METAL & GAMES: Cyberpunk 2077

Pubblicato il 17/01/2024

A cura di Roberto Guerra

“Cyberpunk 2077” è un titolo che rimarrà nella storia per molte ragioni, non tutte positive: molti lo ricordano infatti per il lancio disastroso (e pure un po’ truffaldino) sul fronte tecnico, avvenuto decisamente troppo presto rispetto ai tempi necessari per ultimarne lo sviluppo, senza contare la zavorra data dalle console di vecchia generazione, su cui il titolo non sarebbe mai dovuto uscire.
Inoltre, non si può negare che lato gameplay ci fossero delle lacune bisognose di limature, soprattutto in merito all’intelligenza artificiale e allo sviluppo delle abilità del personaggio. Fattori che hanno costretto gli sviluppatori a rilasciare una moltitudine di patch, correzioni e arricchimenti, con un risultato finale – quasi incredibilmente, viste le premesse – a dir poco encomiabile, sostenuto anche dal rilascio, nel 2022, su Netflix dell’interessante serie animata “Cyberpunk: Edgerunners”, prequel del videogioco vero e proprio.
Il progetto ha sempre avuto un potenziale immenso, nonché un fascino generale in grado di far innamorare della famelica e luminosa Night City e di tutte le figure incontrate dal protagonista V sin dai primi minuti di gioco; il tutto con uno stile pressoché inattaccabile (una volta risolti i problemi ‘tecnici’), nonché un’essenza profondamente rock/metal percepibile in ogni frame: infatti riteniamo siano proprio i metallari coloro che più di tutti possono godere degli avvenimenti e delle tematiche trattate dallo sviluppatore polacco CD Projekt RED.
Essendo trascorso poco tempo dall’uscita sul mercato dell’edizione definitiva, riveduta e corretta di “Cyberpunk 2077″(denominata ‘Ultimate Edition’) e della sua spettacolare espansione intitolata “Phantom Liberty” – cui riteniamo si possa criticare ben poco ora come ora – abbiamo colto l’occasione per dedicare un nuovo capitolo della nostra rubrica Metal & Games ad uno degli approfondimenti più emozionanti in assoluto, perlomeno per chi vi scrive. Buona lettura!

IL GIOCO

Iniziamo descrivendovi più o meno brevemente il gioco nella sua connotazione puramente ludica: si tratta di una commistione tra un action/adventure a mondo aperto e un gioco di ruolo con visuale in prima persona, in cui il giocatore si ritrova a impersonare un mercenario dal look, sesso e background selezionabili all’inizio dell’avventura, il che determinerà parzialmente i nostri rapporti coi personaggi, nonché le scelte che potremo fare durante i dialoghi e nei momenti in cui il protagonista avrà modo di raccontare la propria storia.
Il risultato sarebbe forse potuto essere anche più impattante, ma riteniamo non ci si possa lamentare della profondità e della caratterizzazione che avremo modo di dare al nostro personaggio, man mano che proseguiremo non solo nella trama principale – che occupa solo una piccola percentuale del tempo da investire – ma anche nella ascesa in direzione della vetta di quella che è una società che non perde occasione di sfoggiare i propri pilastri, fatti di enormi corporazioni, gang criminali, intermediari senza scrupoli, assassini su commissione e quant’altro.
Per fare ciò, il giocatore avrà modo di rendere V il prototipo dell’hacker (o ‘netrunner‘, per usare il termine tecnico), così come dell’assassino silenzioso o del guerriero senza paura armato di spade, pistole e bocche da fuoco di varia natura; senza dimenticare l’enorme importanza data dagli innesti cibernetici che potremo installare per ottenere bonus e capacità di vario genere, esattamente come molti dei nostri avversari e nemici. Con essi avremo modo di risolvere le questioni in maniere più o meno differenti, ma sempre con ben saldi gli occhi in direzione dei grattacieli e delle luci al neon della possente Night City, per la quale avremo modo di girare a bordo di veicoli come auto, moto e furgoni, possibilmente stando attenti a tenere una condotta idonea a quello che è il nostro modus operandi durante l’esplorazione e al momento di introdursi in una struttura.
Tra missioni principali, storie secondarie, contratti dagli intermediari (o ‘fixer’, come vengono chiamati) e crimini in tempo reale, la nostra storia si intreccerà con quella di una moltitudine di personaggi, tutti ben approfonditi e dotati di una propria morale da conoscere, interpretare e con cui stringere legami, a volte destinati a durare parecchio tempo e altre per appena pochi minuti.

NIGHT CITY TI CAMBIERÀ!

Questa è una delle frasi con cui il gioco è stato pubblicizzato e distribuito, e in effetti riteniamo sia piuttosto accurato dire che, una volta conclusa pressoché al 100% l’avventura del mercenario V (espansione e sottotrame incluse), non tutte le nostre convinzioni saranno le stesse che avevamo prima di cimentarci in quella che è, a tutti gli effetti, una avvincente parabola sociale, filosofica ed artistica, ambientata nell’universo ideato già decenni fa per il popolare gioco di ruolo cartaceo “Cyberpunk 2020”.
La gigantesca metropoli è un vero e proprio connubio di lusso sfarzoso, progresso tecnologico a tinte vaporwave e decadenza inesorabile, sulla falsariga di quanto reso celebre da prodotti ad ambientazione distopica – come “Blade Runner” e “Ghost In The Shell” – e utilizzato poi da numerosi artisti come sfondo per la propria arte musicale. Tra questi potremmo citare molte band di genere classico come gli Iced Earth, gli Iron Savior, i Voivod o gli svedesi Steelwing, così come realtà più trasversali ed ibride: impossibile non citare i Beast In Black, il cui ultimo album “Dark Connection” sembra scritto apposta per l’occasione, o anche gli araldi della synthwave più ‘metallara’ Perturbator e Carpenter Brut.
Giusto in merito agli ultimi due citati: se parliamo di Night City non possiamo infatti non citare quello che è un profondo spirito di chiara matrice synthwave e retrowave, identificabile nella forte presenza di elementi estetici, presi direttamente dall’immaginario futuristico molto in voga negli anni ’80 e progressivamente ‘codificato’ e ‘mitizzato’ dalle generazioni successive. Ciò si traduce in una sorta di effetto nostalgia per un’epoca quasi idealizzata, e che qui torna in auge grazie ad un trattamento svecchiante pensato nei minimi dettagli: dalla presenza di neon e insegne luminose di vario genere, passando per il design dei veicoli, fino ad arrivare ad un abbigliamento spesso molto vicino a quanto sfoggiato su copertine e manifesti di film o album musicali a tema.
In generale, riteniamo di non esagerare nel considerare Night City come una degli effettivi protagonisti della cyber-odissea che ci ritroveremo a vivere insieme a V e al cinico rocker Johnny Silverhand, di cui parleremo a breve.

DON’T KILL YOUR SOUL!

La storia narrata mette in risalto la componente violenta e drammatica, enfatizzando la lotta per la sopravvivenza e la strada verso un successo che, col passare del tempo, potrebbe man mano perdere di importanza effettiva, in favore di una sorta di redenzione e ribellione nei confronti di un sistema marcio e monopolizzato da ricchi corporativi, cospirazioni nascoste e politici ambiziosi, con un livello di ipocrisia talmente elevato che nemmeno i Megadeth troverebbero le parole adatte per descriverlo in un testo; per non parlare di quell’ombra opprimente data dalla possibile perdita di umanità a causa di innesti, tecnologia e progresso distorto.
Oltre a ciò, un ruolo chiave all’interno della storia sarà rappresentato da quello che è il significato stesso della vita, della lotta e della valorizzazione di se stessi, in un mondo in cui, tramite la tecnologia, persino la propria identità e la propria anima possono essere messe in discussione.
L’intero procedimento di crescita e presa di coscienza non sarà indolore, e porterà più volte il protagonista (e quindi il videogiocatore) a porsi delle domande e ad interrogarsi su chi siano davvero i folli, i terroristi o i nemici giurati della libertà, concetto su cui avremo più volte modo di riflettere e che per certi versi ci farà infuriare tantissimo, nel momento in cui ogni luce sembrerà spegnersi sotto una soffocante morsa di metallo e inquinamento luminoso.
Se poi decideremo di inoltrarci nel sottobosco di missioni colme di malefatte da sventare (o perpetrare, qualora lo volessimo), avremo il quadro completo di una moltitudine di deviazioni e derive umane, comprese atrocità come la pornografia non consensuale, il lucro sfrenato sui giovani talenti e, giusto per citare uno dei casi più contorti, il rapimento di ragazzini adescati online, per usarli come esperimenti ambientali.
Tutte tematiche che, già prese così, ci rimandano a molti dei nostri album preferiti, ognuno con il suo approccio, ma riteniamo che il collegamento tra “Cyberpunk 2077” e l’intero universo rock/metal sia invero molto più tangibile e netto, rispetto a tutti gli esempi che vi abbiamo portato in passato all’interno di questa rubrica, e non parliamo solo della colonna sonora ad opera dei Refused, o del fatto che ogni singola quest porti il nome di un brano, più o meno famoso, della storia del rock, inclusa una certa “Balls To The Wall” e una “Don’t Fear The Reaper”, giusto per citarne un paio.

JOHNNY SILVERHAND, UN ROCKER ETERNO

Potevamo forse approfondire i collegamenti tra gioco e immaginario rock/metal senza prendere in analisi l’eccentrico e sregolato comprimario del nostro protagonista? Naturalmente no, anche perché parliamo di una figura che più di tutte, nella storia del gaming, è riuscita ad incarnare quello che è un autentico ideale di cui spesso le rockstar sembrano rendersi ambasciatrici, ma solo all’interno dei testi e, per ovvie ragioni, senza sfociare nel pratico e/o nel fantasioso, cosa che invece non si può dire per il vulcanico frontman della rock band fittizia denominata Samurai.
Senza contare che ad interpretarlo è il mitico e ammirevole attore Keanu Reeves, anch’egli molto più legato al mondo del rock di quanto molti possano credere, nonché una delle entità più stimate del web. Indimenticabile la sua apparizione all’E3 del 2019 a seguito del trailer del gioco stesso, con quel “You’re breathtaking!” che rimarrà negli annali, e fidatevi di chi l’ha visto in diretta.
La storia di Johnny è infatti un susseguirsi di eccessi, contraddizioni, insoddisfazioni ed ideali ferrei, culminati nella triste perdita di qualcuno a lui caro, nonché nel folle tentativo di distruggere la più pericolosa delle corporazioni tramite l’ausilio di un ordigno nucleare; a questo gesto estremo seguiranno la cattura e l’esecuzione da parte degli stessi soggetti che aveva preso di mira, ma non prima di essere divenuto la cavia per una tecnologia tanto rivoluzionaria quanto pericolosa, i cui effetti metterebbero a repentaglio prima di tutto la propria identità e umanità.
La sua mente verrà infatti trasferita su un supporto esterno, dove rimarrà per cinquant’anni per poi, a seguito di varie peripezie iniziali, finire direttamente nella testa di V, che si ritroverà quindi a dover letteralmente interagire con due diverse figure all’interno del proprio cervello, con risultati invero piuttosto profondi e persino comici.
Il legame che si instaurerà tra i due, man mano che completeremo missioni e incarichi, diventerà infatti sempre più forte, e pur avendo la libertà di essere in disaccordo con lui, col passare del tempo sembrerà quasi innegabile l’enorme fascino del buon Johnny, così come la sua follia genuina e pregna di buoni propositi, seppur coperti da un alone di cinismo e disprezzo sociale, ben identificabili nella sua crociata, nel nome di una libertà dalla definizione variabile, contro un andamento sociale sempre più orientato verso lo sfruttamento, l’ambizione criminale e la disparità sociale, inclusi dei potenti giunti persino sull’orlo dell’immortalità.
Ricordiamoci inoltre che parliamo del frontman di una band divenuta il marchio dell’underground rock/metal di Night City, con tanto di brani inediti scritti ad hoc, e anche per questo non possiamo non provare una sorta di affezione e persino ammirazione per Johnny e per la sua profonda umanità, tangibile anche nei suoi innumerevoli errori e in una sorta di egoismo predominante; perlomeno fino al momento in cui si ritroverà a fare i conti con passato e presente, rigorosamente nella testa di V, insieme al quale vivrà una sorta di seconda vita, mentre il tempo a loro disposizione diminuisce inesorabilmente: questo a causa dell’innesco del supporto relic contenente la mente stessa del rocker, che salverà inizialmente la vita all’ospite per poi iniziare a consumarlo fino a ucciderlo, così da prendere il suo posto qualora non si intervenisse per tempo. Questo porterà entrambi a interrogarsi e a scegliere di conseguenza sulla base del valore della vita e, soprattutto, della propria essenza in quanto individui singoli e liberi di scegliere chi essere e come andarsene.

LIVE FAST, DIE YOUNG / BORN TO LOSE, LIVE TO WIN

Per approfondire ulteriormente l’enorme legame che l’essenza stessa di “Cyberpunk 2077” condivide con l’universo e la mentalità a noi affine, abbiamo scelto di scomodare ben due massime, rese celebri da molti artisti rock/metal nella storia, tra cui i leggendari Motorhead e i canadesi speed metaller Exciter.
Tra le tante interpretazioni della prima frase, la più avvalorata è quella che pone una vita magari breve, ma vissuta al massimo ed essendo se stessi fino in fondo, come decisamente migliore rispetto ad una specie di eternità fatta di mediocrità e ridondanza, senza alcun tipo di personalità o carattere: e, in effetti, è proprio uno dei punti di vista cardine degli ideali non solo di Johnny, in entrambe le fasi in cui lo vediamo partecipe, ma anche dello stesso V nel momento in cui dovrà prendere determinate decisioni, favorendo quella che è una lotta senza fine in un tempo di vita potenzialmente breve – irrinunciabile per chi non vuole saperne di abbandonare i propri ideali e la propria fame di giustizia – oppure un vero e proprio abbandono di se stesso, nel nome di una vita lunga e vuota.
Quest’ultima possibilità può essere vista in senso letterale oppure metaforico, sulla base delle scelte che faremo durante l’avventura e/o in concomitanza del finale, possibilmente dopo aver giocato non solo al gioco base, ma anche alla sopracitata espansione “Phantom Liberty”, che sbloccherà un finale extra se agiremo in un determinato modo.
La seconda frase, anch’essa attribuibile ai Motorhead o ai più giovani Striker, potenzialmente è ancora più radicata all’interno di quello che è il percorso non solo dei personaggi, ma del gioco stesso in quanto esperienza e oggetto di intrattenimento. Da una parte si nota infatti la volontà di narrare una storia in cui l’ambizione e la voglia di elevarsi al di sopra della massa sono dei fattori predominanti per le gesta di V, che diverrà col tempo il più temuto e richiesto mercenario di Night City, nonché potenzialmente una autentica leggenda – al pari del suo comprimario Johnny o di altre figure di spicco della lore – che potrà letteralmente bearsi del suo status, così come fallire oppure vincere per poi lasciarsi tutto alle spalle, alla ricerca di una vita migliore e dalla durata non definita, sbrigliata da quel bisogno cronico di mantenere uno status. Un mercenario che è anche un rocker, e che come tale parte dal basso e punta a vincere.
Dall’altra parte però, parlando del gioco in sé, vi è anche quello che è un vero e proprio fenomeno di rinascita per un prodotto colmo di propositi, abbattuti però da un lancio sbagliato e che non ha fatto altro che costare caro allo sviluppatore sul versante della reputazione, ma che dopo tre anni e tanta fatica è riuscito a diventare il capolavoro che meritava di essere, con un’anima indiscutibile e un carattere superiore rispetto al marasma di uscite che costellano il mercato videoludico ogni anno.
In poche parole: un prodotto nato per perdere, ma che ha vissuto ed è maturato per vincere e sbaragliare la concorrenza, come una rock band delle migliori.

LIBERTÀ FANTASMA

Spendiamo qualche parola in merito all’espansione “Phantom Liberty” da noi già citata più volte, che di fatto propone una sorta di spy story parallela a quella del gioco base, con la quale tuttavia finirà con l’intersecarsi. In essa il nostro V finirà invischiato in una questione che riguarda il distretto indipendente Dog Town e persino il governo dei Nuovi Stati Uniti d’America, inizialmente con lo scopo di trovare una cura per il proprio problema, per poi prendere una piega molto più misteriosa, metafisica e legata a degli ideali a tratti piuttosto vicini a quelli di Johnny Silverhand e dello stesso V, se lo avremo sviluppato (o ruolato, meglio) seguendo una logica affine.
Qui faremo la conoscenza di un presidente senza scrupoli, di un capo distrettuale sanguinario e di diverse spie con cui stringeremo un’alleanza; perlomeno fino al momento in cui un’oscura verità creerà una spaccatura, obbligandoci a fare una scelta quando verrà il momento, sempre seguendo la logica di cui vi abbiamo già parlato: comprendere se è meglio ambire ad una vita fatta di ordini, mediocrità e omologazione a dei principi non provenienti da noi, nella speranza di sopravvivere a lungo senza però essere più noi stessi, oppure incaponirsi per seguire un’ideale proprio e slegato dai concetti portati avanti da chi non fa che seguire le pieghe della burocrazia, anche se questo significasse rinunciare ad una apparente soluzione ottimale per il proprio dilemma.
Un’espansione tra le più belle e profonde in cui abbiamo avuto modo di imbatterci nella nostra carriera di videogiocatori, con un cast d’eccezione (tra cui l’attore Idris Elba) e che aggiunge ulteriore carne al fuoco alla già sterminata mole di contenuti del gioco base, aggiungendo degli approfondimenti e delle menzioni nei confronti di entità come il Blackwall e il viaggio verso il cosmo, alla ricerca di quella stramaledetta libertà. Oltre a fornirci ottimi spunti per meditare su quella che potrà essere parte della trama del già annunciato sequel, che tuttavia temiamo non uscirà prima di parecchi anni.
Anche in questo caso, soprattutto prendendo in analisi il terrificante alone di mistero che ricopre il Blackwall, parliamo di tematiche che troverebbero serenamente posto in un disco dei Voivod o dei Vektor: esso è infatti una sorta di firewall dietro il quale sono state sigillate le intelligenze artificiali più pericolose, e se oltrepassato da un netrunner abbastanza capace esso può fornire non solo una sorta di mondo a parte, oscuro ed inquietante, ma anche una vera e propria arma di cui usufruire nel momento del bisogno più grave, se non teniamo in considerazione che una apertura definitiva del Blackwall potrebbe portare il genere umano all’estinzione.

