INTRODUZIONE
Metallica, Bon Jovi e Iron Maiden: avreste mai pensato di poterli vedere insieme in un festival italiano? No, vero? Ed invece quest’anno potrete goderveli nei tre giorni dell’Heineken Jammin’ Festival, perché quest’anno il Festival estivo (sì, quello con la effe maiuscola!) – da sempre dedicato ad altri generi musicali – ha deciso di strizzare prepotentemente l’occhio alla nostra musica preferita. Anche quest’anno la tre giorni musicale si terrà all’Autodromo “Enzo e Dino Ferrari” dove sentiremo non i rombanti bolidi di Formula 1, ma le prestigiose chitarre dei nostri gruppi più amati. Le tre band già citate non vi bastano? Be’, siete proprio incontentabili! Ed allora, in attesa dell’headliner di turno, potrete anche ascoltare: Extrema, Domine, Vision Divine, Lacuna Coil, Murderdolls, Cradle Of Filth e anche tanti altri artisti ‘non metal’, ma che vi faranno passare il tempo sotto il sole (almeno speriamo) come Placebo, Dave Gahan, Zwan e molti altri. Ovviamente per poter apprezzare tutto questo dovrete vivere per tre giorni lontano da casa, con amici e fidanzate, dormendo poco, mangiando schifezze… come? Non aspettavate altro? Be’, allora vi lasciamo alle pagine seguenti, nelle quali avremo il piacere di presentare tutte le band, dirvi come arrivare, dove acquistare i biglietti, come sopravvivere… e tanto, tanto altro! BUONA LETTURA, E… CI VEDIAMO IN PRIMA FILA!
CALENDARIO
CINQUE ANNI DI STORIA
2002
La quinta edizione di Heineken Jammin’ Festival mescola la nostalgia per l’esibizione del Blasco l’anno prima con l’entusiasmo straripante per gli headliner Red Hot Chili Peppers e Santana. In cima alla mitica curva Rivazza c’è uno striscione con la scritta “Vasco ci manchi”, però… “La due giorni musicale di Imola non ha più bisogno di Vasco Rossi”, scrive Andrea Laffranchi sul Corriere della Sera.
Oltre ai Red Hot Chili Peppers e a Santana, l’Heineken Jammin’ Festival 2002 offre un cast artistico di notevole spessore come Garbage, Muse, Lostprophets, Manà, Subsonica, Articolo 31 e Afterhours. Raddoppiano le dance night, con i Chemical Brothers (richiamati a furor di popolo dopo l’infuocata esibizione del 2000) e i partenopei Planet Funk, una delle rivelazioni della stagione con i loro ritmi elettromediterranei. “L’Heineken Jammin’ Festival mantiene la promessa originaria: grande musica in uno spazio perfettamente attrezzato e a prezzi contenuti. Il programma è assai appetibile” (Paolo Zaccagnini su Il Messaggero).
Parallelamente al rock questa edizione dell’evento targato HJF offre anche uno spazio dedicato alla musica chill out, allestita all’interno del Green Village, animato come sempre dai personaggi di Radio Deejay. La Chill Out Zone ospita artisti di fama internazionale: alla consolle c’è anche la top model brasiliana Fernanda Lessa, che sperimenta una carriera parallela come deejay.
Heineken Jammin’ Festival – “una festa del rock con un’organizzazione a livello dei più celebrati festival europei” (Renato Tortarolo su Il Secolo XIX) – richiama anche quest’anno più di 110 mila persone all’autodromo di Imola, nonostante un caldo infernale che le 3 cisterne d’acqua riversate sul pubblico riescono appena a mitigare. La canicola stuzzica l’ironia di Mario Ajello su Il Messaggero: “Cinquanta gradi all’ombra. Ma non c’è l’ombra”. Sabato 15 giugno accorrono in 70 mila per l’accoppiata rock & dance formata da Red Hot Chili Peppers e Chemical Brothers: sull’enorme palco dell’Heineken Jammin’ Festival si alternano File, Zen, Kane, Sneaker Pimps e Meganoidi. Anche quest’anno la circolazione stradale attorno a Bologna è stata congestionata dall’elevato numero di fans del rock, attirati soprattutto dal concerto dei Red Hot Chili Peppers, che hanno richiamato fans perfino da Zurigo, Bruxelles, Parigi e Francoforte.
Il ricco programma delle esibizioni prosegue con Afterhours, Lostprophets e Muse (già presenti nel 2000). Quando i Red Hot Chili Peppers fanno il loro ingresso in scena, il boato della folla squarcia il cielo di Imola più possente del rombo della Ferrari di Schumacher. Il live della band californiana naviga a vele spiegate, spinto da un vento forza… 12 milioni: le copie vendute nel mondo dall’album “Californication” del 1999. Gli RHCP hanno scelto un evento europeo prestigioso come l’Heineken Jammin’ Festival per testare in anteprima mondiale il gradimento di alcune canzoni del nuovo disco “By The Way” (nei negozi pochi giorni dopo l’esibizione italiana). “Sono loro i vincitori assoluti del megaraduno rock di Imola”, scrive Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera. Nella notte i Chemical Brothers (già stati protagonisti della dance night del 2000) trasformano l’autodromo di Imola in un rave dalle sonorità acide e techno.
Il trionfo dei Red Hot Chili Peppers è anche il trionfo dell’Heineken Jammin’ Festival, che ancora una volta ha offerto al suo pubblico il meglio della produzione mondiale. E la conferma arriva puntuale il giorno dopo: domenica 16 giugno rimane immutata la qualità musicale degli artisti che si alternano sul palco: Rumorerosa, Malfunk, Cousteau (che poi si soffermano in sala stampa per seguire l’epilogo ai rigori del match mondiale fra Irlanda e Spagna), Manà (che duettano con Santana sulle note di “Corazon Espinado”, composta proprio dal vocalist Fher Oliera) e Garbage, preceduti da due pregevoli esibizioni italiane. Ecco il commento di Marco Mangiarotti su QN: “Gli Articolo 31 si riprendono il loro passato con un set tiratissimo e la provocazione di ‘Avvelenata’ rap, con tante ironiche scuse a Guccini. I Subsonica passano nel cielo di Imola con i loro super hit. E con la consapevolezza di chi sa declinare il techno pop intelligente con leggerezza geniale”.
L’esibizione di Santana completa il gemellaggio fra l’Heineken Jammin’ Festival e raduni rock leggendari, essendo stato fra i protagonisti assoluti del mitico festival di Woodstock. Alle prime note della sua Gibson color arancio-ocra, il talento e il carisma di Santana aleggiano sull’autodromo di Imola come una stella cometa da seguire con gioiosa partecipazione lungo tutto il concerto, che attinge a… “un repertorio da sogno e a una tecnica unica. Una sequela di perle regalateci dalle sei corde stratosferiche della ‘mano santa’ di Autlan, che ha inanellato assoli da fiaba: uno dei pochi ‘re del distorsore’ ancora in circolazione” (Paolo Zaccagnini su Il Messaggero). L’ultimo incantesimo dello sciamano messicano, al momento di congedarsi dalla folla dopo un concerto a dir poco entusiasmante, è un messaggio di pace: “Italiani, messicani, ebrei, palestinesi, inglesi, irlandesi: all is one. Tutti sono uguali”.
La quinta edizione dell’Heineken Jammin’ Festival entra nella storia dei grandi eventi rock con un’altra incursione nella musica dance: rinfoderata la mitica chitarra di Santana, infatti, il palco si tramuta in una gigantesca consolle e la festa prosegue con la dance night dei Planet Funk, un ibrido di funk, rock, house e trance.
Più di 110 mila persone e picchi d’entusiasmo altissimi sono un patrimonio da non sperperare, così la perfetta macchina organizzativa dell’Heineken Jammin’ Festival si concentra immediatamente sul nuovo raduno di Imola. Fra i sogni proibiti c’è Bon Jovi. E proprio Bon Jovi è uno dei tre headliner (assieme a Metallica e Iron Maiden) dell’edizione 2003. Non stupitevi: all’Heineken Jammin’ Festival i sogni rock più belli si avverano sempre.
