THE PEACEVILLE THREE: i 10 migliori dischi del doom-gothic metal britannico

Pubblicato il 13/08/2020

Speciale a cura di Marco Gallarati

Spesso, se si vuole capire e comprendere al meglio la nascita di una determinata scena musicale, in particolare metallica, bisogna lanciarsi in un piccolo ripassino di storia e soprattutto geografia. Quanto aiutano, stimolano, ispirano, alimentano, i nostri artisti più amati, il dove e il quando della loro nascita, che li fanno trovare nel posto giusto e nel periodo giusto affinchè tutto combaci e nasca qualcosa che si cementi nel tempo e divenga in qualche modo leggenda?

Lo Yorkshire Occidentale (o all’inglese, West Yorkshire) di fine anni Ottanta/inizio anni Novanta era un posto certamente baciato da una di queste situazioni contingentali in cui ogni elemento, seppur non particolarmente solare, nè allegro – anzi! – andava ad innestarsi nel suo vicino come nel più perfetto dei puzzle. Cittadine particolarmente insignificanti, come possono essere di primo acchito Bradford e Halifax, che si dividono il paesaggio tra le nebbiose brume d’Albione e un’irriducibile decadenza industriale, non avrebbero mai immaginato di entrare nella memoria storica di milioni di metallari sparsi per il mondo, se non fosse stato grazie al successo di una manciata di loro figliol prodighi. Vero, i più attenti e vecchiotti di voi che hanno già capito dove stiamo andando a parare e di chi andremo a parlare, ci terranno a puntualizzare che Liverpool, città da dove arrivano gli Anathema, non è nello Yorkshire Occidentale, bensì nel Merseyside. Bene, ma siamo lì, non lontanissimi!

Non solo la provenienza, comunque, accomuna i protagonisti di questo speciale, formanti la cosiddetta Triade Britannica, ma anche l’etichetta discografica tramite la quale, con modalità diverse fra loro, Paradise Lost, My Dying Bride e Anathema si sono affermati tra il pubblico che conta. E guarda caso, la Peaceville Records ha proprio sede nella stessa Contea, vero e proprio teatro di tragedia in quei maledetti trent’anni fa. Per questo abbiamo scelto di usare il monicker più internazionale con cui i Nostri sono entrati nell’immaginario comune, The Peaceville Three, per identificare più compiutamente tale incredibile trio di formazioni, in grado di dipingere, decifrare e plasmare un vastissimo campionario di emozioni, sensazioni e veri e propri affreschi sonori. L’invenzione di un genere, la definizione di peculiari coordinate stilistiche, l’inserimento di elementi innovativi, l’approfondimento straziante e morboso di certe tematiche: sebbene prendano a piene mani da sonorità praticamente agli antipodi ma già note all’epoca, spazianti dal death metal alla darkwave, dall’heavy metal classico al progressive, il gothic metal e il suo gemello più ostico doom-gothic metal rifulgono, in quegli anni, di una nuova e sinistra penombra, quella soffusa, antica e spettrale simile a spessa nebbia che ammanta piangenti cenotafi in decadenti cimiteri.

 



