LEMMY: 49% Motherfucker, 51% Son of a Bitch

Pubblicato il 15/03/2010 da
voto
7.5
  • Band: MOTORHEAD
  • Durata: 116:20
  • Disponibile dal: 15/03/2010
  • Etichetta:
  • Distributore:

A cura di Davide Romagnoli e Lorenzo Santamaria

Los Angeles. Profili che scorrono. E poi, da una vetrata, si intravede lo Snaggletooth. Il vecchio Lemmy gioca alla Xbox e si cucina delle patatine fritte nel suo piccolo appartamento a West Hollywood , come un comune losangelino. Introduce la gagliarderia del personaggio una delle affermazioni dei fan intervistati: “Se dovesse cadere una bomba atomica solo Lemmy e gli scarafaggi potrebbero sopravvivere”. E ci piace continuare a pensarla così ogni volta che vediamo magliette nere che rappresentano lo stendardo della band londinese, trapiantata poi nella Città degli Angeli, laggiù in quella striscia nella West Coast che va dal Sunset Strip al Rainbow Bar. Per quarantanove percento motherfucker e per il cinquantuno son of a bitch, be’, Lemmy è un personaggio che emerge in questa sua silhouette alta e nera, tra i fumi del palco, con un Rickenbacker e una voce più secca che l’asfalto: un’icona del rock’n’roll per tutti i “romantic fool”, come tende a sottolineare lui stesso all’intervista radiofonica. Una divinità fatta per il rock’n’roll, e giustamente – o solo naturalmente – collocata nella città dei miti, tra attori e musicisti ormai da sussidiario del rock’n’roll. Il film documentario di Greg Olliver e Wes Orshosk è infatti una celebrazione, oltre che della figura mitica del nome sulla locandina, anche della cornice a cui la sua immagine risulta essere inevitabilmente collegata: non meraviglia infatti che il documentario “Lemmy” sia una celebrazione parallela di uno stile di vita che ha le palme e le colline di Hollywood come forma primaria. “Lemmy” ha debuttato in première al South By Southwest a Austin, Texas, e dal 2011 è possibile trovarlo nella sua edizione definitiva sia in DVD che in Blu-Ray, ricca di contenuti bonus (si parla di quasi quattro ore di materiale). Il documentario è per lo più un qualcosa di assolutamente riuscito negli intenti e nella sua forma: divertente, gagliarda e sbarazzina come la forma del suo personaggio e scorre nella sua ora e mezza ricca di intermezzi musicali, chicche da studio e conversazioni a metà tra il grottesco e l’estremo realismo, tanto da farci dimenticare di chiederci la spontaneità di alcune sue scene (come nella ripresa della conversazione con Billy Bob Thornton o nelle riprese con Dave Grohl). Ma Los Angeles è Los Angeles e l’entertainment è causa e fine primissimo e in questo senso i due registi riescono a garantire solidità e precisione alla narrazione. Il caro Lemmy, con gli Hawkwind prima e con la sua creatura Motörhead poi, ha avuto un impatto assolutamente sconvolgente per il mondo della musica negli ultimi quarant’anni. Lo abbiamo visto calcare le scene con tutte le più grandi rockstar della storia e, mentre gli altri si perdevano per strada lasciando il posto ai nuovi trend del momento, lui, Lemmy, è sempre rimasto lì, come un massiccio inamovibile, fedele a se stesso e alla propria integrità, sia per quanto riguarda la musica, sia per quanto riguarda il suo “discutibile” stile di vita fino all’ultimo. Il documentario in questione ci lascia una splendida fotografia del Dio del Rock, un’eredità per tutti quello che lo hanno amato senza mai aver avuto l’opportunità di conoscerlo, e che vorrebbero vivere un piccolo pezzo della vita dell’ultima vera rockstar dei nostri tempi, con ogni probabilità . Con i suoi Motörhead egli è stato capace di trascendere i generi musicali, riuscendo nell’arduo compito di mettere d’accordo metalhead e punk e, come molti degli artisti coinvolti in questo documentario ci ricordano, senza di loro in questo momento non esisterebbero Metallica, non esisterebbero Guns ‘n’ Roses e molte altre delle band che hanno segnato svariate generazioni.

TRACKLIST

  1. Lemmy: documentary
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