2001
Flashback… 20 giugno 1998: Vasco Rossi e Heineken Jammin’ Festival hanno appena scritto una pagina leggendaria nella storia dei raduni rock in Italia. I centoventimila della combriccola del Blasco lasciano l’autodromo di Imola senza più voce per urlare il suo nome. Felici. Stremati dalla gioia. Eppure non ancora appagati: vorrebbero riportarlo subito sul palco, ma si accontentano di sognare un bis di questa serata. Non importa quando, purché lo scenario sia ancora quello dell’Heineken Jammin’ Festival, perché nessuno stadio può regalarti l’emozione della Rivazza illuminata a giorno dagli accendini. Si è stupito pure lui. E li ha ringraziati prima di cantare “Albachiara”. Alla fine del concerto, però, disillude le loro speranze: “Sarà impossibile ripetere un’esperienza simile, nemmeno a gentile richiesta”. Fine del flashback. E fine dei sogni della combriccola. Forse…
A volte i sogni si avverano: il Blasco torna all’Heineken Jammin’ Festival! L’appuntamento è per la sera di sabato 16 giugno 2001, ma i primi camper conquistano i prati attorno all’autodromo con un giorno d’anticipo. È la miglior risposta a quanti temono che una minore affluenza di pubblico possa impoverire il mitico record del 1998. Gli scettici sono pochi, ma tanto convinti dell’impossibilità di riportare a Imola centoventimila persone: quella era un’esibizione unica, argomentano, mentre questo è il primo di nove concerti sparsi per l’Italia intera. Meno di centomila spettatori, parecchi meno, è la loro previsione. Invece sono esattamente centomila. Un risultato pazzesco, perché è vero che l’imminente tour ha bloccato qualcuno a casa: quelli davvero troppo lontani, che nel 1998 avevano faticosamente raggiunto Imola sui tredici treni straordinari targati HJF. Centomila persone. Qualcuno dice centodiecimila. E sarebbero ancora di più, se la Rivazza non fosse parzialmente inagibile per lavori di ampliamento del circuito.
Per governare una massa così imponente di gente, evitando che l’onda umana travolga chi è davanti, viene creato un triplo sbarramento che divide la platea in tre settori separati: un braccialetto di plastica è l’ambito lasciapassare per entrare nella porzione di prato più vicina al palco. Per combattere il caldo ci sono docce a getto continuo su entrambi i lati dell’arena, mentre nella zona del bar c’è un enorme spazio coperto capace di offrire riparo a duemila persone. All’Heineken Jammin’ Festival, insomma, la qualità della vita viene prima anche della qualità della musica: “Imola non è Roskilde, ma se si poteva fare qualcosa di più per la sicurezza, lo si è fatto” (Andrea Spinelli su Il Giorno, La Nazione, il Resto del Carlino).
L’attesa dell’avvento di Vasco si consuma in un’atmosfera pacata: chi apprezza il prestigioso cast artistico (non capita tutti i giorni di avere come “supporter” una certa Alanis Morissette…) segue i concerti; gli altri ingannano il tempo nel Green Village tra sfide sui playground del villaggio sportivo gestito da Radio Deejay (radio ufficiale dell’HJF), sedute di massaggi e un’occhiatina alla mail grazie a tante postazioni Internet. C’è anche chi non apprezza ma resta inchiodato al suo posto, forse deve “presidiare” una buona posizione conquistata a fatica, e manifesta troppo energicamente il proprio dissenso verso i gruppi stranieri: Lifehouse, Feeder e Stereophonics. I quali non gradiscono, naturalmente. Gli Stereophonics meno degli altri, infatti abbandonano la scena a metà esibizione. Niente di grave, niente di nuovo: scene già viste in altri raduni. Per una band che se ne va, un’altra finalmente riesce ad arrivare: i Timoria hanno studiato il manuale delle partenze intelligenti e non si sono fatti fregare dal solito intasamento sulla A14 (nel 1998 non si erano esibiti perché bloccati in una coda di trenta chilometri).
La sorpresa piacevole della giornata è Irene Grandi nell’inedita veste (una veste molto succinta) di rockeuse: una performance grintosa, la canzone scritta per lei da Vasco in persona (“La tua ragazza sempre”) e una cover di Janis Joplin (“Piece Of My Hart”) sono più che sufficenti per farsi adottare dalla combriccola del Blasco. Combriccola che accoglie con i dovuti onori Alanis Morissette, primadonna fra il raffinato e il ribelle dell’Heineken Jammin’ Festival, che in tutte le sue edizioni ha puntato i riflettori sulle diverse anime del rock al femminile. La cantautrice di Ottawa ha carisma e talento (e un set musicale fra i migliori mai ascoltati all’autodromo di Imola): “quando canta ‘Thank You’ persino i pretoriani di Vasco hanno un attimo di smarrimento” (Renato Tortarolo su Il Secolo XIX).
Solo un attimo, però. Subito torna alla mente il sogno di tre anni prima. Il sogno che si è avverato. E l’attesa diventa spasmodica. Come allora, duecentomila mani cominciano ad alzarsi verso il cielo, ma questa volta il Blasco non arriva dal cielo: sbuca all’improvviso sul palco e vorrebbe scendere ad abbracciarli tutti, dalla prima fila fino su alla mitica Rivazza. Perché assieme a loro, e assieme all’Heineken Jammin’ Festival, si è appena garantito un altro pizzico di leggenda. Lo show, ventitre canzoni in perfetto equilibrio fra hit storici e il nuovo album “Stupido hotel”, è un trionfo: “non si è rammollito il rocker di Zocca: il suo sound s’è fatto metropolitano, smaliziato, ironico” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera)… “è bellissima, la voce del Blasco… questa voce capace d’allentarsi nella melanconia, d’arrugginirsi nell’invettiva e d’accendersi nello sberleffo” (Cesare G. Romana su il Giornale)… “Il concerto è eccellente, uno dei migliori della sua carriera” (Ernesto Assante su la Repubblica). Uscendo dall’autodromo, i centomila tornano a sognare una replica, anche fra altri tre anni. E questa volta Vasco non dice nulla. Mai dire mai… Soprattutto quando si parla di Heineken Jammin’ Festival.
Domenica 17 giugno si respira un’aria da “the day after”: tutti parlano ancora del ciclone Vasco. La seconda giornata dell’Heineken Jammin’ Festival, comunque, sa farsi apprezzare per un cast di band tostissime, che graffiano gli amplificatori con un rock ruvido senza fronzoli. Gli inglesi Queens Of The Stone Age, per esempio, dimostrano sul campo di meritare ampiamente il premio assegnato in Patria al loro album “Rated R” come migliore disco heavy-rock del 2000. E chi all’inizio non comprende la presenza degli Apocalyptica, quartetto norvegese di violoncellisti, a un raduno rock internazionale come quello di Imola, si ricrede ascoltando la loro personale rilettura dei brani di gruppi metallici come Sepultura e Faith No More. Brian Molko e i suoi Placebo sono vecchie e sempre gradite conoscenze: nel 1999 avevano fatto da cuscinetto fra le Courtney Love e Marilyn Manson. Questa rassegna ha curiose analogie con quella del 1998: una, positiva, è l’esibizione di Vasco; l’altra, negativa, è l’assenza della band scritturata per chiudere il programma della domenica. Allora vennero a mancare i Verve, sostituiti dai Kula Shaker; in questa occasione bisogna rinunciare ai Guns N’Roses di Axl Roses, messi fuori gioco da un malore del nuovo chitarrista Buckthead. Promossi al rango di headliner, The Offspring scaricano sul palco tutta la potenza devastante del loro repertorio post punk: i fans iniziano a pogare durante l’esecuzione di “Pretty Fly” e non smettono finché non viene spento l’ultimo faro sul palco.
Si chiude l’ultimo cancello e noi riprendiamo a sognare: Carlos Santana… Red Hot Chili Peppers… la Dance Night dei Chemical Brothers e dei Planet Funk… Arrivederci all’Heineken Jammin’ Festival 2002.
2000
Nuovo millennio e nuova anima per l’Heineken Jammin’ Festival. Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera scrive: “un’organizzazione ai limiti della perfezione e una serie di rockband internazionali interessanti, ma spesso ‘cult’, destinate cioè ad orecchie ‘specializzate’ nell’ascolto di suoni ruvidi, arrabbiatissimi”. A quest’ultima categoria appartengono senz’altro i Rage Against The Machine, sulfurei e “politically s-correct” headliner della prima giornata, e gli irruenti Primal Scream, che rischiano di fare la fine dei Timoria l’anno precedente: il vocalist Bobby Gillespie, infatti, perde l’aereo, atterra a Bologna in clamoroso ritardo e arriva sul palco a concerto già abbondantemente iniziato. L’atmosfera da “rockerilla”, una guerriglia rock espressa più nei testi al vetriolo delle canzoni che, fortunatamente, nel comportamento della folla, era stata sapientemente surriscaldata dalle band del pomeriggio, in particolare dai Punkreas, sorprendenti e applauditissimi alfieri della scena punk italiana e i tedeschi Guano Apes della vocalist Sandra Nasic, una forza della natura dai polmoni iperbarici.
