IDENTIKIT: Grip Inc. – ‘Storia Di Un Supergruppo!’
IDENTIKIT: Grip Inc. – ‘Storia Di Un Supergruppo!’
Pubblicato il 14/05/2004
BIOGRAFIA
I Grip Inc. rappresentano, ai giorni nostri come all’epoca della loro fondazione, una sorta di mosca bianca all’interno della scena metal mondiale: quasi ascrivibili all’odioso mondo dei side-project, in realtà sono, a giudizio del sottoscritto, uno dei migliori gruppi in attività, capace di districarsi alla grande fra le molteplici influenze derivanti dai diversi background degli artisti componenti la band ed in grado di dare molti punti a complessi decisamente più quotati di loro; d’altronde l’esperienza, la bravura ed il genio compositivo di Dave Lombardo, Waldemar Sorychta e Gus Chambers non la si scopre certo ora! La storia dei Grip Inc. nasce più di un decennio fa, quando, nel 1993, reduce dall’abbandono dagli Slayer, il fenomenale batterista Dave Lombardo decide di formare, assieme a Gus Chambers, ex-cantante dei 21 Guns e rappresentante di spicco della scena punk-hardcore inglese, una nuova formazione. La primissima line-up dei Grip (questo il nome allora scelto), oltre ai membri suddetti, vede anche la presenza del chitarrista Bobby Gustafsson e del bassista Chaz Grimaldi; dopo poco tempo, però, sia Gustafsson che Grimaldi lasciano la band per seguire altri loro progetti, proprio nel momento in cui i Grip si vedono costretti ad aggiungere la sigla Inc. al loro monicker, in quanto già un’altra formazione calcava i palchi con lo stesso nome. L’entrata in seno al gruppo del produttore/chitarrista/tastierista tedesco Waldemar Sorychta, di cui si ricordano i Voodoocult e negli anni a venire famoso per aver contribuito all’esplosione commerciale di vari gruppi Century Media, fra i quali The Gathering, Moonspell, Samael ed i nostrani Lacuna Coil, è la chiave di volta utile a spianare la strada alla band: oltre ad aver trovato un Re Mida della produzione discografica, i Grip Inc. si possono avvalere così di un ottimo chitarrista e di un ispirato tastierista, il quale completa in modo perfetto una line-up già di per sé di forte richiamo. Al basso viene reclutato tale Jason Viebrooks. Il 1995 è l’anno del debutto per il gruppo, sotto l’egida della germanica SPV/Steamhammer Records (con la quale sono tutt’ora accasati), con il bellissimo e thrashy “Power Of Inner Strength”, bissato due anni dopo con “Nemesis”, forse un tantino meno ispirato del precedente, sebbene più vario e multiforme. La cadenza biennale viene rispettata anche per il terzo “Solidify”, nel quale sfodera le sue armi il nuovo bassista Stuart Carruthers, sostituto del defezionario Viebrooks, mentre le sonorità sterzano leggermente verso il moderno ed un sound più groovy fa capolino fra i solchi del dischetto. La prima parte della carriera dei Grip Inc. si può dire che termini con la devastante esibizione al Dynamo Open Air del 1999, conclusa con un’esecuzione memorabile di “Heretic War Chant” e con la distruzione totale della strumentazione. Da quel momento in poi, il silenzio si adagia sulla storia dei nostri e poco di nuovo trapela dalla base Grip, anche perché Lombardo e Sorychta sono impegnatissimi con i loro altri interessi, fra cui i Fantomas di Mike Patton, seminari di batteria, rientri negli Slayer (Lombardo) e produzioni varie (Sorychta). Finché, direttamente dalla bolgia dei Dimenticati, ecco, nel 2004, arrivare il nuovissimo “Incorporated”, feroce rientro in pista del “magico trio” (esatto, proprio trio, in quanto il bassista è diventato superfluo ormai), il quale ri-proietta i Grip Inc. nel dorato mondo dei Grandi Gruppi Metal del presente. E noi non potremmo davvero essere più felici di così…
