Le introspettive di Metalitalia.com – NATRON

Pubblicato il 22/03/2021

Gli storici death metaller italiani Natron sono in procinto di pubblicare un’attesa ristampa in vinile di “Hung, Drawn and Quartered”, il loro ormai leggendario debut album. Uscito originariamente nel tardo 1997 su Headfucker Records, il primo full-length del gruppo pugliese – per anni fra i principali esponenti della nostra ormai florida scena death metal – tornerà presto disponibile per Time To Kill Records. Per l’occasione, abbiamo deciso di contattare lo storico portavoce della band, il batterista Max Marzocca, chiedendogli di guidarci attraverso la vasta discografia della sua creatura, fra divertenti aneddoti e interessanti rivelazioni.

Dopo avere ospitato i Forgotten Tomb, i Vision Divine, gli Stormlord, i Novembre, i Necrodeath e i Cripple Bastards, la nostra rubrica “Le Introspettive” – nella quale i gruppi vengono chiamati ad ordinare i loro album dal meno al più riuscito fra commenti e aneddoti – ritorna con una puntata dedicata ad un altro nome storico del metal tricolore e non.

09. VIRUS CULT (Blasphemous Art Productions, 2014)
Trattasi dell’epitaffio discografico della band. In realtà si trova in questa posizione in quanto è un 7”EP contenente soltanto due brani, la cover di “Vision Conquest” dei Napalm Death e l’omonimo brano inedito. Fu registrato nello studio di Fabio, chitarrista dei Vinterblot, e vede come chicca la presenza alle backing vocals di Nico Vinterblot – poi frontman dei Natron nell’ultimo tour europeo in compagna di Avulsed e Prion – e di Mike Tarantino tornato per l’occasione in studio con la band. Le vocals di Nico, Nicola e Mike insieme spaccano, il ‘mostro a tre teste’ – come mi piace definirlo – funziona alla grande. Ritengo che il brano sia molto valido e segna un ritorno alle sonorità grindeggianti di “Livid Corruption” e alle liriche distopiche che finiranno poi per essere purtroppo molto attuali. “Virus Cult” sarebbe servito più che altro come biglietto da visita per ottenere un nuovo contratto, cosa che poi non è mai successa in quanto ci siamo sciolti in seguito a gennaio 2017. Pochi mesi dopo la pubblicazione di “Virus Cult” io, Domenico e Dario (basso) insieme a Stiv (Fiore, cantante dei prog metallers Twilight Gate) gettammo le basi per quello che è poi diventato il nostro attuale progetto heavy rock The Ossuary. Di rilevanza il bellissimo artwork di copertina ad opera del maestro Donatello ‘Crossbone’ Mazzone. E’ stato pubblicato in edizione limitatissima, solo 250 copie. Death metal freaks fanatici del vinile, se non lo avete, procuratevelo!

 


08. NECROSPECTIVE (Holy Records/SPV, 2002)

Ottava posizione per questo lungo album-raccolta pubblicato dalla Holy Records nel 2002 per celebrare i primi dieci anni di attività della band. Contiene tutto il materiale rimasterizzato per l’occasione e precedente all’epoca Holy Records. In pratica contiene l’esordio “Hung, Drawn & Quartered” ed il mini “Unpure”, le due demo ed una ennesima versione di “Elmer the Exhumer” con Mike Tarantino alla voce, la migliore mai registrata, a mio parere. Il CD contiene anche tre video live filmati ad un concerto in Francia durante un tour di supporto ai Septic Flesh nell’estate del 2001. Importante solo per chi non possiede il primo materiale del gruppo, oggi di difficile reperibilità. Il disco possiede una bella cover realizzata da Marcello Rispo con una ‘shrunken head’ Jivaro in primo piano sospesa nel vuoto tra le fronde di una giungla verde e putrescente; nel retro invece è presente una immagine zombificata dei quattro volti della line-up classica, ed infine nell’interno un booklet zeppo di info e foto. Importante a livello personale per il fatto che abbia dedicato questa release alla memoria di mia madre, scomparsa qualche mese prima.

