MELECHESH: l’autobiografia di Ashmedi

Pubblicato il 24/03/2009

IL CAOS NELLA MIA TESTA

A tutti coloro che stanno leggendo… un saluto. sono Ashmedi, cantante, chitarristae fondatore dei Melechesh. Questo articolo è la prima parte di un’autobiografiache scrivo per Metalnews.de, Decibel e Metalitalia.com, e che conterrà la storia dellamia vita e altri pensieri. Penso sia un progetto interessante per più motivi.Innanzitutto credo che riorganizzando i miei pensieri e raccontando i fatti dellamia vita riuscirò a fare un po’ d’ordine nel caos che regna nella mia testa.Secondo, sia io che la mia band abbiamo notato che sono circolate parecchie inesattezzesul nostro conto, sulla nostra storia e sulle nostre origini, quindi avrete mododi ricevere le giuste informazioni direttamente da noi.

Cercherò di essere il più diretto e sincero possibile, anche se mi riservo dinon rivelare alcune cose che considero estremamente personali. Parlare di me stessonon è così semplice, quindi vi prego di capire.

Sono nato nella Città Santa di Gerusalemme da genitori Armeni/Assiri che erano immigratidiversi anni prima della mia nascita. Contrariamente a quanto si pensa, la mia famiglia non avevaorigini israeliane, ebree, palestinesi o musulmane, ma arrivava da una culturacristiana moderata. Mio padre era uno stilista e i miei genitori avevano avviatouna ditta di moda, quindi la nostra situazione economica era buona. Quando ero ancora un neonato di pochi mesi venni battezzato nella chiesa assira all’internodelle mura di Gerusalemme. Nessuno mi domandò se fossi d’accordo…

Comunque, questo luogo avrebbe un background storico importante. A quanto pareè lo stesso posto in cui Gesù tenne L’Ultima Cena con i suoi Apostoli, eccetera,eccetera… Come ho detto prima, le cose andavano bene per la mia famiglia, finchéimprovvisamente mio padre morì in un incidente stradale (toccò alla nonna delmio chitarrista Moloch dare la notizia a mia madre e portarla all’ospedale e, nonsapendo come riferirle il fatto, inizialmente le disse che mio padre era ferito,non morto). Io avevo solo cinque mesi e mio fratello sette anni, quindi mia madresi trovò nella difficile situazione di dover portare avanti l’attività e contemporaneamentecrescere noi due in una terra straniera (tenete presente che lei aveva perso entrambi igenitori all’età di undici anni, e all’epoca lavorava senza sosta da quando neaveva nove). L’attività proseguì a Gerusalemme Est in una società dominata dall’uomoe lei stessa si trovò nella condizione di dover comandare degli impiegati di sessomaschile, un’altra sfida che le portò comunque rispetto e ammirazione nella parteEst della città. Dal punto di vista finanziario le cose presero una piega negativa,ma la famiglia inizialmente riuscì a rimanere in quella terra e con un solo genitore.Una mia zia si era stabilita a Dakar in Senegal per motivi di lavoro, così invitòme e la mia famiglia a farle visita, dal momento che abitava in una casa enormecon tanto di giardiniere, camerieri, cuoco… (la casa era di proprietà del fratellodel primo ministro senegalese).

Mia madre quindi delegò la guida della nostra attività ad un manager e ci spostammotutti lì. Avevo solo due anni a quei tempi e stavo appena iniziando a parlare.La cosa strana è che venni affidato ad una baby sitter con la quale parlavo soloin francese quindi mi trovai a rispondere in francese sia a lei che ai miei familiari.Il soggiorno in Africa  fu piuttosto lungo, dal momento che facemmo tre viaggi che in tutto coprironoben due anni.

IO TI HO DATO LA VITA

Sono qui seduto a Gerusalemme, e sto scrivendo il nuovo episodio del nostro appuntamento mensile. Tornerò nella casa di Amsterdam entro i prossimi due giorni e mi preparerò insieme ai Melechesh per alcuni festival in giro per l’Europa in aggiunta ad un evento speciale che si terrà a Dubai.  

Essere qui a Gerusalemme è interessante sia negli aspetti positivi che negativi, sono legato a questa terra e lo sarò sempre fortemente. Qui sono totalmente alienato dalla gente, come è sempre stato.  

Tornando al motivo per cui siamo qui, quando ero ragazzo accadde una cosa che mi mise nelle condizioni di poter replicare a mia madre ogni volta che pronunciava la frase “io ti ho dato la vita”, come spesso faceva. Ogni volta che la dice, anche oggi, io le rispondo che siamo pari. Quando ero giovane mia madre in piscina venne presa da un crampo alla schiena e rischiò di affogare. Io le allungai la mano, la tirai fuori, e le dissi che le avevo salvato la vita e che quindi, visto che lei me l’aveva data, eravamo pari.  

Ho frequentato una scuola cattolica privata che si trovava nella parte vecchia di Gerusalemme, dove tutto era molto grigio. Dal punto di vista spirituale o filosofico posso dire che ho iniziato a rendermi conto di come questi percorsi potessero disturbare il comportamento umano, mentre da un altro punto di vista ero stimolato da questo contesto in un mare di idee e pensieri. Per esempio, pochi nella nostra cerchia di amici erano massoni, sebbene queste cose venissero tenute segrete all’epoca. Ho sempre sentito che loro erano interessati a cose fuori dall’ordinario (prima che scoprissi che erano massoni), mi chiedevo sempre dei loro pensieri sulla questione della creazione dell’umanità, su cosa c’è nello spazio fra le cose che già conosciamo, e se l’universo abbia o meno una fine.  

Per quanto riguarda la musica, invece, ricordo che mio fratello – più grande di me di sette anni – all’epoca studiava nella mia stessa scuola e di tanto in tanto prendeva lezioni di batteria. Di solito lo aspettavo dopo la scuola fuori dalla sala prove, così tornavamo insieme a casa. Lo ricordo che cercava di imparare, durante una lezione, una sequenza di batteria, aveva difficoltà e io non capivo perché fosse così difficile. Pensavo che suonare quella sequenza era così logico e semplice, ma non mi era permesso di entrare in quella sala, finché dopo una lezione vidi la porta aperta e nessuno all’interno. Corsi dentro e presi posto dietro il kit, e visto che non c’erano le bacchette suonai quella sequenza con il palmo delle mani. Vi starete chiedendo perché un chitarrista come me vi parli della batteria, ora: be’, io scrivo anche le parti di batteria per i Melechesh, ma non spendo molto tempo a far pratica su questo strumento. E’ solo che mi piace sinceramente suonarlo. A casa mia da sempre si sentivano dallo stereo le rock band, quindi sono stato subito attratto dal suono di chitarra, ma non ho mai avuto la possibilità di fare pratica con la sei corde fino a qualche anno dopo. Quando la musica diventava pesante, ricordo chiaramente che io e i miei amici ascoltavamo le cose più estreme! Quando avevamo sette-otto anni non si trattava di metal, ma di punk veloce. Ascoltavamo un LP dei The Exploited chiamato "Troops of Tomorrow" e io pensavo che quella roba era forte, veloce e divertente! Poco dopo mettemmo le mani sui primi album metal dei Maiden (“Number of the beast”) e dei Motley Crue ( “Shout At the Devil”), ci piaceva la canzone “Invaders” dei Maiden perché da piccoli eravamo soliti giocare alla guerra e cose del genere, ma personalmente preferivo ascoltare l’album dei Motley Crue, il già menzionato “Shout at the devil”. Lo ascoltavo su un walkman vecchio, mi piaceva, ed ero intimidito dall’intro oscura dell’album e dalla potenza di Mick Mars. Portai addirittura l’album con me in uno dei miei viaggi fra la Giordania e la Siria, a Damasco e ad Aleppo. Ricordate che Israele e la Siria erano e sono ancora nemici politici, ma grazie al mio passaporto e al fatto di non essere israeliano, la mia famiglia ed io avevamo la possibilità di visitare questi posti nonostante i pesanti controlli ai confini. Vivere a Gerusalemme, poter andare ad Amman o Damasco a vedere le antiche rovine e avere tutto questo davanti agli occhi fu ciò che mi indusse a cominciare a riflettere sulla storia e sulla mitologia.

DUBAI E THRASH METAL!!!

Sono da poco tornato da Dubai, posso dire che è stata un’esperienza unica. Volevo assorbire le sensazioni del posto, quindi sono rimasto diversi giorni dopo il concerto, e questa si è rivelata una buona decisione. Il posto è molto movimentato e la gente che ho incontrato veramente in gamba. Ero seduto nel deserto con la mia band in un campo simile a quello dei nomadi, stavamo fumando il narghilé, bevendo del vino e ascoltando della classica musica araba quando, guardando gli altri, improvvisamente ho pensato che è davvero affascinante rendersi conto di dove ci conducono i Melechesh… dalle città più caotiche ai villaggi più quieti, dai luoghi più santi a quelli più decadenti, dai fiordi e dalla neve scandinava fino alle dune di sabbia nel mezzo del deserto, e tutto sotto la bandiera del thrash-black sumero, o metal mesopotamico che dir si voglia… insomma, semplicemente la nostra musica! Penso che tornerò a Dubai quando ne avrò il tempo, ma prima dovrò andare a Istanbul per scoprirla dal punto di vista culturale e spirituale (specialmente il lato occulto della città e la setta dei sufi… “Like Dervishes menacing whirl, a vortex of Shamash turns”… alcuni capiranno, altri no) e, ultimo ma non meno importante, dal punto di vista musicale. Istanbul è sempre stato un punto di collegamento fra est e ovest, e anche la musica vi si è sviluppata di conseguenza. 

Mi sono appena ricordato, inoltre, di una storia divertente a proposito di sbornie che non ho mai raccontato prima: la prima volta che mi sono ubriacato avevo cinque anni. L’insegnante dell’asilo chiamò mia madre dicendole che ero malato poiché non riuscivo a camminare andando in linea retta, e probabilmente ero troppo piccino perché la maestra potesse sentire il mio alito. Mia madre venne dal lavoro, quindi, mi portò a casa per prepararmi qualcosa di caldo. Era in procinto di chiamare il dottore, quando mi si avvicinò e mi chiese cosa c’era che non andava, al che le risposi che era tutto a posto ma che la stanza girava. In quel momento forse fiutò il mio alito o non so bene come, comunque intuì qualcosa e mi chiese cosa avevo bevuto. Io le dissi che prima di andare a scuola avevo aperto il ripiano delle bottiglie a casa e avevo bevuto un sorso di quel succo tanto saporito che c’era lì (si trattava di liquore). 

La volta scorsa avevo chiuso parlando dei miei viaggi nelle varie città millenarie dell’est, luoghi in cui hanno trovato dimora molte culture affascinanti e grandi imperi. Sono stato abbastanza fortunato da sviluppare naturalmente i miei gusti musicali: sono partito dal punk e dall’heavy metal, mentre io e i miei amici crescevamo insieme e cercavamo l’adrenalina e l’avventura, anche attraverso sport estremi come il BMX o lo skateboarding (chi non lo faceva, allora!), ma eravamo anche molto presi da questa novità chiamata thrash metal. Questa musica andava a braccetto con questi sport, molti skater ascoltavano un qualche tipo di musica estrema, in particolare thrash. Eravamo stupefatti di come potesse suonare una chitarra! Le produzioni dei Metallica e degli Anthrax erano così potenti, le chitarre suonavano incazzatissime ed esprimevano perfettamente quello che sentivamo, penso. Facevamo air guitar con gli skate, e il mio gruppo di amici era composto dalle nazionalità più varie: un palestinese (che era uno dei miei migliori amici, all’epoca), un filippino, qualche americano, tre fratelli finlandesi, svizzeri, qualche volta a noi si univa un ragazzo del Ghana, un tedesco, un olandese e anche qualche israeliano che avevamo conosciuto in un posto dove si andava a fare skateboarding. A tutti noi piaceva grosso modo la stessa musica, ovvero il metaaaaaal! – e i più tosti erano gli Slayer, roba davvero pesante! Un giorno passarono un video su un nuovo canale alla TV, ma non conoscevo la band. Il giorno dopo tutti ne parlavamo: “Hai visto quel video? Quel cantante cieco era incredibile!”, cieco perché cantava con gli occhi chiusi e rivolti verso l’alto mentre suonava il basso: erano i Motörhead, e la canzone era “Aces Of Spades”. Qualcuno disse: “No, non è cieco… è soltanto fico!”. Queste erano le nostre discussioni, in genere, eravamo sempre piuttosto lontani dalla società che ci circondava, troppo diversa rispetto al nostro stile di vita, e specie per quanto riguardava quello che accadeva dal punto di vista politico. Le cose non andavano molto bene nel posto in cui vivevamo in seguito alla prima rivolta, noi cercavamo di starne alla larga ma non era sempre possibile. Del resto prova a respirare il gas dei lacrimogeni quando il vento lo spinge fino al quartiere in cui abiti… è una cosa schifosa, e ognuno aveva la propria soluzione fatta in casa: non lavarti la faccia perché l’acqua fa aumentare il bruciore, copriti il viso con una maglietta, taglia una cipolla e mettila sotto il naso. Cercavamo di non farci coinvolgere più di tanto da quel che accadeva, ma col tempo ci siamo fatti una nostra opinione sugli avvenimenti che ci circondavano, che non erano né bianchi né neri, ma semmai grigi e molto complicati. Tuttavia non parlerò di questo, sarebbe come aprire il vaso di Pandora e poi i server potrebbero attivare i loro programmi di protezione e interpretare male quello che scrivo. Ad ogni modo, quando un mio caro amico, vicino di casa, fu colpito cinque volte all’età di quattordici anni perché si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, mia madre decise: “Basta così, ce ne andiamo da qui, i proiettili non si fermano a fare domande”, e questo perché tecnicamente io non ero coinvolto in ciò che stava accadendo ma, appunto, queste non sono cose di cui i proiettili si sincerano prima di colpire. Una volta sono stato picchiato da quattro soldati, prima che mi chiedessero il passaporto per verificare che ero cittadino straniero e quindi mi facessero le loro scuse. E così ci siamo trasferiti a Los Angeles, in California, dove viveva mia zia (a Hollywood): io ero felicissimo che fossimo andati là, sebbene anche quel posto avesse i suoi difetti e la sua dose di violenze. A me comunque piaceva, venni iscritto alle scuole medie e il più grande fra i miei cugini era il mio idolo perché aveva i capelli lunghi e i jeans strappati, e inoltre aveva visto i Metallica dal vivo durante il periodo degli show nei club, credo addirittura con Mustaine, hell yeah! Per me, quindi, lui era il più fico di tutti. 

