Parlaredei Death SS nel 2004 significa innanzitutto controllare il latosquisitamente emotivo di chi scrive, mentre il turbinio di ricordisembra voler rivitalizzare un passato avvolto da un’aura magica. Unnome maledetto che incarna alla perfezione lo stretto necessariodell’infatuazione giovanile: un make up orrorifico, testi scomodi, uncontinuo passaparola sulle nefaste conseguenze della loro musica maallo stesso tempo l’orgoglio del fan per un gruppo che sembra nonrisentire delle turbolenze stilistiche del music biz. Oggi il monickerDeath SS fa rima con progressione, genera aspettative di rilievo edimplica un’attenzione differente da parte del metal kid medio, lastessa attenzione che la redazione di Metalitalia ha sempre mostratoverso le vicende del glorioso act. In occasione dell’uscita dellaraccolta “The Horned God Of The Witches” e a pochi mesi dall’uscita delnuovo album “The Seventh Seal”, vogliamo offrire ai nostri lettori lafedele cronaca di una lunga chiacchierata con il leader Steve Sylvesterma anche un’intervista/retrospettiva al celebre critico musicale GianniDella Cioppa, che traccia un profilo inedito della band. Accanto atutto ciò ci è sembrato ovvio inserire le recensioni dell’interadiscografia del gruppo, in una formula che inevitabilmente tiene contodel “senno di poi”. Buona lettura a tutti.
INTERVISTA A GIANNI DELLA CIOPPA
Intervista a cura di Stefano Lummi
Oltread essere il decano del giornalismo hard/metal (mettiamo nel noveroanche il mitico Beppe Riva) Gianni Della Cioppa è un attentoconoscitore delle vicende di casa Death SS, soprattutto della primaincarnazione del gruppo, quando Paul Chain era ancora della partita.Con lo stesso Paul Gianni ha condiviso per anni un sodalizio umano (siconsideri che fu l’unico giornalista, anni fa, con il quale ilchitarrista pesarese accettò di parlare, sulle pagine de “IlMucchio…) ora trasformatosi in artistico, vedi la pubblicazione di”Master Of All Times” per la Andromeda Relics, label personale dellaprestigiosa firma di Psycho!. Ma non è del solo Paul Chain che abbiamodiscusso con Gianni, anzi…
Qual era lo scenario musicale italiano nel periodo in cui i Death SSmossero i primi passi? Voglio dire, riconosciuta l’importanza di alcuneformazioni di area progressive e i primi riflessi del ciclone punk,resta difficile individuare una corrente tricolore squisitamentedark-esoterica, eccezion fatta per gli Jacula di Antonio Bartoccetti eper l’approccio psicotico di Gianni Leone (Balletto di Bronzo). Noncredo nemmeno possano essere inseriti i Goblin come possibileinfluenza, considerando l’inesistente attività live del gruppo ed ilruolo spesso funzionale del combo verso il mondo della celluloide… “Dobbiamo considerare che raramente l’Italia in campo musicale havissuto momenti creativi unitari ed originali, ha quasi sempre generatofenomeni che erano ripetizioni di quello che movimentavano i colossianglo americani. I Death SS, come si dice in gergo, hanno’spaccato’, sono riusciti cioè ad affascinare tutti, con una propostaletteralmente nuova ed innovativa. Di loro si leggeva sulle fanzinepunk e li si ascoltava nei primi e coraggiosi programmi radio heavymetal di allora. È eclatante la loro apparizione, nel 1982, nellaraccolta ‘Gathered’ curata da Rockerilla, dove in un mare di new waveerano l’unica band con le chitarre che suonavano in modo rock”.
Della prima incarnazione del gruppo restano una manciata di branistraordinari, nonostante la breve vita del progetto. Col senno di poi,possiamo dire che i Death SS della coppia Sylvester/Chain avevano degliampi margini di crescita o è un azzardo? “Difficile poter fare ipotesi, credo che la coppia sia statastraordinaria per lo spunto iniziale, veramente originale (i costumi, itemi trattati, il collegamento cinema horror/musica…). Tutto eraracchiuso in un entusiasmo ed in una costruttiva ingenuità,difficilmente migliorabili. Probabilmente avremmo assistito ad una bandcon maggior coscienza del proprio valore e quindi più attenta allaforma, ma dubito che a livello di temi potesse fare di meglio. Resta ilfatto che Steve e Paul hanno suonato troppo poco insieme e questo èstato un danno per tutti, compresi loro stessi”.
Quali furono all’epoca le reazioni dei media alla singolare propostadel gruppo? Paul Chain ha più volte ricordato in passato un incresciosoepisodio con protagonista il noto critico sanremese Mario LuzzattoFegiz… “Dobbiamo collocare il ‘fenomeno Death SS’ in quel contesto temporale,dove le notizie viaggiavano con una lentezza impressionante rispetto adoggi e gli stessi spazi dove documentarsi erano ristretti. I Death SShanno costruito la loro fama con il famoso e sempreverde ‘passaparola’,chi assisteva ad un loro concerto ne parlava per giorni, contagiandotutti che a loro volta ne parlavano e così via. Era un pubblico forsemeno svezzato, ma è innegabile il fatto che la band offrisse qualcosadi unico. È quindi normale che scatenasse discussioni, seppurlimitate rispetto a quello che potrebbero scatenare oggi i mezzi diinformazione. Già allora c’era chi li considerava geni e chi deipagliacci. Se poi aggiungi che dichiarare la musica rock il peggioredei mali della nostra società è un gioco che funziona sempre bene (lovediamo oggi con i processi alle sette sataniche collegate in qualchemodo a qualche band metal di cretini), abbiamo il quadro completo. Lacolpa dei Death SS è stata solo quella di essere stati i primi ad unirehorror e rock, ed ovviamente hanno pagato più di altri”.
Come giudichi il periodo Death SS con alla voce Sanctis Ghoram,autore fra l’altro di una memorabile prestazione in “Chains Of Death”? “Ho visto dal vivo la band in entrambe le versioni, ed ovviamente conSteve la cosa era molto più emozionante, forse perché ero proprio unragazzino e quindi molto più suggestionabile. Musicalmente trovo lafase con Sanctis di ottimo livello e non sono d’accordo con chi faconfronti. Sono due momenti diversi. Con Sanctis Paul Chain è statolibero di esprimersi come voleva e credo che abbiamo scritto dellapagine di musica oscura assolutamente memorabili. Sono convinto chel’opera di Paul Chain sia stata compresa solo in minima parte, quindimi riferisco anche al periodo con Sanctis e forse solo un giorno gliverrà resa giustizia”.
