A cura di Roberto Guerra
Ci sono voluti ben sette anni per averlo, ma finalmente la band più influente del panorama power metal finlandese è pronta ad immettere sul mercato un nuovo album, caratterizzato in questo caso da una ferocissima critica all’andamento globale fortemente incrinato da guerre, inquinamento, pandemia, disastri ambientali e così via. Delle tematiche quindi impegnate, rafforzate da un sapiente contrasto con una musicalità sempre e comunque coerente con quanto seminato in oltre trent’anni di carriera, anche se non mancano assolutamente le derive più attuali in grado di mantenere gli Stratovarius al passo coi tempi. In breve, potremmo dire di avere per le mani un disco power metal classico e contemporaneo al tempo stesso, composto ed eseguito da un combo di musicisti su cui si è avuto più volte modo di discutere; al tempo stesso, è innegabile che Timo Kotipelto e soci siano ancora oggi delle discrete fonti di ottime produzioni musicali, e questo ci porta allo speciale che vi accingete a leggere. Perciò, l’atteso nuovo lavoro in studio esaminato traccia per traccia, la cui uscita rimane confermata per la fine del mese di settembre e che ci auguriamo possa riuscire a confermarsi come una delle più apprezzabili dell’anno corrente. Buona lettura!
STRATOVARIUS
Timo Kotipelto – Voce
Jens Johansson – Tastiere
Lauri Porra – Basso
Matias Kuplainen – Chitarra
Rolf Pilve – Batteria
SURVIVE
Data di uscita: 23/09/2022
Etichetta: earMUSIC
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01. Survive (04:39)
La opener, nonché titletrack e primo singolo, ha bisogno di ben poche presentazioni ora come ora, considerando anche l’altissimo numero di visualizzazioni che ha avuto modo di racimolare online dal momento della sua uscita. Ad un iniziale riff di chitarra roccioso e moderno segue un brano iniziale che getta le fondamenta su cui l’intera opera andrà a focalizzarsi, mettendo bene in chiaro l’intento critico dei testi e l’intenzione della band di rilanciarsi in modo fresco e attuale: si notano infatti modifiche alle ritmiche e orpelli sonori molto piacevoli e dal retrogusto quasi in linea con quanto proposto ad esempio dai teutonici Orden Ogan, nonché diversi effetti in grado di impreziosire ulteriormente l’interpretazione dell’iconico vocalist dai capelli biondi, che qui si cimenta in una prestazione dai toni volutamente drammatici, abbinati ad una parvenza stilistica alquanto versatile. Dei primi cinque minuti in cui la band giunge subito al punto senza strafare, un merito che non verrà meno in praticamente nessun momento nel corso dell’ascolto.
02. Demand (04:03)
Un prosieguo più epico e dai toni parzialmente più battaglieri sul versante musicale, con inoltre una parvenza generale decisamente più classica e in linea con quello che gli Stratovarius incarnano ormai da moltissimo tempo, anche se si nota qui e là qualche somiglianza con quanto fatto da formazioni dal piglio più epico come ad esempio i Tyr, il cui tipico guitar work poco si discosta da quanto proposto in questo specifico brano. Le ritmiche sono serrate e il fomento la fa da padrone, ma anche in questo caso non vi è alcun eccesso e non si sfoggia mai nel tamarro più puro, trattandosi comunque di un ascolto assolutamente colto e da affrontare con la mente ben accesa, anche se il divertimento c’è ed è tanto, soprattutto in concomitanza del ritornello e dell’assolo. Il livello generale si mantiene quindi su quanto dettato dalla opener, e appare chiaro che la band ha davvero parecchia carne da mettere sul fuoco.