Lì mi sono fatto poi degli ottimi amici, e ho iniziato a capire il modo in cui la gente percepiva i problemi di Gerusalemme. I miei amici credevano che scherzassi, quando dicevo che venivo da lì, per tre motivi: il primo era che parlavo inglese molto bene (vista l’internazionalità del mio gruppo di amici, parlavo inglese per la maggior parte del tempo), il secondo era che conoscevo la scena metal e avevo una maglia del tour di Ozzy “Bark At The Moon” (speditami da Los Angeles, a dire il vero, insieme ad altre maglie dei Van Halen e dei Motley Crue); e terzo: come potevo saper usare lo skate venendo da un posto nel deserto abitato da nomadi che vivono nelle tende? Ero divertito e insieme perplesso quando ascoltavo queste considerazioni (è anche vero che comunque se ne possono ascoltare di simili ancora oggi). Soprattutto perché non c’è il deserto a Gerusalemme, il paesaggio non è molto diverso da quello della Grecia o del Sud Italia, è fatto di colline brulle, boschi non molto fitti e vegetazione mediterranea; oltre a questo, da noi c’è anche un tipo diverso di deserto, fatto di una terra calcarea e secca che fa sembrare il paesaggio quello di un pianeta alieno, un posto dal sapore mistico, sul quale in molti hanno camminato. Comunque, Los Angeles aveva consolidato il gusto per il thrash che ormai era in me, e da lì in avanti tutto fu musica!

LA GUERRA DEL GOLFO

Il Festung Open Air è stato un grande evento con ottime band, dove abbiamo rivisto alcuni buoni amici. Non vedevo Proscriptor (primo batterista dei Melechesh, ora con gli Absu) da cinque anni, anche se ci sentiamo quasi quotidianamente… l’ultima volta che ci eravamo incontrati era stato per il primo live dei Melechesh a Toronto, nel giugno del 2004. Quello fu veramente uno show infernale: presi una scossa dal mio preamplificatore mentre ero sul palco, cercai di minimizzare e comportarmi come se niente fosse davanti alla folla, mentre in realtà per un po’ non vidi altro che una luce bianca e un tunnel. Il tutto durò qualche secondo, e a parte questo fu una serata indimenticabile, nonché la prima di parecchie visite in Canada. Quello show era stato organizzato da Adrian Bromley della rivista Unrestrained… Adrian è mancato improvvisamente lo scorso dicembre, era un nostro buon amico e non abbiamo ancora superato del tutto la cosa. Ma tornando a toni più lieti, il concerto a Festung è andato bene: mentre gli Absu stavano suonando il loro set mi hanno invitato sul palco a cantare il classico "Swords and Leather", e la folla è andata in delirio. I miei compagni non avevano idea di cosa stava per succedere, ma io e Proscriptor avevamo organizzato la cosa in precedenza tra di noi.
A Festung c’era anche un mio amico d’infanzia, Marc, originario della Svizzera ma cresciuto a Gerusalemme accanto a casa mia, e ricordo bene come allora io ascoltavo a tutto volume gli Slayer, lui e sua sorella facevano lo stesso con i Metallica o non so cos’altro, mentre un altro nostro amico lo faceva a sua volta con qualcos’altro… era un quartiere metal, quello in cui siamo cresciuti! Al concerto Marc mi ha ricordato che l’ultima volta che aveva visto i Melechesh dal vivo era stato a Gerusalemme per lo show in cui ci eravamo salutati, poco prima che lui tornasse in Europa nel ’98; all’epoca lui ci dava una mano lavorando con noi come membro dello staff  e della sicurezza. Oggi è un pilota.
Oltre a questo, nelle ultime settimane io e Moloch abbiamo trascorso molto tempo in una serie di sessioni di songwriting ad Amsterdam che si sono rivelate molto valide: un sacco di nuovo materiale dei Melechesh sta venendo alla luce… è una vera e propria epigenesi. Queste sessioni sono per noi molto importanti, visto che Moloch passa la maggior parte dell’anno in Virginia, negli Stati Uniti, dove sta facendo il dottorato, per cui abbiamo organizzato diversi incontri come questo ad Amsterdam o a Gerusalemme durante l’anno.
Nel mio post precedente avevo poi menzionato Los Angeles, e il mio ritorno a Gerusalemme. Il fatto è che all’inizio non volevo lasciare la California, lì mi trovavo abbastanza bene anche se i miei amici a Gerusalemme erano insostituibili… ma in ogni caso la decisione non spettò a me. Dal momento del rientro in poi fui totalmente ossessionato dalla musica. Mi ricordo quanto disperatamente desiderassi una chitarra senza potermene permettere una… ma ero deciso a cercare comunque un compromesso! Trovai una tavola di legno tagliata in modo strano, aveva quasi la forma del corpo di una Explorer, e sostanzialmente costruii quella che voleva essere una chitarra con una whammy bar di legno e fili da cucito al posto delle corde… ehi, era un inizio! E sicuramente era meglio dell’air guitar… non che ci sia qualcosa che non va nell’air guitar! Poi chiesi a mia madre una chitarra vera, e lei mi rispose: "ti mando a scuola e ti do da mangiare, per gli extra devi cavartela da solo". E aveva ragione, non potevamo permetterci altro e gli affari andavano molto male a Gerusalemme, in particolar modo a causa della situazione politica. Prima dei diciott’anni feci lavori di tutti i tipi nel campo dell’edilizia, alcuni dei quali facevano schifo ma mi permisero di mettere da parte qualche penny… be’, a dire il vero la moneta corrente era lo shekel, proprio come al tempo dei Romani o nell’era Biblica, eh eh! A ogni compleanno e in ogni occasione buona mettevo da parte tutto quello che ricevevo, compresa la mia paghetta, per potermi comprare una vera chitarra elettrica. Sono andato avanti così per due anni, ma poi… indovinate! Arrivò il tempo della Guerra del Golfo! L’atmosfera a Gerusalemme cambiò di colpo, era davvero inquietante. Tutti i nostri amici provenienti dall’estero se ne andarono, e così di tutto il gruppo originario restammo solo in due. Il comune fece distribuire in città dei kit con maschere antigas, poiché si credeva che sarebbero state utilizzate armi chimiche. Il kit era contenuto in una scatola di cartone legata con una cintura perché ognuno potesse portarla sempre con sé, e dentro la scatola c’era una strana siringa simile a una penna*, da iniettarsi nel caso in cui la maschera antigas non funzionasse, e ancora un pacchetto di una qualche polvere chimica, la maschera stessa e un filtro. La maschera di lusso aveva anche una valvola per farci passare una cannuccia, in modo da poter bere senza doverla togliere, ma la mia non ce l’aveva! Ci venne poi detto di coprire di nastro isolante tutte le finestre, in modo da evitare lo scoppio di schegge di vetro nelle case in caso di bombardamenti, e fummo anche istruiti in caso di attacco chimico: avremmo dovuto scegliere una stanza da utilizzare come rifugio e, appena sentito suonare l’allarme chimico, ci saremmo dovuti chiudere lì dentro, coprire le porte con dei teli di nylon e sigillarle col nastro isolante e, se ci fosse stato ancora qualche spazio, avremmo dovuto prendere un secchio pieno d’acqua e metterci dentro un po’ della polvere chimica del kit, poi bagnare un asciugamano in quell’acqua e con quello coprire il buco. Ho un ricordo molto vivido di una volta in cui, mentre andavo a fare un po’ di scorta di nastro isolante, una coppia di idioti andava in giro gridando "addio a tutti, la fine è vicina, moriremo tutti"… be’, alla fine successe davvero, la guerra iniziò: fuori si sentivano soltanto gli F16 in volo, e il primo giorno nelle strade non c’era più anima viva. E qui c’è il colpo di scena: la compagnia per la quale mio zio lavorava aveva molti contatti, e così loro riuscirono a far avere a me e a mia madre i biglietti  per uno degli ultimi voli che avrebbero lasciato il paese. Così siamo ripartiti per Miami (mio fratello era lì all’università, e ci viveva anche una mia zia), così in sostanza successe che il giorno successivo alla notte in cui  scoppiò la guerra ricevemmo la telefonata con cui ci dissero che avevamo avuto i biglietti, e che avremmo solo dovuto trovare il modo di arrivare all’aeroporto. Quello fu uno dei giorni più difficili della mia vita.
Perché? Be’, perché come ho detto tutti i nostri amici erano partiti, eccetto me e un mio amico. Ora dovevo dirgli anch’io che me ne sarei andato, e questo era veramente orribile!
All’epoca avevamo anche un po’ di scorte di cibo, un sacco di casse di cola e alcune birre, così spesso ci sdraiavamo sul tetto di casa mia a bere un sacco di quella roba, ruttando e gettando le lattine vuote sul balcone del nostro amico svizzero Marc e di sua sorella, mentre in alto si sentivano gli F16 pattugliare il cielo… a parte questo c’era una calma mortale e sì, non si erano ancora sentite suonare le sirene, quindi non erano ancora stati lanciati missili contro Gerusalemme. Il mio amico canticchiava "Rust in Peace" dei Megadeth, lo trovava appropriato e in effetti aveva ragione. Nel frattempo, durante i primi giorni della guerra, tutti – media e popolazione – erano  assolutamente convinti che prima o poi avrebbero lanciato i missili chimici, e che ci sarebbero state ustioni, sofferenze e morte per molte persone. Insomma, dissi addio al mio amico e poche ore dopo eravamo in viaggio verso l’aeroporto dove stava davvero per decollare l’ultimo degli aerei che lasciavano la "Terra Santa"… il cielo era stranissimo, e mentre i bus stavano portando i passeggeri all’aereo le sirene cominciarono a suonare, il che significava che gli Scud stavano arrivando sul nostro paese. Noi riuscimmo a partire, e durante il decollo il pilota ci spiegò che l’ultimo bus non era riuscito ad arrivare all’aereo, e che quei passeggeri avrebbero dovuto rifugiarsi nei bunker perché non c’era più tempo e non era stato possibile ritardare oltre il decollo. Noi eravamo felici di essere a bordo, ma poi il pilota ci informò che erano stati lanciati due Scud… pensai alle peggiori cose possibili, immaginai che il mio amico e tutti i miei conoscenti sarebbero rimasti mutilati, ero totalmente paralizzato. Solo molte ore dopo ci venne detto che i missili non avevano testate chimiche, e questo fu già un enorme sollievo! Alla fine, comunque, arrivammo a Miami, e la mia vita lì fu molto…. METAL!

*qui Ashmedi si riferisce alla tipica siringa di atropina utilizzata in ambito bellico e militare come trattamento generico contro l’intossicazione da gas nervini, là dove le maschere antigas si presentino insufficienti o difettose.

 

LA STRUMENTAZIONE

Mi trovo ora di nuovo a Istanbul, e ci resterò per cinque settimane: buon cibo, bel tempo, ottima compagnia e buona musica. Ad ogni modo, per restare al passo con la tabella di marcia nella fase del songwriting e della registrazione dei demo, abbiamo deciso di far venire qui a Istanbul Max dei Sulphonic Studio. E’ stato qui per cinque giorni e abbiamo messo in piedi un progetto in studio e finito un po’ di lavoro, ma devo ammettere che siamo anche usciti molto spesso. Comunque, ero piuttosto riluttante a parlare di queste cose nell’ultimo post, ma poi qui mi sono successe alcune cose strane e interessanti, a livello spirituale e occulto, e persino le persone che mi circondano se ne stanno accorgendo… premonizioni, correlazioni illogiche e altre cose continuano ad accadere ogni giorno.  

Come raccontavo l’ultima volta, io e mia madre lasciammo insieme Miami per tornare a Gerusalemme. Io ero armato della mia vecchia ma potente chitarra explorer Hondo (“explorer” è un tipo di sagomatura per il corpo delle chitarre, come quella che usa James Hetfield), la mia cattivissima tracolla di finto cuoio piena di borchie e catene, il mio amplificatore da 10 watt, alcuni album e t-shirt, e la mia toppa con l’aquila degli Slayer, quella per la quale una volta stavo per saltar fuori dalla macchina di mio fratello… per mostrarla davanti al tour bus degli Slayer. E ancora una volta ci ritrovammo a Gerusalemme solo io e mia madre, quindi, perché mio fratello era rimasto negli USA.