“Power Of Inner Strength” è la prima pubblicazione assoluta dei Grip Inc., i quali di certo non hanno avuto bisogno di fare molta gavetta e sfornare demo a ripetizione, date le loro credenziali, per ottenere un contratto discografico, anzi: è probabile che varie label abbiano fatto a gara per assicurarsi i servigi di simile formazione. A partire dalla splendida copertina, rappresentante un’immagine al microscopio a scansione elettronica della fecondazione di un ovulo (non ne è sicuro al 100%, comunque è quello che il sottoscritto ha sempre pensato) e ideale rappresentazione visiva del concetto di “potere della forza interiore”, il disco si presenta subito bene, pur non eccedendo mai in esagerazioni grafiche ed avendo, in fin dei conti, un booklet decisamente essenziale. I quattro componenti della band si fanno ritrarre accovacciati davanti ad un autotreno, altra immagine utile a rendere l’idea di ciò che sarà contenuto all’interno del cd, ovvero massicce bordate metalliche capaci di sostenere, in quanto a pesantezza, anche l’impatto frontale contro un camion. Si inizia con un breve assaggio delle capacità di Dave Lombardo, la strumentale “Toque De Muerto”, ricca di percussioni suonate e sample percussivi che preparano molto efficacemente l’ascoltatore all’entrata in campo della cadenzatissima “Savage Seas (Retribution)”, nella quale Sorychta e Chambers mettono in mostra la loro abilità, sebbene il singer sia ancora un po’ troppo ancorato al suo passato punkoide, risultando in qualche passaggio sguaiato più del dovuto. Il primo vero hit storico della formazione multi-etnica si materializza con la seguente “Hostage To Heaven”, pezzo che deve moltissimo alla militanza slayeriana di Lombardo ma che è terribilmente cattivo e devastante e nel quale il buon Waldemar dimostra di non temere paragoni con qualsivoglia Kerry King che spunti all’orizzonte…Non sono da meno “Monster Among US.” (sottile gioco di parole, incentrato su “noi” e “Stati Uniti”, e testo ispirato dalle gesta di qualche serial-killer pedofilo americano) e “Guilty Of Innocence”, a cavallo tra velocità thrash, arpeggi sinistri e ritmiche groovy, mentre “Innate Affliction” (assieme alla gemella “Cleanse The Seed”) spezza la tensione, essendo più pacata, nonostante i soliti vortici “batteristici” di cui è protagonista Dave Lombardo. “Colours Of Death” parte dimessa, per poi lanciarsi in una pericolosa picchiata senza alcun paracadute, sempre con la benedizione di Tom Araya e soci; “Ostracized” racconta le pene di un reduce di guerra, malvoluto e trattato come un reietto al momento del rientro in patria (qualcuno si ricorda dell’inizio di un certo film, intitolato “Rambo”?) ed è fra le preferite di chi scrive, grazie al suo riff saltellante che regge tutto l’impianto della song. Tralasciando la conclusiva, e comunque ottima, “Longest Hate”, è con l’incredibile “Heretic War Chant” che i Grip Inc. raggiungono lo zenit compositivo, forse, ancora oggi, la loro canzone più riuscita e trascinante, dove Lombardo è semplicemente stratosferico, la chitarra lacera riff che è un piacere e le linee vocali di Chambers si fanno cantare a squarciagola: cinque minuti di stordimento puro! Una produzione molto asciutta e secca, senza troppi fronzoli, tipica di Sorychta, adorna il disco di un pregio in più, permettendo a tutti gli strumenti (anche il preciso basso di Jason Viebrooks) di ritagliarsi spazi di primo piano. Insomma, con questa prova d’esordio, il logo caratteristico dei Grip Inc. (una specie di rombo vorticante con al centro una G) comincia a svettare orgoglioso e senza alcuna remora!
