IDENTIKIT: Borknagar – ‘Elegia vichinga passata, presente e… futura’

Pubblicato il 19/04/2004

INTRODUZIONE

Chiamatela musica metal vichinga, chiamatela emozione o chiamatela semplicemente Borknagar. Il gruppo norvegese capitanato dal chitarrista Øystein Garnes Brun è uno dei gruppi più importanti della penisola scandinava. Seppur ormai lontani dall’eredità tipicamente nordica, i Borknagar hanno saputo nella loro evuluzione rimanere su livelli compositivi davvero incredibili. La storia di questo gruppo è costellata da numerose stelle della scena estrema norvegese, gente che ha fatto parte di importanti band quali Gorgoroth, Enslaved, Ulver, Solefald, Vintersorg e che ha dato un contributo non secondario ad innalzare i Borknagar a livello internazionale. Anche se l’apice è stato raggiunto parecchi anni fa con “The Olden Domain”, ogni nuovo lavoro di questa realtà sensazionale è un must e una sfida verso le nuove barriere musicali. Un suono inconfondibile, l’intelligenza compositiva, la maturità artistica, la genialità non comune, la tecnica elevata, l’ispirazione genuina fanno dei Borknagar una realtà splendida e affascinante, la cui punta di diamante è rappresentata dallo stile personalissimo del suo chitarrista compositore. “A new kingdom rise, I close my eyes”…

BIOGRAFIA

La storia dei Borknagar (nome che nello specifico non significa niente, ma che si riferisce ad un personaggio fittizio di una storia di fate norvegese) inizia nel lontano 1995, quando il chitarrista della brutal metal band Molested, Øystein Garnes Brun, decide di reclutare elementi di altre band norvegesi per creare una musica più epica e dalle atmosfere melodiche. Senza alcun demo alle spalle, la band esordisce sul mercato discografico con il cd “Borknagar” fatto uscire per la Malicious Records nel 1996 (album che verrà ristampato nel 1999 per la Century Media). Il clamoredi questo album spinge Robert Kampf della Century Media a mettere sotto contratto questa promessa norvegese. Il gruppo esplode nel 1997, dando alle stampe l’immortale “The Olden Domain”, registrato agli Woodhouse Studios sotto la regia di Waldemar Sorychta (Tiamat, Moonspell, Samael). L’anno seguente tocca a “The Archaic Course”, album nel quale ci sono notevoli novità, soprattutto nella line up: alla voce non c’è più Garm (Ulver) bensì I.C.S. Vortex, mentre alla seconda chitarra c’è Jens F. Ryland. Appena finite le registrazioni il batterista Grim (che morirà suicida qualche tempo dopo) ed il bassista Kai Lie lasciano la band. Nel 2000 la band è nuovamente in studio, stavolta gli Abyss, per registrare “Quintessence” avvalendosi dell’aiuto in fase di engineering di Lars Szöke (Hypocrisy, Destruction, Rotting Christ) e Peter Tägtgren (Dimmu Borgir, Marduk, Dark Funeral). Ci sono due nuove entrate nella band: il batterista Asgeir Mickelson degli Spiral Architect e Lars A. Nedland, tastierista dei Solefald. Nel frattempo I.C.S. Vortex lascia la band per unirsi definitivamente ai Dimmu Borgir e, come bassista, viene reclutato Tyr (già live session di Emperor e Satyricon), mentre l’amicizia tra Brun e Vintersorg (Vintersorg e Otyg) si traduce con l’entrata di quest’ultimo nei Borknagar che provoca anche un cambiamento per quanto riguarda il concept della band, non più legata alle tematiche tradizionali del viking metal, ma orientata verso nuovi orizzonti empirici. Nel 2001 è dunque il momento di “Empiricism”, lavoro che consacra definitivamente la band ai massimi vertici del metal estremo europeo. Il 2004 vedrà l’uscita di un nuovo album dei Borknagar, la saga gloriosa è destinata a continuare…