 


07. GRINDERMEISTER (Southern Brigade, 2012)

Ancora una volta un album celebrativo. Pubblicato stavolta nel 2012 per festeggiare i venti anni di attività, il disco in questione ripropone quasi completamente il primo album del 1997 – con eccezione fatta per “Enthroned in Repulsion” ,presente in una nuova veste sull’album “Rot Among Us” – in versione migliorata e ri-registrata con un produzione moderna, chirurgica e ahimè fin troppo ‘ripulita’ per i miei gusti. Da notare come in circa dieci anni la band abbia pubblicato un solo full-length con del materiale inedito, questo album e l’EP di cui sopra, a testimonianza del fatto che i succhi creativi erano oramai prosciugati da tempo e la band era a ruota tra tour e cambi di line-up continui. Ma val la pena soffermarsi un po’ di più perchè rappresenta comunque un momento cruciale per il gruppo.
La formazione vede la presenza di Nicola Bavaro alla voce, Stefano Pomponio (chitarrista session ma in quel momento momentaneamente al basso) e, chiaramente, me e Domenico. Il fatto che io non prediliga la produzione non mi impedisce di riconoscere il fatto che tutto il materiale dell’album sia eccezionale. C’è un grande lavoro di ricostruzione dei riff e delle strutture di brani composti nei primi anni ’90, in un’epoca in cui non usavamo computer, metronomi, programmi come Cubase, Pro Tools, ecc. Un lavoraccio infame, soprattutto per me che per prima cosa suono tutto il disco per creare le tempo track che dovrò poi seguire per risuonare le take definitive, e dopodichè registro prima tutti i piatti e poi tutti i fusti di una batteria elettronica al fine di ottenere massima pulizia e precisione. A fine sessione il pad della cassa era disintegrato, c’era della strana polverina nera sui pedali che altro non era che la gomma del pad che veniva via a causa dei battenti dei pedali. Ricordo ancora Giuseppe, il fonico, che mi dice “E’ una batteria elettronica, potresti suonare più leggero!” ed io “Fratello, io non so suonare leggero!”. Il disco ottenne parecchie recensioni positive, tra gli altri ancora una volta Rock Hard Magazine tedesco finì per incensare la band con una recensione super, e c’è chi addirittura ha scoperto la band con questo disco. Ricordo che una recensione in particolare diceva “Se la batteria è suonata per davvero, questa band è eccezionale!”, così pensai “Fanculo, ne ho abbastanza! Se questo deve essere il futuro del death metal allora mollo tutto!”. Realizzai che dopo tutto quel lavoro non sembrava neanche che fossi io a suonare e che dopotutto avrei fatto prima a scrivere tutte la mie parti al computer e passarle al fonico. E’ stata la mia prima vera consapevole riflessione sui tempi che erano oramai cambiati. Volevo fare altro e lo avrei fatto di lì a poco. Il risultato finale è comunque di alto livello e apprezzo tantissimo il modo in cui i brani sono stati riarrangiati e risuonati con la maturità e consapevolezza di venti anni dopo. Il disco è degno di nota anche per la presenza della cover dinamitarda di “Dead Shall Rise” dei Terrorizer. La feci ascoltare in tour a Dave Culross quando era in forza nei Suffocation e lui mi disse ” Wow, figa! E poi chi ha trovato il titolo Grindermeister per questo album è un fottuto genio!”. Indovinate un po’? Grazie, Dave, sei un amico!

 


