A cura di Roberto Guerra
L’annuncio dell’arrivo sul mercato di un nuovo album degli statunitensi Warlord non è stato privo di polemiche o controversie, date soprattutto dalla prematura scomparsa del celebre chitarrista e compositore William J. Tsamis, cui si deve gran parte del repertorio di una delle realtà più seminali in ambito heavy/power metal epico alla vecchia maniera.
Sono infatti in diversi a rimproverare il suo storico socio e batterista Mark Zonder per aver voluto tenere in vita il progetto, peraltro attingendo anche in parte a quanto composto dal suo compianto collega, e sono discorsi che possiamo in parte comprendere; tuttavia, sulle nostre pagine viene sempre messa la musica al primo posto, e stando così le cose non possiamo non celebrare quello che è un autentico evento, anche e soprattutto considerando che parliamo di una band che pur avendo prodotto, nella propria carriera, pochi album completi, è riuscita ad elevarsi tra i gradini più alti del panorama epic metal, grazie alla propria indiscutibile classe.
Per l’occasione, anche la line-up è stata quasi totalmente rinnovata lo scorso anno – con ancora presenti solamente lo stesso Mark Zonder e il bassista Philip Bynoe – ad aggiungere ulteriore curiosità e spunto di discussione sull’argomento; ma non prima di aver passato in rassegna gli otto brani che compongono il nuovo disco in uscita, in maniera più approfondita possibile, in attesa della recensione. Buona lettura!
WARLORD
Mark Zonder – Batteria
Philip Bynoe – Basso
Diego Pires – Chitarre
Eric Juris – Chitarre
Jimmy Waldo – Tastiere
Giles Lavery – Voce
FREE SPIRIT SOAR
Data di uscita: 10/05/2024
Etichetta: High Roller Records
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01. Behold A Pale Horse (07:49)
Particolare la scelta di iniziare l’album con la riproposizione di un brano rilasciato originariamente dal compianto e sopracitato William J. Tsamis all’interno del suo progetto Lordian Guard a metà degli anni ’90.
L’incipit fa della batteria il proprio strumento cardine, per poi introdurre delle melodie chitarristiche dallo scopo essenzialmente evocativo, prima del sopraggiungere della voce di Gilles Lavery, che mette in chiaro sin da subito le proprie indiscutibili capacità dietro al microfono.
In concomitanza dell’assolo l’atmosfera, fino a quel momento abbastanza tetra, fa per illuminarsi lasciando poi il posto a delle autentiche orchestrazioni, che a loro modo mettono in mostra l’intenzione della band di non lesinare su determinati inserti raffinati e ricercati, quasi più tipici del power metal moderno, anziché di quello più vecchia scuola.
02. The Rider (04:25)
In questo caso la durata si abbassa, ma viene incrementato l’utilizzo delle melodie e della tastiera, che nei secondi iniziali adotta un sound ottantiano per poi spostarsi alle spalle degli altri strumenti e della voce, seppur temporaneamente.
Il risultato è quasi rilassante, anche se qualche ascoltatore più fedele a sound maggiormente duri potrebbe trovarlo a tratti un po’ melenso e anche troppo votato alla melodia pura e, per certi versi, quasi fischiettabile nel suo complesso.
L’assolo di chitarra è probabilmente tra i meglio suonati del lotto, anche se in effetti si inizia a sentire un po’ la mancanza di un pezzo dalla parvenza più movimentata, ma si tratta di un limite destinato a farsi da parte entro pochi minuti.
03. Conquerors (05:19)
Il primo singolo reso disponibile, già ben noto a moltissimi ascoltatori, e tra questi sono davvero tanti coloro che sono rimasti sbalorditi dalla qualità generale trasmessa da questi cinque minuti di grande power metal old-school.
A dirla tutta, questo è il primo vero momento in cui l’estro più belligerante dei Warlord si rende protagonista, come ben distinguibile dalla sezione ritmica più veloce ed incalzante, nonché da una interpretazione vocale che modula tra strofe evocative e ritornelli tanto cantabili quanto ricchi di pathos e sfoggi di tecnica, in particolar modo negli istanti successivi all’assolo e precedenti la terza ripresa, in cui vengono toccate delle ottave non indifferenti. Livelli altissimi anche per i fraseggi di chitarra, che di fatto rappresentano una sorta di autentica alternativa alla voce per quanto riguarda il comparto melodico e la sua valorizzazione, a dir poco fondamentale in una produzione di questo genere.