Uno dei temi più dibattuti fra i fan del gruppo riguarda lalegittimità del progetto messo in piedi da Steve nel 1987 e culminantenell’incisione di “In Death Of Steve Sylvester” con il monickerstorico, ma con musicisti diversi. Paul Chain continua ancora oggi adaccusare l’ex collega di essere stato truffato per la mancataregistrazione del marchio presso la SIAE. Eppure quei nuovi Death SShanno inciso delle pietre miliari del metal tricolore. Come stannoallora realmente le cose? Ci sono dei vinti e dei vincitori in questadiatriba? “Credo che Steve e Paul siano due vecchi amici incompatibili, chegiocano da anni con i rispettivi ruoli. So per certo che per Paul futerribile rivedere i Death SS in pista senza di lui, ma solo perchériteneva che fosse stato spezzato un giuramento, forse non scritto, maemotivo. Steve ha giustamente ridato vita al suo progetto di coniugarehorror e musica, continuando un percorso che a Paul Chain noninteressava più. Forse i due all’epoca, invece di leggere i giornali,dovevano parlarsi da soli davanti ad una birra. Resta il fatto chequando i due lavorano insieme fanno cose egregie, ma anche da solihanno saputo creare grande musica. Li rispetto molto entrambi e credoche solo l’Italia non sia capace di riconoscere fino in fondo lagrandezza di due grandi artisti come Paul Chain e SteveSylvester. All’estero sono venerati, e non solo da un certo tipo dipubblico, diciamo, cosiddetto ‘dark'”.
Al di là dei fattori economico/artistici credi ci siano altri motiviper i quali Paul Chain non ama parlare del periodo in seno alla banddatato ’77-’84? Alcune sue parole mettono i brividi, soprattutto quandochiama in causa i danni fisici e cerebrali connessi a quell’esperienza… “Conosco Paul da molti anni, ma non sono ancora in grado di dire dovefinisce l’artista e dove inizia l’amico. Sono due entità che si fondonoe quindi, di racconti del genere, ne ho sentiti tanti e ti confesso chenon ho mai avuto il coraggio di approfondire. Ho sempre lasciato cheparlasse a ruota libera, ascoltavo e pensavo solo che non avrei volutoessere al suo posto. Sicuramente Paul in passato ha aperto delle portepericolose, che poi ha avuto la forza di richiudere, ma credo che certeesperienze in qualche modo lascino segni difficili da dimenticare”.
Chi fa della critica musicale la propria passione dovrebbeconcentrarsi esclusivamente sull’aspetto analitico, ma nel caso deiDeath SS c’è una tale aneddotica legata alle cattive vibrazioni delgruppo da far impallidire un esorcista. Ci sono episodi dei quali seistato testimone o vicende curiose che ritieni siano degne di esserecondivise con il pubblico? “Quando sei con Paul l’atmosfera è sempre un po’ gotica… Quando sonostato a casa sua, tra stanzoni, arcate suggestive ed un silenzio alcunevolte impressionante, ho sempre avuto la sensazione di trovarmidentro un film. Come episodi particolari, ricordo una sera del dicembre1983, Paul era venuto a Verona per progettare un futuro concerto e fareun’intervista per una radio e per una fanzine, ‘Metal Thunder’, checuravo con Robert Measles dei Black Hole. Eravamo noi tre in unristorante antico del centro città, appena entrati una signorabellissima ed un po’ naif si alza e ci saluta con riverenza….boh? pensoio, poi ci sediamo e si spegne la candela al nostro tavolo… Mi ricordoche mi sono detto ‘Ma che succede?’. Ma, come vedi, sono ancoraqua”. Nei due dischi solisti di Steve Sylvester, in particolare in “FreeMan”, c’è stata una reunion, seppur episodica, della line-up storicadel gruppo. Come va giudicata, a distanza di anni, quell’esperienza? “È l’ennesima dimostrazione del potenziale creativo di questi duemusicisti che purtroppo proprio non riescono a trovare un piano su cuiinteragire. Infatti anche “Free Man” , che tutti speravamo potesseessere il preludio ad una reunion, è invece diventato l’ennesimoargomento di discussione tra Paul e Steve”.
Gianni, che gruppo erano i Death SS dal vivo? Quali le principalidifferenze (escludendo l’evidente scarto tecnico) fra le varieincarnazioni? “I Death SS sono per me la live band per eccellenza, in tutte leversioni li ho sempre trovati eccezionali. Steve è sempre stato unaccentratore e quindi la sua figura era quella dominante, anche perchéil ruolo di cantante glielo ha sempre permesso, ma posso garantirti cheSanctis Ghoram era altrettanto animale da palcoscenico, anzi, il suoaspetto già da uomo maturo incuteva davvero timore. Aveva un ghignoterribile e possedeva una voce da orco, cavernosa e sghignazzante,faceva letteralmente paura. Me lo ricordo incatenato al centro delpalco, seduto su un trono di legno che urlava, mentre Paul suonava rifflancinanti…Sotto il palco ci guardavamo terrorizzati!! Con i nuoviDeath SS (passami il termine!), la cosa si è fatta sempre più ricercatae cinematografica, sicuramente molto bella, ma quei primi concertirestano indimenticabili”.
Una domanda scontata: credi in una reunion della prima formazione o ritieni che con la data del GOM si sia concluso un ciclo? “Tutto è possibile, ma dovrebbe essere una cosa vera che Steve e Paulsi sentono di fare per loro stessi e per i fan. Non una trovatapubblicitaria. Credo che se organizzata bene, con un set di canzoni bendefinito, uno show compresso di un’ora ed un tour di 7-8 date in tuttaItalia, la cosa farebbe molto scalpore. Alla fine (se non si è accesauna nuova scintilla creativa, preludio magari di un bel disco diinediti), testimoniare il tutto un CD/DVD dal vivo ed amici come prima.Sarebbe molto bello, un segno importante per una band, sì da culto, mache avrebbe meritato molto di più. Certo i due hanno intrapresopercorsi diversi, ma basterebbe un po’ di buona volontà. In un momentoin cui il mercato metal è stantìo, i Death SS originali innescherebberouna bomba. Avessi un po’ di soldi accetterei io questa scommessa e proverei a mettere in piedi la cosa”.
