Articolo a cura di Marco Gallarati
Dal 5 novembre 2007 al 1° aprile 2016: calcolando il lasso di tempo trascorso tra la release date di “The Blue” e quella che sarà la data d’uscita di “URSA”, il conto arriva a ben 8 anni e 5 mesi; più di tremila giorni senza nuova musica da parte dei Novembre. Una dura, durissima prova di resistenza da superare per i tantissimi aficionados della formazione siculo-capitolina sparsi per il mondo. Ma, infine, l’attesa è quasi giunta al termine! Ormai ci siamo: il rientro sulle scene di uno dei gruppi italiani più famosi, importanti e considerati in tutto il metal-biz è cosa imminente. Occorre prima, però, tornare un attimino indietro nel tempo e soffermarci sul titolo dell’ultimo brano della tracklist di “The Blue”, “Deorbit”: una sorta di presagio sembra ora aver avvolto tale canzone. I Novembre, passata l’enfasi della pubblicazione e della promozione del succitato disco, hanno come preso a de-orbitare lungo una traiettoria solitaria e silenziosa che li ha portati, attraverso diverse peripezie, ad allontanarsi dal pianeta metal e, come un ricordo sfuggito all’improvviso e impossibile da far tornare alla mente, a venire lentamente dimenticati. In realtà, chiaramente, nessuno ha mai dimenticato la band di Carmelo Orlando: troppo importante e basilare la sua già riscossa eredità. Fin dal lontanissimo periodo Polyphemus Records – con i primissimi vagiti praticamente autoprodotti, “Wish I Could Dream It Again” e “Arte Novecento” – passando per il successo underground ottenuto con l’avvento della Century Media, per la quale i Nostri si sono visti editati “Classica”, il magistrale “Novembrine Waltz” e “Dreams D’Azur”, la riproposizione modernizzata dell’ormai introvabile esordio, fino a giungere al prestigioso accordo con la Peaceville Records, che in brevissimo tempo ha lanciato sul mercato prima “Materia” e poi “The Blue”…be’, bisogna ammettere che i Novembre hanno costantemente scolpito nella Storia del metal il loro inconfondibile marchio melodico, pregno di visioni oniriche e melanconiche, di furore disperato e rabbia poetica. Giustamente osannati oggi quale una fra le più influenti band tricolore in campo metallico, la notizia che Carmelo ed il suo fido compare Massimiliano Pagliuso fossero di nuovo in attività, e addirittura con pronto un disco nuovo di zecca, ha preso un po’ tutti di meraviglia e alla sprovvista, sebbene lo stesso Carmelo avesse già da qualche tempo ripreso una lieve attività comunicativa sulla pagina Facebook della formazione. E insomma, in men che non si dica, eccoci qui davanti al tanto agognato nuovo album dei Novembre, con il suo bel titolo accattivante, con una tracklist apparentemente ghiotta, con una copertina (Travis Smith santo subito!) a dir poco sensazionale, degna della grande tradizione artistica sia dell’illustratore americano che del combo romano, ma anche e soprattutto con la grande incognita rappresentata dall’assenza di Giuseppe Orlando dietro le pelli, sostituito dall’amico David Folchitto, storico batterista degli Stormlord. Dovendo approfondire il discorso in modo più completo in sede di futura recensione, ad ora non resta altro da fare che approcciarci all’ascolto con curiosità massima, buoni propositi ed entusiasmo e buttar giù le prime impressioni ricavate tramite questo track-by-track dedicato ad “URSA”, di certo il lavoro di metallo italiano più atteso dell’anno nel nostro paese, con buona pace dei pur bravi Fleshgod Apocalypse e del loro recente “King”. Andiamo a sentire!