BORKNAGAR

BORKNAGAR - Borknagar
Bisogna riconoscere il merito e ringraziare la tedesca Century Media (che ovviamente non ha partorito quest’iniziativa per opera caritatevole) per aver salvato numerosi ottimi album della metà degli anni ’90 del black metal grazie alla ‘collana’ Century Black, che ha riedito numerosi gioielli un tempo, stampati originariamente per piccole case discografiche indipendenti dalla ristretta distribuzione, offrendoli ad un pubblico più vasto. Gli esordi dei norvegesi Borknagar iniziano nel ’96 con l’uscita dell’album omonimo (ristampato nel ’99). Il bello di questa favola (ma al contempo realtà) è che la band sin dal primo riff di chitarra del primo album ha saputo crearsi e rendere indelebile il proprio marchio di fabbrica. I Borknagar sono sempre gli stessi sin dagli esordi e si son subito dimostrati una band dal calibro invidiabile. All’inizio la cosa che faceva più paura era la natura della line up: bisognava considerare il gruppo come un progetto di noti personaggi della scena black metal o una vera e propria band a tutti gli effetti? Alla fine tutti i dubbi sono svaniti e i Borknagar, seppur con importanti cambiamenti nella line up, si sono dimostrati una band decisa e dominata dalla forte personalità del suo chitarrista fondatore Øystein Garnes Brun. Cosa salta subito in primo piano ascoltando il bel debutto? L’inconfondibile stile del chitarrista, un personaggio che ha gettato quacosa di più di una boccata fresca nella musica metal estrema, anche se nessuno è riuscito ancora a raccoglierne l’eredità. Il piacere di questo cd è ascoltare la classe e soprattutto la genialità di un chitarrista simile: i suoi riff più propriamente black metal giocano su tonalità diverse da quelle tradizionali, c’è sempre un sottile filo epico che collega tutti i vari riff, epici e maestosi senza essere ridondanti come spesso accadeva ai Mithotyn (giusto per fare un paragone). Nella formazione di questo debut non può essere taciuta la partecipazione di colonne della scena norvegese come Infernus dei Gorgoroth, Grim (batterista degli Immortal nel periodo di “Pure Holocaust”), Garm (voce e spirito degli Ulver) e Ivar degli Enslaved. L’amalgama di questi veri fenomeni si rivela decisiva e vincente e questo debut, anche a distanza di anni, continua ad essere affascinante come una scoperta appena inventata. “Borknagar” fa salpare dai fiordi innnevati una melodia pregna del sapore antico delle terre nordiche dove è stata custodita con gelosia per lunghi secoli. La forza dell’opener “Vintervredets Sjelesagn” consiste tutta nell’abilità della band ad alternare sfuriate epiche black metal, caratterizzate da riff mozzafiato, a rallentamenti in cui Garm può far valere tutto il suo vocione e Brun può tessere con la sua chitarra assoli monumentali in cui scorre solo misticismo. L’album presenta due intermezzi molto suggestivi come le due versioni di “Tanker Mot Tind” (parte strumentale molto epica fatta con le tastiere) e soprattutto “Ved Steingard” e “Nord Naagauk” in cui il buon Brun dimostra ancora una volta come si suoni lo strumento a sei corde: un assolo chitarristico in cui su una base acustica molto stridula si erge una chitarra elettrica ispirata e dal suono molto caldo. La vera alchimia di questo piccolo gioiello è la capacità di sembrare sempre più interessante: man mano che scorrono gli ascolti e anche l’iniziale diffidenza (per coloro i quali non sono abituati alla rozzezza delle produzioni black metal) con il tempo viene dimenticato il motivo per cui canzoni come “Dauden” hanno la forza dirompente di coinvolgere anche i cuori di ghiaccio. Che Garm fosse un cantante insuperabile o quasi con il tempo lo hanno capito in molti, ma forse i Borknagar sono riusciti ad inserire il suo inconfondibile cantato nel contesto più adatto cui si potesse pensare. Ovviamente Garm, da parte sua, è stato un valore aggiunto della band non indifferente. Tutti i brani hanno una caratura maggiore rispetto alla norma anche se permangono momenti selvaggi e quasi confusionari; soprattutto, nella struttura della canzoni la band deve ancora crescere e alcuni stacchi non sono proprio riusciti ottimamente, ma da un gruppo debuttante sarebbe chiedere troppo essere perfetti. Come dire: la nascita di una nuova stella. Piace il pensiero inciso sul libretto del cd, un pensiero tutto sommato rispettato dalla band durante gli anni: i Borknagar sono una band ispirata dall’antico passato, un passato in cui l’uomo doveva imparare ancora molto, imparare a rispettare e temere la natura per poter sopravvivere. Un monito che dovrebbe essere tenuto in considerazione da tutti.

