INTRODUZIONE
Introduzione a cura di Marco Gallarati
Report a cura di Marco Gallarati (Milano, Magazzini Generali, 26/11/2009), Claudio Giuliani (Roma, Alpheus, 27/11/2009) ed Emilio Cortese (Rimini, Velvet, 28/11/2009)
Foto di Marco Scozzaro
Those Whom The Gods Detest Tour: il tour per ‘quelli che gli Dei detestano’ altro non è stato che un piccolo Campionato Mondiale di death metal, poco ma sicuro! Svezia e Danimarca a rappresentare l’Europa, Brasile per il Sudamerica, Stati Uniti per il Nordamerica ed addirittura la volitiva Nuova Zelanda per il continente oceanico; ed ovviamente, sebbene sempre di matrice estrema, i tipi di death metal presentati sono stati diversi, a seconda delle scuole scese in campo, proprio come in una vera competizione sportiva. Se poi aggiungiamo le derive medio-orientali che da sempre caratterizzano gli headliner Nile, allora capirete bene come questa tournée vada ad assumere connotati veramente importanti e completi a tutti gli effetti. Metalitalia.com – a mo’ di segugio indefesso – ha seguito per voi tutte e tre le date del tour svoltesi in terra italica, e quindi ci è parso conveniente presentarvi i report in un unico speciale dedicato a questo happening a dir poco bestiale; Magazzini Generali di Milano, Alpheus di Roma, Velvet di Rimini: se non eravate a nessuna di queste tre location, eccovi l’opportunità di rivivere in simultanea tutte le performance dell’evento! Buona lettura!
CORPUS MORTALE
MILANO
Sono i danesi Corpus Mortale a dare fuoco alle polveri. La band è poco conosciuta qui in Italia, ma la sua discografia può vantare già un buon numero di uscite tra full, mini-CD e demo. La proposta del quartetto di Copenhagen si pone a metà strada tra il brutallismo floridiano ed il classico, inconfondibile tocco di melodia scandinava, per un impatto d’insieme che, se non brilla per originalità ed ispirazione, almeno serve alla band per smuovere le avanguardie del pubblico e a farsi conoscere un pelo meglio dai metalkids del Belpaese. I pezzi hanno un buon tiro, non fanno malissimo, ma piacciono soprattutto all’altezza di rallentamenti poderosi e da puro headbanging. I suoni non sono pulitissimi, ma i quattro danesi tirano dritto e paiono pure soddisfatti della risposta dell’audience, a quanto veniamo a sapere dal cantante-bassista Martin Rosendahl più numerosa rispetto alla prima esibizione italica dei Corpus Mortale. Non saranno il futuro del death metal tutto, ma una band onesta questo sì. Buona partenza.
ROMA
Non pervenuto causa traffico sul GRA.
RIMINI
Quando i danesi Corpus Mortale iniziano la loro performance, il locale è ancora ovviamente mezzo vuoto e la prestazione del gruppo non ci esalta in maniera particolare. Il quartetto, in cui militano alcuni ex membri degli Iniquity, è fautore di un old school death metal debitore in tutto e per tutto a realtà quali Deicide, Immolation e soprattutto Morbid Angel. Nulla da dire sulle capacità tecniche dei nostri, ma la scolasticità e anche un po’ la monotonia dei loro pezzi è troppo anche per gli amanti più accaniti del genere. Avremmo anche da ridire sui discorsi del frontman Martin Rosendahl, che potrebbe anche evitare di parlare in growl, se non altro anche solo per stabilire un minimo di contatto umano con il pubblico che reagisce in maniera abbastanza fredda allo show. Ci si inizia a scaldare per gli Ulcerate.
ULCERATE
MILANO
Rapido cambio di palco ed è la volta della formazione meno ortodossa del lotto del Those Whom The Gods Detest Tour: i neozelandesi Ulcerate hanno fatto il botto con il recente “Everything Is Fire” ma non abbastanza, purtroppo, da far incuriosire tutti i presenti all’evento. In previsione delle mazzate seguenti – Grave, Krisiun e Nile – qualcuno infatti preferisce distrarsi al bar dei Magazzini o ai banchetti del merchandise; be’, peccato, perché gli All Blacks (sebbene siano tutti bianchi e anche dall’aria molto tranquilla) sanno proprio il fatto loro e hanno saputo stregare la location grazie a sonorità apocalittiche e psichedeliche, composte da esplosioni ed implosioni davvero massacranti le prime e avvolgenti le seconde. Un death metal brutale, tecnico e progressivo che sa di Florida, Cynic, Gojira e Isis, procrastinato da un gruppo quasi timido e dimesso, ma che spacca veramente! Si spera che brani quali “Caecus” e la splendida “Everything Is Fire” abbiano fatto proseliti!
