A cura di Andrea Intacchi
Che non abbiano avuto lo stesso successo dei Maiden è più che assodato; che siano altrettanto conosciuti come la Vergine di Ferro di Mr. Steve Harris sinceramente lo dubitiamo, ma se proprio dobbiamo citare un nome che meglio identifica la fedeltà e l’approccio alla New Wave Of British Heavy Metal, quello dei Saxon è il primo della lista.
Al servizio del ‘denim & leather’ da oltre quarant’anni, il quintetto britannico guidato dall’intramontabile Biff Byford è pronto a rilasciare, il prossimo 19 gennaio, la ventiquattresima pubblicazione discografica: “Hell, Fire and Damnation”, a celebrazione dell’antica diatriba tra il bene e il male.
Un album che – ve lo diciamo subito – segue le orme di quanto già proposto nel recente passato, da “Battering Ram” in poi per intenderci. Nessuna sorpresa o delusione, in pratica: c’è tutto quello che ci si può aspettare da una band come quella inglese; e questo, nonostante l’età media riportata sulla carta d’identità del gruppo superi i sessantacinque anni. Da Byford a Glocker, da Scarratt a Carter, sino Brian Tatler, i cinque musicisti ci hanno mostrato per l’ennesima volta di sapere il fatto loro, manifestando, pur con qualche calo creativo in fase di arrangiamento, il sinonimo di garanzia heavy metal.
Sì, avete letto bene: tra i nomi manca quello storico di Paul Quinn il quale, dopo aver annunciato l’addio ai tour lo scorso marzo, sembra ormai aver chiuso definitivamente il discorso con i Saxon anche sul piano delle registrazioni. Al suo posto quindi – diremmo ufficialmente – il buon Tatler, già all’opera con Biff and company negli ultimi show estivi (come avvenuto al Rock In Luppolo) ed ora impegnato anche in studio. Ma… non temete, il tocco di Quinn, nel nuovo disco, appare ancora qua e là.
E allora, armiamoci a dovere e prepariamoci ad un nuovo duello tra gli angeli e i demoni, attraversando, tra le altre, le vicende storiche legate a figure come Maria Antonietta e Kubla Khan, alla battaglia di Hastings o ai processi alle streghe di Salem, in attesa del prossimo aprile, quando i leoni dello Yorkshire saliranno on stage, in quel di Milano, in compagnia dei Judas Priest e dell’ex Motörhead Phil Campbell insieme ai suoi Bastard Sons.
SAXON
Biff Byford – voce
Nigel Glockler – batteria
Nibbs Carter – basso
Doug Scarratt – chitarra
Brian Tatler – chitarra
HELL, FIRE AND DAMNATION
Data di uscita: 19/01/2024
Etichetta: Silver Lining Music
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01. The Prophecy (01:24)
E’ l’ugola baritonale dell’attore inglese Brian Blessed ad infrangere un’atmosfera cupa e misteriosa, dove un ringhio mostruoso e maligno si insinua tra note d’attesa, intrise d’inquietudine ed apprensione.
“From the beginning of time, the powers of good and evil have been battling for our souls…”: così inizia la profezia dell'”Hell, Fire and Damnation”, dichiarazione di quell’eterna lotta tra il bene e il male, tra la luce e l’oscurità, in cui ognuno di noi è chiamato schierarsi. E’ con questo tonante avviso che prende avvio il capitolo numero ventiquattro dei Saxon.
02. Hell, Fire And Damnation (05:33)
Riprendendo i tratti della schiera battagliera riportata nella cover firmata da Péter Sallai (già mastermind della black metal band ungherese dei Bornholm), la titletrack del nuovo album è stata anche la prima traccia ad essere lanciata come singolo.
Facendo un rapido confronto con le ultime uscite dei Saxon, “Hell, Fire and Damnation” si presenta con toni più celebrativi rispetto per esempio alla più slanciata “Carpe Diem”, alla terremotante “Thunderbolt” o, ancora, alla ruffiana “Battering Ram”: è il classico midtempo alla Saxon a delineare le varie strofe, dove l’Anticristo e il Nazareno fanno a botte a suon di riti satanici e sacre preghiere, prima dello stacco corale ad aprire il refrain.