06. UNPURE (Nocturnal Music, 2000)

“Salve, siamo i Natron e ci piacciono i Suffocation!”. Se ci fosse un titolo alternativo adatto a descrivere meglio questo lavoro, probabilmente “Unpure” si chiamerebbe così. Questo è il lavoro che segue la firma del primo contratto dei Natron con una casa discografica, in questo caso la sedicente Cryptic Soul Productions di Rieti, che fino a quel momento aveva stampato solo una manciata di 45 giri di Horrid, Enthralment, Agonia e Angel Death, ed era in procinto di pubblicare l’esordio di Undertakers e il nostro “Unpure”, con l’unica differenza che quest’ultimo non uscì mai per questa etichetta.
Ma andiamo con calma, risalendo fino agli inizi del 1995, quando, a pochi mesi dalla uscita del primo demo “Force” (Ottobre 1994), ci viene proposto il nostro primo contratto discografico. Passano diversi mesi fino alla firma definitiva e quando finalmente siamo pronti per entrare in studio è già la settimana di Pasqua del 1996. Cosicchè ci rechiamo a Roma per registrare un album di cinque brani presso gli Zasko Lab, uno studio che aveva prodotto Desecration e Shoggoth, entrambe band romane con un discreto following locale. La gente che ci lavorava era abituata a produrre tutt’altro, ma ci trovammo comunque parecchio a nostro agio e concludemmo velocemente le registrazioni.
Si tratta del materiale migliore composto dalla band fino a quel momento. La formazione è per tre quarti quella classica con Lorenzo ‘Funj’ Signorile (basso), Domenico Mele (chitarre), me ed il primo Mike (Andriani), il cantante originario che di lì a poco lasciò il gruppo. Eravamo poco più che dei ventenni alle prese con i propri idoli Suffocation, Cannibal Corpse, Immolation, Ripping Corpse e roba del genere. Eravamo davvero in fissa per il brutal death metal di stampo newyorkese dei Pyrexia e da poco era stato pubblicato l’esordio degli Infernal Torment, che aveva alzato l’asticella in termini di brutalità. La tracklist del disco comprende alcuni brani di quello che sarà il full-length pubblicato l’anno dopo. Ritengo che la produzione di questo album sia meno confusa rispetto al debutto e nonostante tutto dia giustizia al sound violento e brutale del gruppo in quel periodo storico.
Ciò che è accaduto dopo ha il sapore tragicomico di quello che succede almeno una volta nella vita di un musicista che si possa definire tale: case discografiche con disponibilità finanziarie pressochè nulle ma dotate del dono dell’improvvisazione, gente del music business con un profilo professionale discutibile ed idee poco chiare sul da farsi, promesse non mantenute, deadline puntualmente smentite, inutili lungaggini, chiacchiere e bugie. Nei quattro anni successivi a quella session di registrazione il master rimase nel cassetto fino a quando non fu ceduto alla Nocturnal Music che lo pubblicò nel Novembre del 2000. In quel momento, fortunatamente, i Natron erano una band già ben consolidata con tre album alle spalle.

 


05. HUNG, DRAWN & QUARTERED (Headfucker Records, 1997)

Ex aequo con “Bedtime”, a mio parere, è di fatto la prima release ufficiale della band. Qui il sound ispirato dal NY death metal comincia ad inglobare l’influenza di altre band come Coroner, Voivod, Human Remains, Gorelust, Skeleton Of God e lascia spazio a strutture talmente intricate che, a causa della produzione, diventano puro caos.
