A cura di Giacomo Slongo
Dopo una serie di première in tutto il mondo, tra cui quelle all’Obscene Extreme e al Full Terror Assault, “Slave to the Grind – A Film About Grindcore” si accinge a sbarcare in Italia per una proiezione esclusiva al Santeria Paladini 8 di Milano. In previsione dell’evento, fissato per sabato 29 settembre, Metalitalia.com offre ai suoi lettori uno speciale su quello che è già il documentario musicale dell’anno, seguito da un’intervista al regista Doug Robert Brown…
Grindcore. Il suono dei bassifondi, dei centri sociali, della lotta contro i paradigmi del sistema. Un genere nato dal basso e che da lì non si è mai voluto allontanare, giungendo fino a noi dagli anni Ottanta senza perdere nulla della sua carica polemica e distruttiva. Uno stile di vita – prima ancora che un’etichetta musicale – coniato da leggende come Napalm Death, Repulsion e Terrorizer e abbracciato nel corso dei decenni da uno stuolo infinito di band, il cui messaggio di protesta non può essere considerato meno importante dell’amalgama di hardcore-punk e metal estremo vomitato abitualmente a folle velocità sull’ascoltatore.
Doug Robert Brown, già autore dei documentari “Never Enough” (2014) e “The Death of Indie Rock” (2008), ne dipinge il mondo e ne ripercorre parzialmente gli sviluppi storici su una scia di immagini che ha l’indubbio pregio di restituire questo filone in tutta la sua crudezza e urgenza, dando voce tanto ai cosiddetti padri fondatori (Shane Embury, Scott Carlson, Dan Lilker, ecc.) quanto a musicisti di realtà meno celebrate come Beau Beasley degli Insect Warfare, Jon Chang dei Discordance Axis o Mel Mongeon dei Fuck the Facts.
Il risultato finale – merito di un montaggio che alterna sapientemente le suddette interviste a stralci di vita quotidiana, live e animazioni – regge con disinvoltura i cento minuti di durata dell’opera, e non sembra interessato a svolgere una funzione puramente pedagogica e didascalica; il discorso sul grind viene sì affrontato dagli albori di “Scum” e “Horrified” fino ai giorni nostri, dando anche spazio a varie ramificazioni stilistiche, ma al centro di tutto vi è sempre il trascorso degli attori chiamati in causa, la loro storia e ciò che ne consegue da un punto di vista umano. Non è un caso che vicende come quelle di Mieszko Talarczyk dei Nasum, scomparso tragicamente nella tsunami asiatico del 2004, o di Seth Putnam, controverso frontman degli Anal Cunt, occupino molto più spazio del capitolo Carcass (!!!), per una scelta audace che potrebbe di contro disorientare chi si avvicina all’opera con lo scopo di ricevere un’infarinatura esaustiva su questa particolare branca dell’heavy metal.
In definitiva, un film-documentario avvincente e non convenzionale. Uno sguardo senza filtri sui valori e sulle tensioni di quello che per molti è (e sarà sempre) rumore assordante. Still not loud enough! Still not fast enough!
FROM ENSLAVEMENT TO OBLITERATION – Intervista a Doug Robert Brown
CIAO DOUG, BENVENUTO SULLE PAGINE METALITALIA.COM. PER COMINCIARE, COM’E’ NATA L’IDEA DI QUESTO PROGETTO?
– L’idea mi è venuta ad un concerto dei Lock Up. Stavo guardando Nick Barker suonare la batteria, quando ho pensato che mi sarebbe piaciuto un documentario sull’argomento. Per certi versi i Lock Up non sono al 100% una band grind, incorporando molti elementi black metal nel loro sound, e questo dettaglio mi ha fatto capire che c’era bisogno di un film che approfondisse meglio il genere. Direi che è stata questa cosa a dare il via al progetto.
QUANTO TEMPO CI E’ VOLUTO PER REALIZZARE “SLAVES TO THE GRIND” METTENDO INSIEME TUTTO IL MATERIALE?
– Quattro anni. I quattro anni più intensi e duri della mia vita.
E’ STATA LA TUA PRIMA ESPERIENZA CON UN FILM-DOCUMENTARIO?
– “Slave to the Grind” è la mia terza opera dietro la macchina da presa. Il primo documentario su cui ho lavorato si intitolava “Two Summers in Kosovo”, e ne avevo composto la colonna sonora. Negli anni ho recuperato molti prodotti di raw footage, finendo per innamorarmi della tecnica dell’intervista. Ero già stato attore in un film, per cui potevo contare su una certa familiarità con il processo di ripresa.
PERCHE’ IL GRINDCORE? COSA TI AFFASCINA DI QUESTO GENERE?