THE OLDEN DOMAIN

BORKNAGAR - The Olden Domain
Un ramo disegnato in copertina rende, di colpo, il contenuto del cd misterioso. In questo ramo scorre linfa vitale, scorre una storia antica come il passare delle stagioni e racconta eventi di un’era passata. Aprendo il booklet di “The Olden Domain” si viene subito denudati e messi davanti alla realtà: i quattro elementi della vita sono rappresentati in questo artwork nobilissimo che inserisce l’uomo al centro delle forze del cielo e della terra, dell’aria e del fuoco. Ci si immerge inconsapevolmente dentro il cuore pulsante della Natura, si diventa linfa di quello stesso ramo che enigmaticamente campeggiava sulla copertina del cd. Solo adesso, con la mente ed il corpo liberi e allo stesso tempo sprofondati in una dimensione esistenziale primordiale, si può dare inizio all’ascolto di questa musica, di questo richiamo alla condizione umana di un tempo che fu e che non va dimenticato. “The Olden Domain” è il regno in cui i Borknagar si incoronano reali del metal nordico epico. Solenne, maestoso, per nulla ridondante è l’elemento epico in questo grandioso album, superiore a moltissimi (se non tutti) lavori simili. Per una volta piace sottolineare l’aspetto affascinante costituito dai testi delle canzoni, veri inni al naturalismo, vere e proprie elegie in prosa. L’album si apre con la mistica “The Eye Of Oden” in cui si comprende subito il salto qualitativo vertiginoso che la band è arrivata a compiere nel giro di una sola release. Vero trascinatore si presenta sin dall’inizio il superlativo Garm, che in questo album mette a disposizione tutta la sua classe cristallina. La sua voce così particolare è veramente un patrimonio in una scena estrema in cui i cantanti veri si contano purtroppo sulle dita di una mano. Anche il suo screaming non è uno dei tanti: nessun elemento nei Borknagar è ‘uno dei tanti’, ritrovabile magari in qualche altra band. Emozionante il duetto tra il cantato di Garm che anticipa gli assoli brevi ma intensi di Brun. L’inizio di Winterwag” è sensazionale, perché un semplice riff distorto crea una base eterea sulla quale la chitarra acustica intesse un motivo magico quanto il segreto delle rune. Rispetto al debut sono scomparsi i momenti tiratissimi e caotici, troppo banali per una band geniale come i Borknagar, e in effetti le prime song di questo album al massimo propongono ritmi calzanti, ma mai vorticosi. Dopo la solita song atmosferica di sole tastiere ecco due tra i più bei brani mai composti dalla band: “A Tale Of Pagan Tongue”, capace con il suo riff d’apertura di spingere le emozioni attraverso i tempi e rituffarle in un’antichità remota. Il ritornello è da brividi, è l’esaltazione dell’armonia che regna in Natura, in cui le note dei Borknagar si disperdono come petali al vento. Più sofferta la successiva “To Mount And Rode”, la cui musica rappresenta come un quadro impressionista il volgere delle stagioni, come indicato dal testo. Ecco che qui si rivela un altro segreto prezioso dei Borknagar: la capacità di amalgamare ogni singolo elemento con gli altri, dare ad esso aria e creare una costellazione dopo l’altra in modo da riempire un universo sonoro infinitamente ricco e multicolore. “Grumland Domain” è il primo brano veramente tirato ed esplicitamente epico, e non sorprende più la capacità della band di saperlo trasformare in un qualcosa di mastodontico, irrefrenabile, con quel giro di tastiera che sembra riecheggiare le antiche cariche di cavalleria che scuotevano l’aria per annunciare la devastazione. Dopo questa scarica di adrenalina si ritorna nel bel mezzo della foresta, luogo sacro in cui immergersi nei propri pensieri, cullati dalla dolce cantilena di “Ascension Of Our Fathers” (altro titolo sintomatico, ma sottolinearlo ormai è diventato superfluo). Come concludere questo capolavoro? Scegliendo ovviamente un mezzo che funzioni da legame tra questa vita e quella ultraterrena, dove campeggia solenne l’immortalità. Ecco dunque “The Dawn Of The End”, carica di quella tensione escatologica mista tra paura e sogno che tradisce debolezze e mette a dura prova ogni certezza. La parte finale del brano è uno dei momenti più alti raggiunti dal metal estremo, ma anche della musica tutta, quella almeno che sa eccitare un animo. Di colpo, infine, la quiete: un posto solitario e silenzioso, impreziosito magari da un piccolo ruscello di acqua limpida, in cui i Borknagar immergono i sogni nella consapevolezza del fatto che l’uomo è figlio della Natura. “Wind, Water, Earth, Fire: invincible!”.

THE ARCHAIC COURSE

BORKNAGAR - The Archaic Course
Difficile eguagliare un superlativo “The Olden Domain” ma i Borknagar superano brillantemente forse la prova più difficile, ovvero quella di sapersi ripetere, a livelli altissimi. A non si tratta di una cosa facile: la perdita di Garm alla voce potrebbe rivelarsi un handicap incolmabile per chiunque, ma i Borknagar si presentano con questo “The Archaic Course” con una formazione molto diversa e molto competitiva. La carta vincente è il cantante I.C.S. Vortex, una voce che non si può non amare. L’album apre il sipario con l’ormai ‘storica’ “Oceans Rise”, un furioso moto ondoso di sonorità primordiali che crea un gorgo infinito al centro di quell’universo costruito in passato dalla band. Dopo un inizio in classico ‘stile Borknagar’ e una parte acustica mozzafiato e senza tempo, ecco l’entrata di I.C.S. Vortex con il suo cantato pulito semplicemente da brividi. La quiete e la tempesta: due stati d’animo, due fulcri della musica di questa band ancora legata indissolubilmente legata e costantemente affascinata dal panorama offerto dalla vita: “When the oceans rise and when thunder calls” è il prologo per far iniziare a fluire l’animo musicale dei Borknagar, che non conosce confini, spaziali o temporali che essi siano. Questa sensazione di riuscire a fluttuare con le sensazioni grazie alle melodie continua nella successiva “Universal”, altra dimostrazione di potenza della band: ‘montagne più alte di dove possa osare la mente umana, oceani più profondi della disperazione’, ecco i non-confini irragiungibili che si pone la band nel suo viaggio musicale fatto continuamente di sfide, nel confrontarsi con forze schiaccianti. L’epicità è evidente, ma qui non si può ascoltarla (come accade nelle altre viking metal band), ma si deve semplicemente viverla. Lo stile della band non è poi cambiato rispetto all’album precedente, ma i Borknagar hanno saputo creare un’atmosfera diversa, molto più ariosa, meno legata alla terra come nel precedente, più libera di spaziare nel cielo e per questo capace di viaggiare a ritroso nel tempo verso quell’Inizio in cui tutto iniziò a prendere forma. In questo viaggio dal presente al passato e ritorno, le canzoni si rivelano adatte al loro scopo di riportare in superficie le tappe salienti di un simile viaggio sciamanico, specie “The Black Token”, in cui il nuovo singer fa sentire tutte le sue abilità canore. Il cantato a volte finisce su tonalità piuttosto alte, che un ascoltatore medio del metal estremo è poco abituato a sentire, ma qui si tratta di un cantato intelligente che sa ben inserirsi nel resto della musica. Forse “Nocturnal Vision” e “The Witching Hour” hanno il difetto di non essere memorabili, ma solo belle canzoni. “Ad Noctum” è forse il brano più celebre dell’intero album, forse semplicemente per l’uso dell’organo che qui viene fatto. Con il senno di poi si può vedere la scelta di inserire questo brano come una scelta più generale che verrà ampliata nei lavori precedenti. All’epoca, comunque, questo brano suscitò in molti parecchie perplessità, ma in definitiva i Borknagar hanno confezionato un brano trascinante e particolare, forse dal gusto un po’ retrò, ma pur dotato di grande impatto. Un altro grande disco, un altro macigno nella costruzione del castello Borknagar, bello e dominante oltre che assolutamente caratteristico… e nel frattempo nel reame si sparge la voce della nascita di una nuova, fantastica realtà.

QUINTESSENCE

BORKNAGAR - Quintessence
“Quintessence” rappresenta un punto focale nel processo evolutivo dei Borknagar. Una chiave di volta che sradica la band dalle sue origini nordiche e la proietta in una nuova realtà adimensionale nella quale il gruppo di Brun è costretto a crearsi una nuova personalità. Inizia a tingersi il nuovo universo sonoro dei Borknagar, e uno dei colori usati è fornito da Lars A. Nedland (tastierista anche degli indecifrabili e geniali Solefald), nuovo membro della band assieme al batterista Asgeir Mickelson. Cambia un po’ tutto in questo album rispetto al passato eppure ascoltando “Quintessence” si capisce che a suonare sono pur sempre i grandi nostri norvegesi: evoluzione, senza negazione della propria identià, ecco la difficile vittoria ottenuta nei nuovi dieci brani contenuti in questo album di trapasso. Già l’iniziale “Rivalry Of Phantoms” può lasciare spiazzati per la nuova veste musicale cosmica dei Borknagar, per un songwriting meno ‘nordico’, ma sempre personale; per una registrazione più corposa che però inguaia le chitarre in una saturazione forse eccessiva (colpa della scelta ricaduta sugli abusati Abyss Studio, semplicemente inadatti a certe produzioni di gruppi con in possesso già di uno stile personale). Una delle differenze tra il debutto e “The Olden Domain” risiedeva nell’approccio differente del cantante (all’epoca Garm), con una sua più spiccata propensione alle parti con la voce pulita. Non che in “The Archaic Course” I.C.S. Vortex non abbia usato la sua fenomenale voce naturale, ma qui la dose è più massiccia (a volte pure troppo) e moltissime (quasi tutte) sono le sovraincisioni in cui viene privilegiata la traccia con le tonalità più alte. Ma il vero cambiamento dei Borknagar in questo cd sta nell’utilizzo delle tastiere, e specialmente nei suoni scelti. Per chi conosce i Solefald lo stile è presto identificabile, e ad ogni modo si tratta di un utilizzo del tutto diverso da quello fatto dai gruppi viking o black metal sinfonici. Niente cori o archi, bensì suoni che ricordano l’organo, o suoni leggermente psichedelici che in questa maniera fanno subire al mood tipico della band scandinava una virata veramente non indiferrente. “The Presence Is Ominous” è un brano semplicemente mal riuscito: modesta la parte strumentale, ma soprattutto maldestro l’utilizzo delle metriche vocali (quasi forzate, come se Vortex dovesse per forza di cose conciliare un testo precostituito ed immutabile su una base non idonea alla sua metrica) ed il modo in cui vengono utilizzate. Ci sono quasi sempre due voci pulite (su cui spicca quella impostata su tonalità più alte) e uno screaming in sottofondo quasi impercettibile. L’atmosfera che si crea non è davvero conciliante con il metal estremo, a quasi sembra di sentire un ritornello di quelli tanto in voga nel pop (magari non di quello dall’aria felicissima, ma sempre pop). Per fortuna la successiva “Ruins Of The Future” offre subito violenza, ed un tipico songwriting alla maniera cui i Borknagar ci hanno da sempre abituati. L’inizio del brano è travolgente, e tutta la canzone è molto positiva – escluso il ritornello, anche fuori luogo, senza presa, fuori dal contesto. Ci si inizia a preoccupare sul lavoro del cantante, che pure è un ‘mostro’, così brillante nel disco suo di debutto eppur qui così poco ispirato da lasciar credere di non aver capito l’atmosfera del disco, il giusto approccio da avere. Dal nulla spunta uno dei brani simbolo del quintetto scandinavo: “Colossus”, una canzone dal titolo emblematico. Vortex stavolta fa rimangiare tutti i pregiudizi negativi sorti nei suoi confronti durante i minuti precendeti del cd, e piazza un’interpretazione destinata ad essere ricordata per molto tempo ancora. Colonna capace di sorreggere, da sola, il peso del nuovo corso intrapreso dal gruppo, “Colossus” è simbolo della genialità, di un’epicità talmente densa da evadere i confini propri di tale dimensione. Dopo il classico intermezzo a metà cd, come di consueto per un lavoro dei Borknagar, è il turno di “Invincible”, un brano più che discreto e atto a dimostrare quale sia la nuova veste della band: sempre ispirata, ma con un songwriting di chitarra soffocato perché ora sono decisamente le tastiere a marchiare la nuova creatura Borknagar. Dopo la convincente “Icon Dreams”, “Genesis Torn” alza un po’ di più il livello standard di “Quintessence” con la sua aggressività e la contemporanea leggera atmosfera rilassante. L’interludio piacevole di chitarra fatto da Brun in “Embers” è il trampolino di lancio ideale per la conclusiva e sognate “Revolt”. Qui torna prepotentemente in primo piano la classe della band che conclude il cd con una canzone davvero d’alta statura emotiva, capace di proiettare le melodie dallo spazio e irradiarle in tutte le galassie. Il gruppo ha abbandonato le proprie radici senza tradirle, ora l’essenza dei Borknagar è libera di volare verso altri lidi, capace di mantenere una coerenza e una peculiarità di cui ormai in molti si sono accorti.

