A cura di Andrea Intacchi
Con la parola ‘abitudine’ s’inquadra quella tendenza a ripetere quei determinati atti che rilasciano, nella maggior parte dei casi, un tasso considerevole di soddisfazione in colui che li porta quotidianamente a termine. Volendo così stilare una classifica delle esperienze ripetitive più rigeneranti, l’ascolto di un nuovo album dei Testament troverebbe di diritto un posto tra le prime posizioni. Una singolare consuetudine che si protrae ormai da parecchio tempo: ventun anni per la precisione. Nel 1999, infatti, con la bomba al vetriolo targata “The Gathering”, il combo della Bay Area, come sottolineato da parecchi fan e altrettanti addetti lavori, toccò l’apice assoluto della propria carriera: un capolavoro che, se da una parte dava uno scossone d’ottimismo verso una seconda giovinezza del genere, dall’altra alzava ulteriormente l’asticella qualitativa del gruppo statunitense. Una qualità che è andata calcificandosi nel tempo, marchiando i Testament come un qualcosa di più di un’ottima thrash metal band: hanno assunto invece l’aurea di un super-gruppo in grado di trasformare ogni sua prova, che sia essa in studio o live, in un’avventura tanto chirurgica nella sua perfezione quanto letale nella sua pesantezza. Ecco perché, proprio in seguito a “The Gathering”, la notizia di una nuova release made in Testament viene ormai accolta con solenne trepidazione. Così è stato per “The Formation Of Damnation” del 2008 e per i successivi due album; così è avvenuto per l’imminente “Titans Of Creation”. E visto che abituarsi al bello comporta ogni volta inevitabili pretese, il tredicesimo lavoro di Chuck and Co. porta con sé, oltre all’ovvio godimento generale, anche delle responsabilità che la band californiana è chiamata obbligatoriamente a rispettare. Attesa ripagata? L’oscuro singolo, “Night Of The Witch”, lanciato in anteprima un mese e mezzo fa, ha ricevuto parecchi consensi positivi ma pure diversi sbadigli tanto che, secondo gli ipercritici, la band di Berkeley avrebbe esaurito le cartucce a disposizione addirittura con l’album rilasciato al termine dello scorso millennio. Meglio, decisamente, il secondo estratto, “Children Of The Next Level”, uscito ad inizio marzo. Aspettando dunque il prossimo 3 Aprile, giorno ufficiale della sua uscita sugli scaffali metallici della Nuclear Blast, scopriamo nei dettagli il nuovo “Titans Of Creation”.
Eric Peterson – chitarra
Alex Skolnick – chitarra
Chuck Billy – voce
Gene Hoglan – batteria
Steve DiGiorgio – basso
TITANS OF CREATION
Data di uscita: 03 Aprile 2020
Etichetta: Nuclear Blast
01. CHILDREN OF THE NEXT LEVEL (06:13)
Alt, fermi tutti; un attimo di attenzione prego. Prima di attivare i padiglioni auricolari, apriamo gli occhi e gettiamo uno sguardo alla copertina. Già protagonista dei precedenti tre capitoli, è ancora una volta la mano di Eliran Kantor a prendersi cura dell’artwork, realizzando un pregevolissimo quadro in cui tre titani si danno da fare per la creazione dei pianeti. Mentre il primo rovescia il liquido modellante, i due colleghi sono pronti a martellarlo nel DNA umano, generando così l’anello di un pianeta già in fase di costruzione. Un’immagine virtuosa e universale che accompagna il nostro indice nel pigiare il canonico play. E allora? Come parte “Titans Of Creation”? Il motore è quello di un diesel, perché “Children Of The Next Level” è un brano che cresce con il passare dei minuti. I primi novanta secondi, infatti, sono tutto fuorché promettenti: la marcia monolitica messa in atto da Peterson e compagni va dritta dritta nella sezione del ‘già sentito’ ed anche l’ingresso perentorio dell’ugola granitica di Chuck non riesce ad imprimere il giusto appeal. Non che le sorti di un album si decidano sulla base della buona riuscita o meno della sua opener; tuttavia, si sa: ‘chi ben comincia…’. Qualcosa comunque accade al termine del primo assolo di chitarra, quando la trama iniziale diventa più sostenuta, ed è soprattutto in occasione del secondo refrain che l’intero pezzo acquista maggior articolazione ed enfasi. I colleghi del singer californiano prendono in mano la situazione: le due chitarre si sciolgono in un interessante inseguimento prima della definitiva esplosione e qui, cari miei, non ce n’è per nessuno. Ma chi sono i “Children Of The Next Level”? Il brano narra le vicende del gruppo fanatico-religioso dell’Heaven’s Gate, sorto negli USA a metà degli anni ’70, il cui obiettivo era quello di portare i propri adepti ad un ‘livello evolutivo superiore’ rispetto al resto della popolazione. Progetto che fallì miseramente nel 1994 con un suicidio di massa in cui persero la vita trentanove membri della setta. Tornando alla musica, esauritasi la sezione strumentale, è lo stesso Chuck a riprendere la propria oratoria innalzando nuovamente il refrain portante confermando, come se ce ne fosse ancora bisogno, l’ottimo stato di forma delle sue corde vocali. Meritevole di maggiori ascolti, l’avvio del nuovo album è, a conti fatti, più che discreto .
