CONSIDERAZIONI PRELIMINARI: QUESTIONI DI ESTETICA E MARKETING
Il 22 Marzo che si fa? Si va a comprare “The Gorgon Cult”. Perché? Perché se amate la musica metal ne vale la pena. Come dite? Non vi hanno mai fatto impazzire gli Stormlord? Capisco. Beh, lo stesso può valere, in una certa misura, anche per il sottoscritto. “Non è il mio genere, ma li stimo”: è questo che mi avrete sentito dire il più delle volte, parlando di Stormlord. Però stavolta è davvero impossibile per chiunque non riconoscere il valore del loro nuovo album. Mai come in quest’occasione mi rimane difficile scorgere difetto alcuno nella loro proposta, che non siano quelli relazionabili essenzialmente al gusto soggettivo. Ma quale compito improprio sarebbe, quello di definire un’estetica collettiva sul gusto di un singolo, tra l’altro neanche così avvezzo alla musica metal di oggi e quindi, proprio per questo preciso motivo, inadeguato ad una valutazione di ‘marketing’, per quanto riguarda l’inclinazione collettiva. Ci tengo a sottolineare, senza mezzi termini, che gli Stormlord costituiscono una di quelle proposte che ammiro e rispetto, pur non reputando il loro genere, per forma e sostanza, tra i miei ascolti prediletti; e ciò ovviamente significa che non mi esimerò in alcun modo di sottrarmi dal vero, anche in quest’occasione, e lodare in tutti i suoi meriti effettivi questo loro nuovo lavoro, senza necessariamente coinvolgere ridondanti mozioni degli affetti. Per quale motivo li stimo? Perché ciò che propongono funziona, ed anche molto bene. E badate bene che non è semplice ‘funzionare’, riuscire ad avere personalità e soprattutto dare un senso alla propria proposta artistica, in uno scenario straripante di format e band schiave di un suono, un’etichetta, un nome. Gli Stormlord, invece, la loro personalità ce l’hanno: salda, solida, ma non per questo irremovibile. Perché essere ‘personali’, fare riferimento a se stessi, non implica necessariamente isolarsi e rifiutare ogni nuovo input dall’esterno. E Cristiano, Francesco, Pierpaolo, Simone, David ed il nuovo entrato Giampaolo, lo sanno fin troppo bene. E l’esemplificazione di questo già semplice e basilare concetto è proprio “The Gorgon Cult”, il terzo attesissimo full-length album della band romana che, dopo l’EP “The Curse Of Medusa” e il fortunatissimo “At The Gates Of Utopia”, si prepara a cementare ancora ulteriormente il proprio bacino d’utenza e, se possibile, allargarlo anche a nuovi ascoltatori. Togliamoci subito il dente: “The Gorgon Cult” è il miglior album mai inciso dagli Stormlord. Il songwriting più ispirato, maturo ed elaborato, la produzione più accorta ed efficace, e soprattutto un feeling interpersonale quanto mai positivo, sono senza dubbio alla base della fortuna di questa nuova opera. Che si tratti di un album speciale, nato sotto una buona stella, e che ha reso sempre più fieri i suoi papà, lo si è capito fin dai primi momenti del nostro incontro domenicale, giunti negli studi Outer Sound di Giuseppe Orlando (Novembre) per la presentazione e l’ascolto in anteprima del nuovo materiale: dalla quanto mai gioviale accoglienza ricevuta, dall’atmosfera rilassata ed informale e da un entusiasmo da parte dei ragazzi della band letteralmente alle stelle. La voglia di ‘vincere’, diciamo così, di raggiungere nuovi traguardi e forse finalmente scalare i gradini del successo. Questo perché, parlando francamente, c’è qualcosa che proprio non mi distoglie dall’idea che questi ragazzi faranno strada. Le carte in tavola, stavolta, ci sono tutte, ma proprio tutte. Soltanto con un pizzico di fortuna, potrebbero diventare il nome giusto al momento giusto, e ritrovarsi, come successo a qualche altra band italiana, a condividere il tour bus con Dimmu Borgir o In Flames. Loro ce l’hanno messa tutta: ora si tratta di passare la mano alla dea bendata, e di fornire il dovuto contributo anche voi, fruitori di musica metal, supportando una tra le più floride realtà del panorama europeo contemporaneo.