GLI ESORDI

Gotici Richiami
I primi a venire alla luce sono i Paradise Lost, di Halifax, nel marzo del 1988: la band nasce dalla volontà di Gregor Mackintosh, songwriter principale e chitarra solista, e Nick Holmes, voce, di dare forma e suono alle loro frustrazioni, dovute al grigiume di una vita stolidamente cupa in una cittadina deprimente e sbarrante qualsiasi velleità speranzosa nel futuro. D’altronde, sappiamo bene a quali e quanti altri nostri paladini assoluti (Black Sabbath, Napalm Death, Carcass, così, per citarne tre a caso) e rispettivi generi d’appartenenza, tali lande d’Albione abbiano fornito i natali. Assoldati i fedelissimi Aaron Aedy alla chitarra ritmica e Stephen Edmondson al basso, il Paradiso Perduto troverà in Matthew Archer il primo batterista della sua storia, un ruolo mai particolarmente stabile e duraturo nelle epopee dei The Peaceville Three. Siamo in piena ‘era demo’, quindi, prima di esordire sulla lunga distanza, i cinque assaporano lo studio di registrazione per le prime volte pubblicando tre tape pressochè inudibili e dai titoli inequivocabili: “Morbid Existence”, “Paradise Lost” ed il già più decente “Frozen Illusion”. E poi debuttano, nel 1990, con “Lost Paradise”, per un lavoro decisamente grezzo e purulento, che è ancora legato ad un putrido death metal ma che già contiene tutti i prodromi – i rallentamenti, gli spunti melodico-decadenti e gli innumerevoli assoli – che segneranno tutto l’arco compositivo della carriera di Mackintosh; dal canto suo, Holmes è sgraziato e macilento, ma il lavoro mantiene ancora oggi il fascino intatto di quegli anni acerbi, imberbi ma clamorosamente pregni d’inventiva. E’ però alla stregua di un fuoco di paglia, l’esordio degli albionici, in quanto nell’arco di pochissimo tempo i Paradise Lost andranno ad ergersi quali archetipi imprescindibili del gothic metal, progettandone e sviluppandone gli stilemi e i dogmi attraverso un poker di lavori entusiasmanti, dall’iconico “Gothic” del 1991, che darà il nome al genere, al disco del successo commerciale “Draconian Times”, arrivato a metà del 1995. Da lì, da quell’apice di maestosità e tristezza in musica, partirà poi un altro capitolo della narrazione, che andremo in parte, più avanti, a sviscerare.


La Voce del Violino
Il 6 giugno del 1990, quindi pochissimo tempo dopo la release di “Lost Paradise”, Andrew Craighan e Rick Miah, allora membri dei deathster Abiosis, gruppo poi rimasto solo poco più che embrionale, si uniscono al sofferente e tormentato vocalist Aaron Stainthorpe e a Calvin Robertshaw, per dare origine ai My Dying Bride, il vertice più fedele, immutabile nel tempo e die-hard del triangolo della Peaceville. I Nostri, nei loro primissimi anni, sono iper-produttivi e, dopo il terrificante demo più-death-che-doom “Towards The Sinister” ed il blasfemo singolo “God Is Alone”, assestano la lineup con Adrian ‘Ade’ Jackson per la posizione di bassista, chiamando come arrangiatore d’eccezione tale Martin Powell, un violinista che aggiungerà l’inconfondibile e straziante tocco del suo strumento a partiture che, anch’esse, come nel caso dei Paradise Lost, inizialmente devono molto alle influenze thrash-death metal dei membri, Celtic Frost, Death e Morbid Angel più di altri. Nel 1992, mentre ad Halifax è già quasi tempo del terzo “Shades Of God”, dalla vicina Bradford i Bride fanno uscire, a distanza di un paio di mesi, l’EP “Symphonaire Infernus Et Spera Empyrium” e l’esordio “As The Flower Withers”, due pubblicazioni che innestano del marciume inaudito all’interno di un suono che si divide in egual parte tra la feralità del succitato death metal e rallentamenti solenni e possenti, orchestrati dal growl demoniaco di un frontman all’apparenza dannato. Le atmosfere, se possibile, si oscurano ancor di più rispetto al suono dei Paradise Lost, ma anche i My Dying Bride sceglieranno di non perseguire la sanguinolenta strada segnata dal death metal, bensì preferiranno dare il via ad un processo evolutivo nettamente in campo doom, abbinandolo a quel loro tipico sentore progressivo che culminerà immediatamente nei due capolavori successivi al debutto, “Turn Loose The Swans” e “The Angel And The Dark River”, grazie al quale Aaron e compagni avranno l’incredibile opportunità di andare in tour con gli Iron Maiden (e i The Almighty), per una massiccia esposizione live assolutamente insperata, e pensiamo neanche voluta, fino allora. Ultra-fedelissima alla Peaceville Records, la Sposa Morente solo di recente si è accasata presso una differente etichetta (la Nuclear Blast), rompendo così un sodalizio di praticamente trent’anni, certamente fra i più longevi nella storia dell’heavy metal.


