IN FLAMES: il nuovo “Battles” traccia per traccia!

Pubblicato il 03/10/2016

Dopo il passaggio su major e il controverso “Siren Charms”, gli In Flames sono tornati sui loro passi firmando nuovamente per la Nuclear Blast, sotto l’egida della quale escono nel giro di un paio di mesi il nuovo DVD e il dodicesimo album in poco più di 20 anni. Se del primo vi abbiamo già parlato – anche del suo significato di ‘pieta miliare’, nel senso letterale del termine, per marcare il secondo decennio di carriera -, il secondo porta avanti un percorso evolutivo sempre più incentrato intorno alla figura del ‘Lider Maximo’ Friden (unico superstite, insieme al sodale Bjorn Gelotte, dell’epoca “The Jester Race”) e sul cui sfondo sventola il vessillo a stelle e strisce, visto che “Battles” è il primo disco ad essere registrato con un produttore non svedese (il multiplatino Howard Benson). In attesa della recensione per trarre i giudizi definitivi, Metalitalia.com vi offre un’anteprima traccia per traccia di quello che si prennuncia come uno dei dischi più chiacchierati del 2016.

in flames - battles - 2016

“Battles”
Data di pubblicazione: 11 novembre 2016
Etichetta: Nuclear Blast Records

Anders Friden – voce
Bjorn Gelotte – chitarra
Niklas Engelin – chitarra
Peter Iwers – basso
Joe Rickard – batteria

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1. DRAINED (04:06)

Un intro elettronica, accompagnata dal classico arpeggio di Gelotte e da spoken words filtrate, apre “Battles” con uno climax post-apocalittico di circa 1′, perfetto anche in sede live prima di dare il via al classico saliscendi degli ultimi In Flames, in cui ritmiche ‘pestone quanto basta’ si accompagnano a ritornelli epici e coinvolgenti. Nel complesso comunque un buon inizio, al punto che chiudendo gli occhi ci sembra quasi di vedere la folla ondeggiare al comando del direttore d’orchestra col microfono al posto della bacchetta.

2. THE END (03:58)

Ampiamente annunciata già da qualche settimana, il primo singolo estratto da “Battles” mostra perfettamente la nuova dimensione a stelle e strisce del quintetto di Gothenburg, arricchendo il classico riffing serrato con cori, controcori e voci bianche in un tripudio di ruffianeria che rapisce fin dal primo ascolto ma non perde terreno col passare del tempo. Detto che si sente la mano di Howard Benson, da sottolineare la prestazione eccellente di un Friden sempre più sugli scudi e il tiro del pezzo (superiore a “Deliver Us” e “Rusted Nail”), con l’unico neo di un assolo che sembra messo lì per forza.

3. LIKE SAND (03:43)

Dopo le accelerazioni di “The End”, si scala marcia con la terza traccia, mid-tempo che rimanda alle sonorità più dilatate di “Siren Charms”, se pur con un mood più ‘californiano’ nel chorus. Utile per apprezzare l’operato della sezione ritmica – la new entry Joe Rickard ha modo di mettersi in mostra dietro le pelli, così come finalmente si sente il basso del buon Peter Iwers -, ma per il resto un pezzo tutt’altro che fondamentale nell’economia dell’album.

4. THE TRUTH (03:04)

Gemella siamese di “The End”, da cui riprende il coro dei bambini e con cui condivide lo storyline del video, “The Truth” si spinge addirittura oltre, in un tornando di zucchero che risulterà indigesto non solo ai fan della prima ora, aggiungendo un’ulteriore tacca in quel ‘ruffianometro’  innaugurato da “The Quiet Place” e aggiornato da “Deliver Us”. Sia come sia, il ritornello è appicicoso come pochi e, anche immaginiamo lo sguardo di disapprovazione di Jester Stromblad, la coppia Friden – Gelotte dà l’impressione di divertirsi parecchio su questo genere di sonorità.

5. IN MY ROOM (03:25)

Nell’ormai consueta alternanza tra ritmiche veloci e tempi più lenti, tocca ora ai secondi, ma aumenta esponenzialmente la quantità di groove con linee di basso a là Korn in prima fila nel mix. Le chitarre restano stavolta in secondo piano, sovrastate dalla poliedrica timbrica di Mr. Friden, salvo poi aprirsi in un bel solo incrociato all’altezza del bridge, questa volta perfettamente integrato nell’economia del brano. Non il pezzo migliore del lotto, ma una buon mix delle sonorità degli ultimi tre album.

