in Canada per motivi di studio. Il posto di secondo chitarrista, tuttavia, non rimane vacante a lungo: Uffe Cederlund torna infatti a farsi sentire con Andersson e di lì a poco i Nihilist hanno di nuovo una formazione al completo. Non ci vuole molto affinchè l’iperattiva mente di Andersson partorisca nuovo materiale e, infatti, a circa un anno di distanza da “Only…”, il quintetto rientra in studio per confezionare un terzo demo-tape, “Drowned”. Ancora una volta, si assiste a un ulteriore passo in avanti in termini di songwriting e capacità tecniche (soprattutto nel drumming di Andersson). I Nihilist sono ormai una realtà consolidata e attorno ai nostri si inizia a discutere di contratti discografici. Ma, per l’ennesima volta nella loro breve carriera, i ragazzi devono fare i conti con le loro personalità esuberanti e la loro immaturità (certamente comprensibile, vista la giovanissima età). Hedlund inizia a palesare un crescente interesse per la mitologia vichinga e inizia a proporre materiale dal taglio piuttosto differente da quello tipico dei Nihilist. Ad Andersson ovviamente la cosa non va giù, ma, avendo paura di “licenziare” Hedlund (quest’ultimo è ben più grande di lui!), decide di sciogliere il gruppo. A questo punto, Hedlund fonda gli Unleashed, mentre Andersson e gli altri ragazzi – una volta certi di essersi sbarazzati del bassista – resuscitano la band e la ribattezzano con un nome che nel giro di pochi mesi sarebbe diventato leggendario: Entombed.

LA VITA VA AVANTI…

E’ il 1989 e gli Entombed sono ormai pronti a compiere il definitivo salto di qualità. Il demo “But Life Goes On”, il primo e unico a nome Entombed, viene registrato con l’aiuto di David Blomqvist degli amici Dismember al basso e subito scatena un putiferio nell’underground. Le offerte di contratto iniziano a piovere sulla band, la quale però decide di pazientare, sino a quando – come la leggenda narra – Andersson riceve una telefonata da David Vincent dei Morbid Angel, in quei giorni in visita al quartier generale della Earache Records in Inghilterra. Vincent e il proprietario della label, Digby Pearson, si complimentano con il drummer e insistono affinchè la band firmi per Earache. Le due parti raggiungono in breve tempo un accordo e gli Entombed iniziano a prepararsi per spiccare il volo. Il 4 novembre 1989 la band tiene a Rinkeby il primo concerto della sua storia con il nuovo monicker e subito dopo di esso decide di prendersi una pausa di un mese per dare gli ultimi ritocchi al suo repertorio, scrivere una manciata di nuovi pezzi e prepararsi a entrare nei Sunlight Studios per registrare quello che diventerà il lavoro più importante della sua carriera, nonchè uno dei death metal album più importanti di sempre.

“LEFT HAND PATH”

A questo punto della loro carriera, gli Entombed non hanno un bassista fisso, ma per le registrazioni del loro attesissimo debut album, i ragazzi decidono di non tergiversare troppo: le parti di basso vengono registrate da Andersson e da Cederlund e, nel giro di qualche weekend, “Left Hand Path” prende finalmente forma. La tracklist in gran parte consta di pezzi dei demo tirati a lucido, ma ovviamente c’è anche spazio per delle tracce inedite. Su tutte, la title track, il brano principe dell’album, che da lì a poco diventerà il classico numero 1 del repertorio del gruppo, nonchè uno dei brani più celebri dell’intero movimento death metal. Con “Left Hand Path”, gli Entombed mettono in mostra un songwriting di livello ormai sopraffino, baciato da quei suoni inconfondibili che sempre più formazioni provenienti da ogni angolo del pianeta stanno già cercando di imitare. La concorrenza locale viene sbriciolata in maniera definitiva e gli Entombed si impongono prepotentemente all’attenzione del pubblico europeo e internazionale. La Earache Records allestisce una campagna promozionale di dimensioni imponenti che, abbinata al passaparola degli appassionati, porta i nostri direttamente in cima alla scena death metal mondiale, assieme a capiscuola del panorama statunitense come Morbid Angel e Death. Il successo di “Left Hand Path” cambia definitivamente il volto dell’underground svedese e fa la fortuna di tutti quei gruppi dell’area di Stoccolma che sino ad allora non erano mai riusciti a farsi notare tanto quando Andersson e compagni. Nell’arco di breve tempo, Carnage/Dismember, Treblinka/Tiamat, Grave, Therion, Unleashed e decine di altre formazioni vengono messe sotto contratto da etichette più o meno importanti (Century Media, Nuclear Blast, etc), le quali, fiutato l’affare, iniziano a bombardare i fan con una serie di pubblicazioni che avrebbero poi gettato ulteriori fondamenta e fatto la storia del vero swedish death metal. Quattro ragazzini diciassettenni e il loro album di debutto si ritrovano quindi, quasi inconsapevolmente, a essere al centro dell’attenzione di letteralmente migliaia di appassionati di musica estrema, che li indicano come vere e proprie icone e sovrani incontrastati di un genere, nonostante la loro carriera sia iniziata soltanto un paio d’anni addietro.

SULLA CRESTA DELL’ONDA

“Left Hand Path” vende migliaia di copie in tutto il mondo e, verso la fine del 1990, l’attesa per il suo successore inizia a farsi spasmodica. Il gruppo ha trovato un bassista a tempo pieno nella persona di Lars Rosenberg dei Carbonized e ha in programma di registrare un EP come antipasto in vista del prossimo full-length e di un tour europeo previsto per l’inizio del 1991. Durante le festività natalizie, accade però l’imprevedibile: Andersson, convinto che LG Petrov stia cercando di soffiargli la ragazza, caccia quest’ultimo dalla band e gli Entombed si ritrovano all’improvviso senza un frontman. Le registrazioni e il tour però sono incombenti e allora il batterista chiede aiuto a Orvar Safstrom, cantante dei Nirvana 2002, allora vero e proprio gruppo di culto dell’underground svedese. Safstrom raggiunge gli Entombed a Stoccolma e incide le linee vocali per l’EP “Crawl”. Il risultato finale, a livello di resa sonora, non è dei migliori, certamente inferiore a qualsiasi cosa contenuta su “Left Hand Path”, ma il lavoro centra comunque l’obiettivo di mantenere sulla bocca di tutti il nome degli Entombed, i quali, come previsto, partono poi per un tour europeo assieme agli olandesi Asphyx. Dopo questa serie di date, ha inizio un periodo di ulteriori e frenetici cambiamenti per il gruppo. Nell’estate del 1991, viene reclutato come nuovo frontman a tempo pieno Johnny Dordevic, già bassista dei Carnage. Il ragazzo è amico di lunga data di Andersson, ma ha un piccolo problema: non sa cantare in growl! Incredibilmente, Andersson se ne rende conto solo quando la band è ormai già in studio per registrare il suo attesissimo nuovo disco, “Clandestine”. Ed è qui che il funambolico batterista/songwriter decide di affrontare la questione di petto, cimentandosi, peraltro in maniera più che convincente, con il growling. “Clandestine” viene dunque registrato regolarmente e, almeno all’inizio, i nostri decidono di fare mistero del fatto che le linee vocali siano tutto fuorchè opera di Dordevic, il quale appare comunque nelle foto e nelle note del disco! L’album, proprio come il suo predecessore, ottiene un enorme successo e consolida, se mai ce ne fosse stato il bisogno, lo status degli Entombed di leader della scena death metal svedese e mondiale. Rispetto a “Left Hand Path”, le strutture dei brani appaiono maggiormente complesse e i suoni più nitidi e levigati. Tuttavia, la band perde poco o niente della sua potenza, riuscendo a entusiasmare vecchi e nuovi fan. Andersson, ancora una volta, spicca su tutto con una performance alla batteria di altissimo livello. Gli ultimi mesi del 1991 e la prima parte del 1992 vengono spesi dalla band per promuovere “Clandestine”, anche se il fatto di non avere un cantante fisso frena parecchio le loro ambizioni. Per fortuna, in previsione dello storico Gods Of Grind Tour della primavera del 1992 con i Carcass, LG Petrov viene riaccolto nella band e gli Entombed tornano finalmente a esibirsi come vorrebbero, mietendo consensi ovunque. La lineup ora è di nuovo solida, l’atmosfera all’interno di essa non è mai stata tanto serena e gli obiettivi sono i medesimi per ognuno dei ragazzi. Il 1993, intanto, sta per arrivare…

