Se gli anni d’oro del calcio sono quelli del grande Real (cit.), allo stesso modo si può dire che l’età dell’oro dell’hard rock, complice l’esplosione di MTV, sia sempre datata nei magnifici anni Ottanta del boom economico e degli show sempre più pirotecnici, partendo dai pionieri Van Halen, Twisted Sister e Quiet Riot per arrivare a fenomeni di massa del calibro di Motley Crue, Guns ’N Roses e Bon Jovi, ancora oggi in grado di scalare le classifiche e riempire gli stadi.
Se questi grandi nomi sono ancora in heavy rotation sui palinsesti delle radio generaliste – sia con i capolavori del passato che con le ultime produzioni – ci sono un miriade di band altrettanto valide cui il destino ha riservato alterne fortune, tra chi ha lasciato prematuramente questa terra e chi ancora oggi si barcamena nei piccoli club in memoria dei tempi andati, prima che l’uragano grunge trainato dai Nirvana spazzasse via un decennio di lustrini e pailettes.
Con questo spirito siamo dunque andati a riscoprire una decina di piccoli o grandi capolavori più o meno trascurati – nella quasi totalità dei casi album d’esordio – con l’augurio di riportare un po’ di stelle sulla polvere posatasi sopra essi, sia per chi ha vissuto quelli anni sia per chi invece vuole conoscere da vicino la scena losangelina dell’epoca.
Consapevoli di aver sicuramente omesso altrettanti dischi meritevoli – alcuni perchè già presenti in archivio, altri per gusti personali o per motivi di spazio – buona lettura a voi e sentitevi liberi di aggiungere i vostri preferiti nei commenti.
RATT – Out Of The Cellar (Atlantic, 1984)
Chiedimi chi erano i Ratt. Ci permettiamo di parafrasare una canzone degli Stadio (nel caso specifico riferito ai Beatles) per introdurre una delle formazioni più in auge nella scena hair metal degli anni Ottanta… (CONTINUA)
WHITE LION – “Fight To Survive” (JVC, 1985)
Quando si pensa alla scena hard rock degli anni Ottanta è facile identificarla con gli eccessi di molti dei suoi protagonisti – dai party selvaggi dei Motley Crue al look assurdo dei Poison, passando per l’attitudine auto-distruttiva dei Guns ’N Roses o le scenografie scioccanti dei WASP – ma nello stesso decennio c’era anche chi faceva parlare di sé solo per meriti musicali, portando avanti il percorso iniziato dai Van Halen in quello che sarebbe poi stato definito ‘class metal’… (CONTINUA)
TESLA – “Mechanical Resonance” (Geffen Records, 1986)
Quando si parla della scena hair metal anni Ottanta, il nome dei Tesla non è certo tra i primi che vengono in mente – dietro non solo ai mostri sacri Motley Crue, Bon Jovi e Poison, ma anche ai vari Ratt, Cinderella, Dokken, Skid Row, Warrant, White Lion e compagnia cantante – forse per il look meno appariscente rispetto ai contemporanei o per una certa ritrosia della stessa band, che ha sempre preferito definirsi hard rock… (CONTINUA)
FASTER PUSSYCAT – “Faster Pussycat” (Elektra, 1987)
Nel 1987 uscì un certo “Appetite For Destruction” (di cui potreste aver sentito parlare…), insieme ad altri album multiplatino come “Hysteria” dei Dead Leppard o “Pride” dei White Lion, quindi non stupisce che l’omonimo debutto dei Faster Pussycat – chiamati così in onore del film “Faster, Pussycat! Kill! Kill!”, cult degli anni Sessanta – sia passato più o meno in sordina, arrampicandosi a stento ai margini della Billboard Top 100 nonostante il supporto di una major come la Elektra… (CONTINUA)
KIX – “Blow My Fuse” (Atlantic, 1988)
Dal Maryland con furore. Se l’epicentro della scena glam è storicamente collocato a Los Angeles, con un’appendice a New York sulla costa est, i Kix sono riusciti nella non facile impresa di conquistare le luci della ribalta internazionale partendo dalla piccola città di Hagerstown, dove muovono i primi passi come cover band… (CONTINUA)
L.A. GUNS – “L.A. Guns” (Vertigo, 1988)
Avete presente la serie “What If” della Marvel? Ecco, così come se Dave Mustaine fosse rimasto nei Metallica forse avremmo avuto una versione migliore dei Four Horsemen (o forse no?) ma sicuramente non avremmo avuto i Megadeth, allo stesso modo se Tracii Guns fosse rimasto insieme ad Axl Rose non avremmo gli L.A. Guns come li conosciamo, ed in entrambi i casi sarebbe stato un vero peccato… (CONTINUA)
WINGER – “Winger” (Atlantic, 1988)
Poveri Winger. Non erano certamente i più famosi, né i più eccentrici o imbucati della pur variopinta scena hair metal degli anni Ottanta, eppure furono prima bullizzati da Lars Ulrich – che nel video di “Nothing Else Matters”, praticamente trasmesso in mondovisione a reti unificate, prende a freccette il poster di Kip Winger – e poi da “Beavis & Butthead”, cartoon cult di MTV in cui il personaggio più sfigato, Stewart, veste una loro maglietta in contrapposizione a quelle di Metallica e AC/DC dei protagonisti… (CONTINUA)
WARRANT – “Dirty Rotten Filthy Stinking Ritch” (Columbia, 1989)
Sebbene siano arrivati al grande pubblico ai titoli di coda del decennio – nonché dell’intero movimento glam, spazzato via un paio d’anni dopo dal ciclone grunge – i Warrant non sono certo una band di ragazzini messi sotto contratto dalla major di turno per cavalcare l’onda del momento, anzi... (CONTINUA)
PRETTY BOY FLOYD – “Leather Boyz with Electric Toyz” (MCA, 1989)
A vederla con la sensibilità di oggi, una copertina come quella di “Leather Boyz With Electric Toyz” fa sorridere, ma nei coloratissimi anni Ottanta era ‘business as usual’, tanto che i neonati Pretty Boy Floyd, dopo una manciata di show sul Sunset Strip, vengono messi sotto contratto dalla major di turno… (CONTINUA)
BANG TANGO – “Psycho Café” (MCA, 1989)
A giudicare dalle apparenze (moniker ridicolo, artwork pacchiano, contratto con la MCA ottenuto senza un minimo di gavetta) i Bang Tango potrebbero sembrare l’ennesimo gruppo rastrellato a fine anni Ottanta dalla major di turno per cavalcare il successo di Poison o Bon Jovi, ma per quanto le intenzioni fossero verosimilmente quelle il loro album d’esordio, “Psycho Café”, ha un ruolo più importante di quanto i risultati di vendita (un onorevole ma non eccezionale cinquantottesimo posto in classifica) lascino pensare… (CONTINUA)