METALITALIA.COM GOES NEON: una retrospettiva synthwave

Pubblicato il 16/01/2021

Articolo e playlist a cura di Sara Sostini

Inciampare in un neon, sollevare il velo della realtà contingente e precipitare in un mondo futuristico (eppure ‘antico’) fatto di luci metropolitane scintillanti, strade in 8bit, zombie, alieni e decadentismo intriso di bladerunneriano umore: potrebbe essere descritto così il primo incontro con la musica synthwave.
Stregati da quel suono – così deliziosamente analogico e retrò – è impossibile non rimanere intrappolati nella fittissima rete di sinergie musicali, citazioni che rimbalzano da pellicole di culto a b-movies, visual spaccaretine e distorsioni elettroniche. Definirlo ‘sottocultura’, ‘revival’ o ‘controcultura’ sarebbe riduttivo, perché all’interno di questo strano calderone si mescolano influenze horror e  new wave, percussività avant-garde e martellamenti industrial/ebm, prendendo derive sci-fi per poi sterzare bruscamente in zuccherosi anthem pop (in Italia possiamo ad esempio contare sulle geniali devianze elettroniche dei Master Boot Record o lasciarci irretire dalle venature darkwave di Confrontational).
Non solo suoni, ma anche immagini: perché, molto più che in altri ambiti, qui la musica si lega in maniera indissolubile con l’aspetto visuale, dando origine ad ibridi non ancora immaginati fin a quel momento (vi invitiamo a guardare “Kung Fury” o “Blood Machines”, due lungometraggi indipendenti usciti negli scorsi anni, per capire meglio ciò di cui stiamo parlando), carichi di ironia, trame estreme e trasudanti elettronica da ogni poro.
La musica diventa non più mezzo di comunicazione ma veicolo con cui spostarsi su altre galassie, viaggiando in mondi in cui il ‘vecchio’ ed il ‘nuovo’ si fondono in modi affatto scontati, molto prima che fenomeni di cultura popolare ne cavalcassero l’onda (ed il successo). Collante e legame chimico per stabilizzare questa nuova formula è la nostalgia, qualcosa con cui anche gli ascoltatori metal sono abituati ad avere a che fare, nel profondo: in un tipo di musica come quello a noi più caro, si è sempre in bilico tra la codificazione di paradigmi immortali e la continua ricerca di strade nuove, declinando con i più vari risultati questo processo instancabile. Così è anche per la musica synthwave, la cui strada, originata nelle colonne sonore dei film degli anni Ottanta, porta su nuovi cyberpanorami illuminati da un gigantesco sole al tramonto; per questo siamo sicuri che non importa cosa ascoltate, quanti anni avete, dove abitate: il suono di sintetizzatori e vocoder analogici saprà parlare alla parte più nostalgica del vostro cuore, senza pregiudizi di sorta.
Abbiamo visto “The Rise Of The Synths”, il documentario del 2019 che racconta la genesi e lo sviluppo di questo fenomeno così tentacolare (in musica ma non solo), ed abbiamo colto l’occasione per fare due chiacchiere col regista spagnolo Ivàn Castell, riguardo la genesi del progetto, l’importanza della nostalgia e di come questa si leghi all’immaginario artistico; infine, per chi di voi avesse voglia di ascoltare alcuni tra gli artisti che hanno contribuito alla creazione di questo genere così particolare, abbiamo creato una playlist ‘introduttiva’. Buon viaggio!

 

The Rise Of The Synths – recensione

Cosa collega Giorgio Moroder, il chiodo di pelle proprio del mondo metal, “Stranger Things” e John Carpenter?
La risposta è all’interno di quel mondo liquido, illuminato dalle luci al neon più fluorescenti che riuscite ad immaginare, chiamato ‘synthwave’ ed illustrato dal bellissimo documentario dello spagnolo Ivàn Castell “The Rise of The Synths”… CONTINUA