DEATH’N’ROLL

Nonostante il ritorno di Petrov, durante l’anno seguente si fanno piuttosto insistenti le voci che vogliono gli Entombed sul punto di abbandonare quel death metal che tanto li ha resi popolari. Effettivamente, almeno per i cosiddetti puristi, i segnali non sono incoraggianti: la Earache Records ha infatti iniziato da poco a collaborare con il colosso major Columbia, mentre, almeno dalle parti di Stoccolma, è ormai noto che Andersson stia sviluppando una grande passione per il più classico rock’n’roll. In ogni caso, in casa Entombed i lavori sul terzo full-length procedono senza sosta, tanto che il gruppo si ritrova ben presto con una buona quantità di materiale pronto. Viene presa la decisione di dare alle stampe un nuovo EP, “Hollowman”, che finalmente getta luce su cosa il quintetto abbia in mente per il suo futuro. Il sound è sporco quasi tanto quanto quello degli esordi, ma le strutture dei pezzi e anche qualche riff qua e là appaiono palesemente ispirati a sonorità rock o punk/hardcore. Anche Petrov, pur urlando, dà al tutto un taglio più diretto e comprensibile. Tuttavia, il materiale proposto continua notevolmente a “spaccare” e a mantenere numerosi punti di contatto con il death metal, tanto che non sono poi moltissimi coloro tra i fan a storcere davvero il naso. Si inizia a parlare di death’n’roll e la definitiva esplosione di questo termine avviene, come ovvio, con l’arrivo nei negozi – nell’ottobre del ’93 – di “Wolverine Blues”! Il disco naturalmente scontenta qualche supporter della prima ora, ma, in generale, ottiene un successo immenso, portando gli Entombed su livelli di notorietà considerevoli anche al di fuori della scena puramente death. La qualità dell’album, del resto, è sotto gli occhi di tutti, ma anche la Earache Records ci mette il suo zampino, insistendo per promuoverlo abbinandolo – almeno inizialmente – al famoso fumetto della Marvel Comics “Wolverine”, letto da migliaia di persone in tutto il mondo. Ed è qui che iniziano gli screzi fra gli Entombed e l’etichetta britannica: il titolo del disco, infatti, non è per niente ispirato al fumetto, nè la band desidera averci qualcosa a che fare. La Earache però costringe i nostri a fare buon viso a cattivo gioco, tanto che i cinque finiscono persino per realizzare un videoclip per la title track con il supereroe come protagonista. Il successo degli Entombed a questo punto è inarrestabile: “Wolverine Blues” vende rapidamente ben oltre le 200’000 copie e il gruppo va più volte in tour, non lasciandosi rallentare nemmeno dallo split con il bassista Lars Rosenberg, che viene allontanato nel 1995 per apparente menefreghismo e prontamente rimpiazzato da Jörgen Sandström, ex bassista/cantante degli amici Grave. In questo periodo il ciclo promozionale per “Wolverine Blues” è in via di esaurimento e il gruppo è ormai un nome di prima grandezza della scena metal nella sua totalità. Non ci vuole quindi molto affinchè la East West, sub label della major Warner, contatti gli Entombed e li metta sotto contratto per la pubblicazione del loro prossimo album. Ancora una volta, i nostri si mettono d’impegno e per il 1996 producono un nuovo lavoro in studio, “To Ride, Shoot Straight And Speak The Truth”. Il disco, praticamente pronto per essere mandato in stampa, non viene però gradito dai tipi della East West, che, forse già stanchi di avere a che fare con una metal band di questo tipo, decidono alla fine di non pubblicarlo, lasciando libera la band. Quest’ultima si ritrova così con un disco pronto, ma senza un contratto. Nasce perciò l’idea di dar vita a una propria casa discografica, la Threeman Recordings, tramite la quale dare il lavoro in licenza a etichette più grosse. Viene scelta la Music For Nations, per la quale “To Ride…” viene finalmente pubblicato verso la fine del 1997. Come prevedibile, il sound proposto non è lontano anni luce da quello di “Wolverine Blues”, anche se è semplicissimo notare come gli Entombed provino qui a esprimersi su tempi più lenti e a progredire ulteriormente in termini di immediatezza e orecchiabilità rock’n’roll, facendo spesso infuriare i fan della prima ora. Alla pubblicazione, seguono numerosi e fortunati tour sia in Europa che negli USA assieme a formazioni di vario tipo come Obituary, Machine Head o Neurosis.

L’ADDIO AD ANDERSSON E IL PASSO FALSO

Poco prima dell’inizio della campagna promozionale di supporto a “To Ride…” ha però luogo il più importante cambio di lineup della storia degli Entombed. Nicke Andersson, il fondatore e indiscusso leader della band, decide infatti di andarsene, per concentrarsi a tempo pieno sul suo progetto rock’n’roll The Hellacopters, nato solo pochi anni prima, ma già sulla cresta dell’onda in Scandinavia, dove i due full-length pubblicati sino ad allora sono entrati nelle classifiche di vendita, facendo diventare il gruppo un vero e proprio fenomeno. E’ un brutto colpo per gli Entombed, anche se non si può certo dire che lo split non fosse nell’aria da qualche tempo, visto che Andersson negli ultimi anni aveva sempre più spesso palesato un grande amore per quelle sonorità. Può darsi che la disavventura con la East West abbia definitivamente fatto perdere al batterista la voglia di suonare negli Entombed. In ogni caso, il gruppo riesce a reclutare un sostituto – Peter Stjärnvind (Unanimated, Face Down, Merciless) – in tempi brevi e, come accennato, si imbarca in diversi tour in giro per il mondo. E’ ormai il tardo 1998 quando la band decide di dare a “To Ride…” un successore. Questa volta i nostri scelgono di lavorare con Daniel Rey, abbandonando quindi i Sunlight Studios di Tomas Skogsberg, nei quali erano stati registrati tutti i precedenti lavori della discografia. In questo periodo è Uffe Cederlund il songwriter principale all’interno della lineup: il chitarrista, un po’ come il suo ex compagno Andersson, ha ampliato notevolmente i suoi gusti musicali nel corso degli anni e, chiamato a comporre quasi per intero il nuovo album, arriva a proporre un lotto di pezzi che lascia disorientati anche i fan più fedeli del quintetto. “Same Difference”, questo il titolo del lavoro, offre infatti un sound che ormai di metal/death metal non ha quasi più nulla. Al contrario, sono parecchi i riferimenti al rock puro e semplice e, addirittura, a certo post grunge. Al di là della marcata virata stilistica, sono proprio le composizioni di per sè – spente e spesso poco ispirate – a non lasciare il segno, facendo cadere nello sconforto l’intera fan-base del gruppo, che ripetutamente grida allo scandalo.