I miei amici restarono ovviamente impressionati dalla mia chitarra, era COSI’ metal! Il mio migliore amico e io iniziammo a trascorrere un sacco di tempo a jammare insieme nel mio seminterrato, trasformando quel posto in una specie di sala prove. Lui usava alcuni secchi e nastro isolante (ne avevamo a tonnellate dopo la guerra) come alternativa ai tom della batteria, e sorprendentemente suonavano bene anche se molto spesso le sue bacchette (che erano vere) rompevano lo strato di nastro, così dovevamo fermarci e lui doveva aggiungerne dell’altro prima che potessimo continuare. La batteria fatta in casa aveva anche degli orrendi crash che venivano dall’armadietto di qualche classe di musica del kindergarten, erano tenuti su con dei bastoncini che erano fissati su grosse scatole di cartone. Le scatole erano anche le basi dei secc… pardon, dei tom della batteria. Alla fine comprò una vera grancassa, di seconda mano e con sopra il logo dei Winger fatto a mano, eh! Nel frattempo io avevo trovato una base di cartone per una vecchia antenna TV, e con un po’ di ingegnoso fai-da-te riuscimmo a convertire quell’atrocità in una fragilissima asta per microfono. Quanto al microfono, poi, be’, era un classico… era un microfono da karaoke di plastica blu con relativo cavo, che avevo comprato nella città vecchia di Gerusalemme. Cominciammo così a comporre canzoni, scrivendo alcuni classici come “Scimitars Of Demons”, e credo anche un altro brano intitolato “Hell is Our Base”, o qualcosa del genere, e un altro paio ancora… facevano schifo! Non sapevamo suonare ma facevamo un sacco di casino, e ci piaceva. Penso fosse terapeutico perché – ma posso parlare solo per me stesso – ero frustrato e stressato per via dei lacrimogeni nelle strade e degli incidenti con i proiettili di gomma che accadevano ogni tanto a scuola e nella parte orientale di Gerusalemme, e ne avevo anche abbastanza degli autobus pubblici che saltavano in aria nella parte ovest. Suonare pesante e a tutto volume mi aiutava a resistere, ma per favore ricordate che questa è solo la mia analisi del passato.  

Oltre alla scuola e alla nostra attività di “band”, comunque, passavamo anche un sacco di tempo in giro, per strada, e in quei casi tutto era possibile: incontrare strani personaggi, ritrovarsi in qualche rissa, farsi qualche nuovo amico, incontrare ragazze, bere un sacco o vedere qualche caffè fatto saltare in aria da qualche bombarolo suicida… mai un momento di noia!

Ci divertivamo un sacco, e per fortuna in quel periodo i pub erano molto permissivi in quanto a limiti d’età, così eravamo clienti abituali e avevamo persino un nostro tavolo preferito in un pub che si chiamava Tavern (che nome originale). Passavamo anche del tempo in sala giochi, o in una piazza dove tutti i freak, metallari e punk si ritrovavano per sedersi a bere, o andavamo al parco in centro a bere o a sdraiarci sotto gli irrigatori per rinfrescarci nelle notti estive, o ancora ce ne andavamo semplicemente in giro a piedi per incontrare un po’ di amici in questa o quella piazza, per parlare di metal, scambiarci LP, t-shirt o quello che capitava. Il death metal andava fortissimo all’epoca, non potevi andare in nessun posto senza vedere qualche headbanger, c’erano un paio di negozi appena aperti specializzati nei generi metal e un piccolo locale underground (che si trovava letteralmente sottoterra) cercava band metal del posto per farle suonare. Ovunque ci fosse una serata di una qualche band locale, gli headbanger se ne stavano tranquilli fuori ad aspettare l’apertura delle porte ma, una volta dentro, appena iniziava lo show si scatenava l’inferno e i piccoli club erano sempre pieni di gente, e lì potevi soltanto sbattere la testa su e giù dall’inizio alla fine. Spesso questi piccoli show c’erano durante la settimana e in quei giorni dovevo essere a casa a mezzanotte, anche se poi spesso tornavo alle due-tre del mattino. Ogni volta che facevo così tardi mia madre si svegliava quando rientravo e andava in soggiorno per controllare l’ora, ma vedeva sempre orari tipo le 11.55 o le 12.15… be’, questo perché appena entravo in casa correvo ogni volta a cambiare l’orario sull’orologio prima che lei arrivasse, e quando tornava a dormire lo rimettevo a posto in modo che non si accorgesse di nulla al mattino.  

A scuola – la stessa vecchia, grigia scuola cattolica – le cose erano grigie come sempre, e per di più tutte le pause e le lezioni non necessarie furono abolite a causa dei coprifuoco e delle agitazioni nella parte est di Gerusalemme: in media andavamo a scuola 3-4 giorni a settimana oppure restavamo intere mezze giornate in classe… la scuola stessa aveva dovuto adattarsi alla situazione locale, nonostante il sistema educativo britannico che vi si adottava. Io lì ero un emarginato, ed ero l’unico headbanger, ma poi cominciai a reclutare gente… alla fine eravamo 8-10 ragazzi, e formai una band con Lord Curse (il primo batterista dei Melechesh) dopo aver convinto la scuola a lasciarci usare una sala prove vecchia e abbandonata. In questa sala c’erano degli amplificatori Marshall dall’aspetto molto vintage, poiché erano stato acquistati negli anni ’70 e, ironia della sorte, la persona che li aveva acquistati era lo zio di Moloch, chitarrista dei Melechesh. Questo suo zio aveva frequentato la stessa scuola e aveva formato una band un paio di decenni prima.  

In quella scuola mi misi nei guai più  volte… ad esempio, una volta provarono a proibire ai miei nuovi fenomeni metal di andare in giro insieme per la scuola; un’altra volta ancora, mi dissero che dovevo tagliarmi i capelli perché lo prevedeva il regolamento scolastico, ma quando chiesi al preside di mostrarmi il regolamento scritto lui si mise a gridare perché una simile regola non c’era. Tanto per peggiorare le cose, poi, gli domandai come mai Gesù avesse i capelli lunghi (ce n’era una statua lì nel suo ufficio)… e aggiunsi: “se lei metterà qui una statua di Gesù con i capelli corti, allora anch’io mi taglierò i capelli”. A quel punto perse la pazienza e chiamò mia madre, che in quel periodo era estremamente irritata dal mio stile di vita extreme metal, ma adorava i miei capelli lunghi. Così arrivammo a un compromesso e li accorciai, ma quando tornarono a crescere il preside mi disse che mi avrebbe lasciato tenere i capelli lunghi per alcune strane ragioni che avrei capito solo in futuro. E così finalmente mi fecero respirare… nel ’92 mi unii come vocalist ad una band death metal molto valida. Nel prossimo post parlerò di questo e della Nascita della Nemesi, ovvero del Re del Fuoco… Melechesh!

HO VINTO IO!!!

Non l’avrei mai immaginato, eppure sono già al settimo articolo, il che significa che sto lavorando a queste righe già da sette mesi. Credevo che mi sarebbe stato odioso scrivere qualsiasi cosa al di fuori dei testi per la mia musica, ma ora mi rendo conto che mi sta piacendo e, come ho scritto nella prima parte, che tutto questo mi aiuta a riportare un po’ d’ordine nel caos che ho nella testa.

Sono da poco tornato ad Amsterdam perché dovevo urgentemente cambiare casa, qui, così appena sono atterrato sono andato in giro per cercare dei mobili nuovi. Il giorno successivo Al’ Hazred, il precedente bassista dei Melechesh, mi accompagnato per acquistarli, poi abbiamo chiamato una persona che venisse a tinteggiare e cambiare i pavimenti nel mio nuovo appartamento… e così, al terzo giorno, mi ero già trasferito. La casa ha un aspetto fantastico, adesso, è il mio santuario di musica e riflessione.  

A Istanbul ho trattato le condizioni per un contratto di endorsement con la Agean Cymbals per il nostro batterista Xul, il quale è stato molto felice di questa novità. Ad ogni modo, la scorsa settimana ho festeggiato il mio compleanno ed è stato bello… ho prenotato un bel tavolo lungo in un ristorante greco, l’atmosfera era perfetta così come il cibo e il vino: abbiamo bevuto una quantità assurda di vino semidolce greco, ma poi l’ouzo e il Jack Daniel’s hanno invaso la tavola. Dopo ci siamo diretti verso il centro di Amsterdam e siamo andati a fare un giro al The Cave, un metal bar dove il proprietario ci ha preparato qualche altro shooter, dopodiché siamo andati avanti con il buon vecchio Jack (Daniel’s). E’ stata una magnifica serata in compagnia di alcuni membri della band e un po’ di buoni amici.

Bene, e adesso torniamo a noi: nella sesta parte avevo concluso l’articolo raccontando di come abbia avuto la mia “grande” occasione entrando a far parte di una band death metal. Non avevo mai sentito prima la necessità di parlare apertamente di questa band, soprattutto da quando sono entrato nei Melechesh. Tanto per cominciare con qualche informazione, posso dirvi che era nata dalle ceneri di altre due band di Gerusalemme ormai sciolte, e che i suoi membri cercavano un cantante, e quindi avevano chiamato me. Provavamo piuttosto spesso, e ancora oggi penso che quei ragazzi avessero davvero molto talento. Poi finalmente avemmo l’occasione di suonare al Pargod Club (l’ho già nominato, era quello “veramente underground”), ci sentivamo pronti, la serata fu ben pubblicizzata e la partecipazione del pubblico fu grandiosa. Ero così preso dalla mia occupazione di musicista che non mi ero mai fermato a pensare a quello che stava per succedere… almeno, non fino a qualche secondo prima che lo show iniziasse: in quel momento iniziai ad avere dei ripensamenti e a diventare assai nervoso. Ero nella stanza del backstage (se così si poteva chiamare) e mi chiedevo: “Ma perché sto facendo tutto questo? Ma che ci faccio qui?”. Quando poi mi ritrovai sul palco fui sollevato nel rendermi conto che, per via dell’intensità delle luci e dell’oscurità in cui era immersa la folla, all’inizio non riuscivo a vedere nessuno. La prima cosa che feci fu l’enorme errore di annunciare il nome della band, o meglio, il nome di una delle due band da cui provenivano gli altri membri, e non il nostro. Dissi “Buonasera Gerusalemme, noi siamo i Divinity”, dopodiché si sentì qualche risata, ero totalmente in imbarazzo, ma dovevo far presto e così continuai: “stavo scherzando, siamo i Crushed Cenotaph e questa è ‘Silence Has No Disguise’!”. La musica partì immediatamente e tutti iniziammo con un simultaneo headbanging (come i veri militanti del metallo che eravamo… ehm, SIAMO), e dopo vidi la folla venire sotto il palco come impazzita, in quel momento le luci erano anche puntate sul pubblico… mi sentii improvvisamente a mio agio e da quel momento ho sempre adorato salire on stage, può sembrare come un cliché ma l’energia e l’adrenalina sono davvero inimmaginabili.  

Suonammo parecchi show in giro tra Gerusalemme e Tel Aviv, firmammo un contratto con una compagnia di produzione locale che si chiamava Pounding e registrammo un demo e un brano per una compilation che vennero entrambi pubblicati, e infine ci procurammo un nuovo logo (disegnato da Lord Curse, che non molto dopo sarebbe diventato il batterista dei Melechesh). Da quel momento in poi fui molto preso dal metal underground internazionale: scambiavo cassette, mandavo e ricevevo volantini, fanzine e lettere da tutto il mondo… la posta elettronica ancora non veniva utilizzata nell’underground, era un mondo totalmente diverso da quello di oggi e per rispondere a un’intervista potevamo metterci anche un mese o due, visto che scrivevamo a mano le risposte e poi le spedivamo, e così via. Non mi dilungo molto su questo, perché era tutto molto laborioso e, come dicevo, scrivere non mi piaceva. Le cose per noi giravano bene, comunque, anche se personalmente non ero soddisfatto: sentivo che mancava qualcosa, sebbene la band fosse tecnicamente perfetta. Volevo fare qualcosa di ancor più sincero e onesto.  

Un pomeriggio ero a casa di un mio amico, e scorrevo la sua collezione di LP mentre lui e il mio migliore amico giocavano a biliardo. Lì trovai l’album “The Return” dei Bathory, che non avevo mai sentito prima (conoscevo soltanto i Bathory epic-thrash di “Hammerheart”, “Twilight of The Gods” e “Blood, Fire, Death”…). Dissi a quest’amico di non aver mai ascoltato quell’album, lui mi disse che faceva schifo e io gli risposi che ne sarei stato io il giudice, così misi l’LP sul piatto e mi venne la pelle d’oca… fui investito da “Possessed” e “Total Destruction”, e mi dissi: “questo SI’ che è sincero e brutale!”. Ecco, volevo formare una band che avesse quelle stesse vibrazioni.  