03. Broken (04:58)
Un pezzo dai risvolti più cupi e decadenti rispetto ai due precedenti, almeno nei primi minuti: un inizio aggressivo e tonante anticipa una ritmica portante leggermente più lenta e un Kotipelto quasi piangente nella sua interpretazione, caratterizzando così un inizio a suo modo freddo e a tratti dirompente a livello emotivo. In ogni caso è sufficiente attendere l’irruzione della parte strumentale per cambiare mood grazie ad un’uscita dall’assolo nuovamente epica e a suo modo spiazzante ed impetuosa, precedente una fase finale ancora più struggente rispetto a quanto venuto prima, che si dissolve infine con il contributo di un sottile coro in sottofondo.
04. Firefly (03:38)
Il più recente tra i singoli rilasciati riporta tutto in una dimensione relativamente più allegra, con delle influenze fortemente ottantiane e piccoli dettagli che ci ricordano quasi un pezzo AOR o la colonna sonora di un buon film d’azione hollywoodiano, anche grazie alle tastiere di Jens Johansson. La sezione ritmica modula tra arresti repentini ed accelerazioni funzionali, ma è forse il guitar work la vera gemma del brano: davvero azzeccato e con dei fraseggi e degli squilli perfettamente inseriti nel contesto e accostati con maestria alle linee vocali di Kotipelto, la cui versatilità in termini di mood riesce ancora oggi a stupirci esattamente come l’estro compositivo dell’intera formazione.
05. We Are Not Alone (04:34)
Una tastiera più predominante e una cupezza sonora nuovamente presente creano un peculiare contrasto di allegria e malinconia, un po’ come se i due brani precedenti avessero generato prole, e il risultato piace e coinvolge grazie anche ad un dosaggio mai spropositato delle singole caratteristiche. Il ritornello, seppur regolare nella sua percorrenza, si sposa perfettamente con quanto abbiamo detto, lasciando intravedere nuovamente quella sorta di speranza, che emerge dal dramma come una luce che splende in un tunnel buio. Riteniamo sia un brano pressoché perfetto per un’esecuzione live – come del resto buona parte di quanto udito finora – dal momento che la componente più catchy funziona ottimamente e permette al brano di fossilizzarsi in testa con naturalezza.
06. Frozen In Time (06:43)
Dopo i drammatici ed evocativi cori introduttivi, possiamo affermare che in questo caso siamo in presenza del più classico dei midtempo in chiave Stratovarius, con quell’orecchiabilità di fondo a farla da padrone mentre si delinea un’atmosfera introspettiva che tocca il proprio apice ancora una volta nel ritornello. Sono proprio momenti come questo che ci ricordano perché molte grandi band recenti hanno attinto a piene mani da quanto confezionato negli anni dalla formazioni finlandesi: ad esempio, seppur con le dovute variazioni, non ci farebbe strano udire un ritornello analogo in un pezzo degli Avantasia. Inoltre, la fase finale si tinge di quella parvenza da soundtrack già riscontrata in precedenza, riuscendo persino a farci credere di essere giunta alla fine grazie a una pausa collocata proprio al momento giusto, dopo la quale il brano riprende, fino a che il buon Timo si lascia andare nell’esecuzione di un acuto che sancisce l’inizio della fase dissolvente.
07. World On Fire (04:26)
Il secondo singolo parte letteralmente col botto, grazie all’urlo intonato e disperato dello stesso Timo, che si rende da subito portavoce di una causa che dovrebbe interessare tutti, e lo fa con una sorta di collera velata, volta a dare quel retrogusto epico ed evocativo ad un brano tra i più emozionanti del pacchetto. La ritmica è incalzante, il sound della chitarra graffiante e ogni stramaledetto elemento appare esattamente dove dovrebbe essere: se c’è da rallentare o da accelerare non vi è alcun problema, perché i nostri cinque ragazzoni sono perfettamente sul pezzo, e anche la tastiera non prende mai quel proverbiale sopravvento, essendo perfettamente tarata sulla quantità richiesta dal brano stesso.