LA RISALITA

Fortunatamente, i tour di supporto a “Same Difference” (con Meshuggah e Skinlab, fra gli altri), ricementano l’affiatamento in seno alla lineup e portano gli Entombed a rivedere, almeno in parte, le loro posizioni in merito a quale direzione stilistica imboccare in futuro. Il gruppo decide coscienziosamente di registrare il prima possibile un lavoro molto più crudo ed heavy del suo predecessore, affidandosi all’amico Nico Elgstrand per quanto riguarda la produzione. In soli 18 giorni di registrazioni, viene così confezionato “Uprising”, platter che viene pubblicato nel 2000 e che presenta ai fan una band ancora una volta lontana dalla ferocia death metal degli esordi, tuttavia ben più compatta e arrabbiata di quella che aveva inciso “Same Difference”. Il disco offre un incendiario e sguaiato cocktail di stoner, death’n’roll e groove sabbathiano che riporta il gruppo su coordinate musicali a lui più consone, finendo per diventare ben presto l’ennesimo grande successo della formazione svedese, la quale si imbarca poi in un tour da headliner e in un altro di supporto nientemeno che agli Iron Maiden. Ha dunque inizio un nuovo fortunato periodo per la band, che culmina, circa un anno e mezzo dopo, nella pubblicazione dell’ottimo “Morning Star”, album che prende palesemente le mosse da dove “Uprising” si era concluso, aumentando però i riferimenti agli esordi dei nostri, che si manifestano in ritmiche a volte dal taglio slayeriano e in distorsioni ben più corpose rispetto a quelle adottate nel passato recente. Il feedback da parte di media e fan è decisamente positivo e da più parti si torna a parlare degli Entombed come una forza di prima grandezza della scena metal internazionale.

I GIORNI NOSTRI – ALTI E BASSI

Terminato il tour promozionale di supporto a “Morning Star”, gli Entombed continuano a rimanere in un modo o nell’altro sulla bocca degli appassionati, per via di concerti singoli di buon successo e, soprattutto, della pubblicazione della compilation “Sons of Satan Praise The Lord” (2002), che raccoglie numerose cover songs a opera della band. Sempre nel corso del 2002, gli Entombed tengono anche uno show presso la Swedish Royal Opera House con il Royal Ballet Ensemble: probabilmente il primo incontro tra death metal e balletto classico della storia della musica, che verrà successivamente immortalato nel live album “Unreal Estate” (uscito nel 2004). Ancora entusiasti per i responsi ottenuti da “Morning Star”, i nostri decidono forse di forzare un po’ i tempi per la pubblicazione di un nuovo album. Nel 2003 esce “Inferno” e il disco, pur non toccando certo i penosi livelli di “Same Difference”, non riesce a convincere tutti i supporter, a causa di un songwriting a tratti un po’ impacciato, che rilegge il sound di “Morning Star” in maniera meno dinamica e ispirata. Comunque, in questo periodo il gruppo suona spesso in Europa, riuscendo quasi sempre a riscuotere un buon successo. Nel gennaio 2004, con l’abbandono del bassista Jörgen Sandström – che viene rimpiazzato dal vecchio amico Nico Elgstrand – comincia invece un periodo di relativa inattività per gli Entombed: non esistono piani immediati per la registrazione di un nuovo album e in seno al gruppo iniziano a manifestarsi dei problemi che verranno poi risolti con un profondo cambio di lineup. Sandström lascia appunto il gruppo perchè stanco della vita on the road, mentre, nel settembre 2005, è Uffe Cederlund ad andarsene (o a essere allontanato, a seconda di chi interpellate). Il chitarrista sostiene di essere scontento della situazione interna alla band e della direzione stilistica, mentre gli altri membri lo accusano di scarso impegno e di avere seri problemi di alcolismo, che spesso degenerano in situazioni spiacevoli. Sta di fatto che gli Entombed finiscono per ritrovarsi senza un chitarrista, nonchè uno dei loro principali compositori. Cederlund, tuttavia, non viene rimpiazzato e la band opta per continuare come quartetto, affidando ogni parte di chitarra al buon Alex Hellid. Proprio quest’ultimo, assieme al fido LG Petrov, diventa il leader della formazione, che, nel biennio 2006-2007, torna nuovamente a fare sul serio. Per prima cosa, viene dato alle stampe l’EP “When In Sodom”, poi, una volta sostituito il drummer Peter Stjärnvind con Olle Dahlstedt (Misery Loves Co.), i nostri si imbarcano nel già leggendario Masters Of Death Tour con gli amici di vecchia data Dismember, Grave e Unleashed. Una serie di date che riscuote un grandissimo successo e che porta i nostri a essere nuovamente carichi per il confezionamento di un nuovo full-length. “Serpent Saints – The Ten Amendments” arriva nei negozi a metà 2007 e vede gli Entombed rispolverare alcuni dei loro vecchi trademark per un solido disco metal che in varie circostanze riporta alla mente lavori come “Morning Star” o persino “Wolverine Blues”. Sono forse definitivamente lontani i fasti dei primi anni ’90, tuttavia, anche in questa ennesima nuova incarnazione, il gruppo non smette di far parlare di sè, rimanendo un punto di riferimento per numerosi appassionati.
Eccoci quindi finalmente giunti ai giorni nostri. A oggi, non sono completamente chiari i piani dei quattro svedesi, ma è certo che gli Entombed sono ancora vivi e vegeti e che il 2009 sancirà il ventesimo anno della loro fondazione. A sentire LG Petrov nell’intervista che segue, non verrà organizzata alcuna iniziativa particolare per celebrare l’evento… ma pazienza, ci basterà rivedere on stage la band e godere delle varie “Supposed To Rot” o “Sinners Bleed” per ricordarci di cosa i nostri abbiano fatto per il nostro genere musicale preferito.