Crepuscoli Cerulei
A chiudere il trio ‘magico’ dei gruppi del The Peaceville Three, arrivano gli Anathema, nati come Pagan Angel e poi diventati subito Anathema nel 1990. A differenza dei loro compagni d’etichetta, la band proviene da Liverpool ed è solidamente gestita da tre fratelli, i Cavanagh, il più grande Daniel e i due gemelli Vincent e James, noti per lo più con i loro diminutivi, Danny, Vinnie e Jamie; ad essi si uniscono il batterista John Douglas ed il cantante Darren J. White. Non mancano anche loro, nelle primissime pubblicazioni, di unire un death metal molto grezzo e minimale a sonorità più lente e crepuscolari, primitivamente esplicatesi nei primi due demo editi, “An Iliad Of Woes” (1990) e “All Faith Is Lost” (1991), prima che Jamie lasci subito il progetto. Al suo posto, ingresso fondamentale per gli equilibri compositivi della formazione, giunge al basso Duncan Patterson, con il quale pubblicano l’ottimo “The Crestfallen EP”, a fine 1992, e il debut-album “Serenades”, nei primi mesi del 1993. Un pelo in ritardo rispetto alle altre due compagini, il combo dei Cavanagh saprà però accelerare in maniera esponenziale il suo processo evolutivo, tanto che, passando da disco precedente a disco successivo, le svolte stilistiche saranno all’ordine del giorno. “Serenades”, unico loro full-length album a presentare White alla voce – Darren verrà in seguito estromesso senza troppi complimenti in favore della traslazione di Vinnie Cavanagh a vocalist – è foriero di ritmiche plumbee, lente ma mutevoli, accenni acustici, un’oscurità latente e sempre in agguato ed un tocco sperimentale molto più marcato e presente, se mettiamo a confronto i tre debutti dei The Peaceville Three; alcune tracce paiono del tutto improvvisate, idee allo stato brado messe su nastro e a cui assegnare un titolo e delle lyrics minimali; altre sono su poli opposti, dalla quasi-singolo “Sleepless” all’interminabile ambient di “Dreaming: The Romance”. Un’acerba irrisolutezza permea tutto “Serenades”, rendendolo epocale anche per questo. E’ del 1995, l’anno di uscita del successivo full “The Silent Enigma”, anche il monumentale EP “Pentecost III”, che evidenzia in modo peculiare ed unico il livello di maturità raggiunto dal quintetto, portandolo ad essere considerato, oggigiorno, un autentico gioiello underground. Da qui in avanti, da fedeli e sfegatati innamorati dei Pink Floyd, gli Anathema vireranno lentamente, ma costantemente, verso lidi lontanissimi da quelli di partenza, per una trasformazione totale che li porterà a diventare dei rocker dandy d’elettronica tenacia…

 

Per ogni protagonista di questo speciale siamo dunque giunti, con tali rapide disamine, al momento della pubblicazione del secondo album, avvenuta ovviamente in anni diversi; ma in realtà, com’è giusto che sia, nell’identificare i dieci lavori migliori partoriti da queste tre band, abbiamo preferito seguire l’ordine cronologico, rispecchiante al meglio come si evolse la scena all’epoca. Vi riproponiamo perciò qui sotto tutte le recensioni (alcune sono state stilate proprio per questa occasione, altre erano già in archivio) relative a questa ristretta lista di lavori, accompagnate da un brano rappresentativo per disco. Buon ritorno agli anni Novanta, allora!

PARADISE LOST – “Gothic” (Peaceville, 19/03/1991)


E’ passato poco più di un anno dall’uscita del debutto “Lost Paradise”, ma già i suoi autori hanno composto nuove canzoni sviluppandone lo stile verso un approccio più doom e sacrale, generando così, a loro insaputa, uno dei capostipiti – probabilmente IL capostipite – del gothic metal tutto(CONTINUA)

PARADISE LOST – “Shades Of God” (Music For Nations, 14/07/1992)


Definire ‘album di transizione’ “Shades Of God” dei Paradise Lost potrebbe essere corretto, nonostante, spesso, il destino del terzo full-length album di un gruppo sia ben più importante e oneroso dell’essere un lavoro di passaggio, di ponte tra uno sviluppo stilistico e l’altro… (CONTINUA)

PARADISE LOST – “Icon” (Music For Nations, 23/09/1993)


Nel 1993 la band di Gregor Mackintosh e Nick Holmes resta accasata alla Music For Nations, dopo aver abdicato dalla Peaceville un anno prima per la release di “Shades Of God”, e decide di cambiare approccio alla composizione, snellendo di molto il songwriting… (CONTINUA)

MY DYING BRIDE – “Turn Loose The Swans” (Peaceville, 11/10/1993)


“Turn Loose The Swans”, ad appena un anno di distanza da “As The Flower Withers”, si rivela già essere una notevole maturazione per i suoi autori: l’ingresso in pianta stabile di Martin Powell, tastierista e soprattutto violinista, sposta l’accento delle composizioni in un’ottica più pacifica e tranquilla… (CONTINUA)

MY DYING BRIDE – “The Angel And The Dark River” (Peaceville, 22/05/1995)


Rasenta la perfezione “The Angel And The Dark River”, terzo episodio sulla lunga distanza per i My Dying Bride e consacrazione definitiva del combo originario di Bradford. Due anni sono passati da “Turn Loose The Swans”, ma la maturazione della band sembra non avere fine… (CONTINUA)

PARADISE LOST – “Draconian Times” (Music For Nations, 12/06/1995)


Eccolo qui, il Black Album del gothic metal. L’apice di un genere, raggiunto dai suoi stessi inventori. Stilisticamente, tecnicamente, commercialmente parlando e per attitudine, l’apoteosi di una carriera non ancora conclusa e tuttora splendida… (CONTINUA)

ANATHEMA – “The Silent Enigma” (Peaceville, 23/08/1995)


Disperazione. Sogno. Dolore. Poesia. In queste quattro parole è racchiuso il contenuto di “The Silent Enigma”, l’album-capolavoro che chiude la parte più oscura della discografia dei britannici Anathema… (CONTINUA)

MY DYING BRIDE – “Like Gods Of The Sun” (Peaceville, 07/10/1996)


Dopo il successo di “The Angel And The Dark River” e l’exploit del tour di supporto agli Iron Maiden, per i My Dying Bride il quarto disco in studio, “Like Gods Of The Sun”, assume connotati di fondamentale importanza… (CONTINUA)

ANATHEMA – “Eternity” (Peaceville, 11/11/1996)


Passare da “Serenades” a “The Silent Enigma”, seppur con il fenomenale ed interlocutorio EP “Pentecost III” a fare da cuscinetto d’assorbimento, era stato già un enorme passo in avanti per gli Anathema. Ma, a soli quindici mesi di distanza, sul finire del 1996… (CONTINUA)

ANATHEMA – “Alternative 4” (Peaceville, 11/08/1998)


Il disco spartiacque della carriera degli Anathema. Se si vuole capire e comprendere appieno l’evoluzione stilistica della band inglese, pensiamo forse convenga partire proprio da questo capolavoro, “Alternative 4”, rilasciato nel 1998 per Peaceville Records ed appena quarto full-length della formazione di Liverpool… (CONTINUA)

 