Durante quell’anno il mio migliore amico lasciò Gerusalemme per andare all’università negli Stati Uniti. Oggi vive ancora lì e lavora come chimico, ed io ho avuto l’onore di essere il suo testimone di nozze al suo matrimonio in California un paio d’anni fa. Se faccio menzione di tutte queste cose è perché lui e io abbiamo trascorso insieme un sacco di tempo e siamo come fratelli, e i soli momenti in cui ci siamo separati, fin da bambini, sono stati quelli in cui io avevo dovuto lasciare il nostro paese! Ma adesso il vento aveva cambiato direzione ed era toccato a lui partire, e questo forse mi diede un’ulteriore motivazione per concentrare tutte le mie energie nella musica. Presi allora ad esercitarmi da solo nel mio seminterrato, componendo semplici e malefici riff, ma con il tempo mi resi conto che l’aggiunta di qualche melodia orientale e delle percussioni creava un ottimo effetto, perché dava alla musica un sound nomade e un diverso senso del Male. In più, col tempo iniziavo a domandarmi quante metal band usassero testi che facessero riferimento al mio background culturale, soprattutto a causa della popolarità di libri come il “Necronomicon”, che era vagamente correlato con il pantheon sumero e mesopotamico (sebbene erroneamente rappresentato). Questo perché io sono in parte assiro e sì, gente, fortunatamente per il mondo gli Assiri esistono ancora, cazzo, sono una società diasporica che somiglia molto a quella armena, sparsa nell’Europa dell’Est e negli Stati Uniti. Per questo mi sembrò semplicemente logico inserire temi di ispirazione mesopotamica nella musica dei Melechesh. Volevo inventare il sound del black metal del Vicino Oriente, ed ero molto determinato a farlo. Mettere insieme la prima band black metal nella Città Santa, inoltre, era un vero onore, poiché poterlo fare era ed è ancora un lusso rarissimo, sebbene “lusso” non sia proprio la parola adatta da usare, visto che non sapevo ancora quante sfide avrei dovuto affrontare lungo il cammino dei Melechesh, sia dal punto di vista professionale che personale. Del resto personalmente credo – anche se non parlo in assoluto, poiché odio le affermazioni assolute – che le cose nate dalle più profonde convinzioni umane, quando si trovano di fronte a sfide importanti, alla fine danno risultati di una certa sostanza e sono forse anche immuni dalla mediocrità.

Ma passiamo ad altro, per il momento. Vi ricordate la volta in cui ho raccontato che il preside della mia scuola voleva farmi tagliare i capelli, e io ho ceduto in parte alla sua richiesta solo dopo molte discussioni? Bene, ho anche detto che alla fine mi lasciò far ricrescere i capelli per un paio d’anni poiché sapeva che stavo per diplomarmi, ma nel frattempo continuava spesso a dirmi “attento, prima o poi ti prendo”; non ero mai riuscito a capire perché lo dicesse, visto che lo diceva sempre sorridendo, per cui col tempo mi convinsi che volesse solo scherzare con me. In più era anche un frate – un monaco cattolico – e davvero, sembrava una scimmia! (intraducibile, qui, il gioco di parole tra monk, monaco, e monkey, scimmia, ndT)

Bene, quindi i miei capelli erano comunque tornati di nuovo lunghi perché lui mi aveva permesso di tenerli così negli ultimi due-tre anni di scuola. Poi arrivò l’ultimo mese prima del diploma, e un giorno mi disse: “Non verrai ammesso agli esami di questa scuola se non ti taglierai i capelli. MOLTO corti”. La cosa mi lasciò scioccato, e gli dissi: “ma cosa cazzo vuoi da me, perché mi hai preso in giro e mi hai lasciato far ricrescere i capelli?”. Lui rispose: “ti ho detto che prima o poi ti avrei beccato, o no?”. Per essere un uomo di Dio, era veramente sadico e faceva venire i brividi! Sono passati quindici anni da quando ho finito la scuola e ho ancora la stessa cattiva opinione di lui. Comunque HO VINTO IO! Mi rifiutati di tagliare i capelli e lui mi mandò a casa, sospendendomi e impedendomi di partecipare agli esami finali. Voleva rovinarmi l’avvenire, ma ho vinto io! Molte persone a scuola fecero pressione su di lui perché mi ammettesse gli esami, così potei andare a farli e fui promosso. Oggi sono laureato.

Tornando ora alla questione Nemesi, nel frattempo avevo quindi cominciato a scrivere i brani dei Melechesh e onestamente devo dire che ancora oggi mi piacciono molto le primissime cose che avevo scritto. Reclutai Lord Curse alla batteria e un chitarrista di mia conoscenza, ma sapevo anche che costui era uno scansafatiche, per cui gli avevo dato una settimana di tempo, e se non fosse stato presente alle prime prove lo avrei buttato fuori. E infatti andò proprio così! Successivamente, parlando con Lord Curse, venne fuori il nome di Moloch: suonava in un altro gruppo con Lord Curse e a dire il vero era anche un mio lontano parente, così decidemmo di dargli una possibilità.

Tutti eravamo motivati al 100%, ma non altrettanto disciplinati. Ad esempio, non sempre avevamo voglia di accordare le chitarre, quindi suonavamo con gli strumenti scordati ma non ce ne fregava niente. Spesso non potevamo nemmeno permetterci dei plettri nuovi (il contante lo mettevamo da parte per la birra), così usavamo delle schede telefoniche come plettri, ricavandone dei pezzi triangolari più o meno della misura adatta per suonare la chitarra. Se non avevamo poi delle corde di ricambio di un certo diametro, quando si spezzavano, usavamo corde di altri diametri, qualsiasi cosa avessimo a disposizione andava bene. I pedali della cassa della batteria facevano talmente schifo ed erano talmente consumati che Lord Curse doveva ogni tanto saldarne insieme le parti. Insomma, avevamo dovuto decisamente improvvisare. Onestamente, comunque, mi piacerebbe raccontare più estesamente della nascita dei Melechesh, quindi per il momento l’articolo termina qui e il prossimo mese elaborerò meglio questo aspetto, e parlerò delle sfide che abbiamo affrontato, ma anche delle ricompense che da queste sfide abbiamo avuto in cambio.

LE ORIGINI DEI MELECHESH

L’ultimo mese è passato di nuovo molto velocemente, ogni volta scrivo un articolo e subito mi arrivano le e-mail che mi informano che è tempo di scrivere il successivo. Ma è un dato di fatto che più si diventa vecchi più il tempo passa velocemente, questo ha a che fare con gli anni passati al mondo in rapporto alla lunghezza del tempo di cui si parla: per esempio, la percezione del tempo di un bambino di cinque anni è diversa da quella di un uomo di cinquanta. Per il bambino di cinque anni un anno è un quinto della sua età, ovvero il 20% della sua vita, ma per un cinquantenne è solo il 2%. Non chiedetemi perché abbia dovuto spiegare questa cosa, su, non ci chiediamo spesso tutti quanti perché il tempo sembri passare sempre più veloce?

Ad ogni modo, in questo momento sono in aereo e non ho niente da fare, così ho deciso di approfittare di questo piccolo spazio di tempo per scrivere l’articolo di questo mese.

Quando ho iniziato con i Melechesh, Gerusalemme in pratica non aveva alcuna scena black metal, non si trovavano CD black metal e gli unici due negozi specializzati avevano ormai già chiuso da tempo o avevano già modificato la loro offerta in funzione dell’aumento dei fanatici del grunge. Non mi è mai piaciuto il grunge, all’epoca odiavo questo genere perché molti metallari smisero di ascoltare metal e si concentrarono su questa nuova moda, mentre oggi i miei gusti musicali sono più ampi (‘ampi’ è un eufemismo, comunque). Ad ogni modo, mi capita ancora di provare una sepcie di gelosia quando un nuovo trend musicale tenta di oscurare il Metal.  

All’epoca, tornando adesso a noi, c’erano nonostante tutto alcuni sopravvissuti all’ondata grunge, ma non sapevano niente di black metal, così ordinai un buon numero di album da alcune label per venderli in città alle persone che conoscevo, non per guadagnare ma solo per diffondere la musica che mi piaceva.

Quanto ai Melechesh, la band assorbiva la maggior parte del mio tempo, era una vocazione e tutti noi sapevamo che qualcosa di valido stava nascendo. In qualche modo le canzoni le canzoni erano sincere e riuscite, l’idea di fondere black metal e percussioni mediorientali era magnifica, e realizzare il tutto era semplicemente magico (Magickal nel testo, ndT).

Quanto al nome della band, ne volevamo uno che fosse originale ma che alludesse anche all’occulto, e insieme volevamo essere sicuri che nessun’altra band avrebbe mai usato lo stesso nome, così ci pensai a lungo e intensamente, facendo lunghi brainstorming con un mio amico cabalista che, per quanto ne so, attualmente dovrebbe essere completamente impegnato nei suoi studi cabalistici, dopo aver dato via la maggior parte di ciò che possedeva. Alla fine giungemmo alla conclusione che il nome avrebbe avuto bisogno della parola Melech, che sta per ‘re’ nelle lingue delle regioni aramaica, ebraica e araba (con differenti pronunce); io l’avevo letta spesso nei miei libri sulle materie occulte e mi piaceva il suono, così aggiunsi –esh, che sta per ‘fuoco’, omettendo il ‘del’ che ci sarebbe voluto per completare “re del fuoco”, per ottenere un sostantivo di nostra invenzione con riferimenti ebraico-aramaici. Successivamente scrivemmo anche una canzone “Malek al Nar”, che ha esattamente lo stesso significato ma in arabo, per essere completi… perché del resto sapevamo che prima o poi le persone avrebbero tentato di classificarci come palestinesi o israeliani, il che non sarebbe esatto in ogni caso, poiché c’è un palestinese nella band che in parte è assiro, poi ci sono io che sono armeno assiro, e il nostro batterista che è armeno; poi abbiamo avuto diversi bassisti, tra cui alcuni israeliani… insomma, la nostra musica ha sempre trasceso la politica. In questo periodo poi ci vengono date diverse etichette del tutto sbagliate: alcuni dicono che siamo arabi, che non è esatto, qualcun altro dice che siamo ebrei, che pure è sbagliato (e inoltre, se suoni black metal non sei comunque una persona religiosa)… e se le dobbiamo rifiutare, queste etichette, non sentiamo di doverci scusare. E se le persone dicono “aspetta un attimo, sei razzista”, noi rispondiamo di no, lo stesso concetto di razzismo è estremamente discutibile (persino da un punto di vista sociologico e scientifico) e irrilevante. Alcuni ancora dicono che siamo musulmani, ai quali rispondiamo ancora di no, e più raramente qualcuno crede che siamo cristiani, e non è vero nemmeno questo (anche se le nostre famiglie vengono dal background dei cristiani non praticanti). Tutte queste classificazioni sono inutili, proviamo sempre a non parlare di questi argomenti ma dobbiamo anche fare i conti con le nostre identità che sembrano essersi perdute tra quello che si dice in giro e le accuse di persone che vogliono tirarci dalla loro parte… venire da Gerusalemme non significa essere da una parte o dall’altra, questo posto è stato un crocevia e la casa di molte genti, minoranze e nazioni.  

Comunque a quell’epoca, e per nessuna ragione specifica, non volevamo essere associati alla scena black che stava nascendo in altre parti del paese, così tenemmo un profilo basso, anche se stampammo un po’ di volantini da diffondere a livello internazionale insieme al nostro primo demo tape nel ’94. Dopo un anno di spedizioni, sembrò che questi volantini avessero trovato la loro strada nelle scene underground di USA, Estremo Oriente, Sudamerica e Europa, e alla fine stessero in qualche modo pian piano tornando in Israele. Anche organizzare le prove era una continua sfida da superare: iniziammo suonando nella vecchia aula di musica della scuola nella città vecchia, ci dissero che potevamo usarla come avevamo fatto in passato, ma la strumentazione era ormai veramente vecchia (come ho già detto, era stata comprata per la scuola da uno zio di Moloch, qualcosa come vent’anni prima). Successivamente provammo a riunirci a Betlemme a casa di Moloch, ma dopo un paio di sessioni decidemmo di tornare a Gerusalemme a causa della sempre più difficile circolazione fra le due città per via dei posti di blocco militari. E poi dopo, nella migliore tradizione di quella scuola di fanatici traditori, qualcuno disse che avevamo rovinato la strumentazione della sala da musica, e probabilmente lo fecero per avere più ore a disposizione per suonare la loro musica pop da ragazzini. I responsabili della sala prove ci dissero dunque che non ci era permesso suonare a volume “alto”, forse perché le chitarre distorte davano loro l’impressione che stessimo distruggendo gli strumenti. Ma poiché avevamo già usato quella sala in passato, non riuscivamo a capire il perché di tutto quell’accanimento… comunque, suonavamo usando naturalmente molta distorsione, ma un giorno il responsabile (che era un monaco cattolico) entrò e noi togliemmo immediatamente gli effetti ottenendo all’istante un suono acustico, spiegando che quello che suonavamo sembrava più alto e rumoroso dall’esterno, mentre dall’interno era tutto acustico e delicato. Eh, purtroppo alla fine fui comunque espulso dalla sala, ma questo non ci fermò, io ci andavo lo stesso e quando il monaco anziano veniva a dare un’occhiata mi nascondevo dietro l’enorme amplificatore per chitarra e aspettavo che se ne andasse dopo aver fatto la solita predica sulla musica e l’armonia… occasionalmente andavamo a provare anche in una sala professionale, ma era dannatamente costoso, anche se oggi quello è il miglior studio professionale che abbia mai avuto il piacere di utilizzare. Poi facemmo una lunga pausa nel periodo in cui mi dedicai ad un’associazione di Gerusalemme che aiutava i ragazzi a venir fuori dal problema della droga e cose del genere, ma nel frattempo scoprii che avevano una fantastica sala prove vicino al parco del centro città, ricavata a circa tre metri sottoterra da un vecchio rifugio antiaereo, con una grande sala dotata della strumentazione di cui avevamo bisogno più altri piccoli locali per altri usi. Col tempo mi impegnai molto con questa associazione e divenni responsabile della sala prove, di cui mi diedero le chiavi. Questo significò per noi poter provare ogni venerdì notte… spesso dopo facevamo un giro per i pub del centro e poi, se ce la sentivamo, tornavamo a provare ancora qualche altra ora, o invitavamo gli amici a suonare lì per tutta la notte. La sala sottoterra era perfettamente isolata e noi non sentivamo nulla dall’esterno anche a causa del volume degli strumenti, e una volta un autobus saltò in aria a circa trenta metri da noi, ma noi non ci accorgemmo di nulla e restammo lì per tre-quattro ore dopo l’esplosione. Le nostre famiglie avevano sentito la notizia ma noi non eravamo raggiungibili in alcun modo, l’ingresso dello studio era dal lato opposto della strada rispetto al luogo dell’esplosione e dava all’interno del parco, per cui quando uscimmo non notammo niente. Quando arrivai a casa trovai mia madre pallidissima, mi mostrò alla TV quello che era successo perché la zona era stata filmata, e fu divertente pensare che eravamo lì sottoterra a suonare a distanza di trenta metri senza esserci accorti di niente.  