INTERVISTA A LG PETROV

A cura di Luca Pessina
Vent’anni di death metal (pure di più, se consideriamo gli esordi a nome Nihilist) non sono bruscolini. Gli Entombed hanno fatto la storia di questo genere, riuscendo a ritagliarsi un bello spazio anche in circuiti mainstream, grazie a lavori più accessibili e all’avanguardia come “Wolverine Blues”. Normale quindi che, dopo tutto questo tempo, il loro nome continui a essere sulla bocca di tutti gli appassionati, giovani e meno giovani. A vent’anni di distanza dalla fondazione ufficiale, giusto dunque fare il punto della situazione con una delle loro figure principali, il frontman Lars Goran Petrov. Di seguito il resoconto di un breve botta e risposta condotto con il cantante svedese…
INIZIAMO DA UNA SEMPLICE CURIOSITA’: A CHI VENNE L’IDEA DI SCATTARE LE FOTO PROMOZIONALI PER “LEFT HAND PATH” DI FRONTE ALLA CROCE DEL PARCO DI SKOGSKYRKOGARDEN? PER QUANTO MI RIGUARDA, QUELL’IMMAGINE RIASSUME PERFETTAMENTE IL CONCETTO DI DEATH METAL E DI CIO’ CHE PROPONEVATE VOI A QUEI TEMPI…
“Ti ringrazio! La risposta è semplice: noi tutti vivevamo nella zona e abbiamo sempre avuto chiaro in mente che saremmo andati là per scattare le foto per l’album. Un posto perfetto, pieno di tombe (ride, ndR)! Inoltre quel giorno stava nevicando e la neve contribuì a ricreare un’atmosfera ancora più maligna. Non è un caso che decidemmo di filmare lì anche il video per ‘Left Hand Path'”.
DAI VOSTRI ESORDI LA LINEUP E’ CAMBIATA NUMEROSE VOLTE. SIETE ANCORA I CONTATTO CON TUTTI GLI EX MEMBRI?
“Più o meno sì, non sempre ci siamo lasciati litigando. Del resto, è anche normale che in tutti questi anni la formazione sia cambiata… ci vuole una certa perseveranza per continuare a fare quello che facciamo”.
AVETE PRIMA SUPERATO LO SPLIT DA NICKE ANDERSSON, POI, SOLO POCHI ANNI FA, QUELLO CON UFFE CEDERLUND. ENTRAMBI ERANO CONSIDERATI DELLE COLONNE PORTANTI DELLA BAND. AVETE MAI PENSATO ALLO SCIOGLIMENTO? COME AVETE AFFRONTATO QUESTE SEPARAZIONI?
“Non abbiamo davvero mai pensato di scioglierci! Se uno se ne vuole andare, questo è solo un suo problema. Noi rimaniamo gli Entombed. Ora, comunque, abbiamo una lineup molto solida e ci stiamo divertendo parecchio”.
DOPO LO SPLIT CON UFFE AVETE DECISO DI PROSEGUIRE COME QUARTETTO. NON PENSATE PROPRIO DI CERCARE UN ALTRO CHITARRISTA?
“Per ora siamo abbastanza soddisfatti di avere Alex come unico chitarrista, ma non escludiamo l’allargamento della lineup. Si tratta solamente di trovare qualcuno in grado di suonare con noi… deve essere motivato al 100%. Ovviamente questa persona non può essere Uffe (ride, ndR)!”.
“SERPENT SAINTS”, IL VOSTRO ULTIMO ALBUM, E’ ARRIVATO NEI NEGOZI CIRCA DUE ANNI FA. STATE LAVORANDO AL SUO SUCCESSORE?
“Sì, abbiamo iniziato da poco a scrivere nuovi riff e si tratta di death metal! Stiamo anche fissando delle nuove date live, quindi nei prossimi mesi dovremo cercare di trovare il tempo per comporre i nuovi pezzi. Vogliamo che il prossimo album venga molto heavy e aggressivo!”.
COME E’ CAMBIATA LA TUA ATTITUDINE VERSO LA MUSICA E LA VITA DAGLI ESORDI A OGGI? TI SENTI PIU’ ESPERTO E/O SAGGIO?
“Non è cambiato proprio niente, per quanto mi riguarda! Sono più vecchio, ma di certo non sono più saggio! Soltanto più ubriaco (ride, ndR)! L’importante per me è continuare a suonare e a divertirmi”.
A OGGI QUAL E’ IL TUO ALBUM PREFERITO DEGLI ENTOMBED?
“Oggi direi ‘Left Hand Path’, ‘Clandestine’ e ‘Serpent Saints’… ovvero quelli più aggressivi e death metal! L’unico che davvero mi fa schifo è ‘Same Difference’… una vera merda! Personalmente cerco di dimenticarlo. Non suoniamo nulla da quel disco”.
PARLIAMO DEI PUNTI PIU’ ALTI E PIU’ BASSI DELLA VOSTRA CARRIERA…
“Il punto più alto credo che dobbiamo ancora raggiungerlo! Sono una persona molto positiva, in questo senso. Comunque uno degli highlight è stato senz’altro la pubblicazione del primo album… un momento storico! Il punto più basso sono probabilmente state le registrazioni di ‘Same Difference’. Io non ho niente a che fare con quell’album… io voglio suonare death metal!”.
A LIVELLO DI CONCERTI SIETE SEMPRE STATI MOLTO ATTIVI. QUALE RICORDI CON PIU’ ENTUSIASMO?
“Sicuramente il Masters Of Death tour con tutti i nostri amici… ci siamo divertiti tantissimo! Poi le date con gli Iron Maiden nel 2000: grande band e bravissime persone… ci hanno regalato tutto quello che volevamo! In generale, adoro suonare live, sia nei club che ai festival. Mi diverto molto a questi ultimi… tante persone e tanta birra (ride, ndR)!”.
DEVE ESSERE DIFFICILE PER VOI SCEGLIERE I BRANI PER LA SCALETTA, AVENDO ORMAI COSI’ TANTI ALBUM…
“Cerchiamo di variare il più possibile, senza ovviamente trascurare i classici. Se siamo headliner, siamo soliti suonare circa venti pezzi… una sorta di best of!”.
ORA UN PO’ DI ALTRE CURIOSITA’: COME ACCOGLIESTE LA SCELTA DELLA EARACHE DI PROMUOVERE “WOLVERINE BLUES” ALLEGANDOLO AL FUMETTO “WOLVERINE”?
“Tutti la pensavamo in una maniera diversa. Personalmente, trovai la scelta geniale! Negli USA avevamo la Sony a promuoverci e con il fumetto riuscimmo a vendere circa 100’000 copie solo da quelle parti! Ho sempre amato Wolverine… ci invitarono persino a delle feste della casa editrice a New York!”.
HAI LETTO IL LIBRO “SWEDISH DEATH METAL”? CHE COSA NE PENSI?
“Non ho mai letto libri, ma credo che prima o poi lo leggerò. Farò bene a prepararmi a fare delle grasse risate (ride, ndR)!”.
NEL LIBRO NICKE ANDERSSON SOSTIENE CHE TI CACCIO’ DALLA BAND PRIMA DELLE REGISTRAZIONI DI “CLANDESTINE” PERCHE’ PENSAVA CHE CI STESSI PROVANDO CON LA SUA RAGAZZA. SONO PASSATI QUASI VENT’ANNI DA ALLORA… PUOI CONFERMARE?
“Ti giuro che non ricordo! Forse sì, forse no… ne parlerò con Nicke! Io non riesco a ricordare nulla del genere… all’epoca eravamo sempre ubriachi… esattamente come ora (ride, ndR)!”.
ASCOLTI BAND RECENTI? SEGUI LA SCENA METAL ATTUALE? QUELLA DEATH METAL E’ CAMBIATA MOLTO NEL CORSO DEGLI ANNI…
“Sì, è cambiata davvero tanto ed è difficile riuscire a seguirla con attenzione, esce troppa roba! Quando siamo in tour riceviamo numerosi demo da band underground che ci chiedono di dare loro un ascolto e qualche consiglio. Personalmente cerco sempre di ascoltare tutto, poi scrivo ai ragazzi una mail con i miei commenti. A volte positivi, altre volte no. Ma è importante essere onesti con un gruppo agli inizi. Ultimamente sto ascoltando spesso i Devastation, un ottimo gruppo di Chicago… old school as fuck!”.
IN VENT’ANNI DI ENTOMBED AVRETE STAMPATO DECINE DI MAGLIETTE E VARIO ALTRO MERCHANDISE. SEI SOLITO COLLEZIONARE TUTTO O SONO COSE CHE NON TI INTERESSANO?
“Ho perso il conto delle tshirt che abbiamo stampato! Ultimamente in tour portiamo con noi una decina di design diversi. Io non sono solito tenere tutto… mi limito alle cose più rare, come le magliette dei Nihilist”.
QUEST’ANNO FESTEGGERETE IL VENTESIMO ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE DELLA BAND. AVETE IN PROGRAMMA UN EVENTO SPECIALE, COME HANNO FATTO DI RECENTE I DISMEMBER?
“Se contiamo i Nihilist, suoniamo dal 1987, quindi si tratta di più di vent’anni! Comunque, non stiamo pensando ad alcun evento… vogliamo semplicemente andare avanti per la nostra strada e suonare metal. Mi hanno detto che la serata dei Dismember è stata molto speciale. Purtroppo non ho potuto presenziare… quella sera ero a Gothenburg a vedere gli Slayer e a cantare con gli Amon Amarth”.
CAPISCO… BENE, GRAZIE PER L’INTERVISTA, LG!
“Nessun problema, grazie a voi per il grande supporto!”.

