Ad un paio di mesi dalla pubblicazione della loro ultima fatica discografica, “Nihilistic Estrangement”, torniamo ad ospitare i Forgotten Tomb sulle nostre pagine per una nuova puntata della nostra sempre più apprezzata rubrica “Le Introspettive”. Il cantante/chitarrista Ferdinando ‘Herr Morbid’ Marchisio ha davanti a sè ben dieci album della sua band e l’arduo compito di passarli in rassegna. Il risultato è un’ampia panoramica sulla carriera di un gruppo in continuo movimento, capace negli anni di contribuire alla creazione di un sottogenere – il cosiddetto depressive black metal – e poi di reinventarsi in un particolare ibrido sludge/doom/black metal sempre pronto a fare discutere.
Dopo avere ospitato i Vision Divine, gli Stormlord, i Novembre, i Necrodeath e i Cripple Bastards, la nostra rubrica “Le Introspettive” – nella quale i gruppi vengono chiamati ad ordinare i loro album dal meno al più riuscito fra commenti e aneddoti – ritorna con una puntata dedicata ad un altro nome storico del metal tricolore e non.
10. VOL 5: 1999/2009 (Avantgarde Music / Southern Apocalypse Rec. / Moonlight Rec., 2010)
All’ultimo posto solamente perché non è un album vero e proprio, bensì un live in studio doppio con rifacimenti di alcuni dei nostri pezzi più noti di quel periodo, più alcune cover, medley e un inedito. In verità, però, l’ho sempre considerato parte della seconda trilogia della nostra discografia, al pari di un album ufficiale, perché, oltre a segnare il decennale della band, è stato un lavoro di passaggio importante per confermare la crescita fatta dalla band in quei dieci anni con quella line-up e apriva al tempo stesso una finestra sull’imminente futuro. Aveva anche un bel packaging e mi piace molto il suono che avevamo ottenuto, molto naturale e senza fronzoli, dato che era stato registrato in due giorni. Non imprescindibile per chi non è un fan accanito della band, ma un lavoro celebrativo che fotografa un periodo prossimo al raggiungimento di una certa maturità e della seconda parte della nostra carriera.
09. NEGATIVE MEGALOMANIA (Avantgarde Music / Season Of Mist USA, 2007)
Un disco venuto dopo un periodo di riflessione e che all’epoca divise brutalmente il pubblico a causa di un’evoluzione del sound inaspettata, di un taglio quasi avantgarde e progressivo e dell’inserimento di alcune voci pulite di stampo rock. L’album era una presa di posizione contro una certa frangia pseudoelitaria del black metal che si ergeva a giudice di chi era ‘true’ o meno senza potere nemmeno permetterselo, prendendo le distanze al tempo stesso dalla stessa scena depressive black metal che avevamo contribuito a creare e definire coi tre album precedenti, ormai prossima a diventare l’ennesimo trend stereotipato già dal 2004-05. E’ un disco con cui mi sono tolto qualche sassolino dalla scarpa. E’ così in basso in classifica più che altro perché la relativa inesperienza e la mancanza di tempo in studio hanno un po’ pesato sulle ambizioni fin troppo alte del disco, che suona bene e ha ottimi pezzi, ma che con più ore di lavoro e mezzi migliori avrebbe potuto essere molto meglio. Ci sono alcune imprecisioni specialmente nell’esecuzione di alcune doppie voci che con più tempo avrei sicuramente fatto meglio e la batteria non era a metronomo, tutte cose che infatti abbiamo rettificato col successivo “Under Saturn Retrograde”. E’ comunque un album con dei gran bei pezzi e idee per l’epoca assolutamente innovative; include anche molti elementi che da lì in poi diventeranno parte integrante del nostro sound, come le influenze southern, sludge e un incremento del lato puramente rock, ed è anche più tecnicamente avanzato rispetto ai precedenti. E’ comunque un album che vendette parecchio e quello con cui abbiamo cominciato ad avere una presenza live più costante ed è interessante notare come negli anni sia stato ampiamente rivalutato e addirittura adesso sia il preferito di vari fan.