Esaurita la parentesi più underground, l’Heineken Jammin’ Festival 2000 propone artisti più vicini all’immaginario collettivo. Piero Pelù vince la sfida degli headliner con gli Oasis soprattutto merito della grande attesa per il suo primo concerto dopo il divorzio dai Litfiba. La nostalgia per i Litfiba, però, si consuma in poche canzoni, lasciando spazio al nuovo med-rock del solista Pelù. Se gli Oasis non soddisfano l’aspettativa dei fans, confezionando comunque un live più che dignitoso, gli altri nomi in cartellone sabato e domenica fanno scrivere a Paolo Zaccagnini su Il Messaggero: “la terza edizione del festival resterà sempre la più forte concentrazione di gruppi e artisti rock dell’estate”.
Lo show più ragguardevole porta la firma degli Eurythmics: Annie Lennox e Dave Stewart si presentano in scena senza band e senza spine da attaccare agli amplificatori. Un concerto acustico, con i ragazzi che aspettano solo di scatenarsi nell’apoteosi rock di Pelù, sembra a molti un azzardo pericoloso. Invece no, non per musicisti con tanto carisma: la chitarra di Stewart e la voce ammaliatrice della Lennox ipnotizzano la folla, che si arrende alla loro classe e aspetta Pelù senza più abbassare le mani. Prima degli Eurythmics, hanno regalato belle emozioni anche Eagle Eye Cherry (figlio del jazzista Don Cherry e fratello della vocalist pop Neneh Cherry) con la sua chitarra elettro-melodica, e i Morcheeba della sinuosa Skye Edwards, che hanno saputo coinvolgere il pubblico nonostante un repertorio molto poco rock-ruggente, fatto di dolci sonorità soul contaminate da un lievissimo trip hop. Senza tregua, invece, la breve apparizione dei punk Prozac+, che hanno aperto le danze con i loro hit-single “Colla” e “Acido Acida”. La Dance Night (non annacquata dalla pioggia come l’anno precedente) trattiene migliaia di persone fino a notte fonda: qualcuno è venuto all’Heineken Jammin’ Festival apposta per ballare il techno big beat dei psichedelici Chemical Brothers, che dispensano sonorità acid-house in quantità per nulla modiche in uno sfavillante show tecnologico.
Arrivano dalla finlandia gli apripista di domenica: si chiamano Him e propongono un pop agrodolce con guizzi heavy. Dopo di loro, i Gomez stupiscono con un audace progressive. Entusiasmante successo per i Subsonica, reduci dal Festival di Sanremo, che portano in scena Morgan dei Bluvertigo e richiamano diecimila persone a ballare sotto il palco, incuranti del gran caldo. Incanta anche Kelis, bella ventenne di Harlem, con voce possente e androgina al servizio di pezzi hip hop forgiati in un crossover gospel, blues e soul, con ritmi funky scolpiti da assoli di chitarra alla Hendrix. Elisa si ostina a cantare in inglese il suo pop elettronico e ambizioso. Tutti aspettano gli Oasis, ma i Counting Crows non passano inosservati grazie a un country-rock raffinato e orecchiabile: per alcuni critici, la band californiana di Adam Duritz è “una delle liete sorprese di questa kermesse” (Cesare G. Romana su il Giornale). Gino Castaldo su la Repubblica riconosce all’Heineken Jammin’ Festival il merito di aver creato un ottimo clima fra gli artisti: “i Chemical Brothers sono rimasti per tutti e tre i giorni, approfittandone per seguire i concerti, anche degli italiani. Perfino Liam Gallagher, che non è famoso per essere un simpaticone, ha girato per tutto il giorno nell’area ospitalità, conversando con tutti e sorridendo a tutti quelli che andavano a parlargli. Incredibile”. Il titolo dello stesso articolo chiude la rassegna con un verdetto categorico: “vince il rock italiano”. E già circola la voce del ritorno di Vasco…
1999
Consacrato l’anno prima dai centoventimila della combriccola del Blasco, l’Heineken Jammin’ Festival 1999 (tre giorni di “Sounds Good”, uno in più rispetto al ’98) ha avuto un battesimo più canonico: con la pioggia. Tanta acqua. Troppa acqua. Per molti è un segno del destino, l’anello mancante per poter davvero paragonare la rassegna di Imola a Woodstock 1969 (e al suo mitico fango): “Figurarsi se non diluviava. Dai tempi antichi di Woodstock la leggenda vuole che non ci sia raduno rock che si rispetti senza la sua bella dose di pioggia e fango” (Alba Solaro su l’Unità). La pioggia torrenziale ha afflosciato le tende del campeggio ai margini dell’autodromo, ma non l’entusiasmo della gente: suole slick sotto le scarpe, molti ballano e giocano nei playground di basket, volley, calcetto e arrampicata gestiti da Radio Deejay; altri cercano rifugio nel Green Village allestito nell’area della variante bassa: numerosi caffè tematici, postazioni Playstation, mixer e campionatori per improvvisarsi disc jockey, una mostra fotografica sull’edizione precedente, fumetti disegnati in tempo reale, body-painting, magliette dipinte, graffiti, tatuaggi, spazi per il benessere del corpo e della mente… Il maltempo imperversa sull’autodromo di Imola per tutto il weekend: Massimiliano Lussana su il Giornale loda “l’ottima organizzazione degli uomini Heineken”, ironizzando poi sul fatto che “i comunicati che garantivano la distribuzione gratuita di acqua al pubblico sono stati presi troppo alla lettera”. Il titolo dell’articolo, “E i ragazzi restano a cantare sotto l’acquazzone”, è un inno ai temerari con l’impermeabile griffato nettezza urbana (vengono distribuiti migliaia di sacchi della spazzatura bucati da usare come mantelline antipioggia) che hanno risposto al richiamo di “un cast internazionale di qualità e tendenza, ma con una forte caratterizzazione italiana” (Marco Mangiarotti su Il Giorno, La Nazione e il Resto del Carlino). Non sono più gli accendini a illuminare a giorno la Rivazza, ma tuoni e fulmini del temporale che accoglie fragorosamente Subsonica, Max Gazzé, Carmen Consoli, Elio e le Storie Tese. Infiltrate tra i quasi ventimila seguaci del made in Italy, ci sono anche molte innamorate deluse dei Take That: avrebbero affrontato calamità naturali ben peggiori, pur di ammirare da vicino Robbie Williams, unica stella straniera della giornata e impeccabile apripista dello show di Zucchero.
Come se non bastasse la pioggia, trenta chilometri di coda sulla Milano-Bologna eliminano i Timoria dal programma di sabato. È il giorno delle band internazionali di tendenza: Goo Goo Dolls e Bush, ma soprattutto Garbage e gli headliner Skunk Anansie, che sembrano trarre energia dal nuovo acquazzone e regalano un live infuocato e dirompente ai quarantamila fans in ammollo. “Un cartellone di artisti stranieri come quello della rassegna imolese di quest’anno ha pochi rivali in Europa”, scrive Paolo Zaccagnini su Il Messaggero. A far deflagrare la scena sono due primedonne del rock: la conturbante rossa scozzese Shirley Manson (vocalist dei Garbage) e la feroce pantera nera inglese Skin (Skunk Anansie).
“A Imola vince il divertimento” (Mario Luzzatto Fegiz sul Corriere della Sera): il sound trance-elettronico degli Underworld trasforma l’Heineken Jammin’ Festival in un gigantesco rave e la prima Dance Night offre “una delle più belle fotografie da conservare di questa rassegna: sotto la pioggia battente sono rimasti in quattromila a ballare fino a notte fonda” (Gino Castaldo su la Repubblica).
I cinquantamila di domenica ricevono la loro dose di fulmini e saette da Marilyn Manson, che rinuncia a molte delle strombazzate trasgressioni (concedendosi, però, il capriccio di far recintare la sua zona di backstage per non essere avvicinato dalle altre band, spesso in polemica con lui) e chiude il raduno più bagnato della storia con uno show martellante e scenograficamente chiassoso, in puro stile Armageddon. La giornata viene aperta dagli italiani Verdena e Bluvertigo (che presentano in anteprima il singolo “La crisi”). L’esibizione glam-rock dei Placebo dell’intrigante vocalist Brian Molko entusiasma tutti, perfino il sole che finalmente squarcia il cielo plumbeo. La primadonna di oggi è Courtney Love, leader delle Hole: la vedova di Kurt Cobain non simpatizza (eufemismo) per Marilyn Manson e cerca di rubargli la scena mescolando ammiccamenti e provocazioni di ogni genere con un efficace rock spruzzato di grunge. Missione compiuta: la sua personalità strabordante conquista la platea al primo graffio di chitarra. L’attesa per Marilyn Manson si fa spasmodica, ma i suoi pittoreschi seguaci dispensano generose ovazioni anche ai Blur di Damon Albarn.