SWEDISH DEATH METAL – IL LIBRO

Anche i death metallers legati alla scuola death metal svedese hanno la loro Bibbia. E questa si chiama, molto semplicemente, “Swedish Death Metal“. Scritto da Daniel Ekeroth – bassista/chitarrista di Tyrant e Insision, nonchè scrittore con un paio di saggi sul cinema alle spalle – il libro narra la storia della nascita e dell’esplosione della scena death metal svedese, dalla fine degli anni ’80 sino a circa la metà dei ’90, quando il death metal iniziò a dover seriamente fare i conti con il panorama black metal e quello “melodic death metal”, in quel periodo sul punto di esplodere anch’essi. Scritto nell’arco di 4 anni, ovviamente in inglese, “Swedish Death Metal” è un’opera mastodontica di 500 pagine colme di foto rarissime (oltre 500!), interviste a tutti i personaggi principali della scena (Nicke Andersson e Uffe Cederlund dei Nihilist/Entombed, Fred Estby e Matti Karki dei Dismember, Johan Edlund dei Treblinka/Tiamat, Ola Lindgren dei Grave, Fredrik Karlén dei Merciless, Johnny Hedlund degli Unleashed e decine di altri) e, addirittura, l’elenco completo – dalla A alla Z – di tutte le extreme metal band svedesi esistite, con tanto di discografia e breve commento da parte dell’autore. Essendo stato parte della scena sin dagli inizi, Ekeroth arricchisce il tutto con una serie impressionante di aneddoti e ponendo ai diretti protagonisti domande sempre interessanti, dettate ovviamente da una pura e sincera passione per l’argomento. Una lettura, insomma, altamente affascinante per chiunque straveda per il genere musicale in questione. Inoltre, essendo Ekeroth svedese, il libro è scritto in un inglese relativamente semplice e diretto, quindi anche coloro con una conoscenza della lingua solo sufficiente potrebbero riuscire ad apprezzarlo.
“In pratica, eravamo Erik, Stipen e io, nel 1986. Eravamo soliti sederci nella camera di Stipen nella casa dei suoi genitori e ascoltare Sodom, Bathory e Slayer. Presto realizzammo che dovevamo suonare anche noi quel tipo di musica”.
(Fredrik Karlén, Merciless)
“Eravamo solo un paio di amici che avevano iniziato a suonare in una band perchè non avevano altro da fare. Quando abbiamo disegnato il nostro primo logo, lo abbiamo riempito di qualsiasi cosa pensavamo fosse fica: ragnatele, ghiaccio, fuoco, un demone, 666, un pentagramma e una croce rovesciata!”.
(Johan Edlund, Treblinka/Tiamat)
“Eravamo solo tre ragazzi con skateboard, un paio di chitarre marce, una piccola stanza per le prove nella cantina dei miei genitori, la peggiore batteria di Nicke Andersson e un amplificatore da 30 watt”.
(Fred Estby, Dismember/Carnage)
“Abbiamo iniziato a suonare insieme quando avevamo 13 anni. L’unico fra noi che sapeva come maneggiare uno strumento era il nostro batterista Jensa, gli altri avevano soltanto imbracciato il primo strumento a caso e iniziato a fare headbanging. Eravamo solo dei ragazzi che volevano suonare metal, anche se non sapevamo come farlo”.
(Ola Lindgren, Grave)
“Ci appassionammo sempre di più alla musica estrema. Personalmente ero un grande fan di Possessed e Bathory a quel tempo. Ma è stato Tomas a farci conoscere la scena underground death metal e il tape trading. Dopo quello, tutto divenne estremamente più brutale e iniziammo a diventare seri riguardo a croci rovesciate e corpse-paint. La gente pensava che fossimo pazzi”.
(Kristian “Necrolord” Wåhlin, Grotesque/Liers in Wait/Decollation)
“Ricordo l’appuntamento prima del concerto di Exodus e Nuclear Assault nel 1989. I ragazzi di Nihilist, Treblinka e Nirvana 2002 stavano bevendo birra come al solito. Poi arrivarono i ragazzi di Gothenburg. Credimi, quei tipi erano pazzi. Tompa [Grotesque] era così ubriaco da non poter camminare e, se ben ricordo, qualcuno addirittura lo chiuse in un armadietto per un po’. Quella sera venne mandato quasi senza vita al pronto soccorso, dove gli venne praticata una lavanda gastrica. E quella era una notte come tante…”.
(Orvar Säfström, Nirvana 2002)

Per maggiori informazioni su “Swedish Death Metal“, visitate la pagina MySpace della Tamara Press, la casa editrice di Ekeroth.

LA CHITARRA “MOTOSEGA”

Siete dei chitarristi e volete ottenere il suono di chitarra “a motosega” tipico delle produzioni swedish death metal dei primi anni ’90? A quanto pare, il processo è piuttosto semplice. Dovete procurarvi una chitarra (meglio se Gibson), un pedale HM-2 Heavy Metal della Boss e regolare sul massimo tutte le spie di quest’ultimo! Il gioco è fatto! Daniel Ekeroth, autore del libro “Swedish Death Metal“, vi mostra come fare:

ENTOMBED – LEFT HAND PATH

ENTOMBED - Left Hand Path
Si potrebbero utilizzare tantissime parole per descrivere “Left Hand Path”. La prima che ci viene in mente, molto spontaneamente, è “capolavoro”. Perchè ascoltando e riascoltando questo disco – magari avendo davanti l’epocale copertina firmata da Dan Seagrave – non si riesce davvero a pensare che ci sia un elemento stonato o qualcosa che potesse essere sviluppata meglio. Come un puzzle, tutto è al proprio posto e tutto ha una funzione ben precisa. Bastano i sei minuti e mezzo della title track, da sempre il brano più famoso del repertorio dei death metallers di Stoccolma, a mettere in chiaro le cose e a lasciare chiunque a bocca aperta. E’ il 1989 e nessun’altra band al mondo suona come gli Entombed. L’attacco è ferocissimo e senza fronzoli, eppure perfettamente calibrato. Le chitarre godono di un suono mai udito prima di allora, distorte a tal punto da sembrare delle motoseghe, ma da esse riescono comunque a emergere degli incredibili spunti melodici, mentre la sezione ritmica tiene tutto sotto controllo con delle soluzioni secche e precise. A un primo ascolto, è sicuramente il micidiale impatto complessivo a colpire il fortunato ascoltatore, ma bastano poche fruizioni più attente per accorgersi che quella in questione sia una band fuori dal comune. Si noti infatti l’atipico sviluppo del brano: partenza senza compromessi, break cadenzato e già vagamente melodico, contro-break velocissimo e conclusione malinconica e liberatoria, con una punteggiatura di tastiere e un assolo di chitarra tra i più toccanti mai sentiti in questo campo. Il tutto, come dicevamo, confezionato in suoni ruvidissimi, eppure sempre ben lontani dal risultare pura cacofonia. Tomas Skogsberg raggiunge qui il punto più alto della sua carriera di produttore, trovando un bilanciamento praticamente perfetto tra tutti gli strumenti, senza però sacrificare un briciolo della genuina irruenza dei ragazzi. “Left Hand Path” colpisce dritto al cuore soprattutto perchè trattasi di un album “giovane”, composto e suonato da ragazzi ancora all’inizio della carriera, con tantissime idee, ma già in grado di ordinare queste ultime in canzoni di senso compiuto, che si fanno ricordare ben presto pur avendo dalla loro tantissimi riff e sezioni diverse. In questo senso, è forse il background punk/hardcore di alcuni dei membri del gruppo a giocare un ruolo fondamentale: gli Entombed a questo punto sono già una delle death metal band più brutali in circolazione, eppure la loro proposta è forte di un groove e di una (relativa) immediatezza che non ha eguali nella scena. Di conseguenza, i quaranta minuti dell’album volano via senza quasi che ce se renda conto, tanto si è presi dal frenetico succedersi dei riff e dal fluidissimo drumming di Nicke Andersson, in questo momento leader assoluto e unico compositore della formazione. Non va inoltre sottovalutata la performance dietro al microfono di LG Petrov, che prontamente si adegua all’andamento brutale ma catchy del materiale, tirando fuori un growling selvaggio, tuttavia sempre intellegibile. Con “Left Hand Path”, gli Entombed piombano insomma sulla scena death metal come un fulmine a ciel sereno: raramente un debut album è apparso tanto curato ed efficace, senza contare che in questo caso stiamo anche parlando di un disco forte una personalità sconvolgente, che di lì a poco influenzerà legioni di band e convertirà al death metal migliaia di appassionati. Grazie a “Left Hand Path” gli Entombed diventano un nome fondamentale per l’intero movimento (un titolo che gli resterà a vita), mentre la Svezia perde definitivamente la sua innocenza – già messa seriamente a repentaglio dall’esplosione dei Bathory – e inizia a farsi segnalare come la nuova Mecca della musica estrema, alla faccia di chi pensava che il massimo che la nazione scandinava potesse offrire in campo rock/metal fossero gli Europe! Nient’altro da aggiungere: se dovete possedere solo cinque dischi death metal nella vostra collezione, “Left Hand Path” deve assolutamente rientrare nella lista. Semplicemente fondamentale!