WAKE THE FUCK UP, SAMURAI!

Vogliamo concludere questo lungo speciale con una panoramica sui brani incisi appositamente per la band fittizia Samurai, di cui Johnny Silverhand è lo storico leader e coi quali ci ritroveremo persino a suonare, durante un evento dedicato nel corso del gioco, con tanto di corna ben alte al cielo, chitarra tra le mani, alcol a fiumi e sesso libero con groupies e fan adoranti.
E se questo non bastasse, è importante notare come gli sviluppatori abbiano reso la band un autentico fenomeno culturale all’interno della storia stessa, e non a caso capiterà spessissimo di imbattersi in strumenti, manifesti, vestiti, merchandising di vario genere e persino decorazioni applicate sui veicoli, rigorosamente dedicate ai Samurai, con tanto di logo e mascotte disegnata appositamente.
In tutto sono sei le canzoni composte (potete ascoltarle nella playlist inclusa poco sotto), e stilisticamente si possono descrivere come una sorta di hardcore punk con influenze alternative metal, e non c’è da stupirsi considerando che la stesura e l’esecuzione dei pezzi si deve agli svedesi Refused e all’ugola del frontman Dennis Lyxzén, la cui esperienza appare fondamentale per la valorizzazione di un sound impattante e che riteniamo meriterebbe di essere raccolto in una compilation su formato fisico.
“Chippin In” è la più famosa ed è collera pura, con un refrain distruttivo e da pogo sfrenato, pur senza spingere troppo sull’acceleratore, al contrario di una “Never Fade Away” che ibrida rabbia e malinconia, con un titolo e un ritornello che fungono quasi da augurio da parte dei protagonisti, i quali per tutto il gioco vivono nella paura di svanire, e dovranno combattere affinché così non sia. Similmente, “A Like Supreme” alterna fasi furenti, in pieno stile hardcore punk, ad altre più rilassate e dal retrogusto quasi new wave in stile Depeche Mode.
“Black Dog” parte come una ballata dalla parvenza country, per poi scoppiare in concomitanza dei ritornelli, ma è probabilmente “The Ballad Of Buck Ravers” la più riconoscibile ad esclusione della prima citata, in quanto si tratta del brano che ci accompagnerà durante buona parte dei combattimenti, quando la situazione si farà maledettamente calda e lo schermo si riempirà di piombo, spadate, granate ed effetti dati dagli innesti cibernetici, tra cui l’iconico Sandevistan, in grado di accelerare i nostri riflessi dandoci una sensazione di tempo rallentato.
Concludiamo con “Archangel”, che è la più breve, nonché la più recente di tutte, degna conclusione di un sestetto di pezzi dannatamente fomentanti e sanguigni, che ancora oggi ci riproiettano direttamente in mezzo alle nostre bravate tra le strade di Night City o sotto il sole cocente delle badlands limitrofe, in compagnia dei nomadi in puro stile “Mad Max”. Anzi, a dirla tutta, chi vi scrive ha scelto proprio il ‘nomad’ come background del personaggio e non si è mai pentito della scelta.


Teniamo a precisare che quanto da noi scritto in queste righe non giustifica gli errori del passato commessi da CD Projekt RED, ma sicuramente fornisce al gioco un nuovo punto di partenza, e personalmente riteniamo che, oggi come oggi, non esista più alcuna ragione per non giocare a “Cyberpunk 2077”, se in possesso di una console attuale o di un pc di fascia medio-alta (per permettere al videogioco di lavorare con i giusti parametri).
Anche perché questo gioco ha una cosa che non tutti i prodotti analoghi hanno: un’anima! Se ci si approccia con la giusta mentalità è facile rimanere catturati dalle vicende e, per certi versi, uscirne quasi con delle ferite personali e una sensazione di vuoto data dal setting e dai legami stretti coi personaggi, nonché dalla sensazione di essere stati protagonisti di un’avventura mozzafiato e spietatamente ‘heavy fucking metal‘!

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