L’Heineken Jammin’ Festival 1999 va in archivio con un bilancio più che positivo: centodiecimila spettatori nonostante un diluvio biblico sono un grande risultato.
Ernesto Assante su la Repubblica scrive: “un festival ben organizzato e ben riuscito, che ha retto con sicurezza anche alle intemperie e che promette, con l’aiuto di un pubblico disponibile e appassionato, di crescere ancora”.
1998
“E centomila cuori cominciarono a sondare il cielo”… Quando ha scritto “Sballi ravvicinati del terzo tipo”, Vasco Rossi forse nemmeno sognava di essere lui l’alieno che vent’anni più tardi tutti avrebbero aspettato. Invece oggi è giudizio unanime che non poteva esserci headliner migliore per il neonato Heineken Jammin’ Festival: “un raduno tranquillo e ben organizzato tanto da far invidia ai più eleganti convegni internazionali, che contano meno ospiti”, scrive Ernesto Assante su la Repubblica.
All’imbrunire del 20 giugno 1998, l’extraterrestre sorvola l’autodromo di Imola con il suo disco volante camuffato da elicottero: visti dall’alto, “il prato davanti al palco e la collinetta della Rivazza assumono le sembianze di un unico, gigantesco corpo umano, che pulsa, che vibra, surriscaldato dall’afa e dall’emozione” (Gloria Pozzi sul Corriere della Sera).
La grintosa melodia dei romani Babyra Soul, gli interessanti inglesi Catherine Wheel, la voce sempre in bilico fra rock e soul della provocante olandese Anouk, il feroce rock dei nordirlandesi Ash e lo stordente postpunk dei britannici The Jesus and Mary Chain contribuiscono a creare, come si legge nel commento di Paolo Zaccagnini su Il Messaggero, “l’atmosfera festosa del festival, organizzato che meglio non si poteva”.
Poco dopo le 21.30, Vasco appare sul palco e l’Heineken Jammin’ Festival diventa ufficialmente “il più grande appuntamento rock europeo di questa estate” (Alba Solaro su l’Unità). “E centomila mani cominciarono ad alzarsi verso il cielo”… Quando attacca “Sballi ravvicinati del terzo tipo”, però, le mani in alto sono più del doppio: duecentoquarantamila! Combriccola del Blasco o tribù dell’Heineken Jammin’ Festival: chiamateli come volete, l’unico fatto rilevante è che sono centoventimila persone!!
Fra loro, anche l’allora ministro dell’Industria Bersani e la scrittrice Fernanda Pivano, che sostiene senza mezzi termini: “quelli che sono qui oggi cresceranno meglio di quanti frequentano soltanto posti istituzionali: ce ne vorrebbero mille di raduni come questo”. Perfino il Blasco, protagonista di altri concerti epocali, si emoziona nel vedere la mitica curva della Rivazza illuminata a giorno dagli accendini per le sue canzoni più autobiografiche. E promuove l’HJF a pieni voti: “ho inaugurato una nuova era della musica dal vivo”. Più delle belle parole, comunque, contano i fatti: Vasco avrebbe potuto organizzare in proprio un live da oltre centomila persone, però ha preferito tenere a battesimo l’Heineken Jammin’ Festival (“ripagato” dal record di spettatori paganti a un suo concerto) perché conquistato dal progetto di una rassegna rock italiana in grado di competere con i più prestigiosi raduni internazionali. Merito soprattutto della qualità della musica: domenica 21 giugno, pur senza l’enorme richiamo di Vasco e improvvisamente orfani degli headliner The Verve (sostituiti dai Kula Shaker per un’indisposizione del bassista Simon Jones), quarantamila persone si godono “un cartellone di appuntamenti da far invidia perfino ai festival americani” (a.d. su il Resto del Carlino), nel quale, oltre ai Bluvertigo e Ben Harper, spiccano Elisa, Tori Amos e Natalie Imbruglia. Il movimento rock femminile viene tenuto in grandissima considerazione dall’Heineken Jammin’ Festival, che in questi cinque anni ha fatto esibire, fra le altre, Skin (headliner con i suoi Skunk Anansie nel 1999), Annie Lennox (con gli Eurythmics), Alanis Morissette, Shirley Manson dei Garbage (che ritornano quest’anno), Courtney Love delle Hole, Carmen Consoli e Irene Grandi.
La festa non si esaurisce con la musica: oltre a mantenere, grazie al suo investimento pubblicitario, il prezzo del biglietto contenuto per un grande numero di concerti (quarantamila lire; settantamila l’abbonamento per i due giorni), Heineken allestisce un “Green Village” con punti di ristoro, bancarelle d’ogni genere (dalle t-shirt ai tatuaggi), performance dance di alcuni deejay e molte altre attività collaterali, fra cui un incontro con gli scrittori Niccolò Ammaniti, Aldo Nove e Tiziano Scarpa.
Bevanda ufficiale, naturalmente, la birra, ma sempre accostata, in questi cinque anni, alla campagna “Se bevi non guidare”, fortissimamente voluta proprio da Heineken per educare i giovani a un consumo responsabile di alcol. Per questo motivo vengono regalati cinquantamila litri d’acqua e organizzati tredici treni speciali in collaborazione con le Ferrovie dello Stato.
Indicato da un sondaggio del mensile Musica & Dischi al secondo posto degli eventi musicali più graditi dell’anno (dopo gli Mtv European Music Award e prima del Concerto del 1° Maggio e del Festival di Sanremo).
I PROTAGONISTI DI VENERDì 13 GIUGNO
METALLICA
Terminati i concerti con Ozzy, la band di Hetfield e Urlich intraprende un tour europeo che purtroppo resterà indimenticabile per una tragedia: il 27 settembre 1986, durante un viaggio verso Stoccolma, il bassista Cliff Burton perde la vita in un incidente stradale. Al di là del dolore per la perdita di un amico, scompare la guida artistica del gruppo. Dopo un periodo di riflessione, e successivamente molte audizioni, arriva il nuovo bassista Jason Newsted. Viene pubblicato un disco di cover: “Garage Days Re-Revisited”, considerato il sequel di “Garage Days Revisited” del 1984.
Nell’estate del 1988 esce l’album “…And Justice For All”, che mette d’accordo pubblico e critica ottenendo un successo strepitoso, supportato anche dal primo videoclip della band (per il brano “One”).
Il 1991 è l’anno della svolta: il nuovo disco dalla copertina quasi completamente nera, ribattezzato “Black Album”, presenta testi più brevi e incisivi su un tappeto sonoro più profondo e pieno. Grazie al “Black Album”, i Metallica diventano famosi in tutto il mondo, vincendo anche un Grammy e diversi American Music Awards. Invece di sfruttare il momento favorevole, però, la band di Hetfield e Urlich rimane cinque anni assente dalle scene, poi registra due dischi in due anni: “Load” (1996) e “ReLoad” (1997) sono costruiti sulle canzoni scritte durante il tour promozionale del “Black Album”. L’ardore compositivo non si placa e arrivano altri due album a distanza ravvicinata e per di più doppi: “Garage Inc.” (1998) contiene le cover dei gruppi che hanno avuto maggiore influenza sulla loro crescita artistica (Motorhead, Black Sabbath, Ozzy Osbourne…) e la riedizione di alcuni brani dei due “Garage Days”. Il doppio cd live “S&M” dell’aprile 1999 è la testimonianza audio di un concerto assieme all’orchestra sinfonica di San Francisco, organizzato per celebrare i 60 milioni di dischi venduti dai Metallica in tutto il mondo.
Il nuovo album di inediti (il primo dopo “ReLoad” del 1997) promette sonorità più heavy e hard rispetto alle loro precedenti composizioni: s’intitolerà “St.Anger” e verrà pubblicato il 6 giugno 2003, una settimana prima dall’esibizione dei Metallica come headliner dell’Heineken Jammin’ Festival di Imola.