L’ANTEFATTO: FACCIA A FACCIA CON MEDUSA (OVVERO: CHI BELLO VUOL APPARIRE…)
15 Febbraio 2004 Come si fa se di domenica pomeriggio hai l’automobile in panne e devi raggiungere la periferia meridionale romana e, soprattutto, vieni da un piccolo capoluogo in cui regna il disservizio ed il disordine? Niente, non c’è niente da fare. Non si può fare niente, se non aspettare, il più a lungo immaginabile, che parta il primo autobus per Roma. L’appuntamento con gli Stormlord è fissato per le 16, al Laghetto dell’Eur, ‘storico’ luogo di incontri più o meno galanti (quale romano non ha dato, almeno una volta nella vita, un appuntamento al Laghetto dell’Eur? Un classico.), ma grazie anche ad un conducente delle Linee Laziali ancora assorto nel riposino pomeridiano, il ritardo del sottoscritto va sempre più dilatandosi, finendo per raggiungere dimensioni vergognose, che ancora adesso mi costringono a chiedere venia agli amici Stormlord, che invece tanto pazientemente hanno atteso… atteso… atteso. Negli Outer Sound, intanto, è già giunta una gradevole combriccola di scalmanati; in trepida attesa per l’arrivo del sottoscritto per poter dare inizio all’ascolto dell’album, non c’è comunque di che annoiarsi, anzi: tra birre, pizzette (il ‘tormentone’ della giornata) e l’accendino griffato Stormlord, ribattezzato per l’occasione ‘l’accendino del vizio’, per via dell’apribottiglie incorporato… Giusto il tempo di intravedere di striscio le leggendarie pizzette, e si comincia finalmente con l’ascolto di “The Gorgon Cult”. Tra brevi pause alla toilet, bottiglie un po’ ovunque, appunti presi in fretta e furia su riviste di arredamento e giardinaggio, un quanto mai fiero e giocondo Francesco Bucci ci introduce, traccia per traccia, all’ascolto dei quarantacinque minuti di “The Gorgon Cult”. Silenzio, si gira…
UNO SGUARDO AL DISCO… BRANO PER BRANO…
a cura di Lorenzo “Thelema” Macinanti
1. The Torchbearer (0:59)
Breve traino per la traccia di apertura, ben strutturato e basato essenzialmente su di un’atmosfera notturna sostenuta da un ritmo ossessivo: in sintesi, le sensazioni che verranno tradotte e rielaborate nel corso dell’opera.
2. Dance Of Hecate (5:06)
Ottimo incipit. Si scopre immediatamente una maggiore dinamica nell’evoluzione del riffing e dell’accompagnamento ritmico; impossibile non notare anche un tocco più sofisticato nella componente melodica, sia per quanto riguarda le chitarre, che per le linee di synth. Tra uno special guest al microfono di Giuseppe Orlando, e sporadici recitati femminili, “Dance Of Hecate” si propone fin dal primo ascolto come uno dei brani di punta di “The Gorgon Cult”, supportato anche da uno splendido refrain.
3. Wurdulak (4:09)
La prima vera sorpresa del nuovo album: un mid tempo possente, sorretto da linee vocali più accattivanti del solito ed un gusto melodico nelle armonizzazioni di chitarra che mi ha riportato immediatamente ai tempi dei Paradise Lost di “Icon” e “Draconian Times”. Un brano atipico per gli Stormlord, ma certamente tra i più riusciti del lotto, e che probabilmente on stage renderà ancor di più che su disco.