Intervista con Ivàn Castell

CIAO IVAN, BENVENUTO SU METALITALIA.COM.
PARLIAMO INNANZITUTTO DELLA GENESI DI “THE RISE OF THE SYNTHS”: QUANDO E COME HAI COMINCIATO A PENSARE AD UN PROGETTO SIMILE?
– Più o meno intorno al 2013 un mio amico mi inviò una clip YouTube di “Cobretti”, di tale artista chiamato 80s Stallone, perchè voleva che lo inserissi in un video che all’epoca stavo girando per lui. All’inizio pensavo fosse uno scherzo, non capivo se fosse davvero musica degli anni Ottanta o una parodia. Ricordo che la mia prima reazione fu “Ma che cos’è questa roba sdolcinata?”. Sono stato ragazzo negli anni 90, in cui le chitarre erano la roba forte e i sintetizzatori i nemici sfigati, per questo ero così prevenuto. Poi, alcune settimane dopo, mi è ricapitato quel video tra le mani ed ho notato tra i correlati i video di gruppi dai nomi altisonanti come Dance With The Dead, Com Truise, Droid Bishop, Lazerhawk, Miami Nights 1984, Carpenter Brut; sono letteralmente caduto nella tana del Bianconiglio mentre leggevo i commenti dei fan, superentusiastici ed appassionati a questo tipo di musica. Il motivo principale per cui ho girato questo documentario è stato proprio per quel fomento così contagioso da parte delle persone appassionate ad un fenomeno tanto underground quanto diffuso comunque a livello mondiale.

LA MUSICA SYNTHWAVE È STRETTAMENTE LEGATA AD UN ASPETTO VISIVO, CHE RIGUARDA I VIDEOCLIP MA ANCHE I FILM. ERI FAN DI QUESTO TIPO DI MUSICA/ESTETICA O L’HAI SCOPERTO MENTRE GIRAVATE?
– No, come ho detto poc’anzi, lo odiavo. Una reazione così forte è stata probabilmente frutto del mio background culturale. Nel momento in cui ho messo in riproduzione il terzo video synthwave, però, il mio atteggiamento si è capovolto radicalmente in “Wow, ma è fantastico!”. Non è stato proprio amore a prima vista, ma quasi, potremmo dire così. Non avevo previsto che mi piacesse tanto, ma le sensazioni che mi ha dato ascoltare questo tipo di musica mi sono rimaste davvero nel cuore. Negli scorsi cinque/sei anni ho spaziato in lungo e in largo ascoltando tantissimi artisti del genere, per due anni non quasi fatto altro! Mi ha aperto la mente in molti modi, mi ha dato modo di conoscere piccoli gioiellini e album bislacchi di cui altrimenti non avrei mai scoperto l’esistenza!

LA PRINCIPALE CARATTERISTICA DI QUESTO DOCUMENTARIO È CHE SEMBRA ESSERE UNA SORTA DI ‘TESTIMONIANZA CORALE’ RIGUARDO UN’INTERA SCENA, DATA PROPRIO DAGLI STESSI MUSICISTI; OGNUNO DI LORO ESPRIME IL PROPRIO PENSIERO RIGUARDO DIVERSI TEMATICHE, MA IL RISULTATO È UN FLUSSO LOGICO DI VOCI, DIVERSE MA NON PER QUESTO CAOTICHE. COME SIETE RIUSCITI AD INCASTRARE COSÌ TANTI ARTISTI DIVERSI?
– Sono contento che tu sia riuscita a percepire il film come una narrazione logica, effettivamente è stato davvero complicato far filare tutto liscio! Ho cercato di raccogliere le interviste con la struttura del film bene impressa in mente: ogni ‘capitolo’ in cui è diviso il film rappresenta un decennio particolare a livello musicale, ed ogni decennio ha un tema a sè stante. Questo mi ha aiutato molto in fase di montaggio, anche se la teoria si è poi rivelata molto differente dal risultato finale; in verità è stato davvero difficile fare in modo che tutto funzionasse ed avesse un equilibrio tra ‘troppo approfondito’ e ‘troppo superficiale’.

COLLEGATO A QUESTO, HO MOLTO APPREZZATO IL MODO IN CUI HAI MOSTRATO LE DIFFERENTI PERSONALITÀ DEI MUSICISTI COINVOLTI, PER ESEMPIO RISPETTANDO IL LORO VOLER MOSTRARE LA PROPRIA FACCIA, LA LORO QUOTIDIANITÀ ED ABITUDINI – O MENO. UN CAPPUCCIO O UNA MASCHERA ACCRESCONO LA SENSAZIONE DI MISTERO INTORNO AD UNA FIGURA – PER ESEMPIO PER LE BAND METAL PUÒ ESSERE UN MODO DI DIFFONDERE UNA SORTA D’AURA DI MISTERO, OCCULTA ED OSCURA, ANCHE DURANTE GLI SHOW – MA IN QUESTO CASO SEMBRA ESSERE SOLO UN MODO PER FAR PARLARE PIÙ FORTE LA MUSICA SOPRA QUALSIASI COSA, LASCIANDO A MARGINE CHI LA COMPONE. QUAL È LA TUA OPINIONE IN MERITO? QUANTO È STATO DIFFICILE GIRARE CON QUESTA ‘LIMITAZIONE’ – OPPURE È STATO STIMOLANTE?
– Ho imposto solo una regola per tutti gli artisti, ovvero che non avrei imposto nulla a nessuno di loro. È la loro immagine quella di cui si parla, non la mia, io sono solo qui per immortalarla nel modo migliore che posso, così ho cercato di soddisfare ciascuna delle loro richieste. Alcuni di loro si sono rivelati estremamente timidi o riservati, spesso era la loro prima intervista davanti ad una macchina da presa, ad altri invece non è che importasse così tanto. L’intero processo si è basato su almeno una prima chiacchierata con ciascuno di loro, spesso in videocall, per spiegare cosa avessi in mente, evidenziare gli eventuali limiti e chiedere loro di suggerirci delle location particolari per le loro interviste e b-roll. È stato proprio un gioco di squadra, avevo già cercato online molte delle proposte, davvero belle ed interessanti, per le location delle riprese proprio perchè avevo in mente qualcosa di molto poco turistico ed in grado di amplificare l’immagine dell’artista stesso.
Potrei dire che, alla fine di tutto, non è stato tanto complicato per me se alcuni di loro sentivano il bisogno di celarsi dietro un cappuccio o una maschera, quanto per loro stessi affrontare un’intervista di quel tipo.
Cosa penso infine del fatto che alcuni di loro nascondano la loro vera identità? Devo dire che capisco il loro punto di vista ed il loro scopo – è qualcosa che si è fatto e si continua a fare in musica, e funziona sempre. Il mistero, il non sapere che faccia abbiano ti mantiene focalizzato sulla musica, potremmo dire che è una vera e propria attitudine punk nell’epoca dei social media, in cui si ha bisogno di mostrare la propria faccia migliore quotidianamente su Instagram, ad esempio. Infine, lo zoccolo duro della scena si è formato durante l’era Myspace, dove l’immagine non era così centrale.

PER TUTTO “THE RISE OF THE SYNTHS” POSSIAMO VEDERE DUE DIFFERENTI LEITMOTIV ATTRAVERSARE TUTTA LA NARRAZIONE: IL VIAGGIO (APPARENTEMENTE) SENZA FINE DEL COSIDETTO ‘SYNTH RIDER’ E LA VOCE UNICA DI JOHN CARPENTER, CHE PARLA IN UN VECCHIO REGISTRATORE A CASSETTE. COME AVETE IDEATO E STRUTTURATO, TU ED IL TUO TEAM, QUESTE DUE IDEE?
– Il Synth Rider non doveva nemmeno essere nel film, all’inizio. È stato un personaggio che ho creato per spiegare la metafora di cosa sia la synthwave: una connessione tra vecchi film e nuova musica, in grado di viaggiare nel tempo. Quando abbiamo provato a promuovere il film come “un documentario su questi compositori che creano musica retrò anni Ottanta” non facevamo nemmeno in tempo a finire la frase che notavamo come l’altra parte avesse già perso interesse. Così pensai che avevamo bisogno di qualcos’altro, e così è nato il Synth Rider. Abbiamo creato una specie di fake trailer con questo tizio su una DeLorean e le reazioni sono cambiate in “non capisco che cosa sia esattamente tutto ciò, ma è davvero figo!”. Quando l’abbiamo usato per la campagna di crowdfunding lanciata per finanziare il documentario le persone in qualche modo hanno instaurato un legame con il personaggio, così ho deciso che l’avremmo usato nel film.
Per quanto riguarda John Carpenter… Beh, all’inizio proprio c’erano altri compositori citati spesso come referenze o fonti d’ispirazione: Vangelis, Giorgio Moroder, Jean Mitchel Jarre, Tangerine Dream, eppure uno solo era quello che continuava a saltar fuori in ogni discorso da parte di ciascun musicista: John Carpenter. Così mi è sembrato chiaro che, se proprio doveva esserci una voce narrante, non avrebbe potuto essere altro se non quella di John. La storia del registratore a cassetta, il fatto che lui avrebbe dovuto parlare con il Synth Rider e simili sono tutte idee nate all’inizio del lavoro, magari qualcosa è stato cambiato in corso d’opera ma fondamentalmente sono riuscito a mantenere le idee così come le avevo pensate in origine.

