Con una rinnovata – ed ispiratissima – miscela di tragedie, ritmi furiosi, sangue, death/doom annerito, sofferenze, venti gelidi e riff incalzanti, gli ucraini 1914 si sono confermati come una delle realtà underground più solide e promettenti nel panorama attuale del metal estremo. Il nuovo “Where Fear And Weapons Meet” ne è la dimostrazione, perchè ancora una volta gli orrori della Grande Guerra vengono narrati attraverso musica, stralci di audio d’epoca e parole vivide, capaci di dipingere le atrocità del secolo scorso con pennellate azzeccate, decise – quasi pressanti. Il quadro che emerge durante l’ascolto dell’album è davvero pesante, disperato ma bellissimo, di un’intensità particolare ed evocativa che ci ha colpiti nel profondo, facendoci affermare senza remore di sorta che si tratta di uno dei dischi dell’anno.
Siamo andati a parlare con chi questo disco l’ha pensato, creato, sofferto, sentito con ogni fibra del proprio corpo, affrontando nella conversazione con il frontman e cantante, nascosto dietro uno pseudonimo militare (‘Oberleutnant Ditmar Kumarberg’), il bagaglio storico che i 1914 si portano dietro, il perchè di alcune scelte musicali e tematiche, oltre che uno sconfinato, irruento, vulcanico amore per la musica in quanto tale.
CIAO E BENVENUTI SU METALITALIA.COM. IL NOME ‘1914’ PARLA DA SÉ, MA POTETE DIRCI QUALCOSA DI PIÙ A RIGUARDO? AVETE SCELTO COSCIENTEMENTE DI SUONARE UN GENERE SPECIFICO (IN QUESTO CASO UN BLACKENED DEATH/DOOM), TROVANDO ‘L’ABBINAMENTO PERFETTO’ CON GLI ORRORI DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE?
– A dir la verità, ho sperimentato col tema della Grande Guerra in lungo ed in largo, prima in alcune band hardcore/punk, poi in una stoner/doom; ho fatto parte di un progetto noise/industrial in cui abbiamo scritto un intero album su questo argomento, nel 2011. Avevo capito che questo sarebbe sempre stato un tema cruciale per me e volevo portarlo ad un livello successivo, scrivendo cose più ‘concettuali’ riguardo ad esso. Mi piaceva l’idea di provare a suonare quel tipo di black metal con cui ero cresciuto (Darkthrone, Mayhem, Mork Gryning, Abigor, Bethlehem, e così via), mixandolo però con Eyehategod, Crowbar, Acid Bath o Grief, provando a vedere cosa sarebbe uscito fuori. In ogni caso, quello che avevo in testa era una cosa, ma dopo aver trovato i musicisti e spiegato loro la mia idea, suonando insieme loro hanno cominciato a trasformarla secondo la propria visione e la propria concezione della musica. Ecco come è nato il nostro modo di suonare – una miscela di black, sludge, doom, death e addirittura punk, industrial (scrivo di persona sample industrial o noise e poi li usiamo come substrato per le canzoni). E tutto questo nella mia testa descrive il fango, la morte, lo sporco, il sangue ed il caos delle trincee di guerra.
Mi sembra che suonare al crocevia tra tutte queste sonorità non sia in alcun modo limitante, ma al contrario dia l’opportunità di travalicare stilisticamente ogni genere di quelli elencati senza mai infrangere il concept alla base della musica. Ecco perché magari una nostra canzone di lento death-doom è seguita da una velocissima di black metal con inserti sludge e tutto poi scorre attraverso cover punk, remix elettronici, passaggi noise fino a tornare al punto di partenza, senza appunto spezzare il cerchio.
QUANDO AVETE COMINCIATO A COMPORRE E POI REGISTRARE IL NUOVO ALBUM?
– Abbiamo cominciato a lavorarci sul serio alla fine del 2020, letteralmente alla fine di Novembre. Prima, quindi per tutto il 2020, la situazione era veramente difficile, tesa, ognuno di noi era impegnato con la propria vita, salute, sopravvivenza, cose così. Quindi l’album vero e proprio è stato creato nei primi mesi del 2021, a Marzo l’abbiamo provato e riprovato per poi registrarlo ad Aprile: alla fine, sono tre/quattro mesi di lavoro attivo e intenso.
“WHERE FEAR AND WEAPONS MEET” MOSTRA ANCORA UNA VOLTA LA CRUDELTÀ DELLA GUERRA, MA IN UNA MANIERA LEGGERMENTE DIVERSA DA “THE BLIND LEADING THE BLIND”, A PARTIRE DALLA COPERTINA: QUELLA PRECEDENTE INFATTI MOSTRAVA LA MORTE PASSARE INELUTTABILE ATTRAVERSO I CAMPI DI BATTAGLIA, MA IN QUESTO ARTWORK INVECE SEMBRA MOLTO PIÙ UNA FIGURA MISERICORDIOSA, LÌ, NEL FONDO. È COSÌ? IN CHE MODO QUESTA DIFFERENZA – O CAMBIO DI PROSPETTIVA – SI RIFLETTE NELL’INTERO ALBUM?