– Sono un batterista. Se guardassi la mia collezione di CD troveresti generi come il funk, il soul, il jazz, il death metal e ovviamente il grind. Sono sempre stato attratto dalle band di musicisti tecnicamente molto preparati, e il grindcore è la perfezione per quanto concerne il lavoro di batteria. Brevi esplosioni catartiche mescolate ad un’imponente musicalità.
IL FILM NON SI CONCENTRA SOLTANTO SU NOMI STORICI COME BRUTAL TRUTH, NAPALM DEATH O REPULSION, MA DA’ AMPIO SPAZIO ANCHE A GRUPPI DI NICCHIA. UNA SCELTA CHE HO APPREZZATO PER QUANTO RISCHIOSA. PENSI CHE UNO DI QUESTI POSSA ESSERE PARAGONATO AI MAESTRI?
– Penso che il grindcore sia uno di quei generi fantastici in cui le persone non si paragonano l’una all’altra. Non c’è spazio per l’ego nel grind, e non importa quanto ‘grande’ sia la tua band. Quasi ogni giorno è possibile imbattersi in giovani band che danno l’anima sul palco di spazi autogestiti e completamente DIY. Questo è tutto, l’unica cosa che conta!
QUALI SONO STATI I MUSICISTI PIU’ INTERESSANTI DA INTERVISTARE? A PRESCINDERE DALLA LORO IMPORTANZA STORICA…
– Scott Carlson, Tim Morse e i ragazzi degli Archagathus!
IL FILM SI CONCENTRA ANCHE SULL’ASPETTO LIRICO DEL GENERE; E’ POSSIBILE SECONDO TE SCINDERE I TESTI DALLA MUSICA?
– E’ una dicotomia molto difficile. Non credo che la politica possa essere separata da questa musica. Puoi avere una band che non affronta certi argomenti, e va bene, ma si parla di un qualcosa troppo radicato nella storia del genere per essere ignorato.
COSA NE PENSI DELL’OBSCENE EXTREME, FORSE L’EVENTO GRIND NUMERO UNO AL MONDO? SEI MAI STATO AD UNA DELLE EDIZIONI EUROPEE?
– Sono appena tornato dall’edizione del ventesimo anniversario. Fantastica. Ho avuto la fortuna di partecipare all’edizione canadese di qualche anno fa, e anche se è stata molto divertente, niente è paragonabile alla Repubblica Ceca. Curby è il miglior organizzatore di festival al mondo, e suggerisco caldamente a tutti di andarci almeno una volta nella vita.
UNO DEI MOMENTI PIU’ TOCCANTI DEL FILM E’ SENZA DUBBIO LA PARTE DEDICATA A MIESZKO TALARCZYK, COMPIANTO LEADER DEI NASUM… COME TI CI SEI APPROCCIATO?
– Dal primo giorno di lavorazione sapevo di dover permettere alla band di raccontare questa storia. Abbiamo intervistato molte altre persone su quel meraviglioso cantante che era Mieszko, ma alla fine abbiamo deciso di eliminare tutto. Volevo che fossero quelli più vicini a lui a parlarne, e questo era il miglior modo per farlo.
IL GRIND E’ UNITA’, COMUNIONE ALL’INTERNO DELLA SCENA… MA ANCHE TERRENO DI SCONTRO VIOLENTISSIMO, BASTI PENSARE AL CASO DI SETH PUTNAM E DEGLI ANAL CUNT. LE LORO VICENDE HANNO UN RUOLO FONDAMENTALE NEL FILM. QUAL E’ LA TUA POSIZIONE AL RIGUARDO?
– Tendo a non esprimere le mie opinioni. Penso sia meglio garantire allo spettatore una visione imparziale. Chi vedrà questo film noterà subito quanto è neutrale. E’ un aspetto molto importante per me. Forse dirò le mie opinioni tra qualche anno, quando tutti lo avranno visto!
COS’HAI IMPARATO LAVORANDO A QUESTO FILM?
– Ho imparato moltissime cose sul processo di filmmaking. Abbiamo deciso di trascrivere ciascuna delle nostre interviste sul timecode, e anche se si è trattato di un lavoro estenuante ci ha permesso di scrivere uno storyboard incredibile. Avrà aggiunto almeno sei mesi di lavorazione, forse nove. Suggerirei a tutti i registi di documentari di concentrarsi sulla storia prima ancora di iniziare a tagliare.
IN CONCLUSIONE, QUALI SONO SECONDO TE I MIGLIORI ALBUM GRIND DI SEMPRE? PERCHE’?
– Napalm Death: “From Enslavement to Obliteration”
Repulsion: “Horrified”
Terrorizer: “World Downfall”
Perchè? Sono i migliori!