ROMA
Stiamo entrando nel locale quando lo stridere delle chitarre tradisce inevitabilmente che on stage ci sono gli Ulcerate. Ci catapultiamo sotto il palco e veniamo subito rapiti dalla proposta musicale di questa giovane band. Il loro death metal è di quelli iper-tecnici, con la batteria a disegnare pattern mai banali, mai scontati e assolutamente di rilievo. Riescono a essere brutali, efferati e allo stesso tempo a disegnare scenari apocalittici con il lavoro delle due sei corde. Perfetta la bellissima “Caecus”, perfetto mix di brutalità e atmosfere. Quello che stupisce di questi ragazzi è la loro perizia tecnica, la loro precisione che viene apprezzata anche grazie agli ottimi suoni dell’Alpheus di Roma. A tratti ricordano gli Immolation, specie nelle loro dissonanze, e c’è da dire che è un gran bell’ascoltare. “Tyranny” fa la sua comparsa in tutta la sua potenza e catalizza l’attenzione del pubblico. Un concerto veramente notevole, durato troppo poco e forse non propriamente apprezzato dal pubblico, specie dai più giovani che non avevano capito forse di avere davanti una band di spessore nel death metal.
RIMINI
Autori di uno degli album più esaltanti del 2009, chi scrive nutriva molte aspettative nei confronti del combo proveniente dalla lontana Nuova Zelanda, aspettative che sono state ripagate in pieno! Il pezzo con cui inizia la performance dei nostri è “Tyranny”, una scelta molto particolare per aprire un concerto visto che si tratta di un brano dall’incedere lento e paranoico, ma che in questo caso riesce a far calare il pubblico in un vortice di riff e atmosfere talvolta rareffate e talvolta completamente fuori controllo. Con “Withered And Obsolete” lo show, come si suol dire, spicca il volo per raggiungere il suo picco massimo con la splendida “Caecus”, dove ad emergere è Jamie Saint Merat che dietro le pelli è di una precisione chirurgica, oseremmo dire meglio che su disco per pulizia e precisione nei passaggi più intricati. Va anche detto che fortunatamente i suoni si sono rivelati all’altezza della situazione: spesso, infatti, le prime band di questi tour con molti gruppi vengono penalizzate da questo aspetto. Stasera, per fortuna, non è stato il caso degli Ulcerate. Si chiude con la magistrale riproposizione della title track di “Everything Is Fire”. Rimane un po’ di amaro in bocca per il poco tempo a disposizione, ma chi scrive è rimasto letteralmente annichilito dagli Ulcerate che si sono rivelati una delle migliori sorprese del 2009 e gli amanti di queste sonorità non possono, anzi non devono, assolutamente ignorarli.
GRAVE
MILANO
Dalla complessità alla pura ignoranza in un batter d’occhio: i Grave incendiano letteralmente la platea con la loro valanga di note 100% old-school Swedish death metal! La partenza fa davvero male, con una “You’ll Never See…” buttata in faccia al pubblico improvvisamente scatenato, che non subisce il colpo ma anzi reagisce e tributa ad Ola Lindgren e compari un pogo furioso. I suoni sono particolarmente efficaci e la quadratura, nonché l’affiatamento, dei quattro svedesi permettono al gruppo di creare un impatto sonoro devastante ed assolutamente compatto. Le perplessità sull’acustica dei Magazzini Generali – enormi dopo aver seguito Amorphis e Before The Dawn ad inizio mese – paiono essere svanite e di ciò non possiamo far altro che rallegrarci vivamente! I quaranta minuti a disposizione dei Grave sono volati via veloci, con la band che ha fatto su e giù per il suo repertorio – tra una “Bloodpath” ed una “Obscure Infinity” – mantenendo però costanti aggressione, velocità e potenza all’altezza delle parti più monolitiche e cadenzate. “Into The Grave” ha posto la pietra tombale su di un live che – in quel di Milano e per chi scrive – ha dato la paga a tutti gli altri, Nile compresi. Svezia padrona!