Passano i canonici due anni dallo scoppiettante debutto, ed ecco i Grip Inc. ripresentarsi al pubblico con il secondo disco, intitolato “Nemesis”. Il combo yankee-anglo-teutonico non muta assolutamente il suo atteggiamento di base, rimanendo fedele alla linea groove-thrash adottata, però il lavoro presenta non poche novità, soprattutto per quanto riguarda l’arrangiamento dei brani e la cura dei dettagli. Le canzoni, quasi tutte composte da Waldemar Sorychta, con pochi, sporadici aiuti da parte di Lombardo e Viebrooks, sono più varie di quelle presenti nell’opera prima e mettono in mostra la vena sperimentale da sempre albergante nell’anima del chitarrista tedesco, il quale, oltre a ricamare di fino le composizioni con trovate particolarmente spiazzanti (e non sempre dall’esito positivo), riesuma dalla soffitta le tastiere e le mette a disposizione di un buon numero di brani. Gus Chambers è nettamente migliorato, sia in fase d’interpretazione, sia nella pura esecuzione delle linee vocali, forse meno aggressive che in passato ma sicuramente ben incisive e ricercate, mentre il drummer americano è, manco a dirlo, il solito rullo compressore. “Pathetic Liar” apre le danze, song d’impatto che ben predispone all’ascolto del resto del platter, che prosegue con la concisa, ma massacrante, “Portrait Of Henry”, un minuto e mezzo di scariche telluriche, perfetto riassunto di ciò che i Grip Inc. riescono a fare con il loro talento, il tutto incorniciato dall’adeguato testo, ritraente la figura di tale Henry, nome comunissimo dietro cui si cela un mostro di violenza (“monster within/turns inside out/only to face itself”). “Empress (Of Rancor)” sembra quasi uno scarto di “Power Of Inner Strength” e non dice più di tanto, così come la semi-tribale “Descending Darkness”, in possesso di un altro buon testo e dall’appeal originale, ma che non esalta come potrebbe. Si ritorna a massacrare l’ascoltatore con la seconda mazzata dell’album, “War Between One”, veloce e sfrenata, che dimostra quanto i Grip Inc. ci sappiano fare se decidono di accelerare l’andatura. “Scream At The Sky” lascia un po’ l’amaro in bocca, in quanto alla lunga annoia abbastanza, sebbene il suo incedere da marcetta d’assalto sia ideale per l’ambientazione da Area 51 che le lyrics suggeriscono e le grida di Chambers sembrino davvero rivolte al cielo, affinché navicelle aliene diano prova della loro esistenza. “Nemesis” rialza la testa con “Silent Stranger” e si risolleva definitivamente con le ottime “The Summoning” e “Rusty Nail”, non sparatissime ma ricche di riff più che apprezzabili. La penultima “Myth Or Man” si attesta su discreti livelli, ribadendo inoltre la presenza di un’atmosfera quasi mistica che aleggia su tutto il lavoro e che si ricollega all’ottimo artwork realizzato, a dir poco criptico e misterioso. Un’altra canzone sottotono, “Code Of Silence”, viene utilizzata come chiosa e gli stessi problemi di “Scream At The Sky” si ripresentano in quest’occasione, essendo la track in questione troppo lunga e piuttosto “barbosa”. Dunque, la seconda prova in studio dei Grip Inc. è probabilmente quella meno avvincente, considerando il fatto che le composizioni più atipiche sono proprio quelle che fanno storcere il naso e che non riescono ad avere riscontri totalmente positivi, al contrario dei pezzi più diretti e “familiari” che il gruppo sa scrivere in modo egregio. Un mezzo passo indietro, quindi, che però non fermerà di certo la corsa della nostra Grip-machine.