EMPIRICISM

BORKNAGAR - Empiricism
Dopo aver cambiato il target ed aver aggiustato la mira, ritornano i Borknagar con un sensazionale “Empiricism”, album sopraffino sostenuto da una tecnica invidiabile in ambiente metal estremo, un disco che getta le basi oltre agli ostacoli e fonda una nuova realtà in cui è inciso il nome Borknagar. L’evoluzione stilistica continua senza soste e si perfeziona. Non c’è più I.C.S. Vortex, che intanto è stato chiamato dalle sirene (commerciali?) dei Dimmu Borgir. A chi giova tutto questo? Ai Borknagar anche stavolta, perché loro, al contrario del gruppo appena citato, sono in piena crescita ed espansione creativa. Alla voce ora c’è Vintersorg (già negli omonimi Vintersorg e Otyg) e la scelta può erroneamente far pensare ad un ritorno ai lidi musicali nordici: niente di tutto questo, però: il Vintersorg odierno non è più il cantastorie delle tradizioni scandinave, è interessato ai problemi che legano l’uomo al cosmo, al ruolo del primo nel ventre del secondo. Ovviamente il sound del gruppo deve ora suonare più universale, più ‘scientifico’ rispetto agli esordi viking, ma la scelta di cambiare ulteriormente studio di registrazione giova sino ad un certo punto. Intendiamoci, la produzione è molto buona anche se molto, troppo compressa e ciò va a discapito di un’ariosità che avrebbe potuto espandere maggiormente il ‘verbo’ dei Borknagar. Anche se di parti acustiche ormai non si vede che l’ombra, la scelta di usare una batteria triggerata dai suoni così poco naturali non è proprio il massimo. Ma anche questa scelta (si deve per forza trattare di ‘scelta’, vista l’esperienza della band e visto che i Borknagar non lasciano mai nulla al caso) aiuta ad astrarre ulteriormente la proposta musicale dei nostri scandinavi. La sezione ritmica si è arricchita con l’innesto del virtuoso bassista Tyr, ma chi veramente sorprende è lo stesso Vintersorg, con il suo cantato melodico, potente ed ispiratissimo, non esagerato come invece gli era capitato in passato con Otyg o gli stessi Vintersorg. “Epiricism” contiene dieci bellissime stelle musicali da contemplare, da studiare. La sezione ritmica è capace di fare intrecci davvero ragguardevoli, le tastiere (dal gusto a tratti prog) hanno la forza di fare il brutto e cattivo tempo, mentre Vintersorg fa dimenticare in fretta I.C.S. Vortex e (forse) Garm. E Brun? Qual è il contributo di uno dei più personali chitarristi che la scena metal estrema ricordi? Brun, che pure continua ad essere il cuore e la mente dei ‘suoi’ Borknagar, pare essersi eclissato come chitarrista, sembra preferire il lavoro di gruppo al cimentarsi come in passato in un grande lavoro di songwriting con la sua magica chitarra. Non solo: le chitarre non solo sembrano soffocare in questo “Empiricism”, ma sono registrate ad un volume insolitamente basso per gli standard cui ci aveva abituato la band, anche se spesso siamo a livelli superiori rispetto a “Quintessence”. Le chitarre sembrano anche adoperarsi in riff più standard, non sempre incisivi e piuttosto semplici per trattarsi dei Borknagar, ma tutto questo è ben bilanciato dagli altri strumenti ed il risultato di questo nuovo album è assolutamente positivo. L’opener “The Genuine Pulse” mostra immediatamente l’attuale dimensione ‘spaziale’ (in tutti i sensi!) cui è maturata la band in questi anni. I brani si alternano, ci sono quelli più violenti e quelli che lo sono in minor misura, quelli dalle atmosfere più terse e sognanti e quelli più contorti, intricati. “The Black Canvas” ha un refrain superbo e qui Vintersorg dimostra di saper posare un testo in modo armonioso sulla canzone, superando in abilità il suo predecessore. Nedland, con le sue tastiere dai suoni di organetto, fa poi storia a sé: è un ottimo ricamatore e creatore di atmosfere surreali (si ascolti la pacata “Inherit The Earth”) che incidono pesantemente sullo stile nuovo e particolare del gruppo, basti vedere lo spazio che è capace di ritagliarsi in “Matter & Motion”, di cui è l’unico protagonista. In “Soul Sphere”, brano dall’elevatissima qualità, è Tyr a dimostrare come il basso – se suonato ad arte – possa essere il vero cuore pulsante di un gruppo. Questa canzone ha il miglior ritornello che si sia sentito ultimamente in un gruppo pur sempre di musica estrema, cosa di non scarso valore. Siamo al picco mai raggiunto prima dai Borknagar, quelli della ‘seconda era’. Anche gli assoli di chitarra, finalmente, si fanno valere e come sempre regalano emozioni allo stato puro. Questo è dunque un cd in grado di regalarsi applausi a scena aperta per le sue frequenti intuizioni geniali. Per le chitarre acustiche bisogna aspettare la dolce “The Stellar Dome”, una canzone notturna in attesa di essere accesa da una cascata di stelle cadenti. Ancora una volta Vintersorg è la voce che giunge dall’alto e scuote la creatura Borknagar, innalzandola e facendola vibrare armoniosamente in un cosmo regolato da leggi aritmetiche, rispettate alla perfezione dai cinque norvegesi. Il cd non cede fino alla fine, anzi, la pacatezza della conclusiva “The View Of Everlast” getta un senso di piacere consumato, un piccolo nirvana interiore al quale non si ha coraggio davvero di chiedere di più. C’è solo da sperare che i Borknagar continuino sempre con la propria mente e abilità, imponendosi di non seguire nessuna corrente per poter diventare loro il vero motore di un universo sorretto da un nuovo ordine. Davanti ad una carriera simile c’è solo da inchinarsi.

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