Ed è forse a questo punto che ci si attenderebbe un qualcosa di più grintoso e ritmato: “Hell, Fire and Damnation” viene invece cadenzato ulteriormente, in modalità sermone, indebolendo leggermente l’hype generale; caratteristica, questa, che troveremo anche in altri episodi a venire. Una buona opener comunque, non memorabile forse, ma che ci mostra una band per la quale la parola ‘garanzia’ è assolutamente un marchio di fabbrica indelebile.
03. Madame Guillotine (05:25)
Troviamo al terzo posto della tracklist uno dei pezzi più intriganti del disco: una ballata rocciosa che fa il filo (è proprio il caso di dirlo) ad uno degli strumenti di tortura più celebri della storia contemporanea.
È il basso tagliente di Carter a dare il via a “Madame Guillotine”, sottolineando il panico della vittima di turno mentre si reca al patibolo prima del fatidico ‘zac’: da lì, un semplice ed affascinante riff, ad accompagnare la narrazione di Biff Byford, armoniosa ed ammaliante al punto giusto.
“Just let me introduce you, to Madame Guillotine; should be please to meet you, but please don’t lose your head“: sono questi i toni rivoluzionari messi in musica dal gruppo britannico, scegliendo così l’aspetto più sinuoso di questa macchina letale e di una delle figure storiche più famose ad essa legata, quella della regina Maria Antonietta.
Brano che porta con sé anche una pausa centrale, condita da un breve assolo malinconico, prima di riprendere la solenne marcia funebre verso l’esecuzione capitale. Pezzo, crediamo, che troverà spazio nelle prossime uscite live della band.
04. Fire And Steel (03:37)
Vi mancava la canonica speed song dei Saxon? Niente paura, eccovi serviti!
“Fire And Steel” segue perfettamente la linea tracciata dall’ultima “Living On The Limit” e prima ancora da “They Played Rock and Roll”: ergo, si segue l’incedere del Motörhead sound. E’ la coppia Carter-Glockler a tirare le fila del brano, con il secondo in particolare a fare la voce grossa, menando a destra e a manca per la tipica corsa di doppia cassa, ad irrobustire i grezzi riff sguinzagliati dal duo Scarrett-Quinn; come confermatoci infatti dallo stesso Biff in sede d’intervista (in arrivo nel prossimo mese, ndr), il mitico Paul ha nuovamente lasciato il suo segno all’interno del nuovo disco.
Tornando al pezzo in questione, rinvigorito a dismisura dalla produzione ‘priestiana’ di Andy Sneap, i tre minuti di “Fire And Steel” chiamano all’headbanging più genuino e salutare: dritto per dritto, in modalità pilota automatico, le due chitarre si divertono a dileguarsi in sede di assolo, prima che il capobanda Byford riprenda le redini del discorso, ad aprire l’ultimo assalto.
05. There’s Something In Roswell (04:10)
Con un brevissimo inizio alla “Silver Machine” di psichedelica memoria, prende avvio “There’s Something In Roswell”. Nessun segreto, a dispetto del suo titolo, circa l’argomento affrontato, e cioè le vicende avvenute nella cittadina del New Mexico nel 1947.
Esageriamo nel dire che il pezzo è una versione 2.0 di “Solid Ball Of Rock”? Forse, ma l’adattamento di fondo riporta alla hit del ’91, con meno melodia rock e un tasso maggiore di groove, ma i livelli sono più o meno quelli. Brano solido, con un affievolimento di tono, guarda caso, proprio sul refrain, un po’ troppo stazionario e sull’altro versante poco aggressivo. Di spessore invece, lo spazio centrale dedicato alle due chitarre, bello corposo ed articolato, testimoniando l’amalgama venutasi a creare tra Doug ed il ‘nuovo’ arrivato Tatler.
06. Kubla Khan And The Merchant Of Venice (04:16)
Se dovessimo scegliere un altro brano degno di nota, il nostro orecchio andrebbe sicuramente ad ascoltare “Kubla Khan And The Merchant Of Venice”. Vuoi una punta di patriottismo, ad omaggiare il nostro Marco Polo, mercante di Venezia, vuoi soprattutto la solidità, la compattezza e la giusta orecchiabilità, il sesto brano in scaletta, si erge come pezzo heavy al 100%. Ingredienti basilari quelli elencati, ma nemmeno così scontati, ed è su questo tassello che i Saxon poggiano la loro infinita esperienza.