4. Under The Boards (195 M.A.) (5:41)
Si parte in velocità, finalmente, per uno dei brani che più ha lasciato il segno sui presenti all’anteprima di “The Gorgon Cult”. Vicino, per certi versi, alle ultime produzioni Dimmu Borgir, è il brano che più fa leva sulle qualità raggiunte dalla band in ambito symphonic death/black; da segnalare, in tal senso, la coda finale del brano: molto evocativa e malinconica. Il punto intermedio tra il precedente “At The Gates Of Utopia” e i brani più intraprendenti di questo nuovo lavoro.
5. Oath Of The Legion (4:53)
Il brano che, insieme a “Medusa’s Coil”, più si avvicina allo stile del precedente album, specialmente a brani come “I Am Legend”. Forte di un riffing ben elaborato e più thrash del solito, il brano si lascia ricordare anche per il contributo vocale dell’immarcescibile Volgar (Deviate Damaen).
6. The Gorgon Cult (4:49)
Con la title-track ritroviamo un altro dei picchi creativi degli Stormlord targati 2004: brano ispiratissimo, che raccoglie più d’ogni altro i frutti del lavoro di gruppo, forte com’è di splendidi passaggi ad opera di ogni sezione strumentale. Stacchi di chitarra acustica, vocals pulite, atmosfere oscure ed un refrain sempre più elaborato, sono tra gli ingredienti di uno dei migliori brani mai composti dalla band romana.
7. Memories Of Lemuria (3:30)
Composto interamente da Simone Scazzocchio, “Memories Of Lemuria” è il brano strumentale di “The Gorgon Cult”, e non può che mostrare l’estro più atmosferico e maestoso del tastierista; i riferimenti più immediati sono al genere soundtrack, ma il gusto epico-malinconico non abbandona neanche questa traccia. Un ottimo lavoro, tutt’altro che il classico strumentale tappabuchi.
8. Medusa’s Coil (5:16)
L’altro punto di contatto più evidente con “At The Gates Of Utopia”. Così come “Oath Of The Legion”, “Medusa’s Coil” non avrebbe affatto stonato sul precedente full-length album. Una discreta prova, senza dubbio, ma un po’ appannata dalla superiorità dei brani finora ascoltati.
9. Moonchild (IRON MAIDEN cover) (4:59)
Una cover degli Iron Maiden? “Basta!”, potranno dire molti di voi. Dopo decine di tribute album ed omaggi di ogni tipo alla storica band britannica, anche gli Stormlord si cimentano in uno dei classici targati Smith/Dickinson, dallo stupendo “Seventh Son Of A Seventh Son”. Il risultato è, ad onor del vero, più apprezzabile di quanto ascoltato sui vari tribute album ascoltati negli ultimi anni. Dal vivo funzionerà molto bene, forse anche meglio che su disco.
10. Nightbreed (5:54)
Giunti alla fine di un ottimo album come “The Gorgon Cult”, complice anche il ‘macigno’ targato Maiden, i quasi sei minuti di “Nightbreed” appaiono, a prim’ascolto, leggermente adombrati. Rispetto poi al materiale posto in apertura risulta assai meno d’impatto; tuttavia, credo si tratti di un brano che necessiti più ascolti per essere metabolizzato, essendo tutt’altro che privo di passaggi e spunti interessanti.
INTERVISTA ALLA BAND
a cura di Lorenzo “Thelema” Macinanti
Allora Stormlord, soddisfatti?
“Certamente. Si dice sempre così, lo sappiamo, però noi siamo davvero convinti di aver prodotto il nostro miglior disco di sempre” – afferma Francesco, “ed è giusto che sia così,” – gli fa prontamente eco Cristiano. “Ogni volta che ci avviciniamo alla composizione di un nuovo disco cerchiamo di spingerci oltre i nostri stessi limiti. Siamo ancora sostanzialmente convinti che i nostri precedenti lavori costituiscano il limite massimo delle nostre capacità in quel preciso momento; proprio per questo non ci sentiamo né di farne oggetto di critica, o tantomeno di rinnegarli. Probabilmente anche per il prossimo disco vi diremo che si tratta del ‘nostro miglior disco di sempre’. E guai se non fosse così.”