08. SONGS TO LEAVE (Selbstmord Services, 2002)
I cultori dei primi FT saranno scandalizzati nel vedere il nostro esordio così in basso in classifica, ma per me è un album un po’ acerbo di cui non apprezzo particolarmente alcuni testi e che soffriva della presenza di una drum-machine, per quanto fatta in studio con tutti i crismi e non troppo fastidiosa, ma pur sempre un po’ asettica; in generale, la produzione oggigiorno suona un po’ datata. All’epoca ero una one-man band e l’album risentiva delle mie influenze giovanili (l’ho scritto tra i diciannove e i vent’anni), ma apprezzo il modo in cui le avevo mischiate riuscendo a creare qualcosa di fresco in una scena in cui la maggior parte delle band ancora pensavano a suonare il più veloce possibile e a trattare temi come guerra, satanismo, boschi e altri clichè. E’ un album da valutare nel contesto dell’epoca e non a caso è considerato quasi unanimemente come uno dei caposaldi di quel sottogenere che ora chiamano DSBM (‘depressive suicidal black metal’), acronimo che a quei tempi nemmeno esisteva. E’ l’album che ha imposto FT sulla scena internazionale e include alcuni nostri classici come “Disheartenment”; è legato a un periodo irripetibile della mia vita in cui ero molto attivo e collaboravo e condividevo idee con vari esponenti della scena black metal, specialmente in Svezia, dato che era uscito per la label di Niklas Kvarforth degli Shining e quindi frequentavo la scena che gravitava attorno alla label e a quelle giovani band che all’epoca stavano facendosi un nome, tipo Craft, Watain, ecc. Erano tempi magici e molto creativi in cui credevamo ciecamente in quel che stavamo costruendo e per me rimane l’ultimo periodo in cui il black metal aveva ancora qualcosa da dire e manteneva un’attitudine sincera, in un periodo in cui le band ‘classiche’ dei 90’s erano in crisi e stavano perdendo lo spirito. L’album creò un bel ‘buzz’ nella scena e tra l’altro negli anni vendette veramente molte copie ed è tuttora il nostro disco con più ristampe all’attivo. Una piccola curiosità: il disco era pronto a metà 2001 e infatti giravano alcuni promozionali già in quell’anno, ma dalla firma del contratto con Selbstmord all’uscita ci è voluto un anno esatto, quindi l’album è uscito solo ad Agosto 2002; se fosse uscito un anno prima forse avrebbe avuto un impatto ancora maggiore. Resta comunque un favorito dei fan vecchi e nuovi e ha influenzato moltissime band venute successivamente, sia a livello di testi/concept che di sound e immagine, quindi ne sono orgoglioso, nonostante non lo consideri uno dei nostri migliori lavori. Di recente per il ventennale della band lo abbiamo eseguito dal vivo per intero e devo dire che con una line-up vera e propria e l’esperienza accumulata negli anni il risultato è stato eccellente e ho un po’ fatto pace col disco, dopo anni in cui non lo sopportavo più. E’ stata un’esperienza molto emozionante rivivere quel disco su un palco.
07. UNDER SATURN RETROGRADE (Agonia Records, 2011)
Era in sostanza una versione riveduta e corretta del precedente “Negative Megalomania”; avevamo mantenuto l’uso di alcune voci pulite, gli elementi southern, sludge e rock, così come certe influenze darkwave e alcuni arrangiamenti quasi progressivi, ma curando le esecuzioni e i dettagli in maniera maniacale e realizzando il mastering ai Finnvox Studios di Helsinki con Mika Jussila (Amorphis, HIM, Sentenced, ecc.), di conseguenza il risultato fu un disco formalmente inattaccabile dove avevamo anche cercato di ridurre le durate dei brani e dare un taglio rock e catchy al tutto. Posso dire che è il primo disco di cui mi sentii pienamente orgoglioso e che penso non avesse nulla da invidiare a colleghi esteri e band più blasonate. E’ forse il disco più accessibile di FT e sono convinto che – senza nulla togliere ad Agonia Records – se fosse uscito per una grossa label come Nuclear Blast o Century Media e fosse stato spinto con quei mezzi avrebbe potuto farci fare un salto di popolarità importante. Fu comunque recepito piuttosto bene da fan e critica, aprì molte possibilità di tour ed esibizioni live e include molti classici che suoniamo tuttora spesso dal vivo, come “Reject Existence”, “Shutter” o “Spectres Over Venice”; purtroppo è anche l’ultimo disco con il nostro chitarrista ‘storico’ Tiziano aka Razor SK, quindi diciamo che è stato un po’ un successo dolceamaro. L’unica critica che mi sento di muovere è che forse era fin troppo eclettico a livello di stile, ma vista la qualità generale penso fosse comunque un album molto valido e godibile.