Il riff grintoso che apre “Kubla Khan” ci porta dritti dritti, seguendo le orme del viaggiatore veneziano, verso un refrain arioso, dalle tinte power, ad anticipare la stoccata di Biff “…merchant of Venice“. Questa scarica di energia, alimentata dal coinvolgente stacco strumentale, è utile a donare maggior enfasi alla ripresa del copione trainante.
07. Pirates Of The Airwaves (03:57)
Si muove su lidi più cadenzati “Pirates Of The Airwaves”, con ritmiche alla AC/DC, in realtà poco articolate ed efficaci.
Non vi sono infatti grossi scossoni all’interno del pezzo, il quale scorre via un po’ nell’anonimato, risultando nella sua globalità modesto ed interlocutorio; il più debole, in sostanza, rispetto agli altri otto (intro esclusa ovviamente), proprio per la sua staticità. Aldilà del suo anthem corale, raccoglie qualche punto in sede di assolo ma, in definitiva, “Pirates Of The Airwaves” non riesce ad incidere a dovere.
08. 1066 (04:04)
I Saxon sul piede di guerra? Proprio così: spostano il tiro sul versante storico chiamandosi in un certo senso in causa.
L’anno è il 1066, la battaglia è quella di Hastings: a sfidarsi l’esercito normanno capitanato dal duca Guglielmo e quello sassone guidato dal re Aroldo, per una sfida che porterà lo stesso Guglielmo a conquistare l’Inghilterra.
A narrare lo scontro ci pensano Biff e compagni, con un brano che rimanda, come arrangiamento, alla più recente “Predator”, grazie ad un riff oscuro e al suo incedere da marcia sostenuta, con Byford a ruggire nel microfono , salvo attenuare il timbro nel “ten sixtysix“, che marchia a fuoco il fatidico combattimento. Roboante e sostenuto, a sottolineare le avanzate dei due contendenti, “1066” si fa preferire nel corso delle varie strofe, risultando al termine dell’ascolto uno degli episodi migliori di “Hell, Fire and Damnation”.
09. Witches Of Salem (05:11)
Il doppio colpo di Nigel Glockler, nella veste occasionale di giudice, mentre urla strazianti si fanno largo nei nostri timpani: così prende il via “Witches Of Salem”, con la propria andatura investigativa, ricalcando a grandi linee il canovaccio tracciato dalla precedente “Pirates Of The Airwaves”.
Lenta e passionale, è la lunga agonia raccontata con decisione da Biff, seguendo passo dopo passo la crudele storia di coloro che vennero accusati di stregoneria alla fine del ‘700 nel famoso villaggio americano.
La tensione acquista vigore grazie al cambio di ritmo in prossimità del refrain che però, purtroppo, pecca nuovamente di ispirazione, andandosi così ad appiattirsi sulla perpetua ripetizione del titolo stesso del brano. Anche in questo caso, la sezione dedicata all’intervallo strumentale si fa notare per l’enigmatico tratto indagatore che contraddistingue l’intero pezzo, aprendo di nuovo il varco per la parte finale del brano.
10. Super Charger (04:48)
“Hell, Fire and Damnation” si chiude nella maniera più ottimale, e cioè con cinque minuti scarsi durante i quali l’acciaio griffato ‘eighties’ trasuda da cima a fondo da ogni poro, impacchettando un pezzo intriso di tutti i crismi del sound dei Saxon.
Il riff impeccabile (qui troviamo il secondo contributo di Quinn), la tempestività di Glockler, la delizia vocale di Biff mettono il sigillo sul decimo episodio del nuovo disco. Forse non così frizzante in tema di refrain, alla lunga un po’ troppo ridondante, esso ha però ha la capacità di identificarsi come il classico brano ‘on the road’, da piazzare nello stereo della propria auto e lasciarlo andare in tutta la sua spontaneità.
Favorita in tal senso da una certa sfacciataggine delle strofe, combattive ed energiche, e dallo stentoreo stacco centrale, “Super Charger” macina a dovere in fatto di adrenalina, ricaricando, guarda caso, le batterie in vista dell’ultimo miglio.