Alla fine del ’94 dunque la band era stabile e ormai avevamo un buon numero di canzoni e demo registrati alla buona diffusi un po’ ovunque all’estero, per cui alla fine nel ’95 mettemmo insieme il nostro demo di debutto vero e proprio e decidemmo di intitolarlo metaforicamente “As Jerusalem Burns”. Mi ricordo ancora il giorno in cui ritirammo le confezioni dalla tipografia… loro fecero le confezioni e noi le copertine e, una volta portate tutte le cassette a casa mia, tutti quanti ci mettemmo a piegare le copertine e a completare le confezioni. Questo demo fu accolto molto bene, e alcuni pensano ancora che quello fosse il nostro primo album… ma non è così. Comunque, come dicevo era tutto fantastico, suonavamo black metal nella Città Santa e davamo letteralmente fastidio a tutti. La gente si meravigliava e le persone che entravano in contatto con il black metal per merito nostro erano sempre di più, così insieme a questo si moltiplicavano anche le voci sui satanisti a Gerusalemme, bla bla bla… iniziarono anche gli scontri con le nostre famiglie, e la cosa a un certo punto ci sfuggì di mano. Nella parte est di Gerusalemme ero considerato un emarginato, la parte ovest è in genere più liberale e le cose lì andavano anche bene considerati i tempi, finché un sabato sera, mentre stavo andando a veder suonare alcuni amici, alcuni conoscenti mi dissero che c’era un giornalista che mi stava seguendo perché voleva mettersi in contatto con me. Questo giornalista pareva stesse frequentando tutti i posti che frequentavo io, e andando in tutti i locali in cui si suonava rock nella speranza di trovarmi. Quella sera infatti mi trovò: costui lavorava per uno dei più grandi giornali del paese, e disse di voler scrivere un articolo sui Melechesh perché era la prima volta che una band di Gerusalemme suonava questo genere musicale. Era molto incalzante e voleva persino pagarmi per intervistarmi – cosa che rifiutai – e pensai che sarebbe stato fantastico per promuovere la band… ero stato intervistato parecchie volte da alcuni giornali locali prima di questo con la mia band precedente ed era stata un’ottima cosa. Gli dissi di sì, ma di non parlare d’altro oltre la band, lui mi diede la sua parola e prendemmo un taxi fino a casa mia, dove gli mostrai alcuni dei libri che mi piaceva leggere, presi alcune foto promozionali e poi ci spostammo alla redazione del giornale per continuare lì l’intervista. Qualche giorno dopo io, Moloch e Lord Curse eravamo usciti per andare a prendere il giornale, e in strada sentimmo improvvisamente che la gente urlava contro di noi (per il nostro modo di vestire e il nostro aspetto): “ehi, siete membri di quella setta satanica!” e altre cose simili… poi leggemmo il giornale… eravamo in prima pagina, sotto il titolo che affermava che una setta satanica si stava espandendo nella ‘più santa di tutte le città’… io persi il controllo e diedi di matto, l’intera storia era una farsa, sul fondo c’era una foto la cui didascalia diceva che quello ritratto era un membro del culto di Melechesh che praticava magia nera in un cimitero (ma la foto promozionale non era stata nemmeno scattata in un cimitero!), e nell’articolo venivamo descritti come persone dai capelli lunghi (sì, avevo i capelli lunghi all’epoca), vestite di nero, che portavano addosso pentacoli e cose del genere… e si affermava anche che praticavamo sacrifici rituali di animali, quando chiunque ci conosca davvero sa bene che se vedessi una persona maltrattare un animale la maltratterei allo stesso modo.  

Così alcune persone cominciarono a chiamarmi per dirmi che la polizia mi stava cercando per interrogarmi, e all’improvviso la pratica del Satanismo a Gerusalemme fu dichiarata illegale. Ora, prima di questo incidente nessuno aveva mai parlato di questi argomenti nei duemila anni di esistenza di questa città, così l’idea di considerare il Satanismo illegale non era mai neanche stata presa in considerazione, ma sapete, il governo qui è liberale quando si tratta di queste cose, ma suppongo che a Gerusalemme la posta in gioco fosse particolarmente alta. In quei giorni dissi a molte persone che se mi avessero denunciato si sarebbero trovate in un mare di guai, mentre altri mi promisero che non avrebbero detto nulla. La polizia non conosceva le nostre vere identità perché usavamo il corpse paint e i nick al posto dei nomi reali, mentre il giornale rifiutò di dare agli agenti le informazioni che usavamo per essere contattati. Era diventata una caccia alle streghe, la mia ex ragazza fu arrestata perché portava un pentacolo al collo, e mi chiamò per assicurarmi di non aver detto nulla. Ricordo che una volta tutti noi della band e alcuni amici stavamo per andare a Tel Aviv e ci eravamo dati appuntamento a Gerusalemme prima di partire, quando all’improvviso un’auto della polizia rallentò accanto a noi: immediatamente ci disperdemmo per le stradine laterali e ci incontrammo poco dopo in un altro posto, vicino al capolinea dei bus per Tel Aviv. Molti ragazzi in quel periodo spesso mi avvicinavano al pub per chiedermi di potersi unire alla setta, e io rispondevo sempre: “Quale setta?”. Vaffanculo. Purtroppo qualche ragazzino nei dintorni di Gerusalemme aveva persino preso nota dell’articolo e tentato di ripetere quello che aveva letto sul giornale a proposito dei sacrifici animali… era frustrante, perché ora a causa delle falsità scritte da quel giornalista c’erano degli animali che venivano uccisi. Qualsiasi cosa pur di vendere un giornale… persino i ragazzi della sala prove e quelli impegnati con l’associazione di cui ho parlato mi consigliarono di non farmi vedere in giro per qualche settimana. Pensai allora che fosse l’occasione giusta per andare a far visita a mio fratello, che dirigeva la compagnia Seagram (Chivas Regal, Jack Daniel’s, Absolut Vodka, cognac Martel e sì, ho avuto fornitura illimitata della bevanda del demonio persino a Gerusalemme, cosa di cui parlerò più avanti) in Indonesia, così partii per la Giordania e da lì partii in aereo verso l’Indonesia, dove per due fantastici mesi feci una vita piena di lusso ed eccessi. Mio fratello aveva una fitta rete di contatti con la vita notturna del posto, e la sua ragazza era una famosa top model, sempre in TV, così quando andavamo in un posto qualsiasi ricevevamo sempre un trattamento da VIP… non era male, come svolta, rispetto alla situazione precedente. Un’altra cosa che mi piaceva fare era andarmene in giro per i posti più strani e ai mercati di roba usata per incontrare un po’ di headbanger che avevo conosciuto da quelle parti, mio fratello mi diceva di stare alla larga da quei posti perché erano pericolosi, ma io gli rispondevo che invece ero al sicuro con i miei amici metallari… e infatti loro erano davvero delle ottime persone.  

Ma ora parlando seriamente, ragazzi, il gap tra la ricchezza e la povertà in quel paese è incredibile, ho visto persone vivere in baracche e mangiare riso tre volte al giorno, mentre nel frattempo io venivo invitato su un’isola privata di proprietà di alcuni amici di mio fratello… questo è assurdo. Insomma, questo black metaller ha trascorso in quei mesi la maggior parte del suo tempo su un Jet Ski in un’isola tropicale (Bali, appunto) che sembrava quasi sfacciata, per così dire, dopo l’inferno che avevo visto riversarsi su Gerusalemme. E’ una cosa che è accaduta senza che io l’abbia chiesta, del resto, ma molto spesso qualcosa di buono succede proprio quando tutto sembra andare nel peggiore dei modi. Ho amato molto i templi di Bali, e devo ammettere che questi luoghi di culto sono piuttosto surreali. Alla fine, comunque, rientrai a Gerusalemme, le acque si calmarono anche perché lì avevano cose ben più importanti a cui pensare, sebbene continuare a tenere un profilo basso ci sembrò la migliore cosa da fare per qualche tempo.

Bene, ora sto per uscire a cena e andare in qualche pub (sì, ormai sono atterrato e ho continuato a scrivere questo post per quasi una settimana), così mi fermo qui per questa volta. C’è ancora così tanto da raccontare sugli inizi dei Melechesh e sull’evoluzione della band…ma tenete sempre a mente che qui parlo della band in maniera del tutto biografica: all’inizio pensavo fosse strano, ma in un certo qual modo ha perfettamente senso, poiché la band è parte di me, mi ha formato e fatto crescere sotto molti punti di vista e in vari modi, e sono certo che quelli fra voi che hanno fondato e hanno suonato in una band per tanti anni capiranno cosa intendo dire.

 

L’ALBA DI UNA NUOVA ERA

Eccomi di nuovo qui, seduto davanti al portatile, pronto a scrivere il decimo dei miei post autobiografici. Mi sento molto onorato e grato del grande interesse che media e il pubblico hanno avuto per questi post. Da molte persone ho ricevuto feedback positivi e sincero incoraggiamento, e gli articoli vengono ora tradotti in molte lingue: tedesco, inglese, francese, spagnolo, serbo, italiano, greco, finlandese. Alcune altre persone dotate di un certo intuito nel campo dei media mi stanno anche consigliando di farne un libro. E’ una cosa alla quale penso soprattutto quando in tanti mi scrivono per chiedere se una cosa del genere sarà mai possibile. Forse accadrà dopo che avrò concluso le registrazioni per il quinto album dei Melechesh.

Ora sono di nuovo a Istanbul! Festeggerò qui l’arrivo del nuovo anno, ma lavorerò anche sui testi dell’album. Da luglio fino a oggi avrò trascorso qui dieci settimane, tra una cosa e l’altra. C’è un sacco da fare, qui, e la città è un luogo divertente ed ispiratore allo stesso tempo. Anche la mia fedele chitarra è con me, così potrò continuare a comporre, perché nel frattempo sta anche per arrivare il momento di definire le date per le registrazioni in studio, e dunque la mia tabella di marcia sta diventando estremamente frenetica. Un paio di settimane fa abbiamo presentato il nostro nuovo bassista, Rahm. Dunque, Rahm aveva iniziato come session man, ma ormai suona con noi da tredici mesi e io sono molto contento di lui: è una persona mentalmente stabile e ha la giusta attitudine… la band è in ottima forma e tutti non vedono l’ora di registrare una nuova opera di magia (magick nel testo, ndT) sonora! Moloch arriverà ad Amsterdam il mese prossimo per partecipare a una serie di prove giornaliere, principalmente per terminare la composizione e mettere alcuni punti sulle i. La scorsa estate ho passato molte notti insonni a sperare che la musica venisse fuori come la desideravo, e più il tempo passava più mi rendevo conto che questo era esattamente quello che stava accadendo, per cui adesso sto dormendo molto meglio. Dedicherò questa parte della mia autobiografia agli ultimi due-tre anni in cui ho vissuto a Gerusalemme, finché non ho deciso di andarmene definitivamente, cosa che ho fatto dodici anni fa.

Quando nostro debut album “As Jerusalem Burns… Al’Intisar” fu pubblicato, le cose per la band si erano evolute in modo tale da farci diventare la primissima band del Medio Oriente non israeliana ad aver firmato un contratto internazionale. E il fatto di essere stati la prima band black metal di Gerusalemme, ma anche la prima band di Gerusalemme ad essere messa sotto contratto, e il fatto di aver inventato lo stile black metal mediorientale… queste erano davvero grandi tappe per noi, e sentivamo di dover essere all’altezza di queste prime conquiste.