02. WW III (04:48)
Se l’opener apre i battenti con il freno a mano leggermente tirato, le cose cambiano radicalmente con la qui presente “WW III”. Già il titolo di per sé ci mette una pulce esplosiva nell’orecchio, ma basta l’assalto di Hoglan e DiGiorgio per immergerci letteralmente in una vera e propria terza guerra mondiale. L’incedere tellurico e terremotante richiama alla mente dell’ascoltatore quella detonazione sganciata anni prima targata “D.N.R.” ma se quest’ultima era una dura tempesta sonora dal primo all’ultimo minuto, “WW III” apre ad un refrain più pulito, interrotta da un lieve rallentamento, proprio a metà brano. Solo un breve respiro perché l’andamento del cingolato americano è pronto a ripartire, mentre la coppia Peterson/Skolnick si diletta a tessere un tappeto di riff coeso e trascinante. Guerriglia che termina proprio nello stesso modo in cui era iniziata: con le fucilate di Hoglan a condire la frenesia delle due chitarre. Ah certo, come dimenticare: la voce di Chuck ancora una volta sugli scudi.
03. DREAM DECEIVER (04:58)
Sono radici old-school quelle intarsiate in “Dream Deceiver” che conferma una decisa varietà propositiva in questa primissima parte di album. Pezzo che profuma di vecchio, di anni ottanta e che vi entrerà in testa nel giro di pochissimi istanti, giusto il tempo del primo ritornello. Uno dei brani più orecchiabili di sempre tra quelli realizzati dai Testament, con trame melodiche più avvezze a sonorità heavy che thrash. “Dream Deceiver” descrive la sensazione che si prova nell’essere intrappolati in un sogno ad opera di una forza femminile ultraterrena che, sfruttando il momento più vulnerabile di un essere umano, il riposo notturno, cerca di degradare la sua mente. Quasi cinque minuti che scorrono velocemente proprio per la dinamica semplice e diretta del pezzo, contraddistinto da un refrain hard rock, quasi fosse stato partorito da band quali W.A.S.P. o simili. Il sogno viene interrotto dal rituale spazio riservato all’assolo dell’impeccabile Skolnick, prima di lanciarsi in un’ultima e coinvolgente sferzata heavy.
04. NIGHT OF THE WITCH (06:32)
Al netto dei tre pezzi ascoltati sinora, ci chiediamo il motivo per cui proprio “Night Of The Witch” sia stato scelto come singolo apripista del nuovo full-length. Non che sia brutto ma, sicuramente, è quello che convince meno. Nonostante vi siano degli spunti interessanti, come la ripartenza strumentale posta nella parte finale dell’episodio o, ancora una volta, la prestazione vocale di Mr. Billy, dobbiamo segnalare di contro un’eccessiva pesantezza nella sua struttura globale: una caratteristica che lo rende ancor più ‘lungo’ dei già più che abbondanti sei minuti e trentadue secondi previsti. E ancora: se le strofe sono comunque passabili, l’inno dedicato alla notte delle streghe risulta fin troppo ampolloso e con poco mordente, seppur lo stesso Peterson accompagni l’amico Chuck in sede di ritornello. Un singolo la cui macchinosità si rende ancor più manifesta nel lyric video a corredo: quasi raffazzonato nelle immagini, costringe lo spettatore a compiere un’autentica impresa visiva per cogliere con esattezza le parole sparate sullo schermo, ognuna con un font diverso e a tratti incomprensibile. Tralasciando comunque la mediocrità del videoclip, “Night Of The Witch”, non riesce ad assestare un nuovo colpo ad effetto, rimanendo incasellato tra i brani più che ordinari.