Lascio a te le ultime considerazioni, ringraziandoti per l’attenzione concessaci. “Spero di essere stato esauriente, quindi mi sento solo di ringraziarete per aver contribuito a tenere viva la memoria dei Death SSprimordiali, un patrimonio del rock italiano che forse in pochiconoscono, ma che invece ha un’importanza notevole nello sviluppo ditutto il panorama heavy metal che verrà nei decenni successivi. La loroforza era quella di conoscere l’hard rock del passato e di aver capitoper primi che stava nascendo l’heavy metal, senza dimenticare chemuovevano i primi passi mentre intorno girava il punk. Il tuttoamplificato dalla loro suggestione per il cinema horror ed ilsoprannaturale. Insomma, una grande band davvero!”.
INTERVISTA A STEVE SYLVESTER
Intervista a cura di Stefano Lummi
Steve,qualche fan potrebbe storcere il naso pensando all’ennesima raccoltarelativa al primo periodo dei Death SS. “The Horned God…” è in realtàqualcosa di profondamente diverso dal noto “The Story Of Death SS”,uscito anni fa per la Minotauro Records. Vuoi spiegarci le principalidifferenze fra le due pubblicazioni? “‘The Horned God Of The Witches’ è un’uscita pensata, voluta erealizzata esclusivamente per soddisfare le richieste di quella partedi fan che da sempre era alla ricerca delle incisioni realizzate dallaband nel suo primissimo periodo… Rispetto ad altre raccolte passatequesta è infatti l’unica che racchiude tutte, ma proprio tutte, lecanzoni realizzate dalla prima line-up (1977-’82) che comprendeva,oltre al sottoscritto, Paul Chain e Claud Galley alle chitarre, DannyHughes al basso e Tommy Chaste alla batteria… Si tratta in prevalenzadi materiale inedito tratto da vecchi home-demo e registrazioni live,ripulito e rimasterizzato assieme a tutti i primi singoli autoprodotti,che sono qui racchiusi assieme per la prima volta in un unicoformato…”. Per quale motivo in “The Horned God…” non ha trovato posto laversione studio di “Chains Of Death”? Ho trovato questa esclusionequanto meno singolare, essendo probabilmente, dei vecchi brani, quelloregistrato meglio, ed a mio giudizio una delle tue prestazioni vocalipiù convincenti. “Semplicemente perché non esisteva una versione in studio di quellacanzone suonata da tutti cinque i componenti della prima formazione!Quella alla quale ti riferisci fu registrata da me con la line-up del1995 e poi uscita su singolo e su ‘Horror Music’. L’unica testimonianzadi ‘Chains Of Death’ con i primi cinque musicisti è quella live che hoincluso su ‘Horned God…'”.
Ci sono stati contatti con gli ex membri per l’organizzazione della scaletta oppure hai condotto l’operazione in prima persona? “Non sono più in contatto con Galley e Chaste dai tempi del mioultimo disco solista (Mad Messiah), del’98, e da secoli non ho idea diche fine abbia fatto Hughes… Per quanto riguarda Paul Chain non è unmistero che i nostri rapporti si siano definitivamente deteriorati neltempo. Quindi ho condotto l’operazione in prima persona, incollaborazione con il nostro Fan Club che ha lanciato l’iniziativa econ le etichette Self e Black Widow che ne hanno curato la stampa e ladistribuzione…”.
Strano come il passato torni regolarmente a galla nella storia deiDeath SS. Nonostante l’approccio modernista delle recenti produzioni,ti concedi delle scappatelle “vintage” appena ne hai la possibilità(penso anche ad alcune cover targate Black Widow)… “Devi comunque considerare che le varie operazioni di ristampa delvecchio materiale sono sempre operazioni a tiratura limitatissima edestinate a soddisfare una cerchia ben precisa di collezionisti che neavevano fatto espressa richiesta… Non devi considerarle a tutti glieffetti come delle nuove produzioni discografiche perché, essendoappunto stampate in così pochi esemplari, non sono destinate a lasciarealcuna traccia nel mercato ‘ufficiale’…. Per quanto riguarda invecele mie ‘scappatelle vintage’ nella scelta delle canzoni che a voltepropongo come cover nei B-side o nelle bonus track, ciò deriva dal miomai celato amore per la scena dark-progessive dei 70es, una delle mieprimarie influenze musicali…”.
Rimanendo in tema Black Widow, ci sono voci che vorrebbero unapartecipazione di alcuni membri del gruppo nel prossimo full length deiDeath SS. Puoi confermare queste voci, e se sì, svelarci qualcheresoconto in merito al loro coinvolgimento? “Sì, posso confermarti la presenza di Clive Jones al flauto e al saxnel nostro nuovo disco!…. Conosco Clive (membro fondatore dei BlackWidow ed autore di ‘Come To The Sabbat’) da anni e ti posso dire che èuna persona fantastica! Ha molto apprezzato il fatto che i Death SSabbiano coverizzato non solo la sua ‘Come To The Sabbat”, ma anche ilsuo singolo come Agony Bag (‘Rabies Is A Killer’) del 1980…Aspettavamo solo l’occasione per poter collaborare, cosa che si èconcretizzata ora con il nostro nuovo disco e che io ricambieròpartecipando ad un suo imminente nuovo progetto horror-teatrale cherichiamerà in causa anche altri ex-membri dei Black Widow… Inutiledirti che per me è un onore poter collaborare con degli idoli della miainfanzia…!”.
Altro tema che sta a cuore ai fan storici dei Death SS riguardal’esistenza di materiale video della prima formazione. Esiste qualcosanei tuoi archivi che un giorno potrebbe vedere la luce per un DVDcronologico? “Purtroppo l’unica registrazione video della prima line-up, relativa adun concerto tenuto a Perugia nel 1982, è andata perduta! C’è una storiamolto curiosa al riguardo che ti riassumo brevemente: le riprese eranostate affidate ad uno strano personaggio che ai tempi lavorava comecuoco nel locale dove ci siamo esibiti…Il tizio era una specie di’santone indiano’ con lunghi capelli e barba bianca e possedeva unatelecamera ‘very vintage’ ma funzionante… Le riprese furonoeffettivamente fatte e lo spettacolo riuscì anche particolarmentebene…Dopo il concerto ci accordammo con il proprietario del localeper ritirarle dopo qualche giorno e attendemmo fiduciosi…Il tempopassava e nessuno ci contattò, tanto che un giorno tornai a Perugia areclamarle, dove scoprii che il ‘santone’ era scappato il giorno dopola nostra esibizione, piantando casa, lavoro e famiglia e facendoperdere le sue tracce… Solo dopo alcuni anni venni a sapere che erafinito in India, che era morto e che il suo corpo era statocremato!..Che fine abbia fatto la mia videocassetta non si è maisaputo! Io stesso non l’ho mai vista! Comunque stiamo effettivamentelavorando ad un ricco DVD antologico che ripercorrerà tutta la nostracarriera e anche in questo senso le sorprese non mancheranno…..”.