06. HURT YOURSELF AND THE ONES YOU LOVE (Agonia Records, 2015)
Questo lo realizzammo quasi interamente ai Sound Suite in Francia, sotto la supervisione di Terje Refsnes (Carpathian Forest, Gehenna, Destroyer 666, Novembre, ecc.), che fu il nostro primo produttore vero e proprio, uno di quelli che pretendono il massimo dai musicisti e si impongono su alcune scelte di registrazione; la cosa creò alcune tensioni in studio, ma il risultato fu un disco molto solido, soprattutto grazie alla qualità del songwriting, che tuttora rimane uno dei più elaborati della nostra discografia per arrangiamenti e complessità generale. E’ un disco in cui alzammo di parecchio l’asticella e si nota una cura mai avuta prima anche sulle metriche delle voci e su tanti dettagli; i testi sono forse tra i migliori che ho mai scritto e i brani erano un ulteriore passo verso uno stile slegato da qualunque altra band del sottogenere, unendo svariate influenze e creando un ibrido tra sludge e black metal veramente estremo. In retrospettiva avrebbe goduto di una produzione un po’ più potente, alla “We Owe You Nothing”, ma resta un disco eccellente dove l’intera band ha lavorato duro. Lo abbiamo masterizzato agli Audiosiege in Usa con Brad Boatright (High on Fire, Beastmilk, Corrosion of Conformity, Obituary, ecc.), poco prima che diventassero un po’ troppo inflazionati. Un aneddoto che ricordo volentieri è quando Refsnes, solitamente severissimo, mi fece i complimenti alla fine delle registrazioni dicendomi che ero uno dei musicisti migliori con cui ha mai lavorato. Un’altra cosa divertente è che le voci sono state registrate con un microfono originariamente appartenuto a Freddie Mercury! Il disco è anche tristemente celebre in quanto la modella di copertina e conoscente della band, Paola Luminal, si è suicidata poco dopo l’uscita dell’album. Il disco fu seguito da un bel tour europeo da headliner con i Nocturnal Depression di supporto che ottenne un ottimo successo e in cui suonammo anche al Colectiv di Bucharest qualche giorno prima del famigerato disastro che scandalizzò l’Europa e fece cadere il governo rumeno. Un disco ‘maledetto’ a tutti gli effetti, quindi, pervaso da un’aura di morte.
05. SPRINGTIME DEPRESSION (Adipocere Records, 2003)
Il disco che ha definitivamente imposto FT nella scena dopo l’ottimo riscontro di “Songs To Leave” e a sua volta un lavoro che è generalmente considerato un caposaldo del depressive black metal. Rispetto al precedente riuscii ad avere un session alla batteria (Wedebrand, ex Shining) e le registrazioni avvennero ai ben noti Abyss Studios in Svezia (Hypocrisy, Dimmu Borgir, Marduk, Celtic Frost, ecc.) sotto la supervisione di Tommy Tagtgren (fratello maggiore del più noto Peter, che ogni tanto veniva a dare un ascolto ai lavori). Fu un’esperienza veramente bizzarra in quanto era pieno Gennaio e c’erano -35 gradi, inoltre lo studio era isolato tra neve, boschi e laghi ghiacciati e non c’era possibilità di andare da nessuna parte quindi rimasi pressoché estraniato da tutto per quasi due settimane; all’epoca chiamare col cellulare in Italia era costosissimo e nello studio non c’era nemmeno internet, addirittura la strumentazione con cui abbiamo registrato era tutta analogica quindi ho dovuto suonare praticamente tutto live buona alla prima! Avevo comunque in mano del materiale veramente oscuro e il risultato fu all’altezza delle aspettative, un disco asfissiante e davvero malsano che credo abbia retto bene alla prova del tempo. Ebbi problemi di salute a causa delle temperature proibitive quindi dovetti registrare le voci in Italia un paio di settimane dopo; tra l’altro il nastro DAT su cui era registrato il disco venne smagnetizzato dai metal detector dell’aeroporto al ritorno quindi per poco non persi l’intero album! Finite le registrazioni spesi il resto del tempo a Stoccolma insieme a Kvarforth e agli altri della scena svedese dell’epoca. Il disco doveva nuovamente uscire per Selbstmord Services ma ci furono una serie di scazzi dovuti al temperamento giovanile e a vari motivi organizzativi e alla fine uscì invece per la francese Adipocere Records, che a dire il vero fece un buon lavoro. Il disco fu un successo e la copertina diventò iconica; la titletrack è diventata negli anni uno dei brani più coverizzati dalle band DSBM. Con l’uscita di quel disco assemblai finalmente una line-up stabile e cominciammo a suonare live seriamente anche in contesti esteri con band di rilievo; il disco include alcuni classici che abbiamo suonato live per anni e lo abbiamo anche eseguito per intero in alcune date speciali in Messico e in Europa tra il 2013 e il 2015.
