A cura di Simone Vavalà
Le strade di Demonaz e Abbath si sono ormai separate definitivamente, almeno nella misura in cui mantiene valore questo avverbio nel mondo del metal e delle dispute legali ad esso legate. Anche Horgh, membro decisamente storico e rilevante della band, ha definitivamente lasciato le lande di Blashyrkh, come assodato dalle recenti dichiarazioni dell’unico superstite, ma se per il 90% delle band questo ci avrebbe portato ad approcciarci con un certo timore all’ascolto del nuovo disco, diciamoci la verità: il confronto tra il precedente “Northern Chaos Gods” e la discografia solista di Abbath, anche senza entrare nel giudizio sulla qualità e dell’apprezzamento personale, ci aveva già lasciato alcune certezze.
Ossia la distanza ormai rilevante nell’approccio musicale tra i due fondatori della band, l’importanza del songwriting di Demonaz, al di là delle polemiche sulle dinamiche di separazione/ritorno come musicista, e la capacità di portare avanti una proposta coerente, ma non per questo smaccatamente fotocopiata dal glorioso passato. Assoldati al basso e alla batteria, rispettivamente, Ice Dale, alias Arve Isdal degli Enslaved, e Kevin Kvåle (Gaahl’s Wyrd, From The Vastland), Demonaz è tornato più agguerrito che mai, per restare sul titolo dell’album.
Proviamo di seguito a darvi le prime sensazioni di ascolto, brano per brano, ma per i più frettolosi di voi, anticipiamo subito che anche “War Against All” ci mostra una (one-man) band solida e all’altezza del proprio glorioso passato.
IMMORTAL
Demonaz – voce, chitarra, testi
WAR AGAINST ALL
Data di uscita: 26/05/2023
Etichetta: Nuclear Blast
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01. War Against All (03:26)
La title-track è stata anche il primo singolo estratto e funge da perfetto ingresso in questo nuovo capitolo della saga di Blashyrkh. Subito un iconico riff circolare e il cantato di Demonaz ci affondano in una tempesta di neve, prima di un bridge leggermente rallentato e del rabbioso ritornello, urlato come una chiamata alle armi – e non caso, visto lo spirito bellico che sottende il titolo e, come vedremo, l’approccio tematico dell’intero disco. Il brano procede senza requie, con anche una bella cavalcata in terzine e un assolo breve, senza sbavature: come spesso in passato, nei loro solchi il black metal incontra il classic metal (qui sponda Iron Maiden, diciamo) con gusto. Se il buongiorno si vede dal mattino, decisamente le vibrazioni sono positive da subito.
02. Thunders of Darkness (03:48)
Non si cede di un millimetro nel secondo brano, forse anche più violento e veloce del precedente. Un up-tempo a cui gli Immortal ci hanno abituato da sempre, ma che nonostante il caratteristico downtuning si sposta con convinzione in lidi speed metal; potremmo azzardare un paragone con certe sfuriate degli Impaled Nazarene, anche per la linea vocale particolarmente incalzante; l’approccio take no prisoners trova tuttavia degli intensi sprazzi melodici nella seconda parte del brano, pur senza rallentamenti eccessivi. L’adrenalina scorre forte anche qui, insomma, mentre procede il cammino attraverso lande immaginarie, ma ormai tangibilissime per tutti i fan della band.
03. Wargod (04:38)
Secondo singolo estratto e primi rallentamenti, sulla scorta di quella dimensione epica e più evocativa che, da sempre, fa parte del repertorio della band. Il bel riff iniziale, retto da una batteria marziale, viene presto raddoppiato da un Demonaz che intensifica la tonalità gracchiante à la Abbath, delineando un brano molto old-school, a tratti quasi epic-doom: un approccio che esplode nel bell’arpeggio ad introduzione della seconda parte, più intensa e trascinante, ma non priva di quelle sensazioni sontuose e cupe insieme che già evocava. Qui i venti ghiacciati di Blashyrkh sembrano davvero sferzarci in faccia, complice il tappeto di tastiere quasi viking che entra in gioco poco prima del finale, cadenzatissimo, capace di darci quella sensazione di tregua temporanea di guerrieri che rifiatano dopo una battaglia.