ROMA
Con gli svedesi ci si comincia a riscaldare sempre più seriamente. E’ la prima volta – salvo smentite – che i Grave suonano a Roma e il pubblico accorre da tutti i lati del locale per assistere alla loro sfuriata fin dalla prima nota del sound check, dove la classica chitarra “motosega” chiama all’appello. Il gruppo del biondo Ola Lindgren comincia a macinare note death metal in un concerto senza fronzoli: “Bloodpath” fa subito la sua comparsa scatenando l’headbanging dei presenti, il pezzo è tanto semplice quanto convincente dal vivo. Dalle atmosfere stridenti degli Ulcerate siamo passati ai toni bassi della band di Stoccolma, uno dei gruppi storici della scena svedese del genere. “Burn”, insieme a “Rise”, gasa a dovere la folla in attesa del classico finale che tutti aspettano e invocano durante il concerto: “Into The Grave”. Qui si scatena il delirio dei fan del gruppo, il pezzo – datato addirittura 1991 – è eseguito alla perfezione e gli applausi finali testimoniano quanto Roma abbia apprezzato il concerto dei Grave, seppur per solo mezz’ora.
RIMINI
Dopo la annichilente performance degli Ulcerate, è ora compito dei Grave rianimare la serata e quando Lindgren e soci salgono sul palco del Velvet il pubblico inizia ad essere bello caldo e numeroso. Poche chiacchiere per gli svedesi che non hanno di certo bisogno di presentarsi, ma che decidono di aprire il loro concerto ‘soltanto’ con “You’ll Never See…”, ed è subito putiferio nelle prime file dove parte il primo pogo della serata. Ma è sulle note di “Obscure Infinity”, tratta da quello che è considerato uno dei capolavori dello swedish death metal (stiamo parlando di “Into The Grave”), che l’esaltazione di chi scrive raggiunge livelli stellari. Non si può proprio fare a meno di muoversi e squassare la chioma sulle note dell’ignoranza galoppante di questo gruppo per tutta la durata del concerto. Si susseguono brani estratti da un po’ tutta la loro lunga discografia, senza troppo ciarlare e si chiude sulle devastanti note di “Into The Grave”. Ancora una volta questa band si è rivelata una garanzia anche in sede live, ad ogni loro concerto ci si sorprende per la capacità dei nostri di trascinare tutti nel loro vortice di ignoranza. Maestri.
KRISIUN
MILANO
Se gli Ulcerate hanno colpito per la loro proposta e per la loro pacatezza di movimenti, discorso opposto va fatto per i brasileiros Krisiun, una band nella scena (inspiegabilmente?) da tantissimi anni: fin troppo convinta delle sue capacità, almeno per il sottoscritto, la formazione dei fratelli Kolesne e di loro cugino Alex Camargo ha dato prova di saper suonare velocissimo e basta, durante una setlist tutto sommato noiosa e stancante che ha visto avvicendarsi una serie di brani lanciati a velocità stellari, ma che in tutto avranno sommato soltanto una decina di riff diversi, non di più. Se in studio i Krisiun sono andati migliorando col tempo, dal vivo hanno l’attitudine tipicamente paracula delle band che aspettano l’ovazione al minimo sputacchio. Se per far urlare il pubblico bisogna tirare dieci porconi gratuiti di fila, secondo chi scrive dietro a tanta blasfemia c’è una sorta di vuoto cranico difficilmente colmabile. L’audience ha comunque mostrato gradimento, sebbene alla lunga – cinquanta minuti è durata l’esibizione dei carioca – abbia perso qualche colpo. “Sentenced Morning” e “Vengeance’s Revelation” sono solo due dei brani eseguiti dai Krisiun, ma sinceramente crediamo che citarne uno voglia dire citarli tutti. Quando la violenza porta apatia.