E’ il disco della line-up in modalità ‘Tridente Della Morte’, con Lorenzo ‘Funj’ Signorile eccezionalmente nel ruolo doppio di vocalist e bassista, arduo compito al quale si era immolato dopo che il nostro primo cantante Mike Andriani ci aveva mollati alla fine dell’estate precedente. Eravamo in una situazione tipo ”Bene, e adesso chi canterà? Lo farà Lorenzo! Ah, okay!”. E quindi ecco il gorgoglio disumano in stile primi Incantation di Lorenzo, la cui performance al microfono fu sfortunatamente dimenticata nei credit della prima edizione.
La stampa lo definì ”schizoid and weird brutal death metal”, ma, a mio parere, “Hung, Drawn & Quartered” è una complicazione di tutto quello che sarebbe potuto essere più semplice.
Fu registrato presso i Nadir Studio di Tommy Talamanca. Avevamo fatto una data insieme ai Sadist qualche mese prima e Tommy ci propose di andare a registrare l’esordio da lui, che da pochissimo aveva aperto uno studio di registrazione nella zona vecchia di Genova. Così, ad Agosto del 1997, ci mettemmo in treno da Bari per raggiungere il capoluogo ligure e nelle due settimane successive registrammo otto brani. Visti i ritardi nella pubblicazione di “Unpure”, decidemmo di inserire quelli che ci sembravano i brani migliori per metterci al sicuro nel caso il mini non avesse mai visto la luce. Tre brani del 1996 invece andarono a formare “A Taste Of Blood”, il secondo demo pubblicato all’inizio dell’estate 1997 per compensare il vuoto prima della pubblicazione dell’esordio.
Se la memoria non mi tradisce, ricordo che in studio avevamo a disposizione un registratore analogico a nastro Fostex 160 Multitrack, una manciata di microfoni, un rack di effetti ed equalizzatori e basta. Registrammo gli strumenti su tracce separate, ma il risultato prima del mix finale faceva sembrare il tutto come se stessimo registrando in sala prove. Si trattava dell’era precedente a quella digitale in cui gli editing e la quantizzazione sono diventati gli standard di certe produzioni estreme. Di fatto, tutti i demo e i dischi dei Natron sono stati registrati alla stessa maniera fino al 2004: entravamo in studio, ognuno di noi registrava due o tre take a testa e poi sceglievamo la migliore, solo per le lead di chitarra e la voce ci impiegavamo più tempo e, se c’erano degli errori, piuttosto che perdere tempo a correggerli finivamo per lasciarli.
In quel periodo la maturità compositiva e la preparazione tecnica forse non erano all’altezza di quello che stavamo facendo, ma eravamo motivati e quello che ne è venuto fuori è un disco contorto, estremo e con un songwriting acerbo ma complesso. Credo che le chitarre siano lo strumento predominante e mettono molto in risalto il riffing di Domenico, la sezione ritmica invece è sacrificata nel mix. Tommy ce la mise tutta a tirare fuori il meglio, ma noi eravamo delle belle teste gloriose, per non dire altro. Come biglietto da visita, “HD&Q” si presentava tutt’altro che facile, eppure la gente impazzì, giornalisti compresi, e ci fruttò un contratto con la francese Holy Records.
Mentre in quel momento il black metal dilagava ed il death metal perdeva la purezza originaria per cercare di essere commercialmente più appetibile, noi eravamo rimasti uno dei pochi gruppi in Italia a suonare in quel modo così brutalmente old school e ad essere stati in grado di ottenere un contratto con un’etichetta estera di tutto rispetto. Saremo sempre grati a Headfucker Records per aver creduto in noi sin dal primo demo tape e per aver avuto il fegato di scommettere su di noi, che eravamo tre disadattati anacronistici: il loro tempismo fu fondamentale nel risollevare le nostre sorti in un momento in cui navigavamo in acque stagnanti a causa della Cryptic Soul Production.

