Nuovo appuntamento con la nostra playlist di Spotify. Ricordandovi che potete sempre trovare le precedenti disponibili sul nostro profilo, questa volta tocca a Simone Vavalà, che introduce così la sua selezione:
L’industrial, più che un genere, potremmo definirlo un’attitudine. Nasce, nelle sue forme attuali, dalle sperimentazioni di personaggi visionari come Monte Cazazza o Genesis P. Porridge, che nella controcultura londinese di metà anni Settanta provarono ad assemblare suoni che, prima ancora di raggiungere una forma canzone, fossero l’espressione della produzione, del caos, dei rumori che contraddistinguono la vita dell’uomo postmoderno. In tal ottica, nella playlist troverete anche band che non sono metal al 100%, ma il flirt con il nostro mondo era quasi scontato: per la durezza sonora e per l’attitudine concettuale, votata a mettere in piazza i mali, le contraddizioni e l’alienazione umana, accompagnandosi spesso a un immaginario visivo truce, estremo o totalitarista. Proprio per la natura non codificata, abbiamo esempi di industrial metal che spaziano, come base, dal black all’aggrotech, con alcune costanti riconoscibili: l’ossessività, la freddezza, una certa aura di coinismo tutt’altro che nascosta dietro i riff o i loop che ci fanno muovere lungo il nastro trasportatore della vita, all’insegna di un comune motto: vivi, produci, crepa. Perché l’industrial non usa metafore per raccontare le nostre esistenze, non così diverse dai beni di consumo che acquistiamo o ingurgitiamo quotidianamente.