04. LOVE’S BURIAL GROUND (Adipocere Records, 2004)
Premettendo che preferisco la versione ristampata del 2015, intitolata “III: Love’s Burial Ground”, dove abbiamo effettuato un remix e remastering rimuovendo un fastidioso trigger dalla batteria e migliorando lievemente alcuni dettagli (riverberi e qualche volume) – oltre a ripristinare la copertina non-censurata – rimane uno dei miei dischi di FT preferiti in virtù della malvagità e del disagio totali che lo pervadono. Era il primo disco registrato con la line-up completa (il basso lo suonai ancora io ma l’allora ‘nuovo arrivato’ Algol era presente in studio) e al di là di qualche ingenuità esecutiva il gruppo era carico d’energia e determinato a spaccare, oltre ad avere in pugno una serie di brani di ottima fattura che scrissi anche a quattro mani con l’altro chitarrista. Eravamo ancora tutti molto giovani e io ero in un periodo di degenerazione assoluta in cui, tra problemi personali, incidenti, autodistruzione generale, aggressività, occultismo, rivalità con altre band della scena e follie di vario genere, ero totalmente fuori controllo e pervaso da un’aura di fanatismo; gli altri della band a loro volta avevano tutti qualche problema e il risultato fu che FT diventò una sorta di gang in cui regnava un estremismo generalizzato e un’intolleranza verso chiunque e qualunque cosa. Il risultato non poteva che rispecchiare quest’attitudine e quindi il disco è un monolite di cattiveria e miseria dove gli elementi introdotti nei precedenti due vengono estremizzati al massimo e resi più velenosi. E’ generalmente sottovalutato nello schema della prima trilogia, ma resta il mio preferito; non vorrei più rivivere certi momenti della mia vita di allora, ma resta un periodo intenso e unico in cui ci sentivamo contro il mondo intero. Forse era un po’ troppo lungo e il mix originale era un po’ troppo secco, ma include alcuni classici come “Alone”, la titletrack e “House of Nostalgia” e tre intermezzi ambient/industrial creati da Nordvargr degli MZ412, che all’epoca sarebbe dovuto entrare in line-up fisso, ma poi non se ne fece nulla. Il disco vendette 1500 copie in pochissimi giorni e in generale continuò ad andare molto bene e facemmo qualche bello show all’estero con alcuni sold-out.
03. …AND DON’T DELIVER US FROM EVIL (Agonia Records, 2012)
Dopo “Under Saturn Retrograde”, che era il nostro disco più accessibile, cogliemmo di sorpresa il pubblico con un disco uscito a breve distanza e che vedeva il recupero di sonorità maggiormente legate al nostro sound classico degli esordi, seppur ancora più malsano e contaminato da elementi sludge e passaggi dal sapore darkwave. Realizzammo ancora una volta il mastering ai Finnvox Studios con Mika Jussila, ma a questo giro forse il risultato fu un po’ troppo spinto e le chitarre risultarono un po’ ‘fuzzy’, cosa che mi dispiacque, dato che era anche il primo disco in diversi anni in cui tornavo a suonare tutte le chitarre io stesso. Nel complesso, comunque, l’album era potente e aveva buonissimi riff e melodie, oltre a risultare uno dei più sentiti e disperati mai registrati dalla band, dato che prese vita in un periodo di profonda crisi personale ed autodistruzione; è senza dubbio uno degli album più autenticamente negativi mai registrati dalla band e per questo lo associo spesso a “Love’s Burial Ground”, un altro lavoro in cui l’oscurità era veramente palpabile. Avevamo anche registrato un paio di bonus track molto valide, una cover di “Transmission” dei Joy Division, di cui sono molto orgoglioso, e “Sore” dei Buzzov*en. L’album stranamente ebbe fortune alterne, ma in qualche modo catalizzò l’attenzione degli addetti ai lavori e il biennio 2012-2013 finì per essere quello di maggior successo di sempre in termini di live, con ben tre tour europei e molte date sparse anche in festival di grosso rilievo come Hellfest, per un totale di oltre settanta show. Considerando come stavo in quel periodo, la cosa non fece che incrementare la totale autodistruzione off-stage, ma al tempo stesso restano alcuni dei migliori ricordi della mia carriera e del tempo speso con gli altri della band, un periodo di anarchia totale in cui fare il musicista era diventato un lavoro a tempo pieno e in cui sicuramente mi sono tolto molte soddisfazioni, ho conosciuto tantissimi personaggi, noti e non, e in generale ho assaggiato un po’ di quella vita da ‘rockstar dissoluta’ che tutti un po’ sognano quando si fa questo mestiere. Gli aneddoti, belli e brutti, sarebbero veramente troppi da raccontare, ma è successo seriamente di tutto!