 


04. BEDTIME FOR MERCY (Holy Records/Sony, 2000)

Bissare in poco tempo la riuscita di un disco come “Negative Prevails” non fu cosa semplice. Quando nel Maggio del 2000 tornammo in Svezia per recarci agli Abyss Studio avevamo le idee più o meno chiare sul materiale a disposizione. La Holy Records sull’onda dell’entusiasmo per i feedback positivi di “Negative Prevails” e dei tour di supporto ci chiese immediatamente un altro disco, cosicchè passammo autunno e inverno a scrivere il nuovo lavoro. Poco dopo aver cominciato le riprese ci accorgemmo che il materiale a disposizione non era sufficiente, così scrivemmo direttamente in studio “Crypt of Sexorcism”, il brano del disco che onestamente mi piace meno. “Bedtime” è il nostro lavoro più sperimentale, diciamo anche che è quello dove si palesa maggiormente l’influenza dei Voivod sulla band, e non solo per la presenza della cover di “Nothingface”. Esagerando direi che esiste una sorta di aura ‘prog’ che permea tutto il disco. Ci sono pure dei bei fendenti come le stesse “Overblood”, “Less Than Human”, la complessa “Astroblaster, tutti brani divertentissimi da suonare dal vivo, e la titletrack, che ha una struttura interessante ed un finale dove personalmente mi sono ispirato un po’ al drumming di Gene Hoglan. In quella occasione Domenico ha usato per la prima volta una testata ENGL RB e Mike ha tirato fuori una prestazione vocale da urlo. Nonostante si tratti dello stesso studio e grosso modo della stessa attrezzatura, la produzione di questo disco risulta un po’ più  ‘dry’ e meno impattante rispetto a quella più ‘boomy’ di “Negative Prevails”.
Superate le sue otto ore giornaliere di lavoro, Tommy Tagtgren spesso ci lasciava in studio a continuare e quando lui non c’era avevamo l’autorizzazione ad assumere noi il comando in sala regia in modo da continuare da soli. Erano giornate di lavoro infinite ed in quel periodo dell’anno la luce del sole era fissa anche alle due di notte. Ricordo che per allentare la pressione ci facevamo degli scherzi terribili, con l’impressionabile Domenico vittima designata di quelli a sfondo horror. Ma lavoravamo seriamente, eravamo talmente concentrati che gli ultimi tre giorni siamo rimasti senza viveri perchè nessuno di noi si era ricordato di andare a fare la spesa all’emporio di Nyhammar, e dato che non avevamo in quel momento un mezzo per poterci spostare siamo quasi morti di fame. D’altronde anche i soldi erano finiti.
“Bedtime For Mercy” è stato il nostro tentativo di registrare un disco diverso da quello precedente ed il pubblico ha mostrato di apprezzare parecchio lo sforzo. Lo metto in questa posizione vista la presenza di un paio di brani che tutt’oggi non mi convincono. Vado particolarmente orgoglioso dei brani sopra citati e della cover dei Voivod, una delle mie band preferite di sempre. A Domenico non piacevano le backing vocals di Peter, ma per me invece suonava tutto figo. Sono andato un paio di volte in tour in Europa con i veneziani Grimness 69 ed una volta a Madrid aprimmo per i Voivod. Dissi ad Away che avevamo rifatto “Nothingface” assieme a Peter Tagtgren degli Hypocrisy e gli diedi una copia del disco dicendogli di farci sapere cosa ne pensava. Ovviamente non mi ha mai fatto sapere niente.