08. Glory Days (05:07)
“Nomen omen” si usa dire in casi come questo: non a caso siamo in presenza del brano più nostalgico di tutto l’album, con delle soluzioni che ci catapultano direttamente alla fine degli anni ’90, quando le sfuriate e le smitragliate ritmiche di “Visions” dettavano letteralmente legge per chiunque volesse dedicarsi alla composizione di un pezzo di stampo power metal. Qui c’è davvero da far roteare i capelli come ai tempi, lasciandoci trascinare da quella doppia cassa a rotta di collo che si erge dietro a un comparto strumentale di matrice neoclassica, nonché a delle linee vocali che non vanno mai fuori dal seminato, preferendo lasciare infatti alla chitarra il compito di rimpinguare il quantitativo generale di note, anche se l’assolo vero e proprio appare più essenziale e meno sbrodolone di quanto fosse lecito aspettarsi. Possiamo dirlo, in questi cinque minuti si può davvero tornare ragazzini e sognare un mondo in cui il power metal possa sparare liberamente tutte le proprie cartucce come nella propria epoca d’oro.
09. Breakaway (04:28)
Ed eccoci finalmente all’immancabile semi-ballad, tanto essenziale quanto efficace nelle proprie scelte musicali, che qui ruotano attorno a una progressione che modula naturalmente verso un sempre maggiore livello di epicità ed introspezione, come una mente tormentata che giunge man mano alla piena consapevolezza di sé. Il termine ‘semi-ballad’ qui trova la propria manifestazione più concreta, in quanto la musicalità di fondo è invero piuttosto rocciosa ed aggressiva, nonostante le linee vocali siano sempre piuttosto soavi, e anche l’assolo di chitarra non lesini su qualche sfoggio di note in più, il che a parer nostro non fa che impreziosire ulteriormente il risultato generale.
10. Before The Fall (04:15)
In contemporanea con una iniziale intonazione di una melodia vocale, simile a quelle che le band utilizzano per coinvolgere direttamente il pubblico, si torna nuovamente a menare le mani, ma questa volta in chiave più moderna, con una forte presenza di armonici e una cadenza meno accostabile a quella di sparo di un mitra, tanto per restare in termini ‘bellici’, somigliando decisamente di più a quanto possibile udire in prossimità di un fucile semiautomatico. Questo perché tra ritornelli e strofe è ben percepibile l’alternanza tra fasi più soavi e altre molto più violente, con una parvenza generale che tocca dei picchi quasi più simili a quelli di determinate realtà melodic death metal, anziché power con tutti i crismi. L’assolo ad esempio è sorretto da una infrastruttura da terremoto, tant’è che non ci avrebbe fatto strano una comparsata di un qualche collega di Kotipelto dedito a uno stile vocale accostabile al growl o allo scream (tipo Mikael Stanne, per dirne uno). Volendo fare un paragone con la precedente “Glory Days”, si potrebbe dire che se una incarna il modo più classico di proporre un uptempo power metal, l’altra è il corrispettivo più contemporaneo, aggressivo e carnale.
11. Voice Of Thunder (11:11)
Come da tradizione, il finale è affidato a una suite della durata di oltre undici minuti, con l’immancabile intro in chiave acustica da ballad, cui immediatamente seguono i ruggiti dei tuoni e della chitarra elettrica più furente. Da qui, si delinea una sequenza di fasi che passano dal furente al rilassato, dal malinconico all’aggressivo, però senza esagerare con le sferzate, in quanto il mood generale seppur vario risulta comunque coerente nel suo andamento, anche se si notano a metà brano delle squisite modulazioni musicali di stampo quasi prog. Il finale anzi riporta tutto su una stabilità tutto sommato lenta e cullante, che di fatto accompagna l’ascoltatore alla fine di quello che è un album che ci auguriamo possa far parlare molto di sé all’interno della community, ma per conoscere con esattezza il nostro verdetto finale dovrete attendere la recensione gli ultimi giorni di settembre.