05. CITY OF ANGELS (06:43)
E veniamo al pezzo che non ti aspetti; ad un episodio che dimostra le potenzialità e la poliedricità di una band in grado di creare nuovi e curiosi scenari musicali. Tempo fa, quando iniziarono a circolare le prime indiscrezioni relative al nuovo album, fu lo stesso Chuck a rivelare che, dopo diversi anni, sarebbero tornati a registrare una ballad. Da qui l’ovvia domanda: avremo un’altra “Ballad”? Un’altra “Return To Serenity”? Un’altra “The Legacy”? Sgombriamo subito il campo: “City Of Angels” non raggiunge i livelli soft delle tre canzoni menzionate anche perché, sostanzialmente, è sì una ballad, ma solo a tratti; un po’ come “Cold Embrace” di “Dark Roots Of Earth”. Per spiegare meglio il brano soffermiamoci innanzitutto sulla trama portante: la storia è quella di Richard ‘Nightstalker’ Ramirez che, tra il marzo e l’agosto del 1985, uccise tredici persone colpendo soprattutto la zona di Los Angeles e San Francisco. Sono quindi toni piuttosto investigativi quelli che danno il via alla striscia di sangue lasciata dal serial killer statunitense, con il basso di DiGiorgio a fare la voce grossa prima che un riff pesante e maligno inizi a dettare i movimenti dello stesso Ramirez. L’evoluzione di “City Of Angels” si sviluppa su due momenti ben delineati: uno più trasognante e melodico, con il clean di Billy ad impreziosire il tutto, l’altro più feroce e crudele quasi a voler rappresentare l’animo instabile del giovane omicida. Una traccia strana che sicuramente farà storcere il naso ai puristi del genere e soprattutto agli aficionados della versione più estrema del quintetto di San Francisco. Per chi scrive, dopo averlo ascoltato con maggior attenzione, “City Of Angels” è uno dei migliori dell’intero lotto.
06. ISHTARS GATE (05:09)
E’ il basso del buon Steve ad intonare le profonde litanie per l’apertura della “Ishtars Gate”, l’ottava porta della città di Babilonia, dedicata alla dea dell’amore, della fertilità e dell’erotismo. Sentimenti introdotti da sinfonie arabeggianti i cui contorni vengono ben delineati dalle chitarre di Peterson e Skolnick. Ma è solo un breve assaggio di fascino perché quello che segue è – ahinoi – il tipico pezzo fatto con lo stampino, con tanto di pilota automatico al posto di comando. Un compitino eseguito con tutti i crismi del caso in cui, tuttavia, anche il songwriting non brilla certamente di fantasia. La seconda parte dell’album non comincia sicuramente nel migliore dei modi: poca originalità per un brano che entrerà ben presto nel dimenticatoio.
07. SYMPTOMS (04:37)
Scritto da Alex Skolnick, “Symptoms” si apre con una sventagliata prog in cui la tensione generale si aggroviglia su sé stessa prima che i ritmi assumano maggior pesantezza e con essa un groove coinvolgente e ben strutturato. E’ la testarda voce di Chuck a narrare i sintomi di una verità scomoda e triste che pochi sono in grado di accettare o comunque di riconoscere: quella della malattia mentale. Uno squilibrio nervoso che viene sottolineato dai continui stravolgimenti chitarristici, da spunti minimali e contorti, oltre che dagli stop-and-go di Hoglan in sede di refrain, a testimonianza della difficile gestione della depressione dei conseguenti sbalzi d’umore. Deliziosa, forse la migliore di tutto l’album, la seppur breve sezione in cui gli strumenti accompagnano sino al termine l’urlo disperato dello stesso Billy. Altro episodio che necessita di più ascolti per assaporarne in pieno il valore globale.