PLACEBO
Trascinati dalla splendida ballad “Centrefolds”, i Placebo tornano a scalare le classifiche con il quarto album “Sleeping With Ghosts”, pubblicato a fine marzo. Brian Molko (voce e chitarra) e Stefan Olsdal (basso, chitarra e tastiere) erano compagni di scuola elementare in Lussemburgo: a loro si è aggiunto Robert Schultzberg alla batteria, che però ha lasciato la band dopo il primo album “Placebo” del 1996, sostituito da Steve Hewitt. Il trio londinese ha una personalità forte, scabrosa, oscura e ribelle (ricordate la chitarra sfasciata da Brian Molko al Festival di Sanremo 2001?) che ha affascinato perfino artisti del calibro di David Bowie e Michael Stipe dei REM. I loro live sono adrenalina pura: il Duca Bianco li ha invitati ai suoi concerti quando non avevano ancora inciso il primo album e ha diviso ancora il palco con loro a New York (quando ha festeggiato il suo cinquantesimo compleanno) e nello show live dei Brit Awards 1999. L’ascesa dei Placebo è iniziata nel 1995 con uno show al Rock Garden di Londra, seguito dal singolo d’esordio “Bruise Pristine” e dal brano “Come Home”, salito fino al terzo posto nelle charts indie del Regno Unito. Il primo album, “Placebo”, è entrato nella top five e si è aggiudicato il disco d’oro. Nella loro sfolgorante attività live, oltre agli show con David Bowie, possono vantarsi d’essere stati il gruppo spalla degli U2 in un tour europeo. Michael Stipe li ha scritturati come attori nel film “Velvet Goldmine” (da lui prodotto): il trio britannico ha impersonato la band glitter rock Flaming Creatures, cantando una cover di “20th Century Boy” dei T-Rex. Il secondo album, “Without You I’m Nothing” del 1998, è stato realizzato negli studi di registrazione di Peter Gabriel, a Bath, e ha venduto trecentomila copie nel Regno Unito e un milione nel resto del mondo. Il loro terzogenito discografico è “Black Market Music”, uscito nell’ottobre del 2000 e seguito da un tour mondiale durato ben 18 mesi. I Placebo hanno venduto 3 milioni di dischi in tutto il mondo e si esibiscono per la terza volta all’Heineken Jammin’ Festival.
STONE SOUR
Il nome della band ha origine da un cocktail che mescola whiskey, una spruzzata di succo d’arancia e limone. Gli Stone Sour sono Corey Taylor (vocalist degli Slipknot), James Root (chitarra), Josh Rand (chitarra), Shawn Economaki (basso) e Joel Ekman (batteria). Nel 1992 Taylor ed Ekman fondano il gruppo, che si completa nel ’95 con l’ingresso del chitarrista Root: per cinque anni il gruppo affina il proprio talento in piccoli club con esibizioni live basate su un pregevole heavy metal melodico. I risultati della loro passione, però, tardano ad arrivare, così Taylor e Root si uniscono agli Slipknot. La reunion degli Stone Sour avviene nel 2000 a Des Moines su iniziativa del chitarrista Rand e nel 2002 esce l’album di debutto “Stone Sour”: fra le canzoni c’è anche “Bother”, presente nella colonna sonora del film “Spiderman”. Secondo il giudizio di Taylor, la band propone un rock grezzo ed emotivo nella sua forma più pura. La line up del disco è la stessa degli esordi, con la collaborazione in alcuni brani di Sid Wilson, deejay degli Slipknot.
TURBONEGRO (TBC)
La band norvegese si era sciolta dopo il concerto del 18 dicembre 1998 al Mars di Oslo, la loro città natale. A riportarli on stage sono stati gli organizzatori del Quart Festival, che si è tenuto a luglio del 2002 sempre in Norvegia, considerato che nell’edizione precedente molti gruppi, fra cui i Queens Of The Stone Age, avevano suonato cover dei Turbonegro. Dopo la reunion, la band ha pubblicato le ristampe di due album con un packaging rinnovato: “Apocalypse Dudes” e “Ass Cobra”. Il primo dei due dischi contiene anche i video promozionali di “Get It On” e di “Are You Ready For Some Darkness”, più il video live di “Age Of Pamparius” registrato durante il “Res.Erection Tour”. In “Ass Cobra”, invece, è stato inserito il video “Denim Demon”. A fine aprile del 2003 esce “Scandinavian Leather”, il nuovo album dei Turbonegro.
EXTREMA
Tanta gavetta per il gruppo nato a Milano nel 1988: il primo lavoro “Tension At The Seams”, infatti, vede la luce nel febbraio del 1993. Il secondo disco, intitolato “The Positive Pressure Of Injustice”, esce nel 1995 ed è il motore di un tour di quasi 100 date. Trascorrono più di cinque anni senza incidere un album proprio, dedicandosi all’attività live e ad alcune collaborazioni prestigiose, fra cui due brani registrati con gli Articolo 31: “Mollami” del 1996 e “Vai bello/Qui non si scherza” del 1999. A marzo del 2001 pubblicano l’album “Better Mad Than Dead”; il nuovo cd è previsto a maggio e raccoglierà una serie di rarities e tre canzoni inedite.
Gli Extrema sono: GL Pedrotti (voce), Tommy Massara (chitarra), Cris Dalla Pellegrina (batteria) e Mattia Bigi (basso).
KARNEA
Arrivano da Crema (provincia di Cremona) e hanno fatto tanta gavetta insieme. Il cantante e chitarrista Davide Simonetta (19 anni) e il bassista Paolo Cremonesi ( 20 anni) suonano insieme da quando avevano 12 anni e hanno militato in cover band di rock stile Guns’n’Roses e Nirvana. I due teenager sono affiancati da Stefano Guidi (26 anni) alla batteria. Inizialmente, il nome del gruppo era Càrnea, preso in prestito da un fiore: la Rosa Muscosa Càrnea. Il 28 marzo 2003 è uscito l’album d’esordio dei Karnea: s’intitola “Sublime follia” ed è stato registrato in presa diretta per volere della band.
I PROTAGONISTI DI SABATO 14 GIUGNO
BON JOVI
Da custode in uno studio di registrazione della Grande Mela a rockstar di fama mondiale. Il giovane Jon Bon Jovi (Bongiovanni per l’anagrafe) ha lavorato come guardiano al Power Station di New York, la sala d’incisione di suo cugino Tony, approfittandone per realizzare alcuni provini con l’aiuto di musicisti professionisti, fra cui qualche membro della E Street Band, il gruppo di Bruce Springsteen. Uno di questi demo, “Runaway”, diventa un successo radiofonico in una stazione del New Jersey e questa clamorosa affermazione lo convince a fondare una sua band. Nel 1983 nascono i Bon Jovi: oltre al bello e talentuoso vocalist, il gruppo è formato da Tico Torres alla batteria, Dave Sabo (poi sostituito da Richie Sambora) alla chitarra, Alec John Such al basso e David Bryan alle tastiere.
“Bon Jovi” è anche il titolo del loro album d’esordio, pubblicato nel 1984 e seguito da “7800 Degrees Fahrenheit” (1985). I Bon Jovi viaggiano al ritmo di un disco all’anno e fanno centro già al terzo tentativo: “Slippery When Wet” del 1986, infatti, vende 9 milioni di copie soltanto negli Stati Uniti. La consacrazione della band nell’Olimpo del rock viene confermata dai 5 milioni di copie vendute dall’album “New Jersey” del 1988. L’anno seguente il gruppo suona nel disco “Heart Of Stone” di Cher, allora fidanzata con il chitarrista Sambora, e intraprende una tournèe mondiale di quasi due anni. Tornato a casa, Jon Bon Jovi compone la colonna sonora del film “Young Guns 2”, che viene incisa nel disco “Blaze Of Glory”. Successivamente pubblica tre album nel giro di quattro anni: “Keep The Faith” (1992), il greatest hits “Crossroad” (1994) e “These Days” (1995) che vende più in Europa che negli Stati Uniti.
Conquistato il successo planetario, Jon Bon Jovi esplora nuovi percorsi artistici. Incide il primo disco solista “Destination Anywhere” del 1997 e debutta come attore: la sua carriera cinematografica inizia nel 1995 con “Moonlight and Valentino” e prosegue con un ruolo da protagonista nel thriller del 1996 “The leading man”.
Il nuovo millennio” si apre con la reunion del gruppo, che dopo cinque anni di silenzio incide Crush (2000). Doppia razione di Bon Jovi nel 2002: il live “One Wild Night” anticipa il disco di inediti “Bounce”, un inno al coraggio e alla speranza dopo la tragedia dell’11 settembre al World Trade Center di New York.
L’esibizione di Imola come headliner dell’Heineken Jammin’ Festival 2003 è il modo migliore per festeggiare 20 anni di carriera: per onorare questo prestigioso anniversario, la band ha intenzione di pubblicare un box celebrativo con b-sides, rarità e brani inediti. La line up della band per l’evento live di Imola è: Jon Bon Jovi, Richie Sambora, Tico Torres, David Bryan.
Una volta concluso il tour, che proseguirà fino a luglio, i Bon Jovi accarezzano l’idea di pubblicare un greatest hits in chiave acustica.
