A cura di Alessandro Elli
Volenti o nolenti, in questo periodo di difficoltà gli streaming sono l’unica occasione per noi appassionati di godere di un minimo di musica live. Questi show, pur penalizzati in maniera determinante dalla mancanza dell’impatto di un vero concerto, hanno qualche lato positivo: suoni di alto livello, una preparazione maniacale da parte di artisti che danno il meglio di sé vista l’eccezionalità dell’evento e, spesso, location spettacolari. Tutte queste premesse si accostano alla perfezione all’esibizione di Ihsahn e dei Leprous, che hanno unito ancora una volta le forze per dimostrarci di essere in perfetta forma, dividendo la scaletta tra i pezzi del primo, che recentemente ha pubblicato due EP un po’ in chiaroscuro, e quelli dei secondi, che hanno dato seguito all’ottimo “Pitfalls” dello scorso anno con il singolo “Castaway Angels”. Sicuramente una performance che non ha deluso tutti gli appassionati del metal più complesso e del prog più moderno.
Per più di una ragione, è una specie di ritorno a casa questa esibizione che vede Leprous ed Ihsahn sullo stesso palco: nonostante l’ex Emperor sia solito suonare molti degli strumenti presenti nei suoi album in studio, più volte ha utilizzato membri passati e presenti della band conterranea come supporto nei suoi concerti, e ha spesso ricambiato il favore con comparsate sui dischi dei Leprous e supportandoli in fase di produzione ed arrangiamento; lo stesso Ihsahn è inoltre strettamente imparentato con il cantante/tastierista Einar Solberg, avendone sposata la sorella. Fatte queste premesse e considerati questi legami, la scelta della location non poteva che ricadere sulla piccola città di Notodden, nella contea di Telemark, luogo natale di molte delle storie che girano intorno a questo live, e in particolare sul suo teatro che, probabilmente, dal vivo sarà anche suggestivo, ma in uno streaming e con le telecamere puntate solo sul palco non può, per forza di cose, colpire in modo particolare.
Quando ha inizio lo show, in realtà con qualche minuto di ritardo sull’orario programmato (come se la precisione nordica avesse lasciato spazio al voler ricreare il senso di attesa dei concerti reali), il colpo d’occhio è sicuramente degno di nota e quello che succede sullo stage rapisce l’attenzione, facendoci dimenticare eventuali sottigliezze riguardanti il contesto: in primo piano, sotto luci accecanti, i Leprous entrano in scena, completamente vestiti di nero, introdotti dalle note di tastiera del loro leader, che dà inizio alle danze con “The Flood”, caratterizzata dai riff nervosi di chitarra e dal frequente falsetto del cantante, scelta quest’ultima in cui la band norvegese sembra aver fatto scuola per molti gruppi prog moderni con una proposta affine (Agent Fresco, Caligula’s Horse). Con la successiva “From The Flame”, la prima di una serie di sorprese che ci riserverà la serata: un intervento preregistrato del canadese Raphael Weinroth-Browne, virtuoso del violoncello, in forza, tra gli altri, alla band neofolk Musk Ox e già collaboratore dei Leprous in alcuni album; i suoi suoni leggeri fanno da contraltare all’energia quasi funky del pezzo, mentre le immagini dell’artista da remoto si fondono con quelle in diretta dal teatro. Il terzo brano in scaletta, “Thorn”, introduce finalmente l’altro mattatore della serata: anch’egli completamente in nero, Ihsahn si posiziona a fronte palco con la sua sei corde e il suo screaming acuto e maturo, molto diverso dagli esordi, e sembra perfettamente inserito nel contesto musicale. Pur se più aggressiva, la musica che egli ci propone ormai da anni, non solo durante la sua carriera da solista ma addirittura con le ultime due opere degli Emperor, è infarcita di riferimenti alla musica prog più complessa e cerebrale, pur non perdendo un grammo della sua potenza: un esempio perfettamente calzante è la resa sonora odierna di un pezzo come “My Heart Is Of The North”, in cui riff di chitarre ed organo sembrano intrecciarsi e fondersi come se fossero suonate dai Deep Purple degli anni ’70. Lo spostamento verso questo tipo di sonorità è la grossa novità norvegese di questi ultimi anni, con protagonisti che vanno dai veterani blackster Enslaved a nuove leve come i Seven Impale, che stanno creando una scena fresca e vitale: il connubio di stasera suona come una sorta di sublimazione di questa fusione tra estremo e suoni ricercati, tra artisti che, pur avendo retroterra differenti, hanno da tempo trovato il perfetto punto di incontro. Il concerto scorre così senza cali, tra prog, metal e una mai invadente spruzzata di elettronica, con altri ospiti (Øystein Landsverk e Tobias Ørnes Andersen, personaggi che hanno fatto parte di ambedue le formazioni), con ripescaggi dai repertori di entrambi gli artisti e i momenti di alto livello sono molti: la ballata per piano e voce “Distant Bells” e la sferzante “Lend Me The Eyes Of Millenia”, pur con mood opposti, sono di sicuro tra questi. I protagonisti, forse anche per la singolarità dell’evento, appaiono piuttosto emozionati, e ciò traspare nella presentazione dei vari brani e, soprattutto, della cover di “Manhattan Skyline” degli ‘eroi nazionali’ A-ha, fedele all’originale, con la voce di Solberg decisamente sugli scudi. Il finale con “Contaminate Me”, uno dei pezzi più possenti dei Leprous, con la voce di Ihsahn già presente nella versione in studio, è il sigillo su una serata decisamente riuscita, studiata nei dettagli e che, come è giusto che sia, ci fa rimpiangere di non aver potuto vivere vicino ad una transenna.
Setlist:
The Flood
From The Flame
Thorn
Lend Me The Eyes Of Millenia
Arcana Imperii
Pulse
Distant Bells
The Price
Until I Too Dissolve
My Heart Is Of The North
Manhattan Skyline
At The Bottom
Below
Frozen Lakes On Mars
A Grave Inversed
Celestial Violence
Contaminate Me