Come è nato questo disco, Francesco?
“Nella maniera più classica: nessun piano. Ci siamo detti: dobbiamo registrare un nuovo disco. Entriamo in studio e vediamo un po’ cosa succede. Aiutati anche da una sala prove di proprietà, di cui in precedenza non eravamo in possesso, abbiamo potuto collaborare tutti quanti attivamente alla stesura ed elaborazione del nuovo materiale. E’ accaduto così che arrivassimo in sala prove con un’idea da sviluppare, un riff di chitarra, un giro di tastiera, un tempo di batteria, e che poi cominciassimo a fare una cernita di quanto potesse fare al caso nostro, e quanto invece cestinare.”
In effetti il lavoro, come abbiamo potuto constatare tutti quanti, risulta sicuramente molto coeso ed omogeneo, anche se “The Gorgon Cult” è anche l’album in cui avete osato di più in termini di sfumature, mi riferisco a brani come “Wurdulak” o la title-track, ad esempio…
“In passato i brani venivano composti sostanzialmente in gruppetti; per “At The Gates Of Utopia” la maggior parte del materiale è stata scritta dalla penna di Simone, il tastierista, e Francesco” – ci fa notare David Folchitto, il batterista. “Tra l’altro “Wurdulak” è stato il primo brano che abbiamo composto in questa sessione. Non ci siamo affatto curati di quale direzione stesse prendendo il nostro materiale, guadagnandone così in spontaneità ed immediatezza”, continua Francesco. “Abbiamo rivoluzionato il metodo di composizione da più punti di vista. Innanzitutto ora abbiamo un secondo chitarrista, Giampaolo Caprino, e due chitarristi lavorano sempre meglio che uno solo: una questione fisiologica, direi. Giampaolo ha saputo portare, in maniera molto spontanea, il suo tocco personale. Avete presente quel tocco malinconico e più oscuro che permea le nuove canzoni? Ecco, è anche merito suo. Venendo, infatti, da ascolti prettamente gothic metal, Giampaolo ha saputo fornirci quel gusto più ‘notturno’ che faceva parte del suo background. In secondo luogo, l’altra rivoluzione consiste nell’utilizzo delle linee tastieristiche. In quest’occasione Simone ha potuto lavorare con sample di veri strumenti classici, e quindi assemblare più voci e linee strumentali, piuttosto che puntare tutto sui preset della sua tastiera. Anche per questo motivo la tastiera potrà sembrare meno presente a livello di melodie in primo piano: è stato infatti svolto un lavoro molto più elaborato sul piano degli arrangiamenti e dell’armonia complessiva.”
Un’epica malinconica, quindi… E, mi rivolgo a te Cristiano, che fine hanno fatto quei classici giri pomposi che vi hanno contraddistinto ormai dai tempi dell’EP “Where My Spirit Forever Shall Be”?
“I passaggi maestosi, o ‘pomposi’, come dici tu, ci sono ancora; quello che abbiamo cercato di limitare sono forse quelle melodie più ‘pacchiane’, che facevano parte della nostra prima produzione, e che stilisticamente ci facevano assomigliare a band come Thyrfing e Mythotin. Non rinneghiamo niente del passato, ci mancherebbe; è solo che abbiamo aggiustato il tiro, per così dire, su sonorità che più ci contraddistinguono in questo momento.”
Perché una cover degli Iron Maiden? Non credete che, dopo una cover version dei Metallica, qualcuno possa darvi dei ‘sempliciotti’ o, peggio ancora, dei ruffiani?