 


03. ROT AMONG US (Metal Age Production, 2009)

Dopo qualche anno trascorso a vivere di rendita grazie a “Livid Corruption”, era giunto il momento di pubblicare qualcosa. Quel disco aveva lasciato un’eredità non indifferente, ma più di tutto aveva contribuito anche a creare una sorta di pietra angolare della band, un traguardo qualitativo che non avremmo più superato in futuro.
Nel frattempo molte cose erano cambiate. Nel 2005 il contratto con la Holy Records era giunto al termine e nessuno delle due parti aveva avuto voglia di rinnovarlo. Da una parte noi lamentavamo il fatto che ci fosse stata poca promozione per “Livid”, mentre loro lamentavano una caduta nelle vendite del dischi, ma quella era qualcosa che in quel momento stava riguardando tutti. Internet aveva preso il sopravvento, il vinile era scomparso da tempo e i CD non si vendevano più perchè la gente scaricava musica in maniera selvaggia e quindi le etichette soffrivano economicamente. Così ci buttammo a capofitto nei tour per vendere dischi e merchandise, e tirare su qualche soldo. In quel lasso di tempo di cinque anni fummo costantemente in giro. Facevamo almeno un tour all’ anno, girammo l’Europa prima da soli con qualche band di spalla, poi con i Mastic Scum, poi con i God Dethroned, poi con i Die Apocalyptischen Reiter, che poco centravano con noi, ma ci permettevano di suonare ogni sera davanti a un botto di gente, ed infine con i nostri idoli Suffocation. Eravamo nei bill di festival con gente come Meshuggah, Lacuna Coil, Obituary, Napalm Death, Behemoth, My Dying Bride e compagnia bella, suonavamo ogni volta che ce ne davano la possibilità, viaggiavamo, ci facevamo a pezzi e ci divertivamo! Sembrava filare tutto liscio, ma nel 2006 era arrivato l’addio da parte di Mike Tarantino e quella fu una bella mazzata non solo per noi, ma anche per molti fan che erano e sono tutt’ora legati alla sua figura di frontman dei Natron. Mike era uno dei migliori vocalist che avessi mai visto in circolazione, non scherzo quando dico che si beccava un sacco di complimenti anche da gente più esperta e più blasonata di lui. Aveva talento naturale, timbrica e polmoni d’acciaio, ma non solo, vista la sua prestanza fisica con lui se ne andò per sempre anche la nostra ultima possibilità di attirare il gentil sesso ai nostri concerti.
Alla fine perderò il conto della gente che dal 2006 in poi si avvicenderà nella band – tranne ovviamente nella posizione di batterista e di chitarrista – ma nel frattempo nel 2007 Alyosha Danisi e Nicola Bavaro (rispettivamente basso e voce nei locali Exhumer e Cruentus) entrano ufficialmente in formazione consentendo al gruppo di essere finalmente pronto per entrare in studio. Era oramai il 2008 ed era necessario tirare fuori un album con i cosidetti, tenendo presente l’incognita di un nuovo cantante.
Tornando al disco, il fatto di essere stati in tour anche con band che non suonavano il nostro stesso genere in un certo senso aveva finito per influenzarci, facendoci propendere verso un songwriting lineare e basato maggiormente sul riff ‘memorabile’. ‘Catchy’ è forse la parola più usata per descrivere questo disco, ma io non la vedo necessariamente così. I blastbeat, le casse veloci in sedicesimi, gli incastri particolarmente intricati tra gli strumenti, il basso rantolante, il palm muting sincopato di scuola Suffo sono sempre lì. Però avevamo un nuovo cantante e dovevamo in un certo senso adeguarci allo stile vocale più thrash metal ed interpretativo di Nicola. Non doveva esserci nessun paragone col passato, la gente doveva apprezzare la nuova era della band.
Nonostante la produzione pulita dei Golem Studio oggi non mi faccia particolarmente impazzire e nonostante non mi piacciano molto i suoni di batteria, la tracklist conta alcuni dei brani migliori mai scritti dalla band. Tra questi l’’epica’ titletrack dell’album, “Bullet Of God”, la magnifica “Roadkill” ed il cavallo di battaglia live “Backyard Graveyard”. Degno di nota anche l’artwork di copertina ad opera di Max Busa, con tanto di orda zombie piena di personaggi del passato, comici, politici, artisti. Nascondendoli tra la massa di zombi ci divertimmo a infilarci tutti quanti: Lemmy, gli AC/DC, i Sabbath, Tom Araya, Lino Banfi, Abatantuono, Hitler, il Papa e ovviamente ci siamo anche noi.
Per la stampa cedemmo la licenza alla Metal Age Production, piccola etichetta death metal con una discreta distribuzione underground che aveva anche Avulsed, i gallesi Desecration e Fleshless. I tempi della Holy Records erano finiti da un pezzo, ma a noi stava bene così; pensavamo che un disco come “Rot Among Us” fosse sufficiente a colmare il gap dovuto alla lunga assenza discografica e ad allargare il nostro seguito, ma le cose non andarono proprio in quel modo.
Innanzitutto il disco non ricevette una promozione adeguata e il modo di fare pubblicità e promozione ricadde sulla band: praticamente mi procurai da solo più interviste e recensioni di quanto non abbiano mai fatto alla Metal Age. E dopo poco smisero completamente di esistere.
Come chiunque altro, nel frattempo, ero mio malgrado entrato nel tragico vortice di internet, delle piattaforme social, di MySpace e ReverbNation, con pochissima attitudine allo smanettamento e con sempre meno voglia di farmi promozione da solo. Finì così che nel passaggio a questa nuova era perdemmo i contatti con la nostra fanbase e si ridusse drasticamente la visibilità di cui avevamo goduto fino a quel momento.