LE SVOLTE STILISTICHE

Derive esponenziali, errori madornali o ritorni di fiamma?
Siamo ben oltre la metà dei Nineties e ognuno dei protagonisti del nostro speciale ha raggiunto una propria dimensione stilistica, tutti evolvendo il sound in modo rapido e coraggioso, ma fin qui con determinate certezze di espressione, di genere. Solo gli Anathema, a ben vedere, hanno già dato esempio di come e cosa possano scrivere e suonare, progredendo speditamente verso un abbandono dei canoni puramente metal e andando ad abbracciare tematiche prima progressive, con “Eternity”, e poi alternative, con proprio “Alternative 4”. Per loro è quindi arduo determinare un vero punto di non ritorno, il momento in cui i ragazzi si sono detti “ok, proviamo a fare qualcosa di diverso dal metal”, considerato che erano già diversi anni che la band era alle prese con lavori via via sempre più sperimentali. Abbiamo però scelto lo stacco tra “Judgement” e “A Fine Day To Exit”, tra il 1999 e il 2001, in quanto l’atmosfera generale del secondo citato è concettualmente e completamente diversa dal precedente e il sentore di disco indie-rock, alt-rock, è molto forte e deciso. I Cavanagh Bros., forse inutile scriverlo, non si sono poi più fermati, andando del tutto alla deriva in un mare alieno all’heavy metal, restando però legati al pubblico estremo – ahiloro! – e compromettendo così un’acclamazione commerciale più mainstream che, a conti fatti, non si è mai realizzata.
Più semplice fare i conti con i My Dying Bride, autori di una chiara sbandata di metà carriera con il discussissimo “34.788%…Complete” (1998), un tentativo rinnegato immediatamente e forse troppo frettolosamente di proporre qualcosa di più contaminato e moderno; fin troppo evidente, difatti, il rientro nei ranghi con il seguente, e molto estremo, “The Light At The End Of The World”, del 1999, che inaugurò una stabile e redditizia seconda parte di carriera per Aaron e soci, mai sopitasi e mai adagiatasi sugli allori, sebbene non si siano più avute, da parte loro, quelle impennate prepotenti ed innovative che ne hanno fatto risplendere l’aura nei primi anni Novanta. Certo, del terzetto i My Dying Bride restano i più indistruttibili promulgatori di arie deprimenti e disperate, in grado di instillare dubbi profondi ed ancestrali nell’esistenza di ognuno di noi.
Piuttosto netta anche la vicenda dei Paradise Lost, che furono i primi – ancora loro! – nel 1997, con “One Second”, a scrollarsi di dosso la patina caliginosa del metallaro goticone per vestirsi di pelle lucida, accorciarsi di parecchio le chiome, ingellarsele per bene e lanciarsi in una annosa parabola all’interno di un gothic-rock/pop accattivante, molto debitore dei Depeche Mode e, per certi versi, sfortunato. Si potrebbe preparare un articolo a parte sugli album del Paradiso Perduto che vanno da “One Second” a “Symbol Of Life”, del 2002, fino a giungere al rinsavimento quasi totale con l’omonimo e sottovalutato full edito nel 2005. Otto anni di bipolarità acuta, in cui gli Shadowkings si sono letteralmente trasformati in disco-rocker di teutonica attitudine. Un bene? Un male? Solo il personale apprezzamento e l’individuale apertura mentale hanno la risposta a queste domande. Si tende solitamente, però, a giudicare troppo male l’ammorbidimento di sound di una formazione di metal estremo e, viceversa, a valutare troppo entusiasticamente il back-to-the-roots successivo. La verità sta nel mezzo, ovvero che i Paradise Lost, ad eccezione di qualche estemporanea, reale caduta di tono, hanno sempre pubblicato dischi di gran classe e maestria.

Tre andamenti del tutto differenti, dunque, per i The Peaceville Three: una deriva senza ripensamenti, nè voltafaccia; un immediato dietrofront strategico; un ritorno consapevole e simmetrico nel mondo metal più dark ed oscuro. Difficile davvero affermare con certezza chi abbia avuto la carriera più soddisfacente in termini di apprezzamento esteriore, di fan e critica, e soddisfazione interiore, ma anime tormentate come quelle di questi enormi musicisti probabilmente non se ne fanno cruccio, nè questione d’alta importanza; il loro spessore umano e artistico va ben oltre ogni tipo di classifica.

PARADISE LOST – “One Second” (Music For Nations, 14/07/1997)

Dopo aver infilato un poker clamoroso di album superlativi uno dietro l’altro – “Gothic”, “Shades Of God”, “Icon” e “Draconian Times”, fra i quali almeno tre sono seminali per gothic metal e doom-gothic metal – i Paradise Lost arrivano nel 1997 con la pancia un po’ piena… (CONTINUA)

MY DYING BRIDE – “34.788%…Complete” (Peaceville, 06/10/1998)


Siamo nel 1998 e, dopo l’abbandono di Rick Miah e soprattutto in seguito alla decisione di Martin Powell di lasciare la band, i My Dying Bride si trovano per la prima volta davanti ad un drastico cambio di line-up: il momento sembra buono per provare a scrivere qualcosa di diverso… (CONTINUA)

ANATHEMA – “A Fine Day To Exit” (Music For Nations, 01/10/2001)


Con “A Fine Day To Exit” gli Anathema iniziano davvero ad andare alla deriva, slegando le cime della loro barca dal porto heavy metal per dirigersi con speranza e dedizione verso la luce albeggiante dell’alternative rock, dell’indie, del rock atmosferico… (CONTINUA)

 

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