ENTOMBED – CLANDESTINE

ENTOMBED - Clandestine
Un album come “Left Hand Path” è imbattibile, e gli Entombed lo sanno bene. Di conseguenza, i nostri decidono di cambiare lievemente rotta, confezionando comunque un grandissimo disco come “Clandestine”. Stiamo parlando di un altro assoluto classico della band, che con questo lavoro consoliderà ulteriormente la sua leadership all’interno della scena death metal. Rispetto al mitico debut, Nicke Andersson e soci optano per una produzione un po’ più chiara e levigata, che ben si presta alla natura semi-progressiva di gran parte del materiale preparato per l’occasione. Pur non prendendo affatto le distanze dall’oltranzismo sonoro messo in mostra sin lì, gli Entombed si ripresentano insomma con un’opera dal taglio più tecnico e ragionato. Molti dei pezzi si basano sulle strutture più eleborate mai architettate sino ad allora dai nostri, il numero di riff utilizzati in ogni traccia è impressionante e il drumming di Andersson alterna costantemente finezze e le sue già tipiche soluzioni groovy. Ciò che più esalta, tuttavia, è la fantastica capacità del gruppo di risultare assolutamente catchy anche in un contesto come questo. Infatti, i continui cambi di tempo non limitano per nulla l’attitudine “in your face” della band, che in ogni episodio riesce a ritagliare il giusto spazio al groove e a parentesi di facile presa. Prova ne sono l’inconfondibile attacco di “Sinners Bleed” o i riff stoppati di “Stranger Aeons”, due futuri classici della formazione. Un elemento che non convince del tutto alcuni fan è invece rappresentato dalle linee vocali: a questo punto della carriera, il gruppo si è sbarazzato di LG Petrov e lo ha rimpiazzato con Johnny Dordevic dei Carnage. Sull’album però finisce per cantare Nicke Andersson, che solo una volta in studio si è reso conto che il nuovo arrivato non è affatto all’altezza della situazione. Il growling del batterista a tratti può apparire un pochino forzato, ma tutto sommato non si può dire che stoni con il materiale offerto. In ogni caso, è sicuro che con un Petrov dietro al microfono l’impatto generale dell’album sarebbe stato addirittura maggiore! Ma poco male, “Clandestine” non manca mai di palesare tutta la classe e la straordinaria personalità degli Entombed, che da qui in poi iniziano a essere considerati da tutti gli appassionati un nome a dir poco leggendario. Pochissimi anni di carriera, ma già due lavori favolosi alle spalle e uno stile che non mostra assolutamente segni di cedimento. Nel 1991, gli Entombed sono gli unici veri signori europei del death metal.

ENTOMBED – WOLVERINE BLUES

ENTOMBED - Wolverine Blues
Gli Entombed sono una band alla quale non piace ripetersi. E il bello è che qualsiasi cosa i nostri partoriscano nei loro primi anni di carriera finisce per diventare un indiscusso classico destinato a influenzare numerose formazioni a venire. Non contenti di aver creato da zero il death metal made in Sweden e di aver gettato le fondamenta di tutta la loro scena, gli Entombed nel 1993 decidono che ciò non era abbastanza e si propongono di regalare al panorama metal mondiale uno stile e un sotto-genere tutto nuovo, che di lì a poco verrà battezzato death’n’roll. Cresciuti anche a grosse dosi di punk/hardcore e rock’n’roll, i nostri, per certi versi, non sono mai stati dei puri death metallers. Nel loro terzo full-length, scelgono quindi di fondere finalmente tutte le loro influenze in maniera più chiara e concreta. Così, pur mantenendo una facciata assolutamente aggressiva – con le sue tipiche distorsioni e un’irruenza notevole – il gruppo inizia a dare spazio nel suo sound a soluzioni ed elementi presi di peso dai suddetti generi, dando perciò vita a uno stile completamente nuovo. Come accaduto per “Left Hand Path”, il contenuto del disco viene subito svelato in tutto il suo splendore dalla traccia apripista, ancora una volta dotata di un tiro allucinante. “Eyemaster” attacca con una interlocutoria parte cadenzata, che mette comunque in luce la crescente abilità di Nicke Andersson dietro le pelli, ormai un mostro di groove e imprevedibilità. Pochi secondi per far acclimatare l’ascoltatore e poi arriva il momento di un riff hardcore semplicemente “bastardo”, che, in uptempo, fra break melodici “stradaioli”, continui assoli di Alex Hellid e azzeccatissime linee vocali a opera di un ritrovato LG Petrov, finisce per condurre tutto il pezzo con un piglio a dir poco autoritario. Ma non è finita qui, perchè poco più avanti nel platter si arriva a perdere letteralmente il conto deelle hit che la band riesce a sfornare. La title track, “Demon”, “Full Of Hell”, “Out Of Hand”… brani perfettamente strutturati, concisi e ficcanti come mai prima d’ora, che uno dopo l’altro fanno ricredere anche i fan più scettici e spaventati. L’aggressività c’è, la velocità pure, ma ora gli Entombed si esprimono come un gruppo rock’n’roll, venendo subito al dunque e facendo in modo che ogni singolo passaggio risulti memorabile sin dal primo ascolto. Un cocktail di influenze che all’epoca della pubblicazione del lavoro non ha eguali. Gli Entombed di “Wolverine Blues” dimostrano come ci si possa evolvere e inglobare elementi nuovi senza perdere lo spirito originale della propria musica. “Wolverine Blues” è IL disco death’n’roll, nonchè il disco che pone definitivamente i nostri all’attenzione del grande pubblico: non solo una death metal band… gli Entombed sono una realtà di prima grandezza di tutto il panorama metal.

ENTOMBED – TO RIDE, SHOOT STRAIGHT AND SPEAK THE TRUTH

ENTOMBED - To Ride, Shoot Straight And Speak The Truth
E’ facile notare come, nei primi anni della loro carriera, gli Entombed alternino pubblicazioni assolutamente innovative ad altre che, pur presentando sempre qualche novità, cercano di consolidare e raffinare quanto espresso nel lavoro precedente. Era stato così per “Clandestine”, il successore di “Left Hand Path”, e avviene lo stesso su “To Ride Shoot Straight And Speak The Truth”, album che ha il duro compito di succedere all’apprezzatissimo “Wolverine Blues”. Anch’esso molto immediato e stra-ricco di groove, “To Ride…” prende lo stile di “Wolverine Blues” e lo immerge in strutture ancor più dirette e quasi sempre di puro stampo hard rock. Le ritmiche si fanno per lo più cadenzate, lasciando ben poco spazio a quelle accelerazioni che comunque continuavano a fare capolino in parecchie tracce del disco precedente. In generale, una certa carica e un tiro adeguato al nome che il gruppo porta non vengono quasi mai meno, tuttavia pare ovvio che gli Entombed cerchino qui di prendere ulteriormente le distanze dal metal estremo per avvicinarsi a quelle soluzioni di facile presa care a quelle band per cui Nicke Andersson nutre da qualche tempo una grossa passione (Motorhead, Kiss, etc). Ovviamente, anche LG Petrov si adegua all’ormai consolidato nuovo stile del gruppo, inserendo molta più melodia nelle sue linee vocali e arrivando in certi pezzi a utilizzare del cantato vero e proprio (anche se sporco). Un disco, insomma, destinato a dividere fan e critica, ma che tuttavia, almeno sotto il puro profilo delle composizioni, ha qualità da vendere. Normale che i fan della prima ora rimangano spiazzati da un tale dispendio di orecchiabilità, ma, se non si bada troppo al nome stampato sul CD, non è poi difficile lasciarsi coinvolgere da pezzi indiavolati come la title track, “Light This With The Devil”, “Wreckage” e, soprattutto, il fantastico singolo “Damn Deal Done”, che, grazie al suo tamarrissimo videoclip, riesce a mietere vittime a destra e a manca. Più hard rock che death’n’roll o metal, a questo punto, ma l’abilità di Andersson e soci in sede di songwriting continua a non essere in discussione. Non importa in cosa i nostri si cimentino, il risultato finale è quasi sempre da applausi.

ENTOMBED – SAME DIFFERENCE

ENTOMBED - Same Difference
1998: un grosso interrogativo tormenta tutti i fan degli Entombed. Che cosa faranno gli svedesi al primo album senza Nicke Andersson, colui che è sempre stato il loro compositore principale? Andranno avanti per la strada tracciata di recente con “Wolverine Blues” e “To Ride…” o torneranno al death metal degli esordi? Nè una, nè l’altra soluzione… ascoltare “Same Difference” per credere! Da un lato, bisogna dare atto alla band – ora guidata da Uffe Cederlund – di non avere mai paura di cambiare le carte in tavola, dall’altro, purtroppo, si rimane con tanto amaro in bocca nel constatare dove i nostri siano andati musicalmente a parare. Ascoltando il disco, risulta evidente come Andersson non fosse certo l’unico membro della band a essere ormai stanco del metal. Cederlund, infatti, dà qui vita a una tracklist che in certi casi non ha niente a che fare neppure con quell’hard rock o con quello stoner che si udivano nelle ultime opere. Al contrario, abbondano le soluzioni prettamente rock e, in qualche episodio, si arriva persino a pensare a del post grunge. Oggettivamente, la produzione firmata da Daniel Rey è curatissima e assai azzeccata per le sonorità messe in mostra, tuttavia ci si chiede: può una band chiamata Entombed fare totalmente a meno della sua tipica ruvidità e sfrontatezza? Purtroppo si ha la netta sensazione che, per la prima volta nella loro storia, i nostri abbiano composto dei brani pensando più alla classifica che alla reale efficacia e validità delle soluzioni espresse. Manca spessissimo quella personalità che era solita traboccare in tutte le opere del passato. Prima gli Entombed indicavano la strada da seguire, ora invece sembrano seguire la massa. Una cosa inconcepibile solo sino a pochi anni fa. Inoltre, svolta stilistica a parte, Cederlund fallisce qui nell’impresa di rivelarsi un songwriter maturo e completo tanto quanto il suo vecchio amico Andersson. Aldilà del fatto che siano più o meno personali ed heavy, tantissimi pezzi fanno fatica a rimanere in mente. Salviamo giusto “Addiction King” (anche per via del simpatico videoclip), “Supreme Good” e “Close But Nowhere Here”. Il resto è un rock sì venato di varie influenze, ma sempre e comunque spento e dozzinale, che riusciamo qua e là a ricollegare al nome Entombed esclusivamente grazie alla voce di Petrov, il quale, non essendo certo un cantante di razza, non ha ovviamente potuto fare i miracoli in termini di varietà delle linee vocali. In sintesi, un grande, dolorosissimo passo falso, desolante già a partire dalla copertina.

ENTOMBED – UPRISING

ENTOMBED - Uprising
Grazie al cielo, si torna a spaccare! “Uprising” dimostra che una band può imparare dai propri errori e, al tempo stesso, dare alle stampe qualcosa in grado di proiettarla di nuovo tra le fila delle formazioni “con le palle” e con qualcosa da dire. In seguito al gigantesco flop di “Same Difference”, sarebbe infatti stato piuttosto semplice per gli Entombed rimangiarsi tutto e confezionare un disco old school per fare contenti tutti i vecchi fan. Invece, i nostri, pur evitando come la peste le sonorità ultra leccate e ruffiane dell’ultimo album, hanno scelto di imboccare una via ancora differente, che prende senz’altro le mosse da alcuni loro vecchi lavori, ma che contemporaneamente riesce a proporre qualcosa di fresco e avvicente, che non sa mai di riciclato. Largo dunque a quelle chitarre abrasive per le quali i nostri sono diventati famosissimi anni fa, ma guai a parlare di ritorno al puro death metal! Torna il tiro di “Wolverine Blues”, ma in numerose composizioni si fa anche spazio un cocktail incendiario a base di death’n’roll, stoner, Black Sabbath e puro Motorhead sound, con un LG Petrov nuovamente sugli scudi, a sbraitare dal primo all’ultimo secondo, e un Peter Stjärnvind che finalmente ha modo di far vedere tutte le sue doti di batterista, in brani che puntano quasi sempre su impatto e velocità. Vero, la varietà non è probabilmente il punto forte del platter, ma all’ascolto di “Uprising” si gode comunque… e parecchio! Perchè il disco in questione è esattamente l’opposto di ciò che era “Same Difference”: quest’ultimo appariva studiato e ruffiano, mentre “Uprising”, al contrario, è una volgarissima badilata in faccia… grezzo, sboccato e assolutamente spontaneo! La copertina, del resto, la dice lunga: guardatela bene… non vi ricorda quella di un certo demo-tape intitolato “But Life Goes On…”? Con le dovute proporzioni, qui si respira la stessa aria di sfida che si respirava all’ascolto della primissima pubblicazione targata Entombed. Questa band – death metal o non death metal – è nata per spaccare. Questo è ciò che gli Entombed devono fare, altro che produzioni perfette e ricerca del singolo da classifica!

ENTOMBED – MORNING STAR

ENTOMBED - Morning Star
A due anni di distanza dal grandioso “Uprising”, gli Entombed si riconfermano in un vero e proprio stato di grazia, riuscendo a convincere definitivamente anche quei pochi che avevano temporeggiato a dichiararne la rinascita dopo lo scandalo “Same Difference”. D’altronde, è davvero arduo resistere al fascino di un lavoro come il nuovo “Morning Star”. Nei solchi del platter c’è tutto quello che si è sempre amato della formazione svedese nel suo periodo d’oro: il mix di varie sonorità, la faccia tosta, la grande cura nel songwriting. “Morning Star” mutua da “Uprising” l’approccio ruvido e sguaiato, ma a livello stilistico pone un po’ più l’accento sulle influenze metal del quintetto, che qui finisce per strizzare più volte l’occhio ai suoi esordi e addirittura a certo thrash metal slayeriano. Il tutto viene però impacchettato in una produzione spesso molto vicina allo stoner, che conferisce al disco un dinamismo di tutto rispetto e quell’invidiabile trasversalità che è ormai uno dei più grandi marchi di fabbrica degli Entombed. Ce n’è per tutti i gusti: si passa dal favoloso midtempo sabbathiano di “Chief Rebel Angel” alla cavalcata heavy di “I For An Eye”, dal thrash metal senza mezzi termini di “Ensemble Of The Restless” e “You’re About To Die”, al minimalismo punk’n’roll di “Year One Now”. Questi forse i brani più esaltanti del lotto, ma sia chiaro che non si rintraccia un solo passo falso nella tracklist, che questa volta – a differenza di “Uprising” – riesce a brillare anche per varietà. Con “Morning Star”, gli Entombed riassumono perciò alla grande tredici anni di carriera con un lavoro all’insegna dell’ispirazione e della spontaneità, riuscendo a mettere d’accordo proprio tutti. “Same Difference” è ormai solo un lontano ricordo… Cederlund, Petrov, Hellid, Stjärnvind e Sandström sono tornati al massimo della loro forma e per gli aspiranti al trono è molto dura stare al passo.

ENTOMBED – INFERNO

ENTOMBED - Inferno
Gli Entombed sono una band che non finirà mai di stupire, spiazzare e persino far incazzare i propri fan. Col precedente “Morning Star” avevano fatto gioire praticamente tutti grazie ad un disco che, senza perdere l’immediatezza e la sfrontatezza dei loro lavori più recenti (“Uprising” su tutti), aveva recuperato l’irruenza e la forza scardinatrice tipicamente death metal dei loro esordi. Un vero monster album che era riuscito nell’impresa di mettere d’accordo vecchi e nuovi fan. Con questo nuovo “Inferno” però gli Entombed hanno ben pensato di ritornare sui propri passi e di mettere da parte la nostalgia per il death metal e per i tempi che furono. Si sono riavvicinati alle sonorità più scanzonate apparse sul loro penultimo lavoro e hanno sfornato una sorta di “Uprising 2”, prodotto in maniera peggiore e qualitativamente inferiore ad entrambi i dischi precedenti. E’ soprattutto il suono generale dell’album a non convincere, sì grezzo, ma troppo esile e moscio, ed anche alcuni episodi, concentrati soprattutto nella parte centrale, lasciano piuttosto a desiderare, eccessivamente controllati per una band come la loro. Non ci sono brani particolarmente brutti o scadenti, ma, a ben guardare, si finisce per esaltarsi realmente solo nei pezzi più aggressivi e pesanti, ovvero “The Fix Is In”, “Incinerator”, “That’s When I Became A Satanist” e “Flexing Muscles”. Il resto scorre via quasi inosservato e ciò, lasciatecelo dire, è una cosa gravissima per un album degli Entombed. Intendiamoci, è ammirevole e giusto che la band sperimenti e che non si fossilizzi sulle solite sonorità, ma ad un certo punto dovrebbe però riuscire a capire cosa le riesce bene e cosa no. “Inferno” non deve assolutamente essere considerato un brutto lavoro, ma è innegabile che rappresenti un passo indietro per Uffe Cederlund e compagni dopo un paio di lavori eccezionali. Alla prossima, sperando nel loro ennesimo cambio di idea.

ENTOMBED – SERPENT SAINTS – THE TEN AMENDMENTS

ENTOMBED - Serpent Saints - The Ten Amendments
Un album degli Entombed senza Uffe Cederlund? Praticamente, con le dovute proporzioni, è come pensare ad un album degli Slayer composto senza l’apporto dell’ascia di Kerry King! Sembra tutto assurdo, eppure stiamo parlando di un fatto reale, accaduto per davvero… “Serpent Saints – The Ten Amendments”, il nono full-length del leggendario gruppo svedese, segna l’inizio di una nuova era per quest’ultimo, oggi privo del suo songwriter principale dell’ultimo decennio ma, apparentemente, ancora desideroso di scrivere musica e di portare avanti un progetto nato quasi per gioco vent’anni fa nei sobborghi di Stoccolma e oggi visto da chiunque come l’artefice principale della nascita della mitica scena death metal svedese. Lo split, almeno per i fan, è stato doloroso (così come fu quello, ancora più importante, da Nicke Andersson 10 anni fa), ma LG Petrov e Alex Hellid si sono rimboccati le maniche, hanno serrato i ranghi e costruito una nuova solida lineup con il batterista Olle Dahlstedt e il bassista Nico Elgstrand. I nostri hanno impiegato molto tempo per portare a termine il songwriting per questo disco… la pubblicazione è stata più volte rimandata e ad un certo punto non si sapeva davvero più che cosa aspettarsi. Vista la dipartita di Cederlund, si temeva soprattutto che il risultato finale sarebbe stato davvero al di sotto dei normali standard della band, tra l’altro già recentemente protagonista di un mezzo passo falso con “Inferno” (per non parlare del datato “Same Difference”!). Ma una situazione tanto incerta e il generale scetticismo dei fan devono evidentemente aver influito in maniera positiva su Hellid e soci, che dopo tanta attesa tornano sulle scene con un lavoro senz’altro non perfetto, ma in ogni modo ricco di spunti interessanti e di canzoni nuovamente curate e grintose. Recuperate per l’ennesima volta delle belle dosi di distorsioni e ritmiche death metal – le quali vanno a spalleggiare la ormai più che collaudata intelaiatura rock’n’roll – gli Entombed nel 2007 giocano a rileggere il sound dell’ottimo “Morning Star”, aggiungendo inoltre alle trame care a quest’ultimo anche un paio di sterzate verso lidi ancora più prossimi allo stile degli esordi. A tratti si potrebbe parlare a tutti gli effetti di un mix fra le sonorità di “Morning Star” e quelle del caro, vecchio “Wolverine Blues”, tuttavia va sottolineato come la qualità dei brani non raggiunga sempre livelli degni di nota: “In The Blood” e “Ministry”, ad esempio sono sin troppo ingenui, mentre “Love Song For Lucifer” è sostanzialmente un outro senza infamia e senza lode. Magnifica, invece, la title track – uno dei migliori brani composti dalla band negli ultimi anni – così come “Masters Of Death”, “When In Sodom” e “Warfare, Plague, Famine Death”. In definitiva, abbiamo perciò a che fare con un disco che se da un lato non ha alcuna pretesa di proporre qualche novità, dall’altro riesce a divertire molto più di “Inferno” grazie ad un songwriting quasi sempre ispirato e a delle performance vocali e strumentali molto decise ed efficaci. Test superato, dunque? Assolutamente sì: i giorni migliori degli Entombed sono forse ormai definitivamente lontani, ma “Serpent Saints” è comunque un lavoro che qualsiasi fan degli album menzionati qualche riga fa non potrà non apprezzare. All together now: 666!!!
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