04. Worms Of The Earth (05:46)
Degli autentici cori annunciano l’inizio di quello che è probabilmente il brano più oscuro e tetro presente in scaletta, al punto tale dal risultarci non così tanto distante da un pezzo epic doom di buona fattura, seppur sempre con quel sapore di power metal a brillare nel firmamento metallico. L’andamento è infatti cadenzato, adattissimo per del sano headbanging, e il ritornello risulta a suo modo lapidario e ottimo per una ipotetica esecuzione in sede live; per chi conosce il genere in questione, un ottimo compromesso tra le parti potrebbero essere i tedeschi Atlantean Kodex, il cui repertorio musicale trova la sua ispirazione anche in una realtà come i Warlord, che in questo caso si avvicinano ulteriormente al sound dei loro colleghi più giovani.
05. Free Spirit Soar (05:57)
Qui l’incipit si presenta quasi con una parvenza psichedelica, ma allo scoccare del minuto preciso la title-track esplode in un tripudio di melodia battagliera e ritmiche ad acceleratore pigiato, pronte però a rallentare al subentrare della voce, per poi caricare nuovamente nel momento in cui si sprigiona un ritornello cantato dannatamente fomentante e coinvolgente, che per certi versi ci lascia stupefatti, considerando quella che sembrava la direzione intrapresa dal brano.
Similmente, anche la fase strumentale precedente l’ultimo chorus assume delle connotazione ricchissime di elementi differenti, per la gioia degli ascoltatori più affezionati alle orchestrazione e a quegli inserti a tratti un po’ pettinati, ma invero piuttosto efficaci se c’è da esaltare l’epicità di una proposta come quella dei Warlord.
06. The Bell Tolls (04:37)
Un titolo che richiama un altro brano ben più datato e composto da una realtà americana ben nota a tutti gli ascoltatori, ma che in questo caso cela quello che è probabilmente uno dei pezzi migliori del pacchetto, caratterizzato da un main riff graffiante e, soprattutto, da un ritornello da cantare a tutto volume con lo sguardo rivolto verso dei cieli in fiamme, menzionati peraltro all’interno dello stesso testo.
Non si tratta propriamente di un brano adrenalinico nel senso più prevedibile del termine, ma il suddetto risultato viene comunque raggiunto grazie ad una realizzazione generale che tocca qui l’apice dell’ispirazione, confezionando di fatto una potenziale hit, che non avrebbe stonato all’interno di un album più iconico, come il noto “And The Cannons Of Destruction Have Begun…” datato 1984.
07. Alarm (05:51)
Musicalmente siamo forse in presenza del più ‘manowariano’ tra gli estratti, compreso persino di inserti vocali ferali e di effetti applicati in post-produzione, forse non necessari, ma comunque con un effetto in termini di varietà capace di donare una ulteriore personalità a una fase che punta a trasmettere una autentica sensazione di pericolo bellico.
Ancora una volta però è il comparto melodico a spiccare, e le frasi cantate riescono a piantarsi in testa anche dopo pochissimi ascolti, spingendo l’ascoltatore ad ascoltare il pezzo più di una volta per il puro piacere di intonare le strofe insieme a Giles Lavery.
Fondamentale anche qui la presenza delle tastiere, il che potrebbe far storcere il naso nuovamente, ma personalmente riteniamo che la direzione musicale intrapresa da Mark Zonder e compagni abbia bisogno del controverso strumento a tasti per poter suonare esattamente come egli desidera.
08. Revelation XIX (07:27)
Esattamente come è iniziato, l’album finisce con un’altra riproposizione di un brano scritto originariamente per i Lordian Guard da William J. Tsamis: non ci è dato sapere se l’intenzione fosse quella di omaggiarlo, o di attingere al suo calamaio artistico come alcuni ipotizzano, ma non è questa la sede per fare disamine etiche.
Il brano peraltro si distingue dal resto della scaletta, in quanto sembra a suo modo volersi porre come un qualcosa di più old-school rispetto al resto della tracklist, con una lunga introduzione chitarristica a gettare le basi per un pezzo che, come una compagnia di cavalieri, passa da una sorta di marcia ad una autentica cavalcata in direzione della gloria eterna.
Una conclusione d’atmosfera e dal retrogusto storico, che riesce persino a risultare ballabile, nonostante la deriva a tratti persino religiosa presente sin dalla versione originale.