DAVE GAHAN
Il vocalist dei Depeche Mode si avventura nel suo primo progetto “soulista” con l’album “Paper Monsters”, nel quale può finalmente dare libero sfogo alla propria creatività artistica con sonorità soul e testi ironici. Alla registrazione del cd solista hanno collaborato l’amico polistrumentista Knox Chandler (già nei Siouxsie and the Banshees e nei Psychedelic Furs) e il produttore-percussionista Ken Thomas. Sebbene sia stato il frontman dei Depeche Mode per ventidue anni, diventando un’icona per milioni di fans, il disco “Paper Monsters” segna l’esordio di Dave Gahan come autore dei testi: le dieci canzoni hanno la freschezza di un debutto unita alla saggezza di chi scorazza da tempo nelle praterie del rock’n’soul. Per i nostalgici dei Depeche Mode, la bella notizia è la lavorazione di un cofanetto di remix che dovrebbe uscire nell’autunno di quest’anno: per il momento si pensa a un album di due o quattro cd, però i mix selezionati sono già più di centotrenta e potrebbero benissimo dare vita a una raccolta di una dozzina di dischi. David Gahan ha fondato i Depeche Mode nel 1980 assieme a Vince Clarke, Alan Wilder e Andrew Fletcher (Martin Gore è arrivato in un secondo momento per sostituire Vince Clarke) e con la band britannica ha inciso una quindicina di dischi, dall’album d’esordio “Speak & Spell” (1981) all’ultimo “Exciter” (2001). Gahan ha anche superato i suoi problemi con gli stupefacenti, che verso la metà degli Anni 90 – mentre il cd “Songs Of Faith And Devotion” (1993) dominava le charts di tutto il mondo – l’hanno portato a un passo dalla morte. Il disco solista “Paper Monster” è vissuto come una rinascita umana e artistica dal talentuoso musicista di Basildon, nell’Essex inglese.
LIVE
Oltre 17 milioni di dischi venduti in tutto il mondo sono un biglietto da visita di tutto rispetto. L’album d’esordio s’intitola “Mental Jewelry” e viene pubblicato nel 1991. Il successo planetario arriva già con il secondo cd: “Throwing Copper” del 1994 vende 12 milioni di copie e si aggiudica 27 dischi di platino in sei nazioni. I Live intervengono come ospiti al “Saturday Night Live” ricevendo una standing ovation dal pubblico. Seguono “Secret Samadhi” del 1997 e “The Distance To Here”, che conquista un altro disco di platino. Dopo una tournèe ininterrotta di quattordici mesi, nel settembre del 2001 esce il quinto cd intitolato “V”: al suo interno, brani cinematografici come “Deep Enough” (un remix è la colonna sonora dei titoli di testa del film “The Fast And The Furious”) e “Forever May Not Be Long Enough” (tema della pellicola “La Mummia – Il ritorno”). “Simple Creed”, la canzone d’apertura di “V”, è arricchita dalla partecipazione di Tricky, che ha sua volta invita il vocalist Ed Kowalczyk a collaborare nel suo singolo “Evolution, Revolution, Love”.
La line up dei Live è formata da: Ed Kowalczyk (voce), Chad Taylor (chitarra), Patrick Dahlheimer (basso) e Chad Gracey (batteria).
THE MUSIC
Una band dal nome impegnativo (La Musica) formata da quattro musicisti giovanissimi: Robert Harvey (17 anni; voce e chitarra), Stuart Coleman (18 anni; basso), Adam Nutter (17 anni; chitarra) e Phil Jordan (18 anni; batteria). Sono quattro studenti di Leeds, in Inghilterra, che si sono conosciuti sui banchi di scuola, creandosi un seguito fedele nella propria città. Nel 2000, ancora con il nome originale di Intense, si aggiudicano un concorso per gruppi emergenti chiamato Bright Young Things: i soldi guadagnati con questa affermazione vengono subito investiti nella registrazione di un demo con due brani, “The Dance” e “The Walls Get Smaller”. Rientrati in studio a dicembre dello stesso anno con il produttore Will Jackson e realizzano il loro primo airplay radiofonico: “Take The Long Road And Walk It”. I quattro teenager affinano il loro talento in tour e proprio alla fine di un concerto, il 24 maggio 2002, arriva la grande occasione: firmano un contratto con la Hut Record, l’etichetta discografica di Richard Ashcroft. Sempre nel 2002 esce l’album d’esordio omonimo: “The Music”.
CHRIS ROBINSON (TBC)
La seconda giornata dell’Heineken Jammin’ Festival 2003 ha fra i suoi protagonisti due grandi artisti rock che hanno intrapreso la carriera solista: Chris Robinson ex frontman dei Black Crowes e Dave Gahan ex vocalist dei Depeche Mode. Il primo degli “ex” a salire sul palco sabato 14 è Christopher Mark Robinson, nato ad Atlanta il 20 dicembre 1966 e fondatore con il fratello Rich (chitarrista) dei Black Crowes, band affezionata al rock classico Anni 70. Sono proprio i dissapori insanabili con il fratello a decretare la fine dei Black Crowes avvenuta all’inizio del nuovo millennio, anche se Chris nei mesi scorsi ha dichiarato il suo amore per il fratello e per la band, alimentando la speranza dei fans per una possibile reunion. Alla vigilia del Capodanno del 2000 ha sposato l’attrice Kate Hudson, figlia di Goldie Hawn e interprete del film “Almost Famous” del regista Cameron Crowe. Nel 2002 Chris Robinson pubblica il suo album d’esordio come solista: “New Earth Mud”, suonato da un quartetto di musicisti che porta lo stesso nome del disco, fra cui il chitarista, co-autore e co-produttore Paul Stacey. Abbandonate le ruvidità rock blues dei “corvi neri”, l’artista georgiano si muove con disinvoltura sulle corde del soul, destreggiandosi fra i suoni del Robert Plant più blues e del Neil Young più classico. La versione dvd di “New Earth Mud” contiene anche alcune canzoni live registrate durante i concerti acustici dello scorso anno.
FEEDER
Si esibiscono sul palco dell’Heineken Jammin’ Festival per il secondo anno, dopo la partecipazione nell’edizione 2001 consacrata a Vasco Rossi. La band pop metal dei Feeder nasce a Londra nel 1995 dall’unione fra il cantante e chitarrista Grant Nicholas e il batterista Jon Lee (scomparso nel gennaio del 2002), ai quali si è unito il bassista Taka Hirose di Tokio. Il gruppo britannico attira l’attenzione con i due mini album “Two Colors” e “Swim”, più alcuni singoli di grande spessore, fra cui “Stereo World” e “Tangerine”: nel 1997 esce l’album d’esordio “Polythene”, seguito da “Yesterday Went Too Soon” (1999) e “Echo Park” (2001). Il quarto album “Comfort Of Sound”, uscito lo scorso ottobre, ha sfiorato il massimo dei voti nella recensione della rivista Kerrang!, una bibbia per i seguaci dell’heavy rock.
SETTEVITE
Nati nel 1993 con una formazione diversa da quella attuale, incidono il loro primo disco nel 1997 con la produzione artistica di Tommy Massara degli Extrema. Nello stesso periodo tengono numerosi concerti, fra cui le performance come supporter nei live di Ligabue allo stadio San Siro di Milano e degli U2 alla Festa dell’Unità di Reggio Emilia. Dopo l’abbandono di Luca e Vale (due membri storici della band poi sostituiti da Tato – ex KaosLord – alla batteria e Andrea alla seconda chitarra), i Settevite lavorano al secondo album “Sottovuoto” (pubblicato nel 2000) con Tommy Massara (Extrema) alla chitarra, Mario Riso (Movida) alla batteria, Gino Marcelli (Madreblu) all’elettronica e Giovanni Frigo (Movida) alla chitarra. C’è anche un duetto con G.L. Perotti degli Extrema nel brano “Delirium 2000”. Nel terzo cd “The Freak Show” (uscito il 18 aprile 2003) il gruppo ritorna a cantare in inglese, tranne il secondo singolo “Ti sento”, cover dell’omonimo brano dei Matia Bazar. L’attuale line up dei Settevite è composta da Lella (voce), Ste (chitarra), Andre (chitarra), Jan (basso) e Tato (batteria).
TRIP HOP NIGHT
TRICKY
La Trip Hop Night dell’Heineken Jammin’ Festival 2003 porta in consolle uno dei primi e più importanti esponenti del trip hop, il movimento musicale fiorito in particolare a Bristol tra la fine degli Anni 80 e l’inizio degli Anni 90. Tricky (vero nome Adrian Thaws) nasce nel 1968 a Knowle West, Bristol. L’artista inglese collabora con i Massive Attack, suonando e firmando tre canzoni presenti nel loro album “Blue Lines” del 1991. Un paio d’anni più tardi, realizza con un amico il pezzo “Aftermath” e lo distribuisce ai negozianti di Bristol, riuscendo a venderne solo poche migliaia di copie. Ristampato nel 1994 dopo che Tricky ha firmato il contratto con la Fourth & Broadway, il singolo raccoglie larghi consensi di critica, che elogia anche il secondo disco “Ponderosa” dell’aprile 1994. In estate scrive con Neneh Cherry tre canzoni per l’album di debutto degli Whale.
Il disco d’esordio di Tricky arriva nel febbraio del 1995: s’intitola “Maxinquaye” e conquista il terzo posto della classifica in una settimana. “Maxinquaye” vende 200 mila copie in Gran Bretagna e più di mezzo milione in tutto il mondo, venendo considerato uno dei migliori prodotti discografici del decennio nei referendum di NME e Melody Maker. Seguono molti concerti in Europa e in America, fra cui un tour assieme a PJ Harvey; poi in agosto esce il mini album “The Hell EP”. Il suo trionfale 1995 prosegue con la vittoria in tre categorie dei Brits Awards: miglior gruppo dance, miglior esordiente inglese e miglior artista solista uomo. Nell’ottobre dello stesso anno pubblica il mini cd “I Be The Prophet”: la prima produzione della sua nuova etichetta, la Durban Poison.
Nell’aprile 1996 esce il secondo album “Nearly God”, che vanta la partecipazione di Terry Hall degli Specials, Neneh Cherry, Cath Coffey e Alison Moyet. Il mini album “Tricky Presents, Return To The Roots” (estate ’96) viene pubblicato solo in America; mentre a novembre del 1996 arriva nei negozi il suo secondo cd come solista: “Pre-Millennium Tension”, che si piazza nella top 30 delle charts e gli vale due nominations ai Brits Awards come miglior produttore e artista solista uomo. Fra le collaborazioni di quel periodo spicca quella con Elvis Costello. Il nuovo album “Angels With Dirty Faces” (1998) segna un ulteriore passo avanti nelle sue passioni musicali, che spaziano fra hip hop, blues, gospel, dub e rock. Il primo cd singolo contiene due hit: “Money Goody” e “Broken Homes” (un duetto con PJ Harvey). “Juxtapose” del 1999 è un album ancora fortemente influenzato dall’hip hop. Nell’autunno del 2000 esce un disco di quattro brani – “Mission Accomplished” – che anticipa di qualche mese l’arrivo dell’album “Blowback” (2001), al quale collaborano artisti del calibro di Alanis Morissette, Red Hot Chili Peppers, Ambersunshower e Cindy Lauper. Il nuovo cd di Tricky – intitolato “Vulnerable” – esce a maggio del 2003.
I PROTAGONISTI DI DOMENICA 15 GIUGNO
IRON MAIDEN
Stufo di essere rimbalzato da un gruppo all’altro del circuito londinese, il bassista Steve Harris (giocatore delle giovanili del West Ham) nel 1976 fonda una band tutta sua, scegliendo il nome di un truce strumento di tortura medievale conosciuto in Italia come “Vergine di Norimberga”. La line up degli Iron Maiden è completata dal chitarrista Dave Murray, il batterista Doug Sampson e il vocalist Paul D’Anno. In quel periodo le major discografiche cercavano artisti con la zazzera cortissima e canzoni in stile punk, ma gli Iron Maiden conquistano i fans dell’hard rock con infuocate esibizioni live, che li proiettano al fianco dei Motorhead come supporter. Cambia la formazione: entra il chitarrista Dennis Stratton e Sampson viene sostituito per motivi di salute da Clive Burr. Il primo singolo “Running Free” (1980) ha un’accoglienza sorprendente: la band viene invitata a “Top Of The Pops”, dove suona dal vivo per la prima volta dai tempi degli Who. L’album d’esordio “Iron Maiden”, pubblicato sempre nel 1980, raggiunge il quarto posto delle classifiche e la band si esibisce con Judas Priest e Kiss con la formula del “double bill”. Stratton diserta per divergenze artistiche e viene rimpiazzato alla chitarra da Adrian Smith.
L’album “Killers” del 1981 è il motore del primo tour mondiale da soli, al termine del quale il ruolo di vocalist viene affidato a Bruce Dickinson. Il nuovo cantante porta fortuna: “The Number Of The Beast” (1982) entra direttamente al numero uno della charts britannica, conquista la top ten in parecchi paesi europei e si fa notare anche negli Stati Uniti. Clive Burr getta la spugna perché esausto dopo un infinito tour mondiale di 180 date, nel quale si afferma la mascotte Eddie Lo Zombie. Alla batteria arriva Nicko McBrain. Seguono gli album “Piece Of Mind” (1983) e “Powerslave” (1984), quindi il solito interminabile giro del mondo: sono la prima band heavy metal a esibirsi nei paesi dell’est europeo (Polonia, Ungheria e Jugoslavia). Il World Slavery Tour lascia in eredità un doppio disco dal vivo: “Live After Death” del 1985. Altri due dischi: “Somewhere In Time” del 1986 (nel quale compaiono i sintetizzatori) e il concept album “Seventh Son Of A Seventh Son” del 1987.
Nel 1988 gli Iron Maiden richiamano 100 mila persone al festival Monster of Rock. L’anno dopo Bruce Dickinson incide un disco come solista e pubblica con la band “No Prayer For The Dying” (con il chitarrista Janick Gers che subentra ad Adrian Smith): l’album è caratterizzato da un’apertura a temi sociali e da una riduzione degli effetti speciali. Dopo “Fear Of The Dark” del 1992, il vocalist Bruce Dickinson cede il microfono a Blaze Bayley dei Wolfsbane, che canta in “The X Factor” del 1995 (nel tour seguente si esibiscono per la prima volta in Israele, in Sudafrica e a Mosca) e in “Virtual XI” (1998).
Nel 1999 Bruce Dickinson e Adrian Smith rientrano nella line up degli Iron Maiden: la reunion viene celebrata da un mega tour mondiale e dal greatest hits “Ed Hunter” (1999). Il nuovo millennio si apre con il disco d’inediti “Brave New World” (2000), seguito nel 2002 dal greatest hits “Edward The Great” e da un live registrato durante l’esibizione a Rock In Rio.
ZWAN
Billy Corgan, l’ex leader dei disciolti Smashing Pumpkins, è la mente del progetto Zwan che sta rapidamente conquistando il gradimento popolare con il singolo “Honestly”, seriamente candidato al ruolo di “canzone rock dell’anno”. La nuova band di Billy Corgan è completata dal batterista Jimmy Chamberlin (pure lui fuoriuscito dagli Smashing Pumpkins), i chitarristi David Pajo e Matt Sweenay e la grintosa bassista Paz Lenchantin, che nelle esibizioni live si diverte a sfoggiare mises mozzafiato con minigonna e tacchi a spillo. L’album d’esordio degli Zwan è uscito a fine gennaio 2003 con il titolo “Mary Star Of The Sea”: fra le canzoni, oltre all’hit-single “Honestly”, c’è una cover di “Number Of The Beast”, un classico heavy metal degli Iron Maiden. È stato un debutto al di là delle più rosee previsioni: il cd “Mary Star Of The Sea”, infatti, è entrato direttamente al terzo posto della classifica negli Stati Uniti (lo stesso risultato ottenuto dal disco d’addio degli Smashing Pumpkins tre anni fa) e ha superato agevolmente il traguardo delle prime 100 mila copie vendute.
CRADLE OF FILTH
Dopo anni di militanza nel sempre più interessante sottobosco delle etichette indipendenti, con risultati anche ragguardevoli, anche per la band dal metal gotico capitanata dal vocalist Dani Filth è arrivato il momento di incidere un album per una major: a marzo è uscito il cd “Damnation And A Day” targato Sony. Il disco è stato anticipato dal brano “Presents From The Poison-hearted”: un regalato per i fans, che hanno potuto scaricarlo gratuitamente dal sito web ufficiale del gruppo. Nella track list di “Damnation And A Day” ci sono anche tre interludi orchestrali diretti da Dan Presley, che è un lontano parente di Elvis Presley. Il videoclip del brano “Babalon A.D. (So Glad For The Madness)” è un dichiarato omaggio al film di Pier Paolo pisolini “Salò o le 120 giornate di Sodomia” del 1975. Il filmato, girato in una ex scuola dei Gesuiti a Londra, è diretto dal regista Wiz, che in passato ha lavorato con Marilyn Manson e gli Smashing Pumpkins. Il compito più arduo di “Damnation And A Day” sarà confermare i giudizi entusiastici ottenuti dall’album “Midian” del 2000, che il settimanale britannico Kerrang! ha premiato con il massimo dei voti e questa recensione: “Intenso, brutale, cattivo in modo rassicurante. I COF sembrano rinati. Un’esperienza terrificante: un disco heavy metal superbo”. La discografia della band comprende: “The Principle Of Evil Made Flesh (1994), “Vempire” (1994), “Dusk… And Her Embrace (1996), “Cruelty And The Beast” (concept album del 1998 dedicato alla contessa Batory, un inquietante personaggio storico), “From The Cradle To Enclave” (1999), “Midian” (2000), “Bitter Suites To Succubi” (2001), “Lovercraft And Witch Hearts” (2002), “Live Bait For The Dead” (2002) e il recente “Damnation And A Day” (2003).