02. WE OWE YOU NOTHING (Agonia Records, 2017)
Un disco che è stato segnato da alcune mie grosse difficoltà personali, in primis un incidente potenzialmente mortale accaduto pochi giorni dopo l’inizio delle registrazioni, in cui mi sono rotto l’osso del collo, nove costole, un polmone bucato e ho avuto una parestesia alla mano; sono dovuto star fermo sei mesi prima di riprendere le registrazioni, che comunque sono state molto faticose e ho avuto un grosso stress post-traumatico che ha influito sui testi e sull’atmosfera del disco. L’averlo portato a termine con successo ha comunque rappresentato un trionfo personale che purtroppo non ha coinciso con il favore del pubblico, che in parte non ha capito per nulla il disco e le influenze di cui era intriso, andando a tirare a mano cose che non c’entravano nulla. E’ invece per me un disco solidissimo che premeva sul pedale della pesantezza, ma senza dimenticare alcuni lati classici del nostro sound, con arrangiamenti complessi, un approccio vocale (molto criticato) un po’ più vicino allo sludge-punk e soluzioni ritmiche inusuali; i pochi elementi puramente black metal e la quasi totale assenza di blast-beat hanno probabilmente confuso una parte di pubblico che ha vissuto il disco come una sorta di ‘tradimento’, quando in realtà era la naturale evoluzione dei due precedenti e suonava comunque ‘alla FT’, chiudendo idealmente la nostra terza trilogia. Mi piace molto la produzione, mixata e masterizzata da Zeuss (Six Feet Under, Crowbar, Hatebreed, Rob Zombie, ecc.) negli USA, davvero massiccia ma senza trigger o eccessivi ritocchi da studio, dove finalmente le mie chitarre suonano bene. Purtroppo, a causa dei miei problemi di salute, abbiamo ‘perso il treno’ e non siamo riusciti a fare un tour come si deve per supportare il disco, che quindi è finito un po’ in sordina alla svelta. Trovo sia un peccato, dato che – seppur un po’ diverso dal solito – lo considero uno dei nostri lavori più riusciti in assoluto e formalmente ineccepibile. Magari era un disco che avrebbe avuto maggior fortuna se fosse uscito su Relapse o Deathwish, invece che finire in mano a un pubblico prettamente black metal. Comunque sia, la titletrack è un classico assoluto della nostra discografia e gli altri brani erano tutti molto buoni, specialmente “Saboteur”. Lego il disco alla nostra prima esibizione al Roadburn, che è stata un po’ un evento, dato che ci ha voluti lo stesso Jacob Bannon dei Converge, curatore dell’edizione 2018 e insospettabile fan della band fin dai primissimi dischi!
01. NIHILISTIC ESTRANGEMENT (Agonia Records, 2020)
E’ piuttosto scontato mettere l’ultimo album in prima posizione, ma, dal momento che cerco sempre di superarmi con ogni disco, non posso che pensare che sia il migliore; il tempo decreterà un suo eventuale spostamento nella mia classifica personale, ma ora è troppo presto per avere un distacco emozionale dall’ultimo arrivato, anche perché, per quanto abbia nostalgia di tante cose passate, preferisco vivere nel presente con questa band e pensare sempre al futuro. L’album incarna bene quello che è FT nel 2020, una band che guarda al futuro ma che non dimentica il passato, sia a livello stilistico che nell’approccio alla produzione analogica, che è una delle cose che preferisco del nuovo lavoro. Mi piacciono anche molto il ‘tiro’ rock del disco, trovo ci siano grandi melodie e il ritorno di elementi più atmosferici ha apportato nuove dinamiche al sound; è un album conciso, ma con molta varietà ed elementi apparentemente anomali che ben si integrano nel clima decadente e notturno del disco. Sono contento anche di aver prodotto il disco in prima persona e dell’apporto del nostro bassista Alex ‘Algol’ in sede di mix, così come del lavoro svolto da Jack Control in mastering agli Enormous Door in Texas (Darkthrone, Trap Them, Poison Idea, Martyrdod, ecc.). La copertina di Paolo Girardi è anche la mia seconda preferita dopo “Springtime Depression”, un vero masterpiece e spero l’inizio di una bella collaborazione. E’ un disco maturo e che ha aperto nuove porte al futuro della band, portando una ventata d’aria fresca e creatività in seno al gruppo. Il disco sta andando molto bene e non vedevo i fan così entusiasti da un po’, ora spero solo si riesca presto a coronare il successo con l’attività live, che per forza di cose è stata sospesa da Febbraio.