In una recente intervista hai avanzato l’ipotesi che il nuovo “TheSeventh Seal” potrebbe essere l’ultimo disco dei Death SS. Quanto c’èdi vero in quelle parole? “Hai detto bene: ‘potrebbe’…! Il settimo sigillo sarà quello checoncluderà una sorta di ‘patto’ stipulato all’inizio della nostracarriera e sarà il sunto di tutto quello che i Death SS hannorappresentato nel tempo, arricchito con qualcosa di ancora una voltaassolutamente inedito… Quello che succederà dopo di esso sarà tuttoda stabilire…!”.
Puoi darci delle indicazioni in merito ai musicisti che appariranno su “The Seventh Seal”? “Ti posso al momento dire che ci sarà un cambio di formazione rispettoad ‘Humanomalies’, ma i dettagli in merito te li potrò fornire solo traqualche tempo…”.
Esistono filmati relativi alla reunion del ’94 per il GOM italiano,nella quale ci fu il ricongiungimento ufficiale della formazionestorica? Oggi, a distanza di dieci anni, come giudichi quell’esperienza? “Sì! L’intera data di Firenze fu professionalmente filmata e ricordoche qualche copia di quel tape era circolata tramite il nostro fanclub, così come il video-clip di quella formazione relativo al singolo’Broken Soul’…. Probabilmente qualche spezzone di questo materialesarà incluso nel DVD antologico che ti dicevo…. L’esperienza fu moltointeressante anche se funestata da una serie incredibile diproblemi…. Artisticamente si era creata una grande energia ma le cosenon sempre riuscivano a rimanere sotto controllo… Ricordo che ilcamion con le nostre scenografie e il backline non riuscì ad arrivare aFirenze per via di una tormenta di neve e che abbiamo dovuto suonarecon strumenti presi in prestito e con scenografie rimediate all’ultimomomento saccheggiando vari cimiteri della zona… Mi sembrava anche perquesto di essere tornato ai primi tempi della mia carriera!… Le cosepoi non migliorarono con la data successiva, un festival in Sardegnadove eravamo headliner, ma già durante il viaggio in traghetto ilmio ex-chitarrista cominciò a ‘dare di testa’, contagiando pian pianotutto l’entourage, tanto che alla fine decisi di non fare altredate a supporto di ‘free Man’…. Peccato, perché poteva essere tuttomolto interessante, ma alla fine lo stress era veramente troppo…!”.
Ho sempre amato i tuoi dischi da solista, in particolare considero”Mad Messiah” un autentico capolavoro. Sia in quest’ultimo che in “FreeMan” si verificò la reunion in studio della prima line up. Quelleregistrazioni aumentano il rammarico di ciò che poteva essere e non èstato. Credi che se i Death SS avessero proseguito fino ad oggi con laformazione originale il risultato sarebbe stato identico alle tue dueprove da solista? “Chi può dirlo? Nel periodo compreso tra gli inizi dei Death SS e imiei due dischi solisti sono passati molti anni, durante i quali ognunodi noi è cresciuto, maturato e ha fatto esperienze diverse… Diciamoche quei due dischi sono stati per me una sorta di viaggio attraversole mie radici musicali, dove ho voluto approfondire il lato più’seventies’ del mio background musicale, ma questo è solo uno degliingredienti che costituiscono il sound dei Death SS…”.
Come solista manchi da troppo tempo sul mercato. Ci sono progetti per un tuo terzo lavoro? “Non al momento… Attualmente sono molto impegnato sui nuovi progetti in corso in casa Death SS! Un domani, forse… Chissà?”.
Cosa puoi dirmi in merito alla biografia che Beppe Riva volevascrivere sui Death SS? Se non erro tu stesso eri in procinto diiniziare la stesura di un’autobiografia… “Ed in effetti l’ho da tempo già iniziata! Solo che è un’operazione cherichiede molto tempo e molta concentrazione per riordinare l’enormeflusso di ricordi ed aneddoti che affastellano la mia mente… E’ unpo’ come la tela di Penelope… Non riesco mai a concluderla!”.
Gli ultimi episodi di cronaca nera italiana portano alla ribaltacasi di follia nei quali sembra essere stretto il legame fra metal esatanismo. Un noto settimanale italiano ha pubblicato il mesescorso una foto dei Death SS in un articolo sul fenomeno. Tiinfastidiscono queste cose? Ti sei mai dovuto cautelare legalmenteverso accuse infamanti? “Questo tipo di accuse non mi giungano certo nuove! Da sempre infatti,appena in Italia accade un fatto di cronaca nera che i benpensantiricollegano al ‘satanismo’ ed al ‘disagio del mondo giovanile’, vienepuntualmente fatto il mio nome e quello della mia band tra le fonti diispirazione negative. Recentementemente ho partecipato anche ad alcunitalk-show televisivi sull’argomento dove ho potuto confrontarmi con’emeriti’ antropologi , sociologi ed addirittura esorcisti… Non possoche testimoniare ulteriormente la pressoché totale mancanza diobiettività di questi personaggi che troppo facilmente tendono a faredi tutta l’erba un fascio, sentenziando che tutti coloro che ascoltanoun certo tipo di musica e si vestono in un certo modo siano potenzialisatanisti assassini…. Queste persone invece di cercare di instaurareuna nuova caccia alle streghe e arrogarsi il diritto di stabilire cosaè ‘giusto’ e ‘cosa non lo è’, dovrebbero tenere in considerazionealcuni fattori: 1) che in Italia (per fortuna) dai tempi dei PattiLateranensi esiste la libertà di culto, per cui ognuno è liberodi ‘adorare’ chi vuole, sia esso Dio, Satana, Allah, Budda o il GrandeCocomero. 2) che chiunque commetta un reato penale deve essereperseguito dalla legge, a prescindere dalla musica che ascolta o dalsuo abbigliamento – è il codice penale che conta, non certo il look! 3)che ogni ragazzo sano di mente è in grado di capire che certiatteggiamenti ‘estremi’ nel mondo musicale ed artistico ingenerale sono da considerarsi come puro intrattenimento e non comedogmi da seguire ciecamente – altrimenti dovrebbero vietare anche laproiezione dei film dell’orrore o la vendita dei libri noir e fantasy,nonché ogni altra forma di espressione artistica non conforme ai gustipersonali dei saccenti censori moralisti…”.
Una curiosità: si può essere a tuo avviso seguaci di una corrente dipensiero (parlo ad esempio di Crowley) senza ricorrere all’aspettorituale? Per te iniziato è colui che unisce i due aspetti oppure ilsemplice studioso? “Certamente! Chiunque è in grado di crearsi una propria filosofia divita e di pensiero, ricorrendo semplicemente a studi personali e alleproprie esperienze di vita… Personalmente non amo le associazioni ditipo settario e penso che si possa tranquillamente raggiungere un buongrado di preparazione semplicemente ‘auto-iniziandosi’ a qualunque tipodi disciplina che ti aiuti a crescere spiritualmente e a trovarefiducia in te stesso… L’aspetto rituale può essere anche secondario.Ogni tipo di azione dettata dalla propria vera volontà è di per sé’magica’ e quindi sottoposta ad un suo naturale ‘rituale’.L’interazione con altre persone più o meno in sintonia con la tuacorrente di pensiero può essere certamente utile per confrontareliberamente esperienze ed aprire un dialogo costruttivo, ma è solodentro te stesso che devi lavorare! Il tutto per trovare la propriacompleta libertà, nel rispetto di te stesso e degli altri…..(Perciòmi raccomando, metallari satanisti! Non fate i sacrifici umani quandoascoltate i Death SS!!!!)”.
Questa raccolta è semplicemente fondamentale per scoprire i primi passi della storica band italiana composta all’epoca dal carismatico singer (e tutt’ora bandiera portante del gruppo) Steve Sylvester (il Vampiro), dal geniale lead guitarist Paul Chain (la Morte), e dalle retroguardie ritmiche composte dai misconosciuti Claud Galley (lo Zombie), Danny Hughes (la Mummia) e Thomas Hand Chaste (l’Uomo Lupo). Le prime cinque tracce riguardano il periodo che va dal 1977 al 1982 e, pur non godendo di una registrazione adamantina (per usare un eufemismo!), sono semplicemente favolose. L’opener “Terror” racchiude tutti gli elementi che fanno parte del sound dei Death SS: il drumming cadenzato e profondo spiana la strada a un magnetico giro di basso seguito dal magnifico riff di chitarra sul quale fa la comparsa la voce perversa e spettrale di Sylvester. “Murder Angels” unisce magistralmente l’urgenza del punk alle morbose atmosfere horror (inimitabile marchio di fabbrica della band!), mentre “Horrible Eyes” è assolutamente diabolica nel suo velenoso incedere dominato dalla magica coppia Sylvester/Chain. “Cursed Mama” è un’altra storica horror-song dotata di un gusto vagamente punk sul quale si erge il refrain semplicissimo da cantare a squarciagola. La funerea “Zombie” è presente nella versione live registrata nel 1977, dominata da un bellissimo giro di basso sul quale vengono iniettati riff e break di chitarra altamente espressivi, regalandoci un’altra chicca imperdibile. Le cose cambiano completamente registro dalla traccia numero sei, dove è presente il singer Sanctis Ghoram, che sostituisce il defezionario Steve. Le responsabilità artistico-compositive sono in mano a Paul Chain, che si mette subito in evidenza nella perversa “Violet Ouverture”, sorretta esclusivamente da un inquietante tappeto di organo che fa da preludio alla fantastica “Chains Of Death” – a nostro avviso una delle migliori canzoni mai composte dai Death SS – dove un morboso e cupo riff di chitarra si fonde con la teatrale performance vocale di Ghoram. Degne di nota anche l’epilettica “Schizophrenic”, cantata dallo stesso Chain, che sceglie di adottare un linguaggio fonetico – caratteristica che manterrà anche nei futuri lavori solisti – e la morbosa “Black And Violet”, un altro classico di una band che era già avanti con i tempi di almeno vent’anni e incarnava alla perfezione il concetto del termine “estremo”. Imperdibile.
Sembra terminata l’avventura dei Death SS dopo l’abbandono di Steve Sylvester e di Paul Chain (che poco dopo l’abbandono forma prima il progetto Violet Theatre e poi prosegue come solista, collaborando con ospiti illustri come Lee Dorrian e Wino Weinrich), ma sorprendentemente il singer riunisce attorno a sé alcuni validi musicisti (Christian Wise e Kurt Templar alle chitarre che impersonificano la Morte e lo Zombie, Erik Landley al basso incarna la Mummia, mentre alla batteria Boris Hunter assume le vestigia dell’Uomo Lupo ) per riformare la storica band, partorendo “In Death Of Steve Sylvester” nel 1988, che riporta sotto i riflettori la mitica cult band. I primi cinque pezzi sono dedicati ai personaggi interpretati dal gruppo: ovvero la violenta “Vempire”, puro heavy metal esaltato dalla voce incazzata di Steve, la terrificante (in senso buono!) “Death”, valorizzata dall’alternanza di passaggi elettro – acustici e dal testo altamente suggestivo, la catacombale “Black Mummy”, song dotata di un riffing a dir poco incisivo, l’oscura “Zombie” già presente nella raccolta “The Story Of 1977/84” ovviamente valorizzata da una produzione all’altezza, e la speed song “Werewolf” interpretata come al solito in modo impeccabile da Steve. Inoltre, vengono ripescate “Terror” e “Murder Angels” per la gioia dei fan della prima ora, anche se personalmente continuiamo a preferire le raw version contenute nella raccolta, grazie all’indubbio fascino che continuano ad emanare a distanza di venticinque anni. La cover di cooperiana memoria “I Love The Dead” incarna alla perfezione lo spirito del gruppo facendo il paio con “The Hanged Ballad”, nenia funebre di oltre otto minuti da ascoltare assolutamente al buio. Nella versione remaster sono presenti delle chicche notevoli come le due cover dei mitici Black Widow: ossia la cavalcata lunga e immortale “In Ancient Days” e la mefistofelica “Come To The Sabbath”. Da non trascurare la demo version di “Zombie” datata 1980 e la live version di “Black Mummy”. La leggenda continua…
