8.0
- Band: ARMORED SAINT
- Durata: 01:19:58
- Disponibile dal: 22/10/2021
- Etichetta: Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
Gli Armored Saint sono sempre stati una band heavy metal unica, particolare. L’avrete letto spesso qua come altrove e, per quanto possa sembrare una banalità, lo confermiamo: gli Armored Saint sono speciali. Sperimentatori, eclettici, virtuosi dello strumento senza concepirne l’abuso, sensibili a influssi musicali esterni, dotati di un talento pazzesco per incastrare groove non metal in un impianto di acciaio solidissimo e versatile, i cinque di Los Angeles hanno attraversato le ere del metal, presentandosi ancora in grande spolvero nella contemporaneità. Perennemente affamati di futuro, ma attenti a celebrare il passato e a ridare lustro alla propria formidabile storia, nel 2018 hanno omaggiato quello che è probabilmente il loro disco di maggior valore – una pietra angolare dell’heavy metal, e pazienza se questo ruolo non gli viene unanimemente riconosciuto come meriterebbe.
Tra Stati Uniti ed Europa, infatti, ne andò in scena quell’anno la riproposizione live integrale, in perfetto ordine di tracklist, di “Symbol Of Salvation”, uscito nel 1991 e del quale ricorre quindi quest’anno il trentennale. Per chi scrive, l’album è senza alcuna discussione nella top five delle migliori uscite metal di ogni tempo: disco di sensazionale modernità all’epoca della sua uscita, non ha perso nulla di quella brillantezza, quella qualità eccelsa che solo i capolavori senza tempo possiedono. Come non paiono minimamente invecchiati, arrugginiti, i suoi autori. Gli Armored Saint, come testimoniato del resto nella stessa data italiana di quel tour (al Legend di Milano, qui il report), sono a tutt’oggi una live band al limite del miracoloso, una di quelle che anche i non fan dovrebbero andare ad ammirare, giusto per capire l’effetto che fa.
Ad avere l’onore della registrazione del concerto per i posteri, il Gramercy Theatre di New York, stipato ma ordinatissimo, con una platea formata rigorosamente, con poche eccezioni, da over quaranta. Nulla da fare, da un lato dell’Oceano Atlantico all’altro il Santo corazzato per antonomasia rimane roba per ‘vecchi’, quando singolarmente la sua è una delle proposte meno nostalgiche dell’heavy metal di impronta classica. Poco male. Filmati in un gradevole bianconero – molto luminoso, un vintage non patetico – i musicisti si presentano carichissimi per l’appuntamento. Il palco non presenta grosse sovrastrutture, l’arredo scenico è semplice, solo la copertina di “Symbol Of Salvation” come fondale e in altri due vessilli sul palco. La musica, invece, tutto il modo di suonare e proporsi al pubblico della band, fa venire i brividi. Si suona e basta: non c’è altro per omaggiare un tale classico, basta e avanza la musica. La voce di Bush sta benissimo – come fosse una novità – il motore ritmico è quello che è, esagitato e fantasioso come si conviene, la coppia di chitarre indemoniata ed ispirata; come ricordato da Bush durante lo show “ci fosse ancora Dave, suoneremmo con tre chitarre”, parlando di Dave Prichard, lo sfortunato chitarrista morto di leucemia durante la lavorazione del disco, a neanche ventisette anni.
Il gruppo non lo ha mai dimenticato, un ricordo per lui non può mancare in un’occasione simile. La sua fu una tragedia consumatasi mentre la band già navigava in acque tempestose: un periodo, poi superato brillantemente per completare l’album, che il cantante va a rimembrare annunciando i pezzi. Ricordando che alcuni di essi dal vivo sono stati eseguiti poche volte, se non mai, come nel caso dell’incredibile “Hanging Judge”, con una melodia portante che da sola spazzerebbe via intere discografie, e invece sempre trascurata nelle setlist. Alcuni pezzi escono addirittura migliorati nella versione live (qualora ce ne fosse bisogno): parliamo soprattutto dell’ala soft del disco, su tutte “The Truth Always Hurts”, di certo non il primo brano che viene in mente di “Symbol Of Salvation”. La registrazione ci pare fedele a quanto realmente accaduto quella sera, senza abbellimenti che stravolgano la carnalità pulsante di un live dei cinque. Non ci sono aggiunte, nessun extra, nemmeno altre canzoni come encore, anche se è tale la magia di quanto si vede e si sente che ci si può passare tranquillamente sopra.
Per la versione in vinile, arriva una chicca non da poco: cinque brani in versione demo, scartati dalla tracklist definitiva, nei quali si può ancora sentir graffiare la chitarra di Prichard. La qualità della registrazione è grezza ma sufficiente per apprezzare l’energia e il tocco della band. Complessivamente, si sente che è musica attraversata da urgenza e grande impeto, solo poco rifinito nelle dinamiche e negli arrangiamenti. Materiale comunque ben più che gradevole, in pratica un EP di inediti, seppure con tutti i limiti del caso. Tracce anthemiche, dirette, dai pochi fronzoli, dove si nota chiaramente un forte piglio hard rock e la voglia di scrivere anthem a presa rapida. All’interno di questa cinquina, emergono il teso midtempo di “Medieval Nightmares”, abbastanza articolata e ancora memore dei primi passi, quelli di “March Of The Saint”, e soprattutto la funkeggiante “People”. Qui spicca il volo quella tendenza crossover che gli Armored Saint mettono nella loro musica almeno da “Delirious Nomad” ed è andata accentuandosi da “La Raza” in avanti. In “People” la verve di Vera e le sue divagazioni bassistiche disegnano traiettorie particolarmente oblique, uno sferzare di cadenze storte e riff sempre minacciosi e torridi. Ecco, si parla di canzoni che non hanno avuto una pubblicazione ufficiale e una limatura definitiva, ma sono tutto fuorché degli scarti! Che siate interessati alla sola versione in DVD o vogliate divorarvi tutto quanto disponibile in vinile, sappiate che i losangelini hanno fatto le cose per bene e non rimarrete delusi.