6. BEFORE I FALL (03:27)

Un giro melodico ipnotico – non siamo ai livelli di “My Sweet Shadow”, ma il concetto è quello – accompagna la traccia del giro di boa, un altro mid-tempo impreziosito da punteggiature elettroniche e controcori femminili sullo sfondo. Pezzo discreto e che cresce con gli ascolti, anche se lontana dai fasti di “When The Worlds Explodes” o “Dead End”.

7. THROUGH MY EYES (03:50)

Dopo una serie di pezzi più lenti e/o sperimentali, l’attacco della settima traccia richiama le più classiche coordinate ‘pestone’ di metà carriera, ovvero prima dell’uscita di scena di Stromblad. Spazio dunque a livello ritmico all’intramontabile tupa-tupa, ma anche il cantato di Friden raggiunge livelli di aggressività inediti in questo contesto, salvo poi ritornare su coordinate più malleabili all’altezza del ritornello (buono, ma non ottimo). Apprezzabile la volontà di cambiare registro, anche se su questo fronte siamo ben lontani dai fasti del passato anche recente.

8. BATTLES (02:58)

Buio in sala prove, ed a guidarci nei successivi 3′ è la voce di Friden, condottiero che avrà ammainato la baionetta e semplificato i testi, ma sa ancora come farci emozionare, ben spalleggiato da una truppa chiaramente subordinata ma dove ognuno recita al meglio la sua parte. Per chi ha apprezzato “Paralyzed”, la title-track risulterà probabilmente una delle tracce da aggiungere alle proprie Playlist.

9. HERE UNTIL FOREVER (04:19)

Come ben sa chi li segue da tempo, il capitolo ballad nella discografia degli In Flames (da “Dawn Of A New Day” in poi) è ormai sdoganato, ma “Here Until Forever” si spinge ben oltre, spostandosi da una dimensione intimista ad una hollywoodiana, con tanto di cori registrati (che ci immaginiamo amplificati a dismisura in sede live, illuminati dalle luci degli smartphone) e arrangiamenti tanto semplici quanto boombastici. Detto che abbiamo ormai perso il conto delle sfumature vocali di Friden, ed in attesa della prova dal vivo, nel suo genere risulta probabilmente ancora più efficace della pur validissima “With Eyes Wide Open”.

10. UNDERNEATH MY SKIN (03:30)

Dopo aver tirato il fiato con la ballad, si riparte con l’acceleratore a tavoletta, ma l’impressione è che il motore giri con il limitatore di velocità inserito, visto che le chitarre salgono di giri per poi rimettere il folle, lasciando al pilota dietro al microfono il compito di accompagnarci tra i tornanti vocali. Il risultato è un pezzo discreto, ma resta un po’ di rimpianto per il ‘vorrei ma non posso’ dei primi 30 secondi più tirati.

11. WALLFLOWER (07:06)

Dopo una serie di pezzi diretti, la vera sorpresa arriva sul finale, con un brano di sette minuti dove finalmente i quattro strumentisti hanno modo di esprimersi in autonomia. Come già accaduto per “The Chosen Pessimist”, l’inizio è in tono minore, con un crescendo emotivo che trova il suo apice a metà del pezzo, in un gioco di contrasti (vuoto-pieno, chiaro-scuro) che ci immaginiamo sarà un piatto forte dal vivo. Anche su disco, comunque, rappresenta sicuramente uno dei punti più alti di “Battles”, nonchè perfetto esempio di bilanciamento tra tutti i componenti della band.

12. SAVE ME (04:12)

Finale allegro andante, come ormai tradizione da un paio d’album a questa parte, con un’altra prestazione corale in cui vecchio e nuovo si mescolano in un gioco dell’elastico tra il riffing di Bjorn Gelotte e le linee vocali di Friden, con sullo sfondo sezione ritmica ed elettronica a fare da collante. Un altro brano indubbiamente da annoverare tra gli highlight, che ci permette di congedarci da “Battles” con un sorriso.

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