Dalla cover estremamente provocatoria si comprende che Sylvester & C. non hanno alcuna intenzione di ammorbidire i toni sia nelle lyrics sia nella musica. Inoltre, ci troviamo di fronte a un nuovo cambio di line up: ovvero Kevin Reynolds che sostituisce Christian Wise nelle vestigia della Morte e Marc Habey che rimpiazza la Mummia Erik Landley. La nuova formazione si dimostra decisamente affiatata dando vita ad un lavoro estremamente affascinante e unico nel suo genere. Infatti, dai solchi delle otto tracce emergono in modo lampante una quantità impressionante di feeling e orrore come nell’opener “Kings Of Evil”, che fonde elengantemente arpeggi acustici a riff di chitarra elettrici per poi esplodere nella rabbiosa interpretazione vocale di Steve, fino arrivare all’anthemico ed azzeccato refrain. Molto bella anche la morbosa “Buried Alive” dotata di un guitar riffing aggressivo e la veloce “Devil’s Rage”, nella quale la band abbraccia sonorità squisitamente classic metal che verranno fuori prepotentemente nel successivo “Heavy Demons”. C’è spazio anche per la horror ballad “In The Darkness”, track in cui i Death SS dimostrano di sapersela cavare egregiamente anche negli arrangiamenti più pacati e melodici. Vengono poi ottimamente rilette in chiave moderna le storiche “Horrible Eyes”, “Cursed Mama”, e la lugubre “Welcome To My Hell” (presente anche nell’ottimo “In The Darkness” di Paul Chain datato 1986), un autentico tormento elettro acustico sorretto dal discreto drumming di Boris Hunter e decantato dalla mefistofelica voce di Sylvester (che nel corso del tempo ha indubbiamente migliorato la sua tecnica vocale). In chiusura troviamo la lunga, folle e perversa “Black Mass”: morbosa celebrazione satanica trasposta in musica, corredata dall’allucinante testo che fa letteralmente gelare il sangue. Consigliamo vivamente la versione remaster, nella quale sono presenti, come bonus track, l’extended remix di “Kings Of Evil”, le sempiterne “Murder Angels” e “Vempire” in versione live, la notevole “The Mandrake Root”, dotata di un dinamico guitar riffing che lambisce territori thrashy, rafforzato dalle acide vocals di Steve, e la malinconica “Gerhsemane”, interpretata egregiamente dal singer. Fondamentale.
Trascorrono soltanto due anni dal grandioso “Black Mass” e la band si trova a fronteggiare l’ennesimo stravolgimento di line up. Ross Lukather prende il posto di Boris Hunter in modo eccellente, sfoderando un drumming dinamico e tecnico attraverso i solchi di questo lavoro. Le due nuove dotatissime asce rispondono al nome di Jason Minelli e Al Priest, che macinano una notevole quantità di riff e break, mentre al basso ora troviamo il bravo Andy Barrington. Le coordinate stilistiche della band si sono spostate verso l’heavy metal classico, privo in parte delle atmosfere horror dark dei lavori precedenti. Rimarchevole anche la lussuosa presenza di Oliver Reed nella splendida intro “Walpurgisnacht” che cede il passo alla speed song “Where Have You Gone”, forte di una prestazione collettiva eccellente e dal testo assai intelligente (e purtroppo ancora attuale) che prende le distanze dalle classiche tematiche occulte argomentate nel recente passato dalla band. La title track è una valida anthem song che vanta un ritornello squisitamente catchy, al contrario della criptica e articolata “Family Vault”. Un bel giro di basso introduce la groovy “Lilith”, irrobustita da monolitici riff di chitarra che si stemperano nel bel refrain, spento da un ottimo break chitarristico. Di grande interesse si dimostrano anche la poderosa “Peace Of Mind”, la drammatica “Way To Power” (dotata di un bell’arpeggio di chitarra acustica), l’eclettica “Inquisitor” (arricchita da azzeccati cambi di tempo, guitar solos espressivi e vocals abrasive) e la splendida “Baphomet”, introdotta da un solenne coro in latino, che lascia spazio al potentissimo drumming di Lukather che regge caparbiamente gli agili riff tessuti da Minelli e Priest sui quali si fa sentire l’inimitabile ugola di Sylvester. Come per i due lavori precedenti è consigliabile l’acquisto della versione remaster, contenente alcune bonus track, tra le quali spiccano la cover degli Atomic Rooster “Death Walks Behind You” e la versione live della storica “Horrible Eyes”. In sostanza ci troviamo di fronte ad un lavoro tecnicamente e stilisticamente più maturo dei suoi predecessori che conferma per l’ennesima volta l’alta qualità del songwriting, e la voglia di sperimentare soluzioni sempre nuove e mai scontate. Dopo il “concerto maledetto” uscito nel 1992 dobbiamo aspettare ben cinque anni per trovarci di fronte ad un nuovo full length di brani inediti, che non mancherà nuovamente di spiazzare i die hard fan regalando soluzioni riuscite e innovative. Le tenebre sono momentaneamente calate…
Un live album strepitoso, più un greatest hits che un fedele resoconto di una data qualunque dell’act toscano. Uscito originariamente per l’etichetta Contempo, dietro il monicker Sylvester’s Death (il logo originale creava in quegli anni non pochi problemi per l’export, nonostante le ripetute prese di distanza di Steve da qualsiasi legame con l’immaginario nazista), vede all’opera quella che nella memoria collettiva resta la formazione più amata dai fan, forte dei due axeman Al Priest e Jason Minelli (di lì a poco si ribattezzerà col nome di Steve nella prima incarnazione dei micidiali Node) e del fenomeno metronomico Ross Lukather. E su tutto un Sylvester che mostra una crescita tecnica sbalorditiva, abile nel mediare fra enfasi nera di settantiana memoria e moderno screamer heavy.
I legami tra mondo del rock e la figura del mago Aleister Crowley affondano nella notte dei tempi (risaputa è l’ influenza di questo singolare personaggio nei riguardi del chitarrista dei Led Zeppelin, Jimmy Page). Ma se gli Zep si spinsero ad incidere i solchi del terzo album con il motto crowleyano “Do What You Wilt”, Steve Sylvester offre il primo concept sistematico sul pensiero di Aleister, previa autorizzazione concessa alla trattazione da parte di diverse logge thelemiche sparse per il mondo. Musicalmente ci troviamo dinanzi all’ennesimo capolavoro, probabilmente l’album più duro mai inciso dai nostri, come testimoniato dalla feroce opener “The Phoenix Mass”, bissata senza soluzione di continuità dalla tribale “Baron Samedi”, un binomio che sembra mettere la parola fine a quel microcosmo che lega in un abbraccio mortale quei vapori psichedelici di fine ’60 dalla cui dissolvenza emerse con forza un rinnovato interesse verso le forme più degenerate di esoterismo, ma anche le visioni di Kenneth Anger e della lucida follia della Family mansoniana. Le anthemiche “Crowley’s Law” e “The Way Of The Left Hand” (il brano che farà da apripista nel tour susseguente) offrono agli adepti un metal multiforme, modellato dalle sapiente mani del nuovo arrivato Oleg Smirnoff (dai progster Eldritch), virtuoso con il quale Steve Sylvester inaugurerà un sodalizio artistico che dura sino ad oggi.
La nuova era viene inaugurata con l’ennesimo cambio di formazione, ma anche di produzione (in cabina di comando la leggenda Neil Kernon) preludio ad un balzo stilistico che offre il pretesto per una serie di critiche col senno di poi assolutamente immotivate. I Death SS in versione high tech giocano con l’elettronica ma non ne restano schiavi, tirando addirittura il freno in sede compositiva (i veri propositi iconoclasti affiorerrano nel singolo “Lady Of Babylon” e nella versione studio del live “Let The Sabbath Begin”), salvaguardando l’invisibile filo che lega il glorioso sound alle nebbie degli esordi. Non stupisca dunque l’inclusione dell’oscura “Rabies Is A Killer”, parto miracoloso degli sfortunati Agony Bag, in un involucro che ben si amalgama alla nuova filosofia compositiva, incentrata su brani dalle strutture volutamente semplificate, mostrando un respiro armonico inedito. L’album passerà alla storia per gli interventi parlati del regista-mito Alejandro Jodorowsky (l’autore delle celebri pellicole “La Montagna Sacra”, “El Topo”, “Santa Sangrae”), prima incursione dell’artista nel mondo musicale tout court. Quando i grandi omaggiano i grandi…
Arriviamo con questo “Let The Sabbath Begin” al terzo ed ultimo estratto dal fortunato “Panic”,e questa volta Steve Sylvester e compagni hanno deciso di fare un bel regalo ai fans pubblicando un doppio album suddiviso in materiale da b-side(ossia remix,cover e inediti) sul primo cd e degli estratti live sul secondo,il tutto venduto ad un prezzo contenuto nei limiti di un normale cd.E’ implicito premettere che si tratta di un’uscita completamente rivolta agli estimatori della band,e che quindi nel suo complesso non può che considerarsi superflua per chi non appartiene alla categoria dei die-hard.Come era successo per i due precedenti EP (“Hi-tech Jesus” e “Lady Of Babylon”) le b-sides che compongono il mini-album sono divise tra remix,cover e sperimentazioni,ed anche questa volta i Death SS ci propongono del materiale decisamente interessante:un’ ottima versione di “Ishtar”,che accentua la sensualità e la componente electro-goth di uno degli highlights di “Panic”,un remix di “Let the Sabbath Begin” in una versione che cambia completamente il DNA alla versione originale,la cover “Rim Of Hell” dei D:A:D (che avrebbe fatto una figura migliore su uno dei progetti solisti di Steve,vedi “Mad Messiah”), e un’ inedito ispirato ad un discorso di Anton S.LaVey. Ma naturalmente la parte più interessante di questa album è rappresentata dal secondo cd live,che riprende del materiale estratto dal setlist del Panic Tour,tra cui oltre ad estratti degli ultimi due album ,offre una strepitosa versione di “Baphomet” ed un interessantissimo medley che contiene alcuni brani da brivido,appartenenti ad un passato ormai remoto della band:titoli come ”Black And Violet”,”Chains Of Death”,”Inquisitor”(contenuta inizialmente sul “Evil Metal EP” del 1984) non possono non portare alla mente il nome di Paul Chain, e quello di un’epoca da cui i “nuovi” Death SS cercano di prendere le distanze, ed acquistare una propria e ben precisa identità,che -sia ben chiaro- sembra comunque non mancare.In attesa del nuovo full length , provvisoriamente intitolato “Freaks”,godetevi pure questa nuova fantastica uscita di una band,tra le pochissime al mondo,ad avere un sincero e sentito rispetto per i propri fans.Infinitamente Grazie Death SS,e che il Sabba cominci!