04. No Sun (04:16)
“No Sun” apre nuovamente su tonalità molto classiche, trasformandosi subito in un brano cadenzato – oseremmo dire iconico – che ben suggerisce lo scontro tra le forze del Bene e del Male nell’eterno inverno del mondo creato dagli Immortal. Molto bello il riff squillante, ipnotico, su cui Demonaz declama con grinta e intensità, come un bardo maligno, così come il breve crescendo che segue il ritornello e viene presto raddoppiato, creando quel senso di rapimento e smarrimento che gli Immortal hanno reso spesso il loro marchio di fabbrica nei brani meno aggressivi. Sul finale si segnala un bravissimo inciso giocato tra i piatti e un riff stoppato, curioso ma godibile.
05. Return to Cold (04:31)
I ritmi aumentano leggermente, e si conferma in questo brano una costruzione analoga a “Wargod”: un midtempo che punta più all’atmosfera che all’impatto devastante, intermezzi arpeggiati compresi. In effetti, dopo i primi due pezzi, l’acceleratore è rimasto abbastanza a riposo, ma questo toglie poco o nulla alla potenza delle canzoni. Il riff armonizzato che segue le strofe dona un tocco di grandeur, così come lo stop’n’go che anticipa il lungo ritornello contribuisce, per contrasto, ad accrescere la magniloquenza di uno dei brani più epici del lotto. Graffiante e intensa la prova vocale, a riprova che, pur con tutta la nostalgia che ci viene al pensiero dell’approccio di Abbath, anche con Demonaz dietro il microfono il sound resta riconoscibile.
06. Nordlandihr (07:12)
Con un titolo degno degli Enslaved, “Nordlandihr” non poteva che aprirsi con un un arpeggio insieme sontuoso e maligno, dopo il quale si torna a ritmi elevati, accordi in minore e, insomma, alla lezione del black metal (quasi) primevo, per quanto brevemente. È in realtà la componente ‘viking’ a prendere ancora una volta il sopravvento, e qui lo fa con maestosità. Abbiamo infatti un pezzo strumentale molto lungo – il minutaggio tocca il record nel disco di oltre sette minuti – e la trama si fa dilatata, quasi prog rock nei tempi dispari del riff portante, eppure diretta ed efficace: basta chiudere gli occhi per ‘leggere’ un nuovo, possente capitolo di questa saga fatta di corvi, spade, neve e drakkar spinti verso i mari di un immaginario Nord in perpetua guerra.
07. Immortal (04:14)
Un brano con il nome stesso della band non poteva che gettarci con violenza nel bel mezzo dell’ennesima battaglia evocata tra questi solchi. Continua ad essere la dimensione epica, quella prevalente, con due riff portanti di grande impatto e la giusta dose di rallentamenti. La relativa uniformità, del disco e delle loro sonorità, del resto, ha sempre avuto la svolta vincente nelle dinamiche improvvise, di cui Demonaz è sempre stato un maestro dal punto di vista compositivo. Il breve blocco centrale senza cantato è pura furia e colpisce nel segno, mantenendo alta l’attenzione anche dopo mezz’ora, mentre l’ultima strofa, più (volutamente) caotica e aggressiva, chiude perfettamente prima di quella che si annuncia, fin dal titolo, una traccia più ‘meditata’.
08. Blashyrkh My Throne (05:58)
Le sensazioni vengono subito confermate: analogamente a come veniva chiuso il precedente disco, con la splendida “Mighty Ravendark”, anche qui Demonaz decide di accomiatarsi su toni cupamente lirici. Spazio dunque a un lungo arpeggio, prima dell’ingresso di un tremolo riffing molto ritmato, su cui la voce si fa leggermente più atonale, fuori dal tempo e dallo spazio come richiede ogni degno viaggio entro i confini di Blashyrkh. Ossessività, gelo, potenza… ci sono tutti i tratti tipici della band, comprese due sezioni quasi oniriche, di cui una trova perfettamente posto dopo l’urlo “Blashyrkh, My Throne!”, con il quale gli Immortal reclamano, a ben vedere, anche il trono del black metal dopo trent’anni di onoratissima carriera.