ROMA
I Krisiun stanno al death metal come il mediano sta al calcio: un lavoro oscuro, quello del centrocampista di fatica, che difficilmente brilla ma di cui nessuno può fare a meno. “Slaying Steel”, opener dell’ultimo studio album del gruppo, “Southern Storm”, apre un concerto tritatossa, fatto di drumming selvaggio, scarno, se volete monotono, sorretto dal basso pulsante di Camargo e dalla chitarra che spesso se ne va per le sue di Max Kolesne, fratello di Moyses il batterista. Sempre dalla “tempesta del sud” sono eseguite la bella “Sentenced Morning” e “Combustion Inferno”. Via via il terzetto, che ad ogni loro concerto ringrazia il pubblico (“without your support we’re fucking nothing”) sciorina anche brani vecchi del repertorio, scegliendo però il materiale degli album più recenti, quelli dove hanno intrapreso uno stile più vario. Sono lontani, infatti, i tempi del granitico e monolitico “Conqueror Of Armageddon”, rappresentato dal vivo con la breve “Soul Devourer”. La famiglia Krisiun (il cantante Camargo è il cugino dei fratelli Kolesne) ora ha scelto altre soluzioni stilistiche, ne sono prova “Murderer” e la violenta “Bloodcraft”. Un ottimo riscaldamento in attesa dei Nile, osannati dal pubblico su incitamento proprio del cantante. Non aggiungono e non tolgono niente al death metal, ma ogni tanto fa bene vederli, lunga vita al loro death metal rozzo e potente.
RIMINI
Chi scrive avrebbe visto più volentieri i Grave al posto dei brasiliani, ma a furor di popolo i Krisiun si sono guadagnati con la fatica ed il sudore (soprattutto il sudore), una posizione di rilievo in questo tour. Di band come loro la scena metal in generale ha un bisogno vitale: gente che suona la musica che più ama e che vive per suonare ciò che più ama. La loro attitudine è paragonabile a quella di band come i Vader, che alla fine dei conti fa passare in secondo piano anche l’evidente mancanza di varietà e fantasia compositiva. Alex Camargo, bassista, cantante e frontman di questa band (nonchè uno degli uomini più sudati della storia!), mette una passione in quello che fa che è impossibile non contraccambiare tutto il sincero affetto che alla fine di ogni canzone deve esprimere al suo pubblico. Pubblico che a sua volta contraccambia urlando e pogando su ogni pezzo, che si tratti di “Sentenced Morning”, dall’ultimo album, o di pezzi più datati poco importa: alla fine dello show erano tutti contenti.
NILE
MILANO
Giunge finalmente l’ora degli attesissimi headliner Nile: sono le 22.30 quando George Kollias, ormai elevato a status di batterista principe del brutal death metal, si siede alla guida del suo drumkit in attesa che termini l’intro; spuntano poi Chris Lollis – il bassista/vocalist ingaggiato per il tour – Dallas Toler-Wade e Karl ‘Cortobraccio’ Sanders, e quindi “Kafir”, opener del disco che dà il nome al tour, può deflagrare in tutta la sua potenza, forte di quel ritornello ‘there is no God but God’ già diventato un must per i fan della band. I suoni sono ottimi, sebbene non precisi come durante i Grave, e i ragazzi sembrano in buona forma, anche se li abbiamo visionati in passato in condizioni migliori. La discografia dei Nile inizia ad essere corposa e piuttosto carica di classici, quindi in un’ora il gruppo deve riuscire a ben bilanciare la giusta proposizione di brani tratti dal lavoro in promozione con l’obbligata esecuzione di quei pezzi che hanno portato Sanders e compari dove sono ora. “Black Seeds Of Vengeance” e “Cast Down The Heretic” sono fra questi ultimi, mentre non trovano spazio tracce monumentali del calibro di “The Blessed Dead” e “Unas Slayer Of The Gods”, ben sostituiti comunque da “Execration Text” e dall’immancabile “Sarcophagus”. Potentissime ed epiche le song tratte da “Ithyphallic”, la title-track e “Papyrus Containing The Spell…”. Il trio di vocalist – Dallas più sul digrignante, Lollis growl classico e Sanders growl Cthulhoide – fa sempre la sua bella figura, mentre a livello strumentale poco si può dire di negativo della prova dei deathsters americani. Nessun bis concesso dalla band dopo la chiusura al grido di ‘black seeds of vengeance!’, ma non c’è davvero modo di lamentarsi al termine di una serata realmente appagante per chiunque mastichi e respiri il death metal più estremo e ferale.