A proposito dell’ultima cosa che ho detto riguardo al sound del black metal mediorientale… be’, come dicevo nel post precedente, avevamo registrato “As Jerusalem Burns. Al’Intisar” e poi tenuto da parte alcune canzoni che avevano bisogno di essere messe ulteriormente a punto, brani sullo stile che avevamo già sviluppato in precedenza sull’EP “Siege of Llachish”. Al’Hazred si era già trasferito in Olanda, così ingaggiammo un bassista per un paio di show ma fu un grosso errore, il tizio rubava e teneva per sé riff e idee sui temi che trattavamo. Ma comunque noi non siamo mai stati a corto di idee, decidemmo allora di concentrarci sulla composizione di musica nuova, aumentammo le sessioni di prova e continuammo a scrivere, dando alla luce canzoni come “Dragon’s Legacy”, “Genies Sorcerers” o “Mesopotamian Nights”, ecc. Sapevamo che questo materiale sarebbe stato ben accolto, era roba nuova, aveva un retrogusto mistico e ci si poteva fare headbanging. Durante lo stesso periodo stavo anche ripensando alla possibilità di andarmene da Gerusalemme… c’erano molti motivi per farlo, ero stanco di come si erano messe le cose lì, stanco di essere considerato un cittadino di seconda categoria, e di trovarmi nel mezzo di una battaglia tra due fazioni in cui dovevo sempre tenere un punto di vista neutrale, poiché avevo amici da entrambe le parti. Stavo formandomi le mie convinzioni e opinioni su quello che succedeva sul nostro territorio, ma volevo anche andare avanti con la mia carriera, e sotto questo aspetto Gerusalemme non offriva alcuna prospettiva, di conseguenza il mio obiettivo fu quello di andare via. Nel frattempo avevamo ricevuto una telefonata da alcune persone che volevano realizzare un documentario sui Melechesh… incontrammo allora queste persone e accettammo la proposta, ponendo però alcune condizioni, poiché sapevamo quanto viscidi sapevano essere quelli dei media, e ricordavamo bene tutta la storia del fiasco giornalistico sui culti satanici a Gerusalemme. Rifiutammo di ricevere compensi in denaro, ma in cambio ci accordammo perché loro ci facessero un videoclip professionale, mentre la seconda condizione fu che non avrebbero dovuto esserci false accuse o allusioni riguardo al satanismo o altre simili sciocchezze. Per le riprese furono impiegati parecchi giorni, si andava al mattino presto a filmare alcuni scorci della parte più antica di Gerusalemme, e poi ci spostavamo nell’area desertica nei dintorni di Gerico. Un giorno accadde una cosa assai stupida e insieme divertente, mentre eravamo nella città vecchia: c’era una scena in cui Moloch doveva suonare la chitarra sulle mura della città, eravamo in una torre di guardia e c’era un pozzo con una scalinata completamente immersa nel buio alle spalle di Moloch, così decidemmo che sarebbe stato d’effetto per il video avere un grande fuoco che veniva su da quel pozzo, ma non avevamo con noi nessun aggeggio pirotecnico. Dato che il sottoscritto è un tipo intelligente, e non era previsto nemmeno che io fossi in quella scena, decisi di andare sul fondo della scalinata e soffiare la palla di fuoco più grande che mi sarebbe riuscita per ottenere l’effetto che volevamo alle spalle di Moloch. Tutto ok, poi a un certo punto il regista mi gridò “tieniti pronto per il segnale!”, io presi un enorme sorso di kerosene – che funziona benissimo per queste cose – accesi la mia torcia e aspettai il segnale. Avevo la bocca strapiena di kerosene, ma ci fu un ritardo di alcuni minuti per via un problema alla telecamera… non volevo sputare la benzina perché non ne avevamo quasi più, per cui tenni duro per qualcosa come cinque minuti, finché non iniziai a mugugnare molto forte per dir loro di muoversi a girare, ma mentre lo facevo ingoiai d’un colpo tutto il kerosene. Tornai su per dire agli altri cosa era successo, così uno della crew (Motley) fece una telefonata ad un’amica infermiera: lei disse che, se non fossi riuscito a vomitare il kerosene (cosa che appunto non mi riuscì), sarebbe bastato bere litri e litri d’acqua e mangiare un limone intero per togliermi la puzza di kerosene dalla bocca. Fu una cosa disgustosa, devo dirlo, ma per fortuna quel carburante non aveva sapore e non ci furono conseguenze, andammo avanti con il lavoro e le riprese, e ogni tanto facevo rutti al profumo di kerosene… letteralmente come il serbatoio di una vera metal machine! Bah!

Una sera la crew venne anche a filmarci in un appartamento nella città vecchia dove ogni tanto ci riunivamo e che apparteneva alla famiglia di Lord Curse. Era un posto fantastico, pieno di manufatti occulti, libri, dischi, per cui era anche un ottimo luogo per le riprese.  

Pochi giorni più tardi girammo, all’interno dello studio di registrazione, un’intervista in cui avevo la faccia deformata e gonfia per via degli antibiotici che stavo prendendo per l’influenza che avevo in quel momento, e poi suonammo dal vivo in TV “Hymn to Gibil”, brano che allora era ancora da ultimare. Lo show fu mandato in onda prima a Gerusalemme e poi in tutto il paese sulla TV nazionale, ma quei tizi non hanno mai mantenuto la promessa di farne un videoclip.

Come ho già detto, stavo anche valutando seriamente l’idea di lasciare il paese, il mio migliore amico negli USA stava convincendomi ad andare lì per proseguire gli studi universitari, così iniziai le procedure di iscrizione, all’epoca sembrava la cosa più logica da fare: ero un pesce fuor d’acqua a Gerusalemme Est e un cittadino di serie B a Gerusalemme Ovest, senza prospettive di carriera, e nel frattempo la band era arrivata ad un punto oltre il quale sentivamo di non poter andare (per via delle scarse possibilità offerte dalla nostra città). Molti dei miei amici più cari se ne erano già andati, io ero stanco delle questioni politiche e inoltre mi piaceva l’idea di studiare in inglese, che per me era la lingua più naturale. Così avevo fatto domanda in qualche università statunitense, ma un giorno Al’Hazred mi disse che c’erano delle università di lingua inglese anche ad Amsterdam, mi informai e così venni a sapere che molti paesi europei stavano dando molte risorse alle loro università, che erano di ottimo livello e costavano solo una piccolissima parte delle rette annuali ridicolmente alte che venivano richieste negli USA. Pensai che Amsterdam era a sole quattro ore di volo da Gerusalemme e… perché no, quindi? Venni accettato all’università dove avevo fatto domanda di ingresso, e così qualche mese prima della partenza dissi a tutti che sarei partito. Molti amici rimasero assai sorpresi. Nello stesso periodo prenotammo uno studio di registrazione a Gerusalemme per registrare il promo “Mesopotamian Metal”, confezionato per essere mandato alle etichette discografiche.

Le sessioni di registrazione andarono bene, lo studio era di alcuni nostri amici, che quindi ci fecero uno sconto sulle tariffe. Registrammo cinque canzoni che oggi si possono trovare tutte sul nostro secondo album “Djinn”. Questo fu l’ultimo lavoro insieme a noi del nostro batterista e amico Lord Curse. Intanto, io avevo programmato di partire a metà dell’agosto del ’98, così organizzammo uno show d’addio a Gerusalemme. Fu una serata fantastica, venne molta gente da tutto il paese e quella notte la stazione centrale degli autobus si riempì di metalhead che dormivano sul pavimento in attesa della partenza dei primi bus del mattino, una cosa davvero indimenticabile a vedersi. Qualche giorno dopo riempii un paio di valigie, preparai la mia chitarra (quella che ho davanti in questo momento) e ormai ero pronto a partire. Tutti i ragazzi della band e alcuni amici erano a casa mia ed ero molto occupato nei preparativi insieme a loro… poi c’era mia madre, che anche questa volta mi aveva supportato in tutto anche se poi crollò al momento della partenza. Fu una cosa che mi distrusse, non riuscivo a sopportare di vederla in quello stato e fui quasi sul punto di mandare tutto all’aria: lei era – ed è ancora – una donna sola, mio fratello era in Indonesia e io mi stavo trasferendo ad Amsterdam, si sentiva abbandonata ma sapeva che era per un buon motivo. Fui quindi accompagnato in aeroporto, diretto verso un paese e un futuro ignoti, sapevo che i Melechesh sarebbero andati avanti ma non sapevo esattamente come… tutto quello che sapevo era che avevo con me il mio nuovo promo e la mia chitarra. L’alba di una nuova era si stava avvicinando.

IL PERIODO OLANDESE

Sabato 23 gennaio avremo uno show a Rotterdam, l’organizzatore ci ha chiesto se gli Inquisition avrebbero potuto partecipare e noi gli abbiamo detto di sì, sono una buona band e degli ottimi ragazzi, hanno già suonato con noi una volta in Canada. Poi abbiamo invitato anche una band piuttosto giovane, gli Ctulu, uno di loro mi ha spesso chiesto di poter aprire qualche nostro concerto ma non riuscivamo mai a conciliare la tempistica; stavolta gli ho scritto un’e-mail per dirgli “ok, forza, è il momento, venite!”. Sarà una serata in club, e presenteremo anche una nuova canzone, ma probabilmente non la canterò dato che non ho ancora finito di scriverne il testo.  

Questo è il primo articolo del 2010 per il mio bio-blog… il 2009 è stato un buon anno anche se è stato ricco di sfide che sono felice di essermi lasciato alle spalle. Ho festeggiato il nuovo anno ad una festa a Istanbul, ero con molti amici venuti dall’Olanda come Max (che ha registrato i miei demo) e Florian (cantante dei Dark Fortress), poi siamo andati in giro per la città ed è stato fantastico. Le cose adesso si stanno facendo veramente frenetiche, Moloch è arrivato dagli USA, stiamo suonando moltissimo e stiamo ultimando la fase di songwriting. Ora è uscito con il nostro ex-bassista e un altro amico, sono andati al cinema a vedere “Avatar”, io l’ho già visto e non mi interessa vederlo di nuovo, così ho deciso di restare qui per scrivere il capitolo successivo della mia biografia e altre cose. Per i prossimi due mesi probabilmente scriverò degli articoli più brevi, per via degli impegni che mi aspettano.

La decima parte si era conclusa al momento in cui ho lasciato Gerusalemme per andare in Olanda. Era l’inizio di una nuova avventura e una nuova era per me. Dopo aver passato i numerosi controlli di sicurezza all’aeroporto di Tel Aviv, mi imbarcai finalmente sull’aereo e arrivai in Olanda, ricordo di essere atterrato verso le 8-9 del mattino di un venerdì dell’agosto del ’98, un amico del mio bassista dell’epoca venne a prendermi e mi portò in un suo appartamento che aveva intenzione di vendere… il mio bassista e la sua ragazza erano in vacanza in quel momento, ma abitavano nello stesso edificio. Lasciai lì i miei bagagli e andai subito a vedere la mia università, per far sapere loro che ero arrivato e che avrei dovuto sbrigare qualche faccenda burocratica prima di iniziare. Qualche ora dopo ero nel centro di Amsterdam per aprire un conto alla Dutch Bank, poi esplorai un po’ la zona e feci le prime spese, infine tornai al mio alloggio temporaneo. Il fatto era che in questo appartamento c’era l’elettricità ma non il gas, quindi non avevo riscaldamento né acqua calda, e quella settimana il tempo era piuttosto freddo e piovoso anche se eravamo in agosto. Ancora ricordo quelle docce ghiacciate… tutto molto salutare, badate bene! Qualche giorno dopo mi spostai dal mio bassista per una settimana, e poi trovai finalmente un alloggio per me. Un giorno, tornando dall’università, mi fermai al negozio di dischi metal della zona, dove feci conoscenza con alcuni black metaller: mi chiesero da dove venissi, e quando risposi che venivo da Gerusalemme loro mi chiesero se per caso non conoscessi i Melechesh. Ne fui molto sorpreso, perché allora eravamo ancora una band estremamente underground… insomma, dissi loro che ero il fondatore della band e subito stringemmo amicizia, erano davvero fantastici. In quello stesso periodo mi spostai per qualche mese a Haarlem (sì, la Harlem di New York prende il nome da questo posto), una città vicina ad Amsterdam, e il caso volle che molti di quei ragazzi fossero di quelle parti, così lì non mi sentii per nulla isolato. Il mio appartamento ad Haarlem era davvero speciale, era una chiesa che era stata convertita in un alloggio per studenti. Dall’esterno sembrava una normalissima chiesa, ma l’interno era stato completamente ristrutturato su tre piani che avevano appartamenti e sale studio. Le acquasantiere erano state convertite in posacenere, dove prima c’era l’altare ora c’era la sala TV comune (con la TV al posto dell’altare), sulla balconata del coro era stato piazzato un ping-pong, e così via. Che ironia lasciare la Città Santa per la Città del Peccato per poi andare a vivere dentro una chiesa! E anche se nella chiesa erano state ricavate delle belle stanze da studio per gli studenti, non potevo far altro che riderne ogni volta che ci pensavo. I primi mesi in Olanda furono piacevolissimi, avevo un enorme carico di lavoro all’università ma avevo anche l’opportunità di vedere molti concerti. Ero affamato di band internazionali, e se conoscete l’Olanda almeno un po’ sapete che in questo posto non passa mai un giorno senza che ci sia qualche concerto metal da qualche parte a non più di un paio d’ore di guida da dove vi trovate. Il difficile, invece, era iniziare con la musica, anche se tuttavia sotto questo aspetto tutte le infrastrutture qui sono ben sviluppate. Insomma, nonostante me la stessi passando bene, all’inizio mi sentivo un po’ vuoto, ma ben presto mi procurai un amplificatore e potei ricominciare a suonare, così tornai a sentirmi appagato. Quello che mi mancava era poi il cibo fatto in casa, così Al’Hazred mi portò in questo meraviglioso ristorante greco perché il cibo e la cultura greca sono molto simili alle mie, e quello fu un bel benvenuto… ci sono andato anche la scorsa settimana con Moloch, e nel tempo ho perso il conto delle volte in cui ci sono tornato.

Durante un weekend ero alla casa studenti, quando suonarono alla porta: aprii, e mi trovai davanti una mia cara amica, di origine inglese ma che era cresciuta a Gerusalemme con tutti noi. Era sempre in giro con noi dei Melechesh, veniva alle nostre prove e ci portava tè e caffè, era davvero una gran donna. Bene, era lei alla porta, mi salutò ed io rimasi a dir poco sorpreso! Le chiesi: “sei venuta a trovarmi?”, lei rispose di no, ma aggiunse di essersi trasferita in Olanda e di essersi iscritta alla mia stessa università, dove le avevano assegnato una stanza due porte più avanti nello stesso corridoio! Onestamente, ero sbalordito! Fu una bellissima sorpresa, ma con il tempo scoprii che si era innamorata di me e che praticamente mi aveva seguito, la cosa mi lusingò ma io le volevo bene da amico, così decidemmo di lasciare le cose così com’erano sempre state, e oggi siamo ancora molto vicini. Ma gli amici continuavano a comparire senza preavviso! Una volta, rientrando a casa dall’università, mi trovai davanti i ragazzi svizzeri con cui ero cresciuto… vivevano ormai da tanti anni in Svizzera e decisero di fare un salto ad Amsterdam, chiamarono Al’Hazred e chiesero un passaggio fino al posto in cui vivevo, dove aspettarono il mio ritorno. Stavo camminando, li incrociai e dissi loro “ciao, ragazzi”, continuando a camminare (come se fossi ancora a Gerusalemme, o nel nostro vecchio quartiere). Poi all’improvviso mi pietrificai e dissi qualcosa del tipo “ragazzo, ma che diavolo ci fate voi qui?!?!??”. Loro risposero “niente, pensavamo di andare un po’ in giro per una giornata…” e davvero, fu un momento incredibile, e non molto tempo dopo che loro erano andati via venne a farmi visita Moloch. Quello che sto cercando di dire è che il fatto di essere a sole quattro ore di aereo da casa aveva i suoi vantaggi. Mi ricordo ancora benissimo delle prime vacanze invernali: tutti gli studenti erano tornati a casa ma io ero rimasto lì, non avevo in programma di tornare a Gerusalemme ma poi, camminando per strada, vidi un manifesto con l’offerta di un volo economico per Israele… era di pomeriggio, andai subito a comprare il biglietto, tornai al mio appartamento, impacchettai tutta la mia biancheria sporca e presi questo volo notturno per Gerusalemme. Suonai alla porta di casa di mia madre intorno alle 3 del mattino, lei non aveva la minima idea che sarei arrivato e quando mi chiese “ma… cosa ci fai qui?”, io le risposi: “sono venuto a fare il bucato!”.

Tornando alla mia vita ad Amsterdam, nel ’98 ebbi anche accesso d internet praticamente ogni giorno e quella fu la prima volta che vidi il nostro sito, che era stato fatto da un nostro amico un anno prima. Non immaginavo che la rete avrebbe cambiato così profondamente il mondo della musica e dell’industria musicale, né immaginavo che sarebbe stata un mezzo di autoesilio per così tante anime ‘digitalizzate’. D’altro canto, non avrei mai pensato che avrebbe offerto a coloro che invece si trovano fisicamente esiliati (voi sapete chi siete e dove siete) il vantaggio di potersi metaforicamente  teletrasportare!

Dopo i primi mesi in Olanda, comunque, mi misi anche alla ricerca di un batterista, ne avevo provati già un paio ma non era andata bene. Un giorno mi sentii particolarmente scoraggiato, la ricerca non stava dando risultati e tutti i ragazzi con cui avevo parlato erano persone poco serie, oppure volevano suonare death metal standard, o black metal scandinavo. Allora mi venne in mente che forse il mio amico Proscriptor degli Absu, essendo lui stesso batterista, magari aveva qualche conoscenza dalle sue parti, così gli scrissi per chiedergli se per caso non conoscesse qualcuno che potesse suonare con noi, o se lui stesso non volesse essere coinvolto, e lui subito si mostrò molto interessato alla cosa. Per noi fu davvero una bella sorpresa, poiché a tutti noi piaceva la musica degli Absu, e li apprezzavamo moltissimo. Nel frattempo Moloch era tornato nuovamente in Europa: si era stabilito in Francia, e precisamente nel nord, a Lille, per essere più vicino all’Olanda… era a circa tre ore in auto da noi, così tutti in quel periodo facevamo la spola tra Amsterdam e Lille.  

Alla fine mandammo a Proscriptor il nostro nuovo promo CD, in modo che lui potesse imparare le canzoni. Poco tempo prima eravamo intanto stati contattati da una oggi defunta etichetta di Singapore che voleva pubblicare il nostro secondo album, noi accettammo di registrarlo per loro e tutti gli accordi furono presi ma – peccato! – pochi mesi prima dell’inizio delle registrazioni l’etichetta dichiarò bancarotta. Mi sentii come se il mondo fosse finito in quel momento, ma imparai anche una grande lezione: quando le cose non vanno come le avevi programmate, non è sempre una cattiva cosa! Ma di questo tornerò a parlare un’altra volta… nel frattempo decidemmo di proseguire con le registrazioni anche senza etichetta, eravamo sicuri che prima o poi l’album sarebbe stato pubblicato da qualcuno, lo sentivamo originale, nuovo ed incredibile.  

Così accettammo il rischio, un mio amico ci prestò i soldi per le registrazioni e noi prenotammo gli Harrow Studios a Losser, in Olanda; Proscriptor ci raggiunse e impiegammo solo cinque giorni per provare tutto, ormai lui conosceva la maggior parte del materiale che si trovava sul promo che gli avevo mandato. Aggiungemmo ancora tre brani e poi fummo pronti per cominciare il lungo processo di registrazione di “Djinn”… furono scattate anche molte foto in studio, mentre cercavamo di finire il prima possibile. Dopo aver concluso tutto, infine, mandammo l’album ai Nomad Studio in Texas per la masterizzazione, mentre io nel frattempo avevo lo scoraggiante compito di trovare un’etichetta disposta a pubblicarlo. Tutta la band si rimboccò le maniche nella ricerca, comunque, e in totale raccogliemmo cinque-sei offerte di contratto. Alla fine scegliemmo di firmare per la Osmose, e devo ringraziare molto Proscriptor per aver lavorato duramente con tutti noi affinché riuscissimo ad ottenere il contratto.

A quel punto parlai al telefono con Herve, manager e proprietario della Osmose, che fu felice della nostra scelta. Ci incontrammo infine a Lille, ad un concerto di beneficenza in onore di Chuck Schuldiner , e alcuni mi dissero che Herve era quello che somigliava a Gesù, con i capelli lunghi, la barba, ecc. ecc. … a dire il vero, per essere precisi, l’universale immagine di quest’uomo chiamato Gesù è falsa e imprecisa: il cliché che lo ritrae non somiglia al modo in cui questo tizio  avrebbe dovuto essere, e dato che era mediterraneo-mediorientale doveva avere certamente la pelle più scura e capelli neri e ricci. Ma comunque, ok, mi avete capito: a un certo punto vidi questo tizio chiamarmi con il suo accento francese, e così finalmente ci incontrammo. La prima cosa che mi chiese fu se avessi ricevuto il bonifico che doveva coprire il budget per le registrazioni, gli dissi di sì, e che lo avevo già usato per saldare il nostro debito con la persona che ci aveva prestato i soldi per realizzare “Djinn”. Come potrete immaginare mi sentii molto sollevato per entrambe le cose, cioè l’aver finalmente avuto un contratto e l’aver potuto restituire i soldi al mio amico (il quale, devo dirlo, non chiese mai di riaverli, nemmeno una volta). Del resto di quella serata mi resta un ricordo assai nebuloso, eravamo tutti ubriachi… c’erano alcune band della Osmose, ma anche diversi giornalisti e rappresentanti di etichette francesi, ma in realtà era tutto un unico gruppo di pazzi pesantemente intossicati dall’alcol. Ricordo Herve che scherzava alzando il dito medio al manager di una qualche altra etichetta francese: “li ho fatti firmare prima io!”.  

“Djinn” era ormai pronto per essere pubblicato.

L’USCITA DI “DJINN”

Un anno! E’ da così tanto che sto scrivendo questa serie di articoli!
Questi sono tempi caotici e intensi, sto componendo un sacco di musica, testi, e poi ci sono gli arrangiamenti, i drum beat, la gestione della parteamministrativa della band, le prove, il tentativo di mettere in piediun’attività in proprio, ecc. … nel frattempo, continuo a fare la spolatra Amsterdam e Istanbul, dove vive la mia ragazza, e quando posso cerco di concedermi dei buoni pasti e dei buoni film per rilassarmi un po’.

Moloch è tornato in Virginia, e presto tornerà di nuovo ad Amsterdam per farealtre sessioni di prove con noi. Nell’ultimo post vi dicevo che avremmodovuto suonare a Rotterdam: be’, lo show è stato intensissimo e larisposta al nuovo pezzo che non ha ancora un titolo molto buona. C’è unvideo ben fatto, su YouTube, in cui la suoniamo dal vivo.

Adogni modo, ora sto cercando un’azienda che possa fabbricare due chitarre dodici corde Flying V, una per me e una per Moloch… ci piacerebbemoltissimo andare in tour con due chitarre del genere. Per ora abbiamoparlato con parecchi dei maggiori marchi sul mercato, ma anche conquelli più di nicchia. Fortunatamente abbiamo già entrambi una dodicicorde che useremo per il prossimo album, ma se siete o conoscete deiliutai contattateci! Quanto invece al nuovo album, annunceremo le datedi uscita molto presto… sono al telefono con lo studio di registrazioneproprio in questo momento.

Bene, l’ultima volta stavo parlandodelle registrazioni di “Djinn”. L’album venne pubblicato e io andai aParigi per incontrare alcuni giornalisti e per fare tre-quattro giornidi interviste promozionali  telefoniche con riviste di tutto il mondo…alla fine ero esausto, ma ne era valsa la pena.
All’uscita di“Djinn” seguirono recensioni molto positive, con l’eccezione di unarecensione olandese in cui le nostre canzoni su… magia e stregonerie…venivano accostate al cantato degli Iron Maiden!? Ma che C%&@ !Altre canzoni  venivano paragonate agli Impaled Nazarene… insomma, sonopassati dieci anni ma ne sono ancora sconcertato. Se non ti piace lanostra musica va bene, non c’è problema, ma gli Iron Maiden e gliImpaled Nazarene… ah, gli esseri umani, ehhhhhhh (sì, sì, sto digitandoil mio sospiro).

Come dicevo, comunque, la risposta a “Djinn” fuottima, e ci fu un grande interesse da parte dei media nei confrontidella band, cosa che ovviamente apprezzammo molto. Il Metal Invadersgreco ci dedicò anche una copertina, e facemmo tantissime interviste per magazine e radio. Ripetevamo sempre che “Djinn” un album di metalmesopotamico, più che altro per distinguerlo da altri generi, perchéquello che avevamo creato lo sentivamo interamente nostro. Ultimamentealcuni ci dicono che siamo una band di metal orientale, o parlano di unpresunto genere di metal orientale, ma questa è una definizione con laquale non mi sento a mio agio. Che cos’è il metal orientale? Potetevedere voi stessi che la definizione è errata. “Oriente” è una parolache veniva utilizzata nella lingua inglese in epoca coloniale perdescrivere l’emisfero orientale della Terra, per cui includeva il Vicino Oriente, il Medio Oriente, l’India, la Persia, arrivando finoall’Estremo Oriente e alla Cina, al Vietnam, alla Thailandia (come dicela canzone: ”Bangkok, oriental city…” bla bla bla…), al Giappone, ecc.Quindi, in termine è  assai poco preciso, è la stessa cosa che riuniretutte le band dell’Europa e del Nord America sotto la definizione dimetal occidentale. Metal mediorientale, metal del Vicino Oriente, metalmediterraneo… tutti sono un po’ più precisi nel descrivere un metal cheutilizza le melodie mediorientali, ma anche così sarebbe piuttosto vagacome definizione, in quanto ci sono diversi approcci, persino diversigeneri all’interno del metal che fanno uso di percussioni , il doom, ilbalck, il prog… be’, so bene che il gergo non è così importante e avolte sembra una sciocchezza, ma se parlo di questa cosa è solo per unaquestione di accuratezza. So, per esempio, che ‘oriente’ in tedescoindica solo il Medio Oriente, ma non nell’inglese australiano,americano, canadese o britannico. C’è un’interessante descrizione deisignificati della parola su Wikipedia, cercatela. E’ tuttaviacomprensibile che molti tendano a raggruppare con una sola parola tuttele band di questo genere, visto che non ce ne sono molte che suonanometal in stile mediorientale e si tratta di un fenomeno ancorarelativamente nuovo (a parte un paio di gruppi che sono in giro da unadecade e più).

In ogni caso, torniamo al nostro secondo album:poco dopo l’uscita di “Djinn” decidemmo di filmare il video di “Genies”… fu Maurice della Lowlife Media, anche cantante dei Legion of TheDamned, a filmarlo e montarlo, mentre a dirigerlo fui io, con le pocherisorse che avevamo, e nonostante la mancanza di soldi ne venne fuori un buon video, che raggiunse il suo scopo. Dovevamo in quel periodo essere creativi e lavorare in gruppo per fare in modo che il video risultassepiù credibile possibile. Avevo un conoscente, allora, che possedevamolti uccelli rapaci, aquile, falchi, sparvieri, avvoltoi, gufi,qualcosa come venti-trenta esemplari. Viveva in Belgio e di tanto intanto andava sulle Ardenne portando con sé gli uccelli per farli volare. Erano davvero delle creature affascinanti: l’aquila ad esempio sialzava in volo dal suo braccio e spariva lontano sopra le montagne, poitoccava a me mettere il guanto protettivo e tenere in mano un pezzo dicarne come premio. A quel punto dovevo colpire con le dita il guanto per darle il segnale per tornare indietro, e naturalmente non vedevo piùl’animale per via della distanza e degli alberi… ma sapevo in qualedirezione era volata via. Dopo un po’ potevo finalmente vedere unpiccolo punto nero comparire nel cielo e pian piano prendere la forma di un’aquila, fino a quando non era sulla mia testa oscurandoletteralmente la luce del sole con le ali, il cui suono ormai riempival’aria. A quel punto si posava delicatamente sul mio braccio e veniva aprendere la sua preda. Be’, questo amico portò alcune di questemeravigliose creature in Olanda per il nostro video, e lo fecenonostante in quel periodo fosse vietato trasportare uccelli da un paese all’altro a causa del rischio di influenza aviaria. Questo ragazzo erauna persona davvero fantastica. C’era una scena in cui dovevo tenere unavvoltoio e un’aquila (o uno sparviero, ora non ricordo), uno perbraccio, ma durante la preparazione delle riprese due persone dovevanoaiutarmi a tenere alte le braccia per via del peso dei due uccelli. Adire il vero nel video potete vedere che quando ho le braccia aperte con i due volatili, una delle due pian piano va sempre più in basso, eh!Ovviamente in quel momento non indossavo i guanti protettivi, avevo leloro unghie nelle braccia e anche con il becco alla fine mi avevanofatto qualche taglio sulle mani… niente di serio, comunque. Il videoalla fine andò in onda in molti paesi, per cui a conti fatti ne eravalsa la pena.