08. FALSE PROPHET (04:54)
Con “False Prophet” si torna a pestare i pugni sul tavolo. Colpi sostenuti che non trovano comunque molta elasticità risultando invece leggermente statici, salvo assumere una miglior dinamica nella seconda parte del brano dove – ci ripetiamo – per l’ennesima volta il capo tribù eccelle nel suo personalissimo scream/growl. Finché, giunto al minuto tre e venti, viene silenziato da una rasoiata di Mr.Peterson anticipando di poco la martellante disposizione del signor Hoglan oltre ai canonici esercizi di stile di Skolnick. Pezzo discreto che, proprio per le forze in campo, avrebbe potuto macinare ancor più mordente.
09. THE HEALERS (04:23)
Testament che tornano a convincere con “The Healers” in cui il nostro Chuck traccia un excursus spirituale circa la sua esperienza passata contro l’incubo del cancro, soffermandosi su quelle persone che lo hanno aiutato durante quei momenti delicati. Malattia e guarigione che sembrano andare a braccetto anche a livello sonoro: è infatti una continua altalena di ritmi quella che prende possesso dell’intero brano sin dalle prime battute. Una corsa che scatta in maniera forte e decisa, cadenzata con prepotenza dalla sezione ritmica: una base roboante che, pur permeandosi lungo tutto il pezzo, si apre su uno scenario più arioso e melodico in modo da sottolineare quel senso di agrodolce sopra citato. Sicuramente uno degli episodi più riusciti di “Titans Of Creation”: robusto, il giusto mix tra thrash ed heavy.
10. CODE OF HAMMURABI (04:52)
Come nella precedente tappa di storia babilonese, anche in questo caso la chiave di lettura del leggendario “Code Of Hammurabi” è in carico al basso di DiGiorgio: il suo fraseggio iniziale, accompagnato da una linea chitarristica dai tratti orientali, viene fatto saltare dalla tempesta di colpi di Hoglan. Ci troviamo di fronte ad un classico e tumultuoso brano made in Testament, sicuramente più efficace di “Ishtars Gate”. Il refrain si concentra sulla famosa legge del taglione, ‘eye for eye’, presente nell’antico elenco di norme comportamentali; e pure lo spazio riservato agli assoli di Peterson e Skolnick si tinge di mistero e magnetismo. La conclusione è vicina, ma all’appello manca ancora un’ultima scarica elettrica.
11. CURSE OF OSIRIS (03:24)
Bene, potete alzarvi dalla poltrona (se mai vi siete seduti), portare il volume del vostro stereo al massimo e sgranchire per bene le ossa del collo. Preparatevi, perché “Curse Of Isiris” è una bordata thrash senza fiato che raggiunge il climax in sede di ritornello dove uno schizzo black esaspera ulteriormente i toni. Il growl di Chuck s’incupisce mentre il pezzo rallenta all’improvviso, per una parte centrale più ritmata e massiccia salvo riprendere l’impatto iniziale per un’ultima ripartenza al fulmicotone. Una fiocina di colpi allo stomaco che farà felici gli amanti dei brani più violenti e senza tregua. Hoglan tritagambe. Niente male come chiusura: una definitiva martellata sul cranio lanciata dai due titani impressi in copertina.
12. CATACOMBS (02:01)
Il tredicesimo capitolo firmato Testament termina con un breve stacco labirintico dove un miasma di chitarre viene sobbalzato dal ritmo tribale di Hoglan mentre un coro di avvertimento abbaglia le orecchie dell’ascoltatore in attesa del botto finale. Si conclude così “Titans Of Creation”: un album meno diretto del precedente “The Brotherhood Of The Snake” che, come già accennato per alcuni pezzi, richiede più ascolti per interagire completamente con le varie sfaccettature messe in gioco. La garanzia tecnica di Chuck e compagni ha bollato ancora una volta la casella targata ‘ottimo’. Potevano fare di più? Forse, ma ad avercene di band così! Buon ascolto.