I Novembre nel 2018 celebrano i venticinque anni di attività (senza contare gli esordi a nome Catacomb). Dopo essere tornata nel 2016 con l’acclamato “URSA”, la band di Carmelo Orlando negli ultimi tempi si è tenuta impegnata soprattutto sul fronte live, prendendo parte a numerosi festival in tutta Europa per sottolineare ulteriormente il proprio ritorno e consolidare l’affiatamento della sua line-up da concerto. Per celebrare l’importante anniversario e per rinfrescare la memoria degli amanti della doom-death metal band capitolina, anche in vista dello show in programma al Metalitalia.com Festival del 16 settembre, il frontman passa in rassegna per noi la prestigiosa discografia novembrina, stilando una classifica che potrebbe spiazzare piuù di un loro fan!
Dopo avere ospitato i Necrodeath e i Cripple Bastards, la nostra nuova rubrica “Le Introspettive” – nella quale i gruppi vengono chiamati ad ordinare i loro album dal meno al più riuscito fra commenti e aneddoti – ritorna con un’altra succosa puntata.
7. MATERIA (Peaceville, 2006)
“Materia” è il nostro quinto studio album. È un album particolare che viaggiava a delle profondità a cui probabilmente oggi non sono più abituato. Sicuramente ha dei pezzi memorabili, delle ottime composizioni, delle trovate originali, ma è un album che ha sofferto anche di una certa fretta nella fase di assemblaggio. Per quanto possa essere legato a certe porzioni di canzoni, determinati riff, “Materia” è l’album in cui adesso mi rispecchio di meno.
6. NOVEMBRINE WALTZ (Century Media, 2001)
“Novembrine Waltz” è un album con un grandissimo potenziale che però ha sofferto anch’esso di troppa fretta. Fu composto immediatamente dopo “Classica” e credo che avremmo potuto sviluppare alcuni dei suoi pezzi meglio. Inoltre il mixaggio è stato fatto in maniera veloce e, ahimé, inadeguata. Sono comunque molto legato ai brani che lo compongono. Molto spesso riproponiamo i suoi pezzi dal vivo; sono consapevole che c’è del materiale innovativo, e che tanta gente ne è legatissima.
5. THE BLUE (Peaceville, 2007)
“The Blue” è un album relativamente recente, le cui composizioni le sento dentro di me in particolar modo. Ha una composizione che si avvicina più a come concepisco i pezzi oggigiorno. Sia in termini musicali che in termini lirici. Essendo però un album del 2007, soffre anch’esso dei limiti della tecnologia di quel tempo, per cui un mixaggio troppo veloce che non ci ha permesso di curarne i dettagli. Soffre di un suono eccessivamente compresso. Per il resto ne sono molto orgoglioso. Ci sono dei passaggi di grande tecnicismo che spesso sfiorano il progressive. Spero di poterne suonare più pezzi dal vivo in futuro.
4. ARTE NOVECENTO (Polyphemus, 1996)
“Arte Novecento” è il nostro secondo album. Un album prodotto per un’etichetta indipendente, magico sotto mille punti di vista; sia per la nostra giovane età, sia perché fu registrato interamente in Svezia nel mese di febbraio con tantissima neve e temperature siderali. C’è un atmosfera scandinava che filtrò fin nel suo DNA. Non è un disco che ascolto spessissimo perché ha i suoi difetti e anche perché è un album molto lontano nel tempo, ma quando raramente mi capita di riascoltarlo rimango davvero stupefatto da cosa siamo riusciti comporre. In quel periodo era certamente molto avanti negli anni e influenzò tantissimi gruppi. Un lavoro libero da ogni trend di quel periodo, in cui demmo sfogo a tantissima creatività. Dan Swanö fece un lavoro eccezionale e gli regalò una cristallinità unica!
3. CLASSICA (Century Media, 2000)
“Classica” è l’album che ci regalò un successo internazionale più vasto. Un album molto curato e che per certi aspetti riuscì meglio di tutti gli altri. Ci sono pezzi che suoniamo molto spesso dal vivo, come “Nostalgiaplatz”, “Onirica East”, “My Starving Bambina”, “Cold Blue Steel”. A quel tempo avevamo ancora la sana abitudine di suonare sempre tutti insieme in garage (come è giusto che sia) e questa è una cosa che paga molto a livello compositivo. Certamente l’ansia di passare a una major come la Century Media funse da traino per la sua composizione. Un grande mixaggio affidato a Andy La Roque (Death, King Diamond) che in soli cinque giorni seppe capire l’anima di quei pezzi.
2. WISH I COULD DREAM IT AGAIN (Polyphemus, 1994) / DREAMS D’AZUR (Century Media, 2002)
“Wish I Could Dream it Again” è il nostro album di esordio. Uscì a fine 1994, e nel 2002 fu riregistrato sotto il nome di “Dreams d’Azur”. Per cui, compositivamente parlando, i due album sono identici. La versione del ‘94 fu composta in un arco di tempo molto lungo (circa tre anni), il che fece sì che avemmo tanto tempo per curare ogni singolo dettaglio e per sviluppare ogni parte delle canzoni. Venivamo da una scena death metal molto estrema e ci approntavamo a esordire con un lavoro che prendeva un po’ le distanze da quel’estremismo. C’erano tastiere, soluzioni acustiche, classiche, voci pulite, il tutto in linea con l’avanguardismo del ’93/’94 di gruppi come i primi The Gathering, Paradise Lost, My Dying Bride… È un album che, se non fosse per la giovane età e la poca preparazione tecnica, definirei perfetto. Ma a questo ponemmo rimedio 8 anni dopo con “Dreams d’Azur”.
1. URSA (Peaceville, 2016)
“URSA” è il nostro ritorno dopo una lunghissima pausa di circa otto anni. Sono anni che abbiamo sfruttato molto in fase compositiva. E’ stato un arco di tempo che ha giovato tantissimo in termini di creatività. È un album che per tanti motivi sento più mio e che, essendo più recente, rispecchia maggiormente la persona che sono oggi. Non mi sarei effettivamente mai aspettato il successo che ha avuto, perché si sa che i fan sono molto legati ai loro rispettivi album preferiti e ognuno si crea delle aspettative, e spesso queste non vengono raggiunte. Mentre “URSA” è piaciuto a molti e questo mi rende molto orgoglioso, perché vuol dire che la fatica ha pagato! E’ un album che ascolto tutt’oggi tantissimo e che, complice la maestria di Dan Swanö, trovo quasi impeccabile!