NOVEMBRE – “URSA”
Etichetta: Peaceville Records
Data di pubblicazione italiana: 01 aprile 2016
www.novembre.co.uk
peaceville.com
Carmelo Orlando – voce, chitarra, tastiere
Massimiliano Pagliuso – chitarra
Session:
Fabio Fraschini -basso
David Folchitto – batteria
01. AUSTRALIS (07:36)
“URSA” viene aperto da onde che si infrangono e da un notturno canto di cicale. Il brevissimo intro rumoristico lascia subito spazio ad una chitarra pizzicata presto doppiata da un sottofondo di charleston e dalla voce sognante di Carmelo, che ci ninna-nanna con la sua innata dolcezza. Si parte bene con “Australis”, che prende il volo e si trasforma in un perfetto biglietto da visita di rientro per i Nostri. Il sound è il loro, i Novembre non sono cambiati: la pericolante assenza di Giuseppe Orlando dietro le pelli passa quasi inosservata se non ci si pensa e tutti gli elementi novembrini sembrano ancora lì ad aspettarci, da ben otto anni. La voce sognante, la potenza melodica di chitarre piene e liquide, una lieve ma epica accelerazione con un 4/4 marziale e trascinante scavato nel profondo da uno scream assassino e seguito da un assolo mirabolante di Pagliuso; tutto bellissimo! Ma non è finita, perchè il brano si tranquillizza di nuovo e ricresce ancora, in un continuo succedersi di emozioni e cambi d’atmosfera repentini. E il tutto senza che si senta l’ombra di un cosiddetto ritornello da cantare. Un’opener eccezionale, ottima!
02. THE ROSE (05:32)
Un breve cantato a cappella di Carmelo, dal lieve afflato arabeggiante e solamente accompagnato da un arrangiamento effettistico, introduce alla successiva “The Rose”, che presto si concede possente ed ondeggiante all’ascoltatore. Un intreccio raffinato e curatissimo di chitarre soliste e ritmiche fa da base ad una strofa in scream e ad una straziante linea vocale pulita che, essendo quest’ultima trade-mark tipico della band, ricorda inevitabilmente diversi episodi del passato dei Novembre, da “Novembrine Waltz” a “The Blue”. Qui il lavoro solistico alla sei-corde è davvero notevole e si ritaglia i propri spazi in diversi momenti del brano, che si chiude pacandosi e tornando alla sola voce e allo sciabordio di onde che aveva introdotto il pezzo precedente. Da segnalare un intermezzo quasi tribalistico ed ipnotico, in cui percussioni campionate generano un mood inedito per la band. Meno violento ed epico di “Australis”, “The Rose” si erge come rosa delicata al di sopra di un rovo di spine. Episodio a cui va dato il tempo di crescere, dotato di un rifframa incantevole.
03. UMANA (05:48)
Il pezzo presentato come apripista del disco tramite un lyric video. Nonostante siano presenti importanti parti in screaming vocals, l’atmosfera avvolgente la traccia “Umana” è finora quella più dolceamara e, a tratti, pigra. Ci sono tanti effetti usati, soprattutto voci registrate che declamano versi, un notevole uso di keyboards a tappeto – ascoltate tutto il finale in crescendo – e il brano resta come in sospeso tra la volontà di salpare verso lidi infernali e il piacere di restare a crogiolarsi in un limpido e terso panorama paradisiaco. Carmelo Orlando svaria tra diversi timbri vocali e il seguire le sue evoluzioni porta il fruitore a perdersi in soundscape nostalgici, creandosi un’empatia tutta personale con il momento d’ascolto. Lo stacco in crescendo a metà canzone è davvero piacevole e prelude ad un termine pieno d’enfasi. Anche questo è un episodio che va ascoltato bene e più volte, non presenta picchi emotivi elevatissimi, bensì segue un iter di sensazioni uniforme e pacifico, che ammalia con calma.
04. EASTER (05:02)
Il primo brano davvero ‘orecchiabile’ di “URSA” è la quarta traccia “Easter”, dotata di un riffing a cascata imperioso e melodicamente classico e di clean vocals immediate, penetranti e da canticchiare subito, anche senza conoscere le esatte parole del testo. D’altronde si sa, le lyrics di Carmelo vengono scritte in ultima battuta, quando le linee vocali sono state tutte formate attraverso dei pre-cantati senza parole. Ottimo anche il particolare, e per certi versi innovativo, arrangiamento di tastiere presente: d’accompagnamento al fragoroso diluvio di note, sembra un tintinnio incantato e ipnotico, quasi a ricordare un carillon suonante a tripla velocità. Giunti a questo punto, si nota piuttosto chiaramente come su “URSA” le parti di batteria non siano prominenti come accadeva in passato: sicuramente Folchitto compie un buon lavoro, ma la componente schizoide del drumming di Giuseppe Orlando non è proprio sostituibile, né pensiamo fosse volontà del duo farlo. Nella parte centrale, il brano ha una pausa riempita da un riffone à la Novembre, subito doppiato da un suo simile e da una ripartenza più marziale e urlata, che poi prosegue melodiosa con lo stesso incedere della prima metà della canzone. Sebbene con “Easter” ci si trovi davanti all’episodio più fruibile del disco, anche in questi cinque minuti una sufficiente dose di violenza è assicurata. Promosso alla grande.