ROMA
Che “Kafir” avrebbe aperto il concerto era cosa alquanto ovvia. Così com’era ovvio che il pubblico romano cantasse a gran voce ‘there is no God but God’, refrain iniziale che apre l’ultimo – ottimo – album del gruppo, ovvero “Those Whom The Gods Detest”, che peraltro dà il nome al tour. Osannato a gran voce George Kollias, mai perso di vista dalla folla che si esalta e si dimena a ogni nota dei nostri. “Kafir” si conferma uno dei pezzi migliori scritti dai Nile, manco a dirlo l’esecuzione sul palco dell’Alpheus è perfetta. Dal nuovo album viene eseguita anche “Utterances Of The Crawling Dead”, pezzo che permette di saggiare la maestria tecnica degli americani a velocità più ‘ragionevoli’. Ma si sa, i tanti giovani sotto il palco vogliono la velocità, ecco allora implodere, all’esecuzione di “Permitting The Noble Dead To Descend To The Underworld”, una cascata di riff a folle velocità. Non mancano ovviamente i pezzi storici e più vecchi, “Serpent Headed Mask” su tutti, anche se dal primo vero album del gruppo rimane un delitto non suonare dal vivo “Smashing The Antiu”. Eseguita ovviamente la richiestissima “Black Seeds Of Vengeance” dall’omonimo album, al pari della lenta “Sarchopagus” da “In Their Darkened Shrines”, album dal quale viene eseguita anche la granitica e fantastica “Execration Text”, in cui gli occhi sono tutti per Kollias. Viene eseguita la presentazione del nuovo bassista, un ragazzino che si dimena molto e ovviamente più del resto del gruppo, e poi si prosegue saccheggiando l’ottimo “Annihilation Of The Wicked” dal quale vengono scelte “Lashed To The Slave Stick” e ovviamente “Cast Down The Heretic”, dal coro da brividi cantato a squarciagola dai presenti. Non mancano i pezzi da “Ithyphallic”, album in tono minore rispetto agli altri, a giudizio di chi scrive. Eseguiti da quest’ultimo lavoro due brani: “As He Creates So He Destroys” e “Papyrus Containing the Spell to Preserve Its Possessor Against Attacks From He Who Is In The Water”. Concerto perfetto per i Nile, divenuti ormai uno dei gruppi più seguiti del death metal statunitense e non solo. L’ultimo disco spalancherà loro nuovi e meritati traguardi, sempre sotto la benedizione del Dio Ra.
RIMINI
Ecco che, dopo una discreta attesa, Sanders e soci calcano il palco del Velvet acclamati a gran voce da un pubblico caldo e numeroso. Ad aprire la performance del Those whom The Gods Detest Tour è proprio “Kafir”, l’opener dell ultimo esaltante album. Il pubblico viene investito da un suono caldo e potentissimo e il pogo parte violento sin dalle prime note. Si prosegue forte, anzi fortissimo, visto che a seguire i nostri ci propongono “Execration Text”, tanto per chiarire sin da subito che stasera si fa sul serio. Vengono poi estratte due tracce da “Ithyphallic”, rispettivamente la title track (la preferita di Dallas Toler-Wade, a detta sua) e la corta ma massacrante “Papyrus Containing the Spell to Preserve Its Possessor Against Attacks From He Who Is in the Water”. Dopo tanta adrenalina è tempo di calmarsi un po’, quindi ci si immerge nel lento ed annichilente incedere di “4th Arra Of Dagon” dove Ola Lindgren (vocalist dei Grave) arriva a dare manforte ai nostri durante il ritornello finale. E’ un concerto in cui i Nile non ripropongono i loro titoli più classici, infatti non vengono suonate ad esempio “The Blessed Dead” o “Unas Slayer of the Gods” da “In Their Darkened Shrines”, due brani quasi immancabili nelle setlist dei nostri, ma al loro posto viene proposta “Sarcophagus”. Così come da “Annihilation Of The Wicked” viene estratta “Lashed to the Slave Stick” anzichè la title track. Ma vista l’intensità con cui vengono riproposti i brani viene da pensare che sia stato meglio così. La chiusura invece è sempre affidata a “Black Seeds Of Vengeance”, vero e proprio cavallo di battaglia dei Nile che ancora una volta ci hanno convinto anche in sede live. Applausi.