Si materializza in un’elegante edizione limitata in digipack la terza fatica discografica dei Grip Inc., l’ultima prima di un lungo (decisamente troppo!) periodo di silenzio. “Solidify”, come il suo titolo permette di evincere, è un album ben compatto e massiccio, seppur non rinnegante affatto le varianti sonore del suo predecessore, essendo ancora Sorychta il compositore principale delle song ed egli lasciando il proprio indelebile sigillo d’originalità pressato a fuoco sui brani. Lombardo si “limita”, in questa sede, ad arrangiare ed eseguire le sue parti, proprio in un momento in cui la sua popolarità raggiunge altissimi livelli e lo si comincia a considerare una sorta di “Dio dei tamburi”; Gus Chambers si occupa, come al solito, delle lyrics, e stavolta lo fa in maniera più raffinata e ricercata, scrivendo testi meno diretti e più difficili da interpretare, sempre carichi comunque di critica sociale, malessere e storie estreme; ed ottimo, infine, si rivela l’acquisto di Stuart Carruthers, tecnicamente pari, se non leggermente superiore, all’ex Jason Viebrooks, ma che si toglie lo sfizio di mettere del suo nel songwriting di “Solidify”, firmando interamente la notevole “Vindicate”. Un’attenzione maggiore a suoni moderni e contaminati sembra essere presente sul disco, sia a livello di produzione, sia se si va ad analizzare la qualità dei riff composti e delle soluzioni proposte: la song d’apertura, “Isolation”, fa alzare immediatamente la guardia all’ascoltatore, alternando strofe tribali a momenti più nervosi e tecnici che ricordano vagamente (ma molto vagamente…) i Meshuggah, prima di lasciare spazio alla devastante “Amped” ed al suo riff iniziale propinatoci a mo’ di martello pneumatico, una song che mostra il singer inglese incacchiato come non mai e che Sorychta cesella di fino con un assolo sibillino e penetrante: bellissima! Si riparte di botto con il groove pieno e corposo di “Lockdown”, brano che unisce alla perfezione accenni melodici, pesanti schitarrate e ritmiche squassanti. La prima mezza sorpresa la si trova al cospetto della quarta traccia, “Griefless”, postera testimonianza di come le intuizioni di Waldemar, presenti in “Nemesis”, fossero assolutamente buone, ma non altrettanto ispirate…combinazione che non si ripete per questa canzone, impreziosita da una parte centrale simile a jam-session e che mette in secondo piano la forse eccessiva prolissità. “Foresight”, trattante l’ancora attualissimo problema della criminalità on line, e la già citata “Vindicate” si somigliano parecchio e riconducono ai primi pezzi, confermando la tendenza di questo disco ad avere brani con strofe acustico-percussive che anticipano le esplosioni di thrash cadenzato. “Human?”, posizionata a centro-disco, è la prima ballata composta dai Grip Inc. e le immagini che essa plasma sono quelle di un uomo solo, a confronto con se stesso, in ambienti cupi, piovosi e urbani, un denso velo d’inquietudine che si stende nero sull’umore di chi ascolta. E si rimane in ambiti cittadini anche con la successiva palata sui denti, rispondente al nome di “Stresscase”: provate ad ascoltarla impegnati alla guida…ditemi che effetto fa sentire Gus urlare come un pazzo “craaaasshhh!!!” a pieni polmoni; non fischiano un po’ le orecchie? “Solidify” si avvia verso la conclusione, inanellando un paio di canzoni poco memorabili, quali “Challenge” e “Verräter (Betrayer)”, che comunque fanno calare l’attenzione solo di poco; anche perché, terminata la seconda di cui sopra, ecco iniziare il capolavoro strumentale “Bug Juice”, prova di bravura dettata principalmente dai virtuosismi di Lombardo dietro le pelli e caratterizzata dall’ottimo lavoro chitarristico di Sorychta, qui in versione “spagnoleggiante”: una mirabolante chiusura d’album che lascia soddisfatti e sorridenti gl’inermi fruitori. Gran bel disco, quindi, questo terzo capitolo della discografia Grip Inc., un lavoro che trascende i generi metal per creare qualcosa di unico e facilmente riconoscibile, un trade-mark che, con l’andare del tempo, ha permesso alla band di ritagliarsi uno spazio solitario all’interno della scena metallica. Tutto questo poco prima del periodo di silenzio sopra ricordato, e molto prima del lavoro successivo, il quale si farà aspettare ben cinque anni…
“Perché pubblicare un disco quando non si sente il bisogno di farlo?”. Domanda più che lecita, e a cui è arduo trovare risposta, dietro la quale i componenti dei Grip Inc. hanno trovato rifugio, in questi cinque anni di silenzio, da chi continuava a reclamare notizie su di un loro eventuale, auspicato rientro sulle scene. Ebbene, altrettanto lecitamente, la multinazionale del metal approda oggi nei negozi, quasi inaspettatamente, proprio con un nuovo album, atto a riportare in alto (anzi, altissimo!) il nome di questo “Supergruppo dei Supergruppi”. Come definire, del resto, se non in questo modo, un ensemble sonoro che vanta nelle proprie fila il miglior batterista metal mai apparso sulla faccia della Terra, Dave Lombardo, un chitarrista enormemente sottovalutato, nonché produttore esemplare, quale Waldemar Sorychta, e un singer esperto, versatile, di estrazione old-punk, che risponde al nome di Gus Chambers? “Power Of Inner Strength”, “Nemesis” e “Solidify” sono gli episodi antecedenti il quarto capitolo, “Incorporated”, e nessuno di essi era, all’epoca, passato inosservato, vuoi per la presenza del duo Lombardo/Sorychta in line-up, vuoi per l’effettivo valore dei lavori sopra nominati: abili congiunzioni di influenze di svariato tipo, spazianti dal classico incedere assassino degli Slayer ad una vigorosa propensione per il metallo tecnico e groovy, caratteristiche elevate a potenza dai singoli talenti dei musicisti coinvolti nel progetto: il drumming vorticoso, tribale e tremendamente trascinante di Mr. Lombardo, le fantasiose trovate compositive e l’efficacia del riffing del tutto-fare germanico, e l’adattissima ugola di Chambers, quest’ultimo sempre rimasto un po’ nell’ombra, ma fondamentale tassello affinché la Grip-machine viaggiasse a gonfie vele. Ora, tutto questo lo si ritrova tranquillamente anche in “Incorporated”, un dischetto che farà sbiancare parecchie facce, sia nuove, sia vecchie, all’interno del music-biz. E basta davvero poco per capacitarsene, giusto il tempo di ascoltare tre canzoni, tre anthem da brividi: la prima è l’opener, “Curse (Of The Cloth)”, che mette in chiaro subito come i Grip Inc. siano maledettamente vivi, vegeti e pure incazzati, tramite una prima parte cadenzata e pesante ed un seguito tellurico, degno dell’indimenticabile “Hostage To Heaven” ed impreziosito da un classico, e bellissimo, assolo “sorychtiano”; la seconda è l’anomala “(Built To) Resist”, arrangiata perfettamente da una sezione d’archi e da tastiere evocative, sulle quali la voce di Chambers si erge a superba protagonista, finalmente sugli scudi come meriterebbe…insomma, un chorus indimenticabile ed un pezzo quasi commovente per intensità e bellezza; avanzando nella tracklist, troviamo il terzo macigno, ovvero “Blood Of Saints”, dall’incedere possente ed inarrestabile, non velocissimo ma guidato da Dave Lombardo in modo esemplare. Oltre alle song ora descritte, non pensiate ci sia il vuoto: i restanti brani sono un pelino inferiori, ma per nulla trascurabili, al di sopra nettamente della media complessiva delle creazioni metal d’oggigiorno. Tra filastrocche sinistre (“The Answer”, “Prophecy”), ritornelli urlati ed abrasivi (“Endowment Of Apathy”), schegge impazzite (“Skin Trade”), influenze flamencate (“Enemy Mind”, e qui ascoltate ancora Chambers!) e la stranita “Man With No Insides”, c’è di che divertirsi davvero! Niente di più sbagliato sarebbe lasciarsi sfuggire un simile disco, per cui ciò che resta da fare è consigliare caldamente il suo acquisto, da qualsiasi corrente metallica stiate prestando ascolto. Rientro in grandissimo stile di un gruppo che mancava davvero da troppo tempo! Parafrasando la canzone più bella di “Incorporated”: costruiti per resistere! Inchino.
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