05. URSA (05:49)
Simile per atmosfera e tiro alla precedente track, “URSA” è però, almeno finora, l’highlight assoluto del nuovo album dei Novembre assieme al brano d’apertura. Il riffing è costante e avvolgente, con svariate sovraincisioni di chitarre ‘soliste’ a creare un muro melodico e dinamico davvero meraviglioso. Non siamo però di fronte ad una canzone dal sapore nostalgico e memore di tempi andati, perlomeno non del tutto. C’è sentore di rinascita in questa track e l’evolversi delle note è quello di un canto folkeggiante alla speranza, sorta dopo una notte fredda. L’alternanza di scream e clean vocals raggiunge vette elevate, sia per intensità del cantato che per armoniosità delle linee. A tratti sembra vengano addirittura richiamati masterpiece del calibro di “Distances” ed “Everasia”! A metà brano, tutto sembra fermarsi; ma è un fuoco di paglia, in quanto i Novembre concedono solo un inspiro all’ascoltatore per poi ripiombarlo immediatamente nel mood catartico e onirico della title-track di “URSA”, lavoro che giunge alla sua metà in modo encomiabile. Fine primo tempo e applausi.
06. OCEANS OF AFTERNOONS (05:44)
La seconda parte di “URSA” si apre con un brano amarognolo e languido, fin qui decisamente il pezzo più pacato e ‘leggero’. “Oceans Of Afternoons” è difatti il primo episodio dell’album a non presentare né screaming vocals, né tempi sostenuti di rilievo. Lungi comunque dall’essere una ballata e neanche associabile al concetto di semi-ballata, è ‘semplicemente’ una traccia dei Novembre dall’incedere trascinato e quasi annoiato, con sì diversi cambi di tempo ma mai spezzanti con decisione il mood sonnacchioso del tutto. Associando titolo e musica, è facile immaginarsi distesi su una spiaggetta intenti a rimirare il mare primaverile di pomeriggio, pisolando vagamente e viaggiando con l’immaginazione. Quando il brano sembra terminare, ecco una chiosa elegantissima con un azzeccato assolo di sassofono che, se non ci inganna la memoria, prende le sembianze del primo sax ad essere presente in un pezzo del gruppo. Circa sei minuti di classe pura, per questa “Oceans Of Afternoons”.
07. ANNOLUCE (06:19)
Dopo la parentesi leggiadra di “Oceans Of Afternoons”, si giunge rapidamente ad un altro momento topico del nuovo lavoro targato Novembre. “Annoluce”, che dà anche il titolo all’EP omaggiato ai primi fan ad accaparrarsi “URSA” tramite pre-order, è una bomba di adrenalina e dinamismo, episodio dall’andatura sostenuta – non velocissimo, ma un up-tempo a tratti travolgente e sempre vigoroso – che lascia stupiti per la rinnovata freschezza del songwriting di Carmelo. Avrete letto sicuramente in giro che in questo brano si può udire un assolo di Anders Nystrom, chitarrista e compositore dei Katatonia, ma la realtà è che – pur essendo il solo piacevole e ben realizzato – l’attenzione del fruitore è catalizzata da tutto ciò che precede e segue l’ospitata di Blakkheim: un riffing vorticoso e incessante, un David Folchitto che detta i tempi in maniera ‘semplice’ ma energica ed una serie incredibile di spaventose linee vocali, per cadenze melodiche e piena emotività. Chiude il tutto un pattern di tastiere a fungere da collegamento alla canzone seguente. Una di quelle tracce, “Annoluce”, le cui fruizioni vi troverete a ripetere una dietro l’altra con poche soste. Tiro live assicurato, sperando che i Novembre la propongano dal vivo anche senza Nystrom.
08. AGATHAE (09:26)
“Agathae” è, fino a questo momento, il brano più spiazzante di tutti. Non che i Novembre non abbiano mai composto strumentali – “Photograph”, “Foto Blu Infinito” – oppure semi-strumentali – l’indimenticabile “Valentine”, “Zenith” – però in questo caso, oltre a prolungare la tradizione in tal senso, la band ci stupisce in pieno tramite l’utilizzo di una pletora di soluzioni, qualcuna praticamente mai usata prima. Se il lungo incipit di due minuti e mezzo, un crescendo acustico d’ipnosi e rara soavità, è materiale solitamente maneggiato dai Nostri, così come il giretto folk a seguire, all’arrivo di un riff acido e spezzato prima e di un groove thrash à la Soulfly poi, ecco che si strabuzzano un po’ gli occhi e ci si chiede ‘ma che è?’. Difatti il brano, pur risultando piacevole, ci pare un po’ slegato e troppo ambiguo, pregno di continui sbalzi d’umore che lo fanno sembrare quasi un puro divertissement del duo/quartetto più che un tentativo di incastonare un ennesimo gioiello in una parure musicale d’eccezione. Insomma, lievemente interdetti da questo vagabondare tra sonorità anche poco Novembrine, ci riserviamo un giudizio più fiducioso per la recensione vera e propria. Fuori dagli schemi.
09. BREMEN (06:18)
Arriva dopo la lunga e interrogativa “Agathae” il nono pezzo di “URSA”, intitolato “Bremen”. Si parte con un corto intro in crescendo di volume, contornato dai classici lamenti vocali di Carmelo, per poi approdare ad un’esplosione piuttosto immediata tramite un up-tempo quadrato e da headbanging, guidato da un riff portante un po’ ‘storto’ e che ricorda qualche trovata di “Classica”. Si alternano bene scream e clean vocals evocative, per un episodio che segue più da vicino la tipica forma-canzone strofa-bridge-ritornello. Bello e sentito il breve solo chitarristico, mentre nella parte finale la traccia si fa roboante e thrashy, con un bel groove a fare da tappeto per effetti vocali e una prima chitarra ipnotica e ripetitiva. “Bremen” è dunque un brano piuttosto fruibile e scorrevole, che non vedremmo male anche come singolo, sebbene la sua posizione in tracklist lo penalizzi un bel po’.
10. FIN (07:16)
E infine, alla fine di questo lungo percorso, si giunge al brano che decreta la fine del disco, intitolato “Fin”. Dopo questa stupida e voluta serie di ripetizioni, possiamo dirvi che il pezzo in questione fa cadere il sipario in maniera più che onorevole su “URSA”: aperto da un intenso e dolce incipit di voce e chitarra, “Fin” parte deciso con un bel tempo quadrato e vivace, sul quale sovraincisioni di riff e vocalizzi creano svariati substrati d’emozionalità. La scorrevolezza del brano è ottima, il rifframa chitarristico supportato da un avvolgente tappeto di tastiera è al solito pregevole, mentre il punto di forza, in questa occasione, pare essere l’utilizzo contemporaneo – che dona al tutto un effetto più epico e struggente – di clean e scream vocals. La pausa atmosferica effettistica precede di poco l’ultimo denso minuto e mezzo di canzone, che ci lascia con un urlo di Carmelo, una cavalcata possente e melodica e uno sfumo lanciato ad abbandonarsi nel silenzio di un riverbero. Un accomiatarsi delizioso per i rinati Novembre, dunque.
Tirando qualche brevissima somma da questo primo paio di fruizioni, si può anticipare che la band di Carmelo Orlando e Massimiliano Pagliuso abbia partorito un più che degno successore dei suoi lavori precedenti. Non pare esserci un disco a cui questo “URSA” si possa strettamente legare, ma se dovessimo fare dei nomi forse citeremmo “Novembrine Waltz” e “The Blue”. E’ chiaro comunque che l’album porta tatuato il trade-mark Novembre come non mai. Voce e chitarra paiono nettamente in primo piano e l’assenza di Giuseppe Orlando alle pelli forse si sentirà maggiormente sulla lunga distanza, quando si riusciranno ad apprezzare anche gli interventi della sezione ritmica Fraschini/Folchitto, capace e ottima, ma anche tenuta un po’ in secondo piano nel mixing e mastering finale. Appuntamento per un approfondimento, dunque, alla recensione vera e propria, tra qualche settimana sempre qui!