Insomma, nel tempo il nome della band stava ormai crescendo, e un giorno un avvocato di Antwerp contattò la nostraetichetta per avere un CD: doveva controllarne i testi, perché c’eranoalcune persone preoccupate e molto critiche nei nostri confronti. Be’,la label gli spedì un CD con tanto di fattura, e quello fu l’ultimosegno di vita che ricevemmo da lui. Sono sempre stato curioso di saperecosa sperava di trovare, e che tipo di caccia alle streghe sperava diiniziare.

Nel frattempo in quel periodo stavo terminando il mioprimo triennio universitario, e avevo ottenuto anche un lavoro comemanager alla EMI olandese (la EMI comprende etichette come Virgin,Capitol, Blue Note, ecc.)… era una vera e propria avventura, conobbi unsacco di ottime persone ma anche parecchi imbroglioni. Erano tempistrani, potevo trovare qualsiasi CD da loro, così rinnovai tutti i mieidischi di Megadeth, Iron Maiden, Black Sabbath e così via, e poi quasinon sembrava un lavoro, mi divertivo parecchio; il risvolto negativo era quello di non essere mai a casa, viaggiavo continuamente – anche se inelicottero e limousine, e dormivo in lussuosissimi alberghi a cinquestelle. L’altra faccia di questo erano i farabutti che a volte micapitava di incontrare, ma devo anche insistere sul fatto di averconosciuto persone che per me sono state di grande aiuto e ispirazione.Penso che rimarreste stupiti se vi dicessi con quali mega pop star sonostato a cena… non che me ne importasse più di tanto, ma ero moltosorpreso del fatto che gente come Kylie Minogue, Tom Jones e altrifossero persone alla mano e coi piedi per terra, specie al confronto con altri semidei autoproclamatisi tali nella scena metal underground.Credo che questo abbia a che fare con la sicurezza interiore degliindividui. Comunque era fantastico andare al lavoro e trovare, adesempio, il nuovo CD degli Slayer sulla mia scrivania, regalo di unaltro impiegato che il giorno prima era stato alla Universal e avevapensato di portarmelo. Se non altro ho imparato molto, in generale, suquanto professionale e disciplinata possa essere l’industria musicale, e ho anche potuto vedere come alcuni dirigenti facessero distinzione tramusica da viaggio, fatta solo per vendere, e musica credibile e duratura di una certa qualità.

Ora ho messo su “The Return” dei Bathoryper riprendermi dalla trance in cui mi hanno portato ore di musica Sufi e altre cose del genere. Accidenti, quanto mi piace quest’album, è comebere del succo d’arancia dopo essersi lavati i denti, come mangiarecioccolato amaro, come un caffè forte senza latte né zucchero, come unadoccia ghiacciata, come uno shot d’assenzio o whisky, come l’odore delsangue e del metallo arrugginito… voglio dire, è grezzo e tagliente come un rasoio, ma suona demoniacamente bene. Mi piace!

Ora vado asacrificare qualcosa, aaaaaaaaaaaargh!

LA PROMOZIONE DI “VOLCANO” DEI SATYRICON

Siamo all’inizio di aprile, ho appena lasciato Amsterdam e il tempo stamigliorando dopo questo lungo e freddo inverno, ora è quella che qui sichiama kvlt! In questo momento sono seduto in aereo e sto tentando diutilizzare al meglio il mio tempo, e per me è incredibilmenteliberatorio poter dire che finalmente lo studio di registrazione è stato prenotato e le sessioni cominceranno il 10 aprile 2010. Abbiamo decisodi rimanere fedeli al nostro spirito e mantenere la tradizione deiMelechesh rompendo ogni schema, così, invece di registrare in Occidentecome abbiamo fatto fin’ora, stavolta ci dirigeremo verso est. IMelechesh hanno deciso di registrare il loro prossimo album a Istanbul,dove resteremo per più o meno un mese.
Fare un disco è un lavorogrosso come un mammuth (che può essere paragonato anche alle sue zanne,poiché inizia con un ampio spettro di idee che vanno verso l’alto comein una curva d’apprendimento fino all’apice, che è l’album finito*). Cisono un sacco di piccoli dettagli che è molto facile lasciarsi sfuggire, in questa fase, per cui ora mi sto concentrando proprio su questi. Lesessioni di prova sono state molto intense e hanno dato grandi risultati e ora, da quando ho lasciato Amsterdam, gli altri stanno andando avanti senza di me, e anche loro stanno mettendo a punto un po’ di dettagli.Nel frattempo io sto ultimando i testi e lavorando sull’arrangiamentovocale. Come sempre avremo la base di tutto il lavoro già pronta, malasceremo anche spazio all’improvvisazione sul momento. Abbiamo semprefatto così, il che fa in modo che le cose restino sempre interessanti eimprevedibili per noi. Buona parte delle chitarre soliste e alcune linee vocali verranno improvvisate. Dipenderà dal mio umore.
La squadrache sta filmando il documentario su di me di cui ho già parlato (sì, misembra molto strano dire “un documentario su di me”) si metterà prestoin viaggio verso Istanbul per girare alcune interviste e filmare leregistrazioni.
Bene, tornando all’aspetto autobiografico –“Previously on Lost…”  – l’ultima volta ho chiuso con il racconto delmio lavoro alla EMI. Era insieme stimolante e gratificante, anche se era comunque stressante perché, al di là della natura stessa dell’impiego,il futuro era assai incerto per via delle immense perdite finanziariedovute al  fortissimo calo di vendite dei dischi che a un certo punto èstato registrato. Il risvolto positivo fu che alla EMI (ivi incluse laCapitol, la Virgin, ecc.) si sparse la voce che io ero il “tizio delmetal”, così potete immaginare la mia sorpresa il giorno in cui trovaisulla mia scrivania il promo di “Volcano” dei Satyricon, freschi difirma per la EMI norvegese. La maggior parte delle divisioni EMIdell’Europa centrali non aveva la minima idea di cosa fosse il blackmetal, e quello che la gente non sa è che ogni divisione internazionaledi una major (come anche la Sony BMG, la Universal, ecc.) opera inmaniera quasi del tutto autonoma, con il diritto di accettare orifiutare certe uscite, a meno che queste non siano statecontrattualizzate direttamente con la major di riferimento. Quando ebbiil promo, quindi, lottai con tutte le mie forze con il direttore perchéaccettasse di farlo uscire, gli spiegai che questa band aveva già un suo pubblico e promuoverla in Olanda sarebbe stato più facile chepromuovere un gruppo pop. Fortunatamente per i Satyricon, la EMIolandese diede parere favorevole, e poco dopo anche la divisione belgafece lo stesso. Alla sede centrale in Inghilterra vennero a conoscenzadella cosa, e poco dopo il dirigente europeo mi chiamò per chiedermi dicoordinare l’uscita insieme alla divisione tedesca, svizzera, ecc. … el’album dei Satyricon venne alla fine pubblicato in diversi paesi. E’così che funziona nelle major: non sono esattamente il posto giusto perle band di metal estremo. E penso che i ragazzi dei Satyricon nonabbiano mai saputo che è stato questo tizio dei Melechesh a far uscire“Volcano” in diversi posti d’Europa (un percorso un po’ strano, ma èstato così).
In quello stesso periodo stavamo anche lavorando alnostro terzo album “Sphynx”, il successore di “Djinn”… ah, a proposito:la riedizione di “Djinn” uscirà questo mese in doppio digipack, con unnuovo artwork, un nuovo booklet,rimasterizzato e accompagnato dal bonusCD che includerà il demo del 1998 “Mesopotamian Metal”, che furegistrato a Gerusalemme pochi giorni prima che mi trasferissi adAmsterdam. Il lavoro per “Sphynx” fu molto ben organizzato, facemmomolti demo di pre-produzione e li spedimmo negli Stati Uniti in modo che Proscriptor potesse imparare i pezzi. Prenotammo gli studi di AndyLaroque (chitarrista di King Diamond) a Gothenburg, in Svezia, perregistrarlo nel dicembre del 2002, e prima di entrare in studio passammo un intero mese a in sala prove in Olanda. Tutti i membri della banderano così riuniti, e insieme lavorammo per mettere a punto l’album fino al momento di partire per le registrazioni in Svezia. Furono dellesessioni davvero interessanti: a stento vedevamo la luce del giorno,poiché ogni mattina andavamo in studio, dove si stava sempre al buio, equando ne uscivamo alla fine delle sessioni era già ormai sera. Questoci faceva rimanere sempre concentrati, suppongo. Andy suonò uneccellente assolo come chitarrista ospite, e ancora mi ricordo quando un giorno venne a prenderci in hotel dicendo: “ho una cattiva notizia euna buona: la buona notizia è che la scorsa notte ho passato ore e oresull’assolo, che ora è finito e registrato”. Dopo un po’ di silenziochiedemmo: “la notizia cattiva?”. E lui: “oh, niente, ragazzi, non c’ènessuna cattiva notizia, stavo solo scherzando”. Poiché la band eratutta riunita, poi, decidemmo anche di fare lì le foto per l’artwork,cosa che mi sollevò molto perché  da quelle parti c’era un fotografodavvero bravo. Nel frattempo io stavo lavorando alla copertinadell’album con alcuni contatti che avevo alla Industrial Light and Magic di George Lucas: l’artista che disegnò la nostra copertina era moltooccupato con i film di Star Wars e Hulk, così avevamo a disposizionepoco tempo, comunque riuscì a fare la nostra cover, lavorando da veroprofessionista senza impiegare troppo tempo. Quella copertina mi piacemolto ancora oggi, specialmente il fatto che il toro alato mesopotamico, ovvero la Sfinge, era fatto di placche di bronzo unite tra loro (comeuna nave spaziale) e che, per mostrare le dimensioni della Sfingestessa, davanti ai suoi zoccoli anteriori c’è la figura di unmonaco/celebrante che si trova sulla sommità della ziggurat. La Sfingeviene ‘attivata’ dai raggi dallo spazio profondo, da cui prende vita.Ricordo ancora noi tutti della band che discutevamo del fatto che seavessimo chiamato l’album “Sphynx” la gente avrebbe pensato che lacopertina avesse per riferimento un tema egiziano, poiché questa èun’associazione spontanea per quanto errata (grazie, mass media). Questo accade perché la gente erroneamente pensa che esista solo una sfinge,La Sfinge in Egitto, e non sa che qualsiasi creatura con quellecaratteristiche può essere chiamata sfinge, anche in Grecia e inMesopotamia. Avevamo chiamato l’album così proprio  in riferimento allacreatura mitologica mesopotamica, e restammo dell’idea di mantenere iltitolo e sì, come previsto molti pensarono che il riferimento fossequello menzionato (alla cultura egizia). Ma con il tempo la gente iniziò a comprenderci meglio, l’album fu un successo in Europa e ci aprì molte porte. Durante lo stesso periodo il nostro primo disco venivaristampato in digipack in Spagna, e registrammo anche una cover deiCeltic Frost, “Babylon Fell”, per un CD di tributo, traccia che poivenne inclusa nella versione per gli USA di “Sphynx”.
In quel periodo io stavo anche terminando i miei studi in lettere e le cose sembravanoandar bene. D’altro canto l’Olanda stava cambiando, staccandosiprogressivamente da quel nucleo di valori che la rendevano unica, e oraandava verso un’oscura e sconosciuta direzione: i piccoli cerchisull’acqua di quel periodo sono poi diventate onde, che a loro volta sisono trasformate in un vero e proprio tsunami. Be’, niente dura ineterno. E personalmente penso che quando la gente (non tutti, macomunque la maggioranza) dà tutto per scontato, poi finisce coldiventare nostalgica dei “bei vecchi tempi” e poi chiedere sempre dipiù, dimenticando in modo ipocrita che di essere stata la prima causadella fine di quei ‘bei tempi’. Pecoroni sensazionalisti, insomma,marionette ingenue e imbecilli (un tipo umano molto pericoloso, oggi).In quel periodo ricevemmo parecchie offerte per andare in tour, che però rifiutammo perché facevano soltanto gli interessi degli agenti e nondella band, ma alla fine iniziammo comunque a suonare dal vivo facendoalcuni show in Germania, Francia, Belgio e Canada, e ci mettemmo inviaggio persino verso la Terra Santa per un fantastico e insano concerto a Tel Aviv. Mi venne allora la smania di suonare live, e per fortunadopo l’uscita di “Emissaries” facemmo moltissimi concerti… ma parleròpiù diffusamente di “Emissaries” nel prossimo post. Farò del mio meglioper scriverlo prima della fine di aprile, o al più tardi per la metà dimaggio, se riesco a trovare il tempo. Ok, ora torno a leggere iquotidiani olandesi per tenermi in esercizio con la lingua. Dag allemaal en tot de volgonde keer!

*N.d.T.: qui  è intraducibilel’associazione tra “mammoth task” (lett.: lavoro, obiettivopachidermico, enorme) e “mammoth tusk” (lett.: le zanne del mammuth).

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