UNO DEI PUNTI CHE HO TROVATO PIÙ INTERESSANTI È L’IDEA DI ‘NOSTALGIA’, VISTA COME UNA NECESSITÀ PRIMARIA IN GRADO DI VEICOLARE L’ISPIRAZIONE DI CHI SCRIVE E COMPONE MUSICA: È QUALCOSA CHE SI NASCONDE NELLE COLONNE SONORE DEI FILM CULT DEGLI ANNI OTTANTA, NELLE PUBBLICITÀ E CHE SCORRE IN MOLTI ASPETTI DELLA CULTURA POP. LA MUSICA SYNTHWAVE GIRA PROPRIO INTORNO AL RENDERE L’ASCOLTATORE NOSTALGICO DI QUELLE ATMOSFERE, ANCHE SE MAGARI NON ERA NEANCHE NATO IN QUEGLI ANNI. QUESTO ‘BISOGNO’ È ESPLOSO NEGLI ULTIMI ANNI, ‘FORZANDO’ IN QUALCHE MODO LA SYNTHWAVE A DIVENTARE POPOLARE SULL’ONDA DI TREND ‘VINTAGE’ O ‘RETRO’ – ED HA INVESTITO ANCHE IN PARTE IL MONDO DEL METAL, CON MOLTISSIME BAND IMPEGNATE NELLA RICERCA DI SUONI E TEMI OLD-SCHOOL. QUAL È LA TUA IDEA IN PROPOSITO, COME REGISTA ED ASCOLTATORE DI SYNTHWAVE?
– Cultura e creazione lavorano in cicli. Non è niente di nuovo. Nei Novanta gli anni 70 erano quelli a cui guardavamo, nei Settanta erano i Cinquanta… Ci saranno sempre persone che guardano indietro verso un’altra epoca pensando “allora era meglio”. È una sorta di ‘comfort zone’. Ed anche se non si è vissuto in quei determinati anni, è un modo per evadere la propria realtà, una sorta di mitizzazione di un’epoca che si è sperimentata solo attraverso la TV ed i film, magari. La nostalgia non riguarda la realtà, è piuttosto un’emozione che si crea dentro di te risuonando in maniera diversa. Il fatto che al giorno d’oggi siano gli anni Ottanta quelli cui guardiamo idealmente non credo sia un sintomo di carenza culturale, ci sono gran bei film e programmi TV che escono al giorno d’oggi è solo… Come funziona l’immaginazione, tutto qui.
Mi spiego meglio: il fatto che la nostalgia per altre epoche passate sia una buona cosa chiaramene dipende dal risultato. La musica synthwave è un ottimo esempio di come si possa creare un bel prodotto artistico partendo da idee vecchie. C’è un innegabile effetto stupefacente ed emozionante per chiunque si approcci e fruisca di questa subcultura, ed è qualcosa che non mi è capitato di vedere in altri trend di questo tipo; non c’entra niente il guardare agli anni 80 nello specifico, parlo piuttosto di come ci si è riappropriati di quelle atmosfere rispetto ad altri generi, sottoculture o tendenze. Che poi, a ben vedere, tutta questa nostalgia per gli anni Ottanta che cavalca l’onda della cultura pop mainstream attuale non trae ispirazione tanto da quegli anni lì quanto proprio dalla musica synthwave, anche se non verrà mai riconosciuto. Tra poco passeremo alla fase di nostalgia per gli anni 90, così accadrà ancora ed ancora.

DURANTE LA TUA CARRIERA HAI SPESSO COMBINATO MUSICA E CINEMA. TI VA DI RACCONTARCI DI PIÙ SU QUESTO LEGAME?
– Credo che derivi dal fatto che ho provato a suonare la chitarra ed entrare in una band, ma senza avere un briciolo di talento. Sono cresciuto guardando MTV negli anni Novanta, fagocitando video su video musicali di gente come Michael Grondy, Jonathan Glazer, Spike Jones e via dicendo. Successivamente sono passato al cinema e, senza alcun piano prestabilito, all’inizio sono finito a girare proprio video musicali e quando ho lavorato a varie collaborazioni è stato proprio con dei musicisti. Anche in quelle più narrative o di fantasia, la musica è sempre la cosa più importante tra quelle cui penso all’inizio: ho bisogno di immaginare quale potrà essere la colonna sonora o cosa ascoltano i personaggi prima ancora di cominciare a scrivere.
Da una prospettiva puramente artistica, credo che la musica sia una forma d’arte tra le più pure e schiette. Quando un musicista sale sul palco e suona live, si espone in un modo davvero diretto, semplice e puro, che per esempio non ho io, in quanto regista, quando proietto un mio film. Trovo i musicisti ed il loro approccio all’arte coraggiosissimi. Forse è per questo che li reputo così interessanti.

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