 


02. NEGATIVE PREVAILS (Holy Records/SPV, 1999)

La firma con la Holy Records ci permise di accedere a tutta una serie di cose a cui non eravamo abituati fin a quel momento. Innanzitutto, l’etichetta aveva una struttura che si occupava adeguatamente di distribuzione, promozione e pubblicità, e cosa da non sottovalutare era il fatto di poter attingere ad un budget cospicuo che ci permetteva di andare in giro con tour-bus aprendo per band più grosse, ma soprattutto di poter produrre dischi in studi più costosi e professionali. Avevamo parecchia libertà di decidere, e infatti quando fu il momento di scegliere, Philippe della Holy mi chiese dove volessi andare a registrare. Le ‘mecche del death metal’ come i Morrisound e i Sunlight non producevano più tanta roba interessante, così erano rimasti gli Unisound di Swano e gli Abyss dei fratelli Tagtgren.
La roba che usciva da quegli studi mi piaceva, la produzione sarebbe potuta essere un buon compromesso tra il nostro death metal di ispirazione americana e il sound “swedish”, e poi valeva la pena farsi un po’ di esperienza in uno studio all’estero nel pieno isolamento del rigido inverno scandinavo. Quindi dissi che volevamo andare agli Abyss Studios di Peter Tagtgren, e così fu!
A marzo 1999 volammo in Svezia. Ricordo ancora i tre voli che furono necessari per volare da Bari e l’atterraggio in mezzo alla tempesta di neve nell’aeroporto di Borlange, a circa 250 km da Stoccolma, verso l’interno della nazione. Ludvika, il capoluogo della regione, era secondo le statistiche la città più noiosa della Svezia, mentre Nyhammar, il centro abitato più vicino allo studio, era un villaggio isolato con un tabaccaio, una chiesa, un supermercato ed un telefono a gettoni. E si trovava a venti km dallo studio in mezzo a foreste, laghi ghiacciati e neve. Tanta neve. Eravamo completamente isolati in mezzo al nulla. Durante quel mio primo soggiorno presso gli Abyss Studio telefonai un paio di volte a casa per rassicurare mia madre che ero ancora vivo e non ero stato risucchiato dalle tempeste. La sera del nostro arrivo allo studio scambiammo due chiacchiere e qualche birra con due dei Dark Funeral (il cantante e il chitarrista nasone) e quello fu l’unico momento di socialità per due settimane, anche se nello stesso periodo ogni tanto si aggiravano gli Amon Amarth, intenti a missare non so che album nell’altro studio attiguo.
Eravamo ancora nella stretta del gelo nordico e non c’era altro da fare se non mettersi a lavorare intensamente, bloccati com’eravamo dalla neve e privi di qualsiasi mezzo per poterci spostare. Peter si affacciò per fare i suoni di batteria ed in generale veniva a controllare che fosse tutto a posto, ma il fonico era suo fratello Tommy, col quale ci trovammo immediatamente in sintonia. Avevo a disposizione una Tama Rockstar e dei trigger D-drum, Domenico una Mesa Boogie Dual Rectifier, c’era una mixing consolle con tutte le tracce che volevamo e registratore a nastro analogico. Ognuno registrava il proprio strumento, se sbagliavi una take al massimo la rifacevi dal punto in cui avevi sbagliato e andavi avanti. Si perdeva più tempo, ma era meglio così, dovevi entrare in studio preparato perchè il tassametro scattava e tu dovevi rientrare nel budget messo a disposizione dell’etichetta. Dovevamo terminare tutto nel tempo prestabilito, prendere l’aereo e tornare a a casa.
Facemmo un lavoro egregio. Mi piace particolarmente questo album, è oscuro ed effettivamente suona ‘svedese’. Le liriche ed il songwriting sono neri e parecchio negativi. C’è ancora quella componente gore horror, ma anzichè essere contestualizzata in un futuro apocalittico, qui è più il destino avverso che incombe su tutto. Venivo da un periodo difficile a livello personale e questo ha finito per influenzare il tutto, anche il titolo dell’album. Ma c’era una bella atmosfera nella band, eravamo molto legati tra di noi in quel periodo.
E’ difficile scegliere tra questo e “Livid Corruption”, mi piacciono tutti i brani di “Negative Prevails”, ma alla fine si trova solo in seconda posizione per via della cover bonus nel finale. Dopo tanti anni penso che non avremmo dovuto registrarla, anche se alla gente piace parecchio e ce l’hanno chiesta tantissime volte di suonarla dal vivo. I Police sono una delle prime band che ho ascoltato quando ero bambino e “Message in a Bottle” è uno dei brani più belli della storia del rock, ma per quanto sia ben riuscita quella cover, oggi non mi rende particolarmente felice ascoltarla. “Negative Prevails” è comunque il nostro album più venduto e conosciuto in giro. E’ il disco che ha lasciato il segno! Ogni volta che incontro qualche fan mi dice “Hey Max, tadadadadan-tadan-tadadadadan-tadan-tadan-tadan…!!!” mimando l’iniziale pattern di batteria e cantando le prime due strofe di “By The Dawn of the 13th”.

 


