KANSAS: il nuovo “The Absence of Presence” traccia per traccia!

Pubblicato il 05/06/2020

A cura di Andrea Raffaldini

Sedici album in studio, cinque dal vivo, svariati dischi di platino, canzoni che hanno fatto cantare e sognare milioni di persone (“Dust In the Wind”, “Point Of Know Return”, “Carry On Wayward Son” solo per citarne alcune) ed una carriera lunga più di quarantacinque anni sono solo alcuni dati che cercano (marginalmente) di evidenziare il valore dei Kansas all’interno della storia della musica; per farlo a dovere servirebbero pagine e pagine di informazioni. Ciò che conta ancor più di un passato glorioso è il presente e la formazione americana, con il nuovo “The Absence Of Presence”, mette bene in chiaro di non essere un vecchio dinosauro, ma di saper ancora scrivere musica di altissimo livello tanto che gran parte delle progressive rock band dei giorni nostri farebbe carte false per poter eguagliarli! L’innesto in formazione del nuovo tastierista Tom Brislin (ex Yes, ex Meat Loaf) ha concretamente portato aria fresca all’interno della band, l’affiatamento è totale e le nove canzoni di questo disco sono qui a dimostrarlo.

 

 

Tom Brislin – tastiere
Phil Ehart – batteria
Billy Greer – basso e voce
Ronnie Platt – voce e tastiere
David Ragsdale – violino e chitarra
Zak Rizvi – chitarra
Richard Williams – chitarra solista

THE ABSENCE OF PRESENCE
Data di uscita: 26 Giugno 2020
Etichetta: Inside Out Records

Sito Ufficiale
Facebook
Twitter
Instagram

01. THE ABSENCE OF PRESENCE (08:22)
Pochi accordi di piano insieme ad una dolce melodia di violino danno inizio alla titletrack, un brano sognante lungo oltre otto minuti. Qualche secondo dopo, un lungo intermezzo strumentale ci regala una grande lezione di progressive rock. Il cantato evocativo viene sorretto da un sound marciante scandito dalla batteria di Phil Earth, mentre il ‘nuovo’ arrivato Tom Brislin inserisce parti di tastiere che donano una maggior enfasi alle melodie del brano.  “The Absence Of Presence” si presenta come un classico in stile Kansas e nella seconda metà dell’ascolto gli americani propongono un’altra lunga parte strumentale, virtuosa e melodica.

02. THROWING MOUNTAINS (06:21)
“Throwing Mountains”, se paragonata al brano precedente, lascia da parte le atmosfere sognanti per imporre un sound più deciso e squisitamente prog.  Eppure non siamo di fronte ad una canzone nostalgica, perché nonostante i Kansas si cimentino in pezzi dal piglio settantiano, la produzione pulita e moderna ha il merito di ringiovanire la resa sonora generale e di renderla competitiva con le ultime uscite in ambito di prog. Ancora una volta Brislin si rivela un elemento essenziale grazie alle sue tastiere che sin incastrano alla perfezione insieme alle chitarre. Il ritornello epico rende “Throwing Mountains” memorizzabile dopo pochi ascolti.

3. JUST OVERHEAD (05:17)
I Kansas continuano ad andare sul sicuro con “Just Overhead”, canzone decisamente orecchiabile e potenzialmente una hit radiofonica. Violini e tastiere duellano sorrette dalla solida sezione ritmica di basso e batteria. Siamo di fronte ad uno dei capitoli più lineari del disco, ma non per questo meno efficace, anzi, a volte sacrificare qualche virtuosismo fa solo bene alla musica.

4. PROPULSION 1 (02:17)
“Propulsion 1” è un breve intermezzo lungo poco più di due minuti interamente strumentale. La band spinge con tempi veloci, solide ritmiche e melodie ben riconoscibili. Una piccola chicca di puro progressive rock, senza tante sorprese.

5. MEMORIES DOWN THE LINE (04:38)
A metà ascolto di questo nuovo disco, arriva il brano lento, la rock ballad “Memories Down The Line”. Nella prima parte voce e piano partono da soli, per poi essere raggiunti da basso e batteria. Il mood di questa canzone è fortemente ancorato agli anni Settanta e ci riporta ai classici dei Kansas. Durante le parti strumentali, tastiere e violini ci fanno sognare con un turbinio di note soavi che sembrano quasi volerci coccolare in un lungo e dolce sogno.

6. CIRCUS OF ILLUSION (05:19)
Anche “Circus Of Illusion” continua sul percorso intrapreso senza particolari deviazioni. Il cantato corale si staglia con l’immancabile aiuto di Platt, Brislin e Ragsdale, veri mattatori della canzone. Il ritornello è maestoso e a metà brano i Kansas si concedono qualche gioco strumentale virtuoso, in grado di mettere in bella vista tutta la classe di questi grandi musicisti. Il risultato è comunque un pezzo nel complesso orecchiabile e mai eccessivamente arzigogolato.

7. ANIMALS ON THE ROOF (05:13)
L’ascolto prosegue con la traccia numero sette, “Animals On The Roof”, perfettamente in linea con quanto proposto finora nel disco. Nessuna novità, ma un’altra grande dimostrazione di gusto, specialmente quando la chitarra solista viene chiamata a deliziare le nostre orecchie. Questo è un altro brano di puro progressive rock vecchia scuola; nulla da aggiungere, se non una quantità copiosa di complimenti per le parti vocali, coinvolgenti ed in grado di entrare subito in testa. Nonostante manchi l’effetto sorpresa, di fronte ad un songwriting così personale e ben definito, risulta praticamente impossibile trovare un punto debole all’interno di questa piacevole composizione.

8. NEVER (04:51)
Siamo in dirittura d’arrivo, ma i Kansas vogliono addolcirci ancora una volta con una delle loro ballate. La semplicità diventa l’arma vincente di “Never”: più che un brano è il racconto di una di quelle favole che, chiudendo solamente gli occhi, riescono a teletrasportare l’ascoltatore in luoghi incantati. Dietro ad una apparente immediatezza, si sente quanto lavoro ci sia dietro alla composizione di questo brano: infatti spesso risulta molto difficile emozionare chi sta all’ascolto con una semplice melodia, molto più che offrire su un vassoio delle pregiate e virtuose partiture all’insegna della mera tecnica fine a se stessa. Chiudete gli occhi, alzate il volume e lasciatevi trasportare dall’abbraccio infinito di “Never”.

9. THE SONG THAT RIVER SUNG (05:06)
Il disco si chiude con “The Song That River Sang”, capitolo finale meno immediato rispetto alle precedenti composizioni. Phil Earth sciorina tutta la sua bravura con parti dinamiche e virtuose, seguito dal fido compagno Billy Greeg al basso. La voce diventa quasi un elemento secondario di fronte alla meravigliosa musica racchiusa in poco più di cinque minuti. Tutta la band dà il meglio e fa rivivere quel sound che ormai tanti anni fa è riuscito a far sognare intere generazioni di fan. Una degna conclusione in grande stile per un disco che, come già affermato nella nostra introduzione, ci ripaga per questi quattro lunghi anni di attesa.

0 commenti
I commenti esprimono il punto di vista e le opinioni del proprio autore e non quelle dei membri dello staff di Metalitalia.com e dei moderatori eccetto i commenti inseriti dagli stessi. L'utente concorda di non inviare messaggi abusivi, osceni, diffamatori, di odio, minatori, sessuali o che possano in altro modo violare qualunque legge applicabile. Inserendo messaggi di questo tipo l'utente verrà immediatamente e permanentemente escluso. L'utente concorda che i moderatori di Metalitalia.com hanno il diritto di rimuovere, modificare, o chiudere argomenti qualora si ritenga necessario. La Redazione di Metalitalia.com invita ad un uso costruttivo dei commenti.