Benvenuti nel mio Incubo… No, non è un errore: questa che state per leggere non è una recensione del celeberrimo disco di Alice Cooper, ed il volto raffigurato all’interno del cerchio non ritrae la reincarnazione della strega più famosa del rock n’roll circus, bensì una vera e propria leggenda dell’underground italiano ed indiscusso culto della generazione del satanik evil metal negli anni ottanta: Steve Sylvester. Inutile davvero parlarvi dell’importanza che ha avuto quest’uomo ed il nome della sua band nelle tante incarnazioni tra il 1977 ad oggi; penso che tutti i più attenti saranno al corrente della capacità del nostro di anticipare i trend musicali/visivi e di comporre musica d’avanguardia senza mai scadere nella mera contemplazione di quel mito legato ai primi anni ‘maledetti’, che tutt’ora permane vivissimo nei quattro angoli del pianeta. Un esempio? I Death SS esistevano già, ed avevano scritto alcuni dei brani più malati della storia del metal, quando neanche gli Slayer erano ancora stati creati, ed una band come gli Iron Maiden era ancora chiusa negli scantinati londinesi ad incidere registrazioni amatoriali, per non parlare di quei Bathory o MayheM che solo quando il primo ciclo della storia Death SS stava per esaurirsi iniziarono a muovere i primi passi. Inutile davvero rievocare dei fasti che ormai servono soltanto ai nostalgici come il sottoscritto e tutti coloro che hanno vissuto sulla propria pelle il ‘culto’ dei tempi che furono; i Death SS ormai sono un’entità distante anni luce da quello che furono anche solo dieci anni fa, quando calcavano i palchi con il leggendario e heavy/thrash metal-oriented “Heavy Demons” e, come del resto lo stesso Sylvester ci aveva sempre assicurato anche in tempi non sospetti, la band non ha ancora smesso di nutrirsi di nuova linfa, nuovi input, nuova volontà per rimescolare, ricreare, rinascere ogni volta dalle proprie ceneri o, se preferite, semplicemente continuare quel discorso artistico che mai come ora, con il nuovo “Humanomalies”, appare assolutamente circolare ed incredibilmente ‘coerente’ nella sua pur evidente unicità e ‘anomalia’. Ed è dal come-back del 1997, con quella pietra miliare, e condivisibile spartiacque nella loro storia e discografia, che risponde al nome di “Do What Thou Wilt”, che Mr. Sylvester ed i suoi ci regalano dei lavori di assoluta avanguardia riuscendo a tingere ogni volta di un tocco inedito ed innovativo quelle caratteristiche e stereotipi indelebili dal proprio dna, riscoprendo così il ben noto amore per la musica industriale prima (già palesato anni prima nell’EP “Broken Soul” del Sylvester solista), per il glam/anthem rock poi, ed infine per un raffinatissimo gusto ‘pop’ adulto ed assolutamente lontano dalle logiche del music biz; se avete in mente cosa Steve Sylvester, affiancato dal talentuosissimo tastierista Oleg Smirnoff e dal chitarrista Emil Bandera (in assoluto il musicista più longevo della storia della band), sia riuscito a comporre nel penultimo e superbo “Panic”, probabilmente capirete a costa sto facendo riferimento. “Humanomalies”, terzo capitolo della nuova era dei Death SS, continua sulle coordinate tracciate recentemente, ma ancora una volta rivoluzionate e plasmate da capo, come se la band avesse indossato l’ennesima nuova maschera per il suo celebre carnevale di orrori, che stavolta diventa orrendo teatro delle ‘anomalie umane’, ‘circo’ ed arena dei diversi. Ci troviamo di fronte ad un album difficile, difficilissimo, che farà discutere a non finire e che sicuramente spaccherà in due pubblico e critica, almeno sulle prime battute ma che invece, sulla lunga distanza, sarà capace di insinuarsi anche tra un pubblico storicamente meno avvezzo alla proposta dei nostri. “Humanomalies”, nelle tematiche trattate e nella sua ricerca musicale, è un disco assolutamente ‘diverso’ e fuori dalla norma, che non conosce termini di paragone in giro per il mondo (potremmo forse rievocare alcuni ‘frammenti’ ed ‘immagini’ dei White Zombie di “Astro Creep” – ricordate il video di “More Human Than Human” o “Electric Head”? – o dell’Alice Cooper grandguignolesco degli anni settanta), e che si nutre di influenze disparate, ma che soprattutto metabolizza e rimescola venticinque anni di esperienza e saggezza: l’avvenenza e l’irrequietezza della dark-industrial wave che Steve Sylvester ha sempre seguito con interesse, l’energia del sanguigno rock n’roll che tinge di spontaneità e freschezza il nuovo corso della band, fino ad arrivare all’incontrovertibile ricerca artistica e desiderio avanguardistico che trasforma brani come ‘Abnormal’, ‘Circus Of Death’, ‘Sinful Dove’, ‘American Psycho’, ‘Hell On Earth’, in piccoli, grandi, classici in cui ogni nota è un’idea, ogni suono è un’intuizione, ogni passaggio è uno studio e volontà di avanguardia. Se proprio vogliamo ritrovare dei paragoni a grosse linee, possiamo affermare che siano stati insigni nomi come Trent Reznor, Rob Zombie e Danzig ad influenzare i nostri, sebbene ogni forma di emulazione sia davvero fuori discussione, in quanto i Death SS del 2002 riescono ad essere ancora una volta una band unica al mondo e con personalità e talento da vendere. Un disco perfetto che, nonostante l’ingombrante fardello di dover ripetere e sorpassare due capolavori come “Do What Thou Wilt” e “Panic”, riesce a portare i Death SS verso una nuova ed ultima scommessa con se stessi, senza assolutamente perdere in dignità e profondità artistica. Uno degli highlight assoluti di questo 2002.
Questa nuova uscita di casa Death SS pone finalmente termine alle numerose richieste da parte dei fans della band toscana di avere, in unico supporto, tutte le registrazioni ufficiali della prima line-up, la più amata, quella che ancora oggi continua ad esercitare un sinistro fascino, vuoi per l’indiscutibile qualità della produzione, vuoi per l’incredibile serie di sciagure che ha coinvolto membri ed entourage di quella sfortunata sigla. Tutte le 14 canzoni di questa compilation vedono dunque in azione Steve Sylvester alla voce, Paul Chain alla chitarra e alle tastiere, Claud Galley alla chitarra ritmica – Danny Hughes al basso e Tommy Chaste alla batteria. Nonostante le forti somiglianze con i brani apparsi sul vetusto “The Story of Death SS 77-84” (pubblicato per la Minotauro Records nel 1987) , le prime sette tracce (con la sola esclusione di “Terror”) costituiscono delle home- demo versions inedite e comprensive degli intro originali. “The Night Of The Witch”, “Profanation” e “Spiritualist Seance” sono invece presenti nelle stesse versioni gia pubblicate qualche anno fa su “Horror Music/The Best Of Death SS”. Probabilmente i brani di maggior interesse sono le versioni dal vivo di “Black And Violet” e “Chains Of Death”, uniche registrazioni che documentano l’esecuzione dei due classici a cura della formazione storica (quelle finora conosciute, disponibili su “The Story Of Death SS” vedevano Sanctis Ghoram alla voce, mentre Steve Sylvester ne offrì una rilettura nel ’95 per “Horror Music”, ma con musicisti differenti). Le foto a corredo dell’artwork sono tutte inedite e provengono dalla collezione privata di Steve, poste accanto a quelle locandine di film horror che furono alla base della scelta dei ruoli che Paul Chain e soci decisero nel lontano ’77 di portare on stage. La front cover riproduce esattamente quella dell’omonimo demo tape del 1981, esistente in sole due copie, una delle quali nelle mani di Beppe Riva, decano dei critici metal italiani, nonchè attento conoscitore della storia del gruppo. L’opera di remastering non ha purtroppo prodotto miracoli, dunque non generi meraviglia il fatto che alcuni brani hanno la resa sonora di un nastro inciso con mezzi di fortuna, per il resto tutto odora di storia, e perchè no, anche di zolfo.
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