01. LIVID CORRUPTION (Holy Records/SPV, 2004)

E veniamo a quello che per me rappresenta il top dell’ intera discografia della band. Durante la fase di composizione io e Domenico facevamo delle full immersion interminabili, poi insieme agli altri trascorrevamo un sacco di tempo in sala prove per provare il materiale scritto. Fumavamo un sacco: ricordo che tornavo sconvolto dalle prove e mi mettevo a letto, ma poi nel cuore della notte mi alzavo in preda all’ispirazione e prendevo nota di quello che il mio cervello elucubrava. Quando mi svegliavo al mattino prima di andare al lavoro trovavo sul comodino stralci di testi, scarabocchi, disegni, annotazioni sparse su improbabili pentagrammi. Era un bel periodo, lavoravo full-time come commesso in un negozio di strumenti musicali e vendevo batterie, ma tutto il resto del mio tempo libero era dedicato alla band. Forse il motivo per cui è venuto fuori così bene è perchè eravamo nel mood giusto e tutta la band ci ha messo un sacco di impegno, compreso Mike che in quel periodo era al top della sua forma, e Michele ‘Michael’ Maggi, ottimo bassista che rimpiazzò più che egregiamente Lorenzo per qualche anno. Al momento di entrare in studio il 90% dei brani erano già ben definiti.
Il lungo accordo con la Holy Records volgeva al termine ed il budget messo a disposizione dall’etichetta si andava esaurendo, per cui riuscimmo ad organizzarci in modo da amministrare al meglio i soldi rimasti. Per prima cosa decidemmo di registrare a Bari, più precisamente in provincia, presso i Jolly Rogers Studio del nostro amico Miky. Districandoci tra gli impegni lavorativi, concentrammo le riprese di tutte le take in venti giorni, ma lo facemmo nella maniera più rilassata possibile, finivamo in studio e tornavamo a casa. Nel frattempo la Holy ci procurò due biglietti per Copenaghen e una volta terminate le registrazioni io ed il bassista ci recammo agli Starstruck Studio di Lundemark dei thrasher Konkhra per il missaggio, atterrando nello stesso giorno in cui la Danimarca festeggiava il famoso ‘biscotto’ con la Svezia, buttandoci fuori dagli Europei agli ottavi.
La vita notturna di Copenaghen poteva nascondere diverse insidie, soprattutto se avevi amici che vivevano alle porte di Christiania, area nota sin dagli anni ’70 per la comune indipendente hippie. Insomma, in un paio di occasioni sono rientrato alle 8:00 di mattina nell’appartamento dove alloggiavamo, in tempo per sciacquarmi la faccia, raccattare Michael e prendere la metro per andare nel sobborgo di Hvidovre, dove si trovava lo studio, e finalmente metterci al lavoro. Di solito non ricordavo molto della nottata precedente, ma ero sempre pronto per seguire il mix e, grazie ad un banco mix Soundcraft appartenuto alla TV nazionale danese e Pro Tools, dopo una settimana intensa concludemmo il lavoro tornando a casa trionfanti. Lundemark aveva faticato non poco per tirare fuori un mix equilibrato, ma alla fine preferì lasciare il marciume e la sporcizia delle take che avevamo registrato. Il risultato per me è ancora oggi devastante!
Di solito non ascolto mai quello che registro, ma il discorso cambia per questo album. La musica è un concentrato di riff malsani costruiti su intelaiature intricate e blastbeat, il tutto suonato con una certa dose di follia ed eseguito ad una velocità mai più eguagliata dalla band. L’atmosfera di tutti i brani è davvero sanguigna ed inquietante e la sensazione è che la fine di ogni cosa sia incombente e non ci sia un futuro. La copertina è ancora una volta opera di Marcello Rispo e raffigura una scena di devastazione apocalittica nel quale campeggia al centro una figura zombie femminile che brandisce un bambolina voodoo, mentre attorno incalza un orribile orda di zombie. Nel retro risalta lo strepitoso lavoro a matita di Lorenzo Mariani che raffigura la line-up per l’occasione ‘zombificata’, prendendo spunto dalla foto all’interno del booklet. Sono immagini di un artwork che per anni contribuirà ad identificarci e a fornirci spunti per il merchandising del gruppo.
La durata essenziale di soli ventinove minuti spinse la Holy Records a pubblicizzarlo con poca fantasia come “Il ‘Reign in Blood’ dei Natron”. Anche se il paragone risultò azzardato, il consenso della stampa fu unanime: diverse testate come Metal Hammer, Metal Maniac e Rock Hard stabilirono che quello fosse il top creativo della band. In particolare, Frank Albrecht lo definì come una versione impazzita di “World Downfall” dei Terrorizer influenzati da Voivod. Divenne ‘Album del Mese’ o qualcosa del genere su Rock Hard e più tardi fu incluso sempre dalla stessa rivista nella lunga lista dei 250 album death metal migliori di tutti i tempi, definendolo essenziale in ogni collezione che si rispetti.
Quando qualcuno mi chiede di ascoltare quello che ho fatto per venticinque anni io suggerisco sempre di procurarsi prima di tutto “Livid Corruption”. Senza dubbio è l’’essenza death metal’ dei Natron. Credo si tratti del nostro album perfetto e, come da manuale, nel momento in cui lo registravamo non avevamo assolutamente coscienza di quello che stavamo tirando fuori: per noi si trattava solo di passione e divertimento. E roba buona da fumare.

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