I Cradle Of Filth sono: Dani (voce), Paul (chitarra), Martin (tastiere), Adrian (batteria) e Dave (basso).
MURDERDOLLS
L’avventura dei Murderdolls inizia sette anni fa (inizialmente con il nome di The Rejects) per iniziativa del chitarrista Joey Jordison, in largo anticipo sulla rivoluzione metal degli Slipknot (l’altra band in cui milita Jordison). Dopo aver sperimentato varie formazioni, durante il tour del 1999 entra in squadra il chitarrista Tripp Eisen (poi entrato nei Dope e sostituito da Acey Slade) che a sua volta recluta Wednesday 13 come bassista. Quest’ultimo diventa presto il frontman del gruppo, che completa la line up originale con il bassista Eric Griffin e il batterista Ben Graves. Le canzoni dell’album “Beyond The Valley Of The Murderdolls”, pubblicato nel 2002 per la Road Runner Records, sono caratterizzate da un suono violento di chiara matrice Sex Pistols. Il frontman Wednesday (che ha scelto il nome “Mercoledì” in onore della bimba del serial tv “La Famiglia Addams”) ha confermato che il prossimo cd è previsto per il 2004. Durante i concerti Joey Jordison (che suona anche la batteria ma preferisce la chitarra) si diverte a tuffarsi sulla folla.
LACUNA COIL
Basta un solo demo ai Lacuna Coil per convincere la prestigiosa etichetta tedesca Century Media a metterli sotto contratto: dopo il mini album omonimo del 1998, nel febbraio del ’99 pubblicano l’album “In A Reverie”, un disco metal che mescola influenze gotiche, rock e l’interazione fra i due cantanti Cristina Scabbia e Andrea Ferro. Dopo diversi concerti in Europa e un altro mini album (“Halflife” del 2000), il gruppo entra di diritto fra le più interessanti realtà metal italiane con il cd “Unleashed Memories” del 2001. L’intensa attività live porta i Lacuna Coil oltre oceano: in Canada, Messico e Stati Uniti. Al rientro nel Vecchio Continente si esibiscono dal vivo assieme ai migliori esponenti del metal europeo: In Flames, Dimmu Borgir, Moonspell e Tiamat. Nel settembre del 2002 arriva nei negozi il terzo disco (il quinto contando anche i due ep): s’intitola “Comalies” e proietta i Lacuna Coil sulle copertine delle riviste specializzate di tutto il mondo.
Line up: Cristina Scabbia (voce), Andrea Ferro (voce), Marco Coti Zelati (basso), Cristiano Migliore (chitarra), Marco Piazzi (chitarra) e Cristiano Mozzati (batteria).
VISION DIVINE
Fondata da due esponenti di culto del metal italiano – Olaf Thorsen dei Labyrinth e Fabio Lione dei Rhapsody – la band ha inciso due album – l’omonimo “Vision Divine” e “Send Me An Angel” – pubblicati in tutta Europa, Giappone, Korea, Singapore, Sud America e Stati Uniti. Questi primi dischi hanno ottenuto uno straordinario consenso popolare, superando le centomila copie vendute. Il gruppo ha un invidiabile seguito di fans nei suoi concerti in giro per il mondo, in particolare in Sud America dove sono stati la prima formazione rock italiana a effettuare un tour come headliner. Molte anche le partecipazioni ai principali festival: dal prestigioso Wacken (davanti a più di 60 mila spettatori) fino al Locomotive Festival in Spagna e al Metal Dayz in Svizzera. In entrambe le ultime due esibizioni, il concerto dei Vision Divine viene votato dal pubblico come miglior performance della manifestazione.
DOMINE
Dopo parecchi anni di gavetta nel circuito underground (quattro demo fra il 1986 e il 1994), con tre album di metal epico hanno guadagnato il rispetto dei metallari di tutto il mondo: il vocalist Morby ha cantato anche con i Labyrinth nel tour europeo di supporto agli Hammerfall. Davvero infinita la lista di esibizioni live del gruppo di Firenze: fra le più prestigiose c’è la partecipazione al Gods Of Metal 2000 di Monza. I Domine hanno inciso tre album: “Champion Eternal” (1997), “Dragonlord – Tales Of The Noble Steel” (1999) e “Stormbringer Ruler – The Legend Of The Power Supreme” (2001), pubblicati anche in Canada, Messico, Giappone e negli Stati Uniti. Il cd “Dragonlord” entra anche fra i primi cento dischi italiani: al numero 98 di una classifica che in quel periodo oltre a loro annovera solo Dream Theater e Metallica come gruppi metal. Della formazione originale restano Enrico Paoli (chitarra) e Riccardo Paoli (basso): la line up attuale è completata dal vocalist Morby (ex Sabotage, una delle prime band metal in Italia), Riccardo Iacono (tastiere) e da Stefano Bonini (subentrato a Mimmo Palmiotta alla batteria).
PREZZI E PREVENDITE
Il prezzo del biglietto per la singola giornata è di 30 euro + diritti di prevendita, mentre l’abbonamento ai tre giorni è di 66 euro + diritti di prevendita.
NUMERI UTILI PER L’ACQUISTO DEI BIGLIETTI
Pre tutte le altre regioni consultate il sito www.ticketone.it
I biglietti possono essere anche acquistati tramite vaglia intestato a:
STUDIO’S
STRADA FOSSAMONDA CENTRO 25
41100 MODENA
AGENZIA DI PAGAMENTO N.9
Specificando HJF, numero dei biglietti che si intende acquistare, Giorno/I Desiderato/I, Numero Telefonico Del Richiedente.
COME ARRIVARE A IMOLA
Aereo
Bologna Borgo Panigale Km 33
Forlì (voli privati) Km 26
Treno
Linea Bologna – Ancona – Stazione di Imola Km 1
Dalla stazione all’autodromo a piedi sono circa 20′ fino all’ingresso principale dell’autodromo. Dalla stazione ferroviaria procedere sempre dritto per circa 1.5 km (viale A.Costa, via Appia, Via Mazzini, Viale Dante); la stazione degli autobus si trova su viale A.Costa (usare la linea 1 rossa). Attualmente le Fs non hanno ancora comunicato niente a riguardo della possibilità di avere treni speciali e solitamente queste comunicazioni arrivano a ridosso dell’evento. Per gli orari dei treni consultate il sito ufficiale delle FS.
Auto
Statale SS9 Via Emilia (da Bologna) Km 33
Autostrada A 14 uscita Imola Km 5
Una mappa dei documenti è disponibile nella documentazione allo speciale vedi sotto. I parcheggi su aree pubbliche sono stati assegnati in forma incustodita; esistono anche parcheggi su aree private, la cui trattativa è diretta.
DOVE DORMIRE
Campeggio
E’ disponibile un campeggio nell’area lungofiume, vicino all’ingresso principale dell’autodromo, zona tribune centrali. Il campeggio è aperto 24 ore al giorno. E’ dotato di docce e servizi igienici. Parte dell’area è destinata ai camper. Al momento non si conoscono ancora i prezzi. Per maggiori informazioni: Riverside – tel.0542.22630 o 338.6576316.
Il campeggio all’interno dell’autodromo non è permesso.
Hotels
Sportello informazione accoglienza turistica:
IAT – Via Mazzini 14 – Tel. 0542602207 – Fax 0542602310 – iat@comune.imola.bo.it
Lo IAT è un servizio comunale che offre informazioni sulla città di Imola, gli appuntamenti culturali e sportivi, la ristorazione, l’alloggio e le opportunità di visita in città e nei dintorni.
Orari di apertura al pubblico:
da lunedì a venerdì dalle 8.30 alle 13.30
martedì e giovedì dalle 15.00 alle 18.15
sabato dalle 8.30 alle 13