“No, non crediamo. Suonare un brano sconosciuto di una band sconosciuta non avrebbe avuto molto senso. Abbiamo scelto “Moonchild” proprio perché è uno dei brani meno conosciuti, se così si può dire, della band di Steve Harris, e poi ha un feeling che si adatta molto al sound degli Stormlord”, ci confessa Cristiano. “Inoltre, posso anche rivelarvi che “Seventh Son Of A Seventh Son” è stato il primo album metal che abbia mai ascoltato. Si tratta di una questione affettiva per me in primo luogo, ma anche per tutti gli altri ragazzi della band: gli Iron Maiden mettono d’accordo tutti quanti, quindi ecco spiegato il perché di una cover. Piuttosto, noi l’abbiamo vissuta come una scommessa. Le canzoni dei Maiden sono così speciali che, suonate anche dalla migliore cover band al mondo, non suoneranno mai come dalle mani di Harris e soci. Quindi ci interessa molto sapere cosa ne penseranno i nostri fans, visto che abbiamo cercato di fare del nostro meglio anche in questo frangente.”
A questo punto, Cristiano, che si fa?
“Si aspetta il 22 Marzo e poi si vede come andrà! Contiamo di imbarcarci in un tour europeo di spalla ad un buon nome, e possibilmente di partecipare a qualche festival estivo… Ci aggiorniamo dopo l’uscita del disco per una chiacchierata più approfondita!”
LO STUDIO REPORT CON GLI OCCHI DEL “LETTORE”
Prefazione: Edoardo Carlesi, utente che ha partecipato al concorso di Metalitalia.com ed estratto per assistere allo Studio report, ha dimostrato sin da subito (cosa confermataci da Cristiano degli Stormlord in persona) uno spiccato senso ironico. In fondo la band in cui milita, i Nanowar, recensiti alcuni mesi fa proprio su queste pagine, oltre a divertenti pezzi propri ha realizzato alcune parodie “demenziali” (nel senso buono del termine) quanto irresistibili di diversi classici metal, diventando una sorta di cult nel circuito di internet. Il report che state per leggere si mantiene sulla stessa linea d’onda, che siamo sicuri apprezzerete almeno tanto quanto noi. Buona lettura!
Studio report a cura di Edoardo Carlesi
Ciao, persone!
Vi auguro buona lettura. Come molti di voi sapranno in quanto utenti di questo sito, gli Stormlord indissero un vero e proprio concorso per gioire dell’ascolto del loro album in via di uscita in anteprima assoluta. Ebbene, per un simpatico risultato del destino, “si è verificata la condizione per la quale il sottoscritto ha ottenuto la vittoria” (cit.: “Dr Pira”). Ergo, mi ritrovo a scrivere un simpatico report sulla giornata trascorsa insieme ai Signori della Tempesta ed al loro nuovo mirabolante disco. Il tutto inizia alla stazione degli autobus, dove vengono a prenderci (uso il plurale, essendo ‘plurali’ i vincitori del concorso su vari siti ‘metallici’) i Tempestasignore in persona per accompagnarci agli Outer Sound Studios, dove hanno compiuto le registrazioni del loro album insieme all’egregio Peppe, batterista dei Novembre nonché produttore del disco e owner degli studi stessi (almeno, così mi hanno detto). La simpatia dei nostri è ampia quanto la loro disponibile generosità: ci vengono infatti offerte birre e pizzette in abbondanza, che prontamente provvediamo a rovesciare in parte nelle nostre trachee, in parte a terra e sui divani. La sventura sembra aleggiare sui partecipanti del meeting allorché scopriamo affranti che la presenza femminile all’interno della compagnia del Signore della Tempesta può essere quantificata con un numero naturale positivo strettamente minore di due. Sprezzanti dell’impossibilità di riprodurci in quel frangente, ci accingiamo ad effettuare un ascolto del cd appena sfornato dai nostri (che a quanto pare dispone solo di copie masterizzate dello stesso, ahi ahi ahi! La pirateria è arrivata a livelli incredibili!) non prima di aver ammirato la copertina confezionata da un pittore (mi sembra che si chiami James) molto famoso che si diletta anche nella creazione di cover di gruppi rinomati. La stanza in cui entriamo ha un nome in gergo tecnico che non saprei ripetere (per comodità: “stanza dei computer e delle casse”), e qui veniamo invitati a prendere posto su sedie dalle svariate forme, e forniti di penne con tanto di inchiostro e riviste eleganti come “Casa Idea”, “Bagno e Cucina”, “Arredamento Oggi” e altre belle pubblicazioni di interni ed arredamenti molto chic che servono come supporto per i fogli su cui possiamo annotare le nostre impressioni sulle canzoni che ascoltiamo allegramente. Le tracce in questione si rivelano essere molto belle, contengono un sacco di strumenti, di note, di riff e di molte altre cose che però sono amalgamate in modo tale da risultare estremamente (che vuol dire “MOLTO”) gradevoli all’ascolto. Le tracce sono parecchie, circa dieci, anche se i giapponesi come al solito ne beccano una in più. Durante l’ascolto il disco mi è sembrato molto più decadente dei precedenti: le melodie e le atmosfere delle tastiere sono assai melanconiche, sullo stile Dusk & Her Embrace. La presenza di PeppedeiNovembre (così ribattezzato per l’occasione), poi, nella produzione del disco si avverte molto, perché il suono è molto compatto e di discreto impatto, mentre le imponenti tastiere stile soundtrack rivelano la cinefilia del tastierista. Il lavoro inizia con una intro che non si sa quando finisce perché, quando finisce, attacca un pezzo che non si sa quando inizia, perché iniziaquando finisce l’intro… comunque questo pezzo è molto bello e vede la partecipazione di Peppe alle backing vocals. Il secondo pezzo, invece, si capisce quando attacca perché quando attacca c’è l’audio di un film di Mario Bava che parla dei Gurdulaks che, guarda caso, compaiono anche nel titolo della canzone stessa. Il cd va avanti, ma il track by track ve lo fa qualcun altro. Tra tutte queste canzoni (che sono a mio avviso un po’ numerose) c’è anche un vecchio pezzo che una band inglese ha sottratto tempo addietro ai nostri, intitolato “Moonchild”, la resa del quale è veramente ottima, con un sacco di atmosfere tastieristiche, melodie e queste cose qui, insomma (c’è anche una voce che recita “grrrr…aaaaaaa..!”). Ci sono veramente un sacco di bei pezzi in questo disco, come l’ultimo “Nightbreed” (le cui liriche sono state scritte da Damnagoras, ex Elvenking) ed il quarto (“Under The Boards”) per il quale addirittura verrà girato un videoclip. La titolo-traccia pure mi garbò assai, essendo piena di tastierismi e piani melodiosi un po’ gothicheggianti, che poi si alternano ad altre parti di chitarre elettrificate piene di cattiveria e le solite voci molto belle che dicono sempre “grrr aaaaaaaaa!”, e cose simili. Ascoltando la titletrack vengo anche a scoprire che il disco si intitola “The Gorgon Cult”, che è a dire il vero un culto un po’ desueto, in quanto risalente ad una mitologia estremamente antica e fuori moda. L’ascolto procede fino ad una traccia nel mezzo del disco, fino a quando chiediamo una pausa pipì (avendo bevuto un sacco di birra, chi scrive va ad esplorare i servizi sanitari dell’edificio). Ad ogni buon conto, il disco è in sostanza veramente un bel lavoro, che vale la pena comprare, se non addirittura scaricare. Ma sicuramente è meglio comprarlo perché, oltre ad avere la copertina di un pittore famoso (si chiama James, mi sembra), contiene (oltre alle canzoni molto eleganti di cui vi ho già parlato) anche una sezione multimediale piena di foto, video, mp3 di altri gruppi dei componenti degli Stormlord, e anche materiale pornografico (così mi pare di aver sentito) di alta qualità. Gli Stormlord hanno deciso di inserire tutto questo materiale extra perché non se la sentivano di derubarci… scelta davvero encomiabile, a dir la verità.Infine, dopo tutte queste belle parti tirate, questi bei growl, questi maestosi mid-tempo, dopo bisogni fisiologici e spot promozionali, inizia una serie di interviste condotte dai simpatici giornalisti presenti. Ci sono un sacco di domande ed anche un sacco di risposte, mentre l’atrio si riempie di fumo e di parole. Si parla di tour, musica, canzoni e tutto quello che ha a che fare con il Signore della Tempesta e i suonatori che suonano ‘per’ lui. Dato che esistono altri studio report che parlano di queste cose, vi rimando ad esse per saperne di più. Alla fine ci ri-rechiamo nella stanza delle casse e dei computer per scattare delle fotografie che ritraggono noi fortunelli vincitori assieme agli Stormlord al gran completo e a Peppedeinovembre, che è davvero molto fotogenico. L’unico ‘sgarbo’ che gli Stormlord ci fanno è quello di rifiutare uno scatto insieme alla prestigiosa rivista “Bagni e Cucine”… ma con un abile fotoritocco farò finta che se la siano fatta fare. (chi vuole vedere tali abili fotoritocchi, vada su www.nanowar.it/bagni1.jpg e www.nanowar.it/bagni2.jpg)Alla fine, il clou è stato raggiunto quando ci è stato detto che riceveremo una copia omaggio di questo cd veramente superbo (ma non nel senso che ‘se la tira’) che, a quanto pare, farà fare un vero ‘saltone’ di qualità a questa band!
P.S.: Ho perso la password del mio cervello per l’accesso alla partizione abilitata alla redazione/scrittura di testi di carattere più o meno serio/impegnato. Mi scuso con tutti i miei lettori/editori per il disguido, consapevole delle catastrofiche conseguenze causate da tale malaugurato imprevisto.
CONCLUSIONE: TIRIAMO LE SOMME
Citando le parole di Cristiano, gli Stormlord hanno dato veramente il massimo stavolta: nessuna energia è stata lesinata, e la sensazione è che si stiano giocando realmente la loro futura sorte. La Scarlet Records ha scommesso su di loro, fornendogli tutto l’appoggio immaginabile per questa nuova uscita. Due mesi agli Outer Sound, mastering presso i Mastering Room in Svezia, un tour europeo da programmare. E loro sono carichi di speranze, hanno voglia di capire se e quando il riscontro della gente arriverà. Riassunto in un paio di flash, i nuovi Stormlord appaiono “più coesi, amalgamati e spontanei” e , sopratutto, coraggiosamente volti all’esplorazione dei propri limiti. Ora, senza entrare in considerazioni trascendentali sul significato di tali affermazioni, posso assicurarvi che l’energia e l’entusiasmo, che si respirano a contatto con i ragazzi della band, sono davvero notevoli. La band è cresciuta, e parecchio anche, si è scrollata di dosso alcune insinuazioni sgradevoli legate ai primi passi svolti a nome Stormlord, ed è ormai sempre più convinta nei propri mezzi, orgogliosa dei traguardi raggiunti. Non è un segreto il successo raggiunto in estremo Oriente, Sud America e Russia; così come è innegabile che anche in patria, Cristiano Borchi & co. siano riusciti a cambiare, con la forza dei fatti, tanti preconcetti ed illazioni che per fortuna non hanno più modo di esistere. Ormai sono solo ad un soffio dai traguardi più ambiti. Dal 22 Marzo in poi avremo modo di assistere al match dell’anno. Io farò il tifo per loro. E voi?
Lorenzo Macinanti