– Sì, è proprio così. Non parlerei però di misericordia, quanto piuttosto del fatto che un eroe debba vivere – o sopravvivere – con i propri sforzi e le proprie forze. La morte aleggia sospesa sopra un soldato ferito; è l’unico sopravvissuto in una carneficina di trincea, le tende le mani nell’agonia e supplica, prega di poter morire, ma lei non lo porta via con sé perché ha meritato di vivere. Quest’album infatti parla di vita, speranza, ritorni a casa, l’eroismo di un ‘piccolo uomo’, una persona ordinaria che non contava nulla per i grandi imperi ed è stato condotto alla morte come animale da macello. Quest’album parla di quella sete di vita di tanti uomini, davanti alla quale anche la morte è impotente.
PER LA CANZONE “…AND A CROSS NOW MARKS HIS PLACE” AVETE USATO UNA LETTERA REALE, IN CUI VIENE DATA NOTIZIA ALLA MADRE DEL SOLDATO G. HARRISON DELLA MORTE DEL PROPRIO FIGLIO. ECCO, È DAVVERO IMPRESSIONANTE E SCONVOLGENTE, ANCHE PERCHÉ CONTRIBUISCE A FAR ‘IMMERGERE’ L’ASCOLTATORE NELLA MUSICA, PERÒ NON È LA PRIMA VOLTA CHE USATE OLTRE A DOCUMENTI D’EPOCA ANCHE SAMPLE AUDIO (DI VOCI O SUONI DI GUERRA) NELLE VOSTRE CANZONI. COSA POTETE DIRCI, SIA RIGUARDO LA STORIA DELLA LETTERA E DEGLI AUDIO SIA IN PROPOSITO DELLE VOSTRE RICERCHE DURANTE LA COMPOSIZIONE DI NUOVA MUSICA – DA “TAMO DALEKO” AGLI HARLEM HELLFIGHTERS?
– Per me, i sample e i suoni che aggiungiamo alle nostre tracce (di cui di solito mi occupo io) sono un’integrazione alle canzoni: è la diretta continuazione (o inizio) che aggiunge atmosfera e tonalità all’andamento generale della musica. È un po’ come andare a vedere un film 4D, dove oltre al film ci sono colpi sul retro della poltrona o acqua in faccia. Così ciascuno degli inserti audio ha un proprio posto e significato precisi, non è un semplice arrangiamento; crea un quadro più completo. E se ad esempio una canzone parla dell’AEF (American Expeditionary Forces, un contingente militare americano inviato in Europa a sostegno della Triplice Intesa dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1917, ndr), chiaramente non ci sarà un estratto di un film sul fronte orientale della guerra, o un discorso del Kaiser o cose simili; ci sarà esattamente quello che serve se si parla dell’AEF – un discorso del generale Pershing ai soldati americani in Francia, e così via.
COME E QUANDO VI È VENUTA IN MENTE L’IDEA DI AVERE NICK HOLMES DEI PARADISE LOST E SASHA BOOLE COME OSPITO? AVETE SCRITTO LE DUE CANZONI CHE LI VEDONO COINVOLTI CON L’IDEA DELLE COLLABORAZIONI GIÀ IN TESTA?
– Prima ho scritto le due tracce, poi ho realizzato che – come dire – “Coward” non aveva bisogno di chitarre o blastbeat, non era musica black metal; è una canzone di quelle che i soldati cantavano in trincea e bisognava suonarla così, in maniera più quieta, usando quello che potevano aver usato loro: quindi armonica, banjo, percussioni rudimentali. Ecco lì, ho realizzato che ce l’avevo in mente suonata da Boole, perché mi piace moltissimo il suo lavoro.
Per quanto riguarda Nick, beh, è un sogno che si realizza: insomma, riuscire un bel giorno a collaborare con un artista che adori e con la cui musica sei cresciuto è davvero un bel sogno. Così, quando ho spiegato agli altri che in “…And A Cross Now Marks His Place” dovevano esserci delle voci pulite e che avrei voluto che fosse cantata sia in pulito, che in growl, che in scream, è saltata fuori l’idea di chiedere a Nick, in fondo non ci ammazzeranno mica per averlo chiesto (ride,ndr). Lui ha ascoltato il concept, ha letto il testo e ci ha chiesto una demo della canzone. Qualche giorno dopo ci ha scritto “si, mi piace, ci sto” ed è stato un fulmine a ciel sereno, non ci sembrava vero.
LEGGENDO I TESTI MENTRE ASCOLTAVO “WHERE FEAR AND WEAPONS MEET” PENSAVO CHE VOI NON SEMBRATE USARE IL BACKGROUND STORICO COME SEMPLICE CELEBRAZIONE BELLICA O ‘SOGGETTO PERFETTO PER UNA CANZONE METAL’ COME ALTRI INVECE FANNO; MI SEMBRA MOLTO DI PIÙ UN TENTATIVO DI DESