A cura di Davide Romagnoli
[N.B. – dipende cosa intendete per spoiler, ma se ne potrebbe trovare qualcuno]
Li avevamo lasciati in mezzo al deserto, sotto le note della grandiosa ed americanissima “Free Bird”, mentre si schiantavano contro un posto di blocco della polizia, in un’ultima sanguinosa sparatoria. Baby, Otis e Capitan Spaulding. I Reietti del Diavolo. Ultimi rimasti della famiglia Firefly e della mitica Casa dei Mille Corpi. Un finale perfetto per “The Devil’s Rejects” (tristemente tradotto in italiano con “La Casa Del Diavolo”, pur non essendoci nessuna connessione con la trama di quello che era, fondamentalmente, un road movie), sequel del primo film targato Rob Zombie: “House Of 1000 Corpses” del 2003. Un po’ Rodriguez, un po’ Tarantino e anche una grande dose di autenticità, nata e sviluppatesi da un passato di b-movies, fumetti porno-horror, industrial, heavy metal e tradizione tutta dannatamente americana. Con quel film il caro vecchio Robert Cummings, Zombie per gli amici, ha mostrato come il suo estro cinematografico potesse pareggiare quello musicale, radunando meritatamente a sé una nuova schiera di fan.
Esce invece il 15 Ottobre 2019 direttamente in formato DVD/Blue Ray un nuovo film, il terzo di questa infame trilogia, anticipato dalla premiere di tre giorni (16-19 Settembre) nelle sale a stelle e strisce e dall’esplicativo hashtag #freethethree, con le belle faccine segnaletiche in bianco e nero dei nostri vecchi amici. Come mostrato nelle anteprime, nei teaser e trailer e nelle varie pagine Instagram degli addetti ai lavori, dunque, i cari Firefly, contro ogni pronostico, non sono morti. Sono, anzi, diventati emblema di una controcultura tutta seventies che si scaglia contro le ipocrisie del sistema, contro la pressione governativa estenuante, il perbenismo, il consumismo, il politically correct. “Liberate i Tre” si legge infatti negli striscioni della sezione da docu-film della prima parte (veramente mirabile, c’è da dirlo) del nuovo lavoro di Zombie. Evitiamo, per quanto ci è possibile, di rivelare troppi dettagli sulla trama, ma ci sembra impossibile non nominare un nuovo membro dei Firefly, che si inserisce nella triade, insieme a Otis e Baby: il fratellastro Winslow Foxworth “Foxy” Coltrane, interpretato dal famigerato villain di “31” (l’ultimo film di Rob Zombie, 2016). “Mettiamo tutto insieme: per i fan non sarà un problema” si sarà detto il buon Roberto.
Beh, c’è da dirlo. La famiglia Firefly torna alla grande. E, senza avere grandi piani e narrazioni, spera di fare fondamentalmente quanta più mattanza si possa permettere. Di nuovo sulle strade, con fucili, coltellacci e archi indiani. Complice un montaggio da vero cineasta (vedere ad esempio l’episodio nella casa del direttore della prigione), “The Three From Hell” riprende degnamente il mano la sostanza che aveva caratterizzato “The Devil’s Rejects” e ne riprende anche le tonalità migliori ed entusiasmanti. Sheri Moon è al top della forma: bellissima, sensuale, sempre più matta, sempre più tatuata e sempre più assetata di sangue. Bill Moseley e Richard Brake e reggono il gioco e fanno il loro: veri hillbilly in acido da carneficina e massacro fine a se stesso. Sid Haig (scomparso pochi giorni fa – pace alla sua anima da vero capitano) riesce, nei pochi minuti in cui è presente nel film, a regalare uno dei monologhi più riusciti della filmografia zombiana. Altri personaggi spuntano fuori e non ci sentiamo qui di rivelare il loro andamento specifico, ma concorrono tutti alla perfetta riuscita del film.
Insieme ad una colonna sonora sempre azzeccata e adatta alle nuove peregrinazioni dei tre, Zombie regala un’ora di grande cinema veramente all’altezza delle aspettative, riuscendo a fare un grande lavoro sia per i fan sia per i critici, che apprezzeranno le diverse modalità e generi con cui il film si presenta. Forse è un po’ un peccato per il terzo atto, che tenta di presentare uno stand-off tutto al messicano sicuramente piacevole, ma che ha davvero tanto da recuperare rispetto al precedente e con la prima parte del film stesso. Si vede, infatti, come l’attitudine dell’ultima mezz’ora voglia riportare il tutto al b-movie sanguinolento da spaghetti western à la Rodriguez, un po’ troppo buoni-contro-cattivi e forzatamente non conclusivo, rinunciando ad una certa artisticità di cui il film era riuscito ad essere ricco in precedenza (mirabili gli inserimenti delle visioni del gatto che balla nella cella di Baby, che ricordano forse i cavalli bianchi del secondo “Halloween”).
Ad ogni modo, la passione con cui Zombie e i suoi personaggi continuano a popolare lo schermo è quello che fa davvero piacere. In un tempo in cui i fondi cinematografici sono destinati (miseramente, ci permettiamo di aggiungere) a produzioni sempre più a tavolino, sponsorizzate da partner sempre più algoritmicamente indirizzati o che fanno capo all’ennesimo spin-off di spin-off di personaggi secondari dei fumetti, il musicista del Massachussets continua imperterrito nella sua strada e trova – anche con un budget ridotto – la sua via di casa. Di altri mille – speriamo ancora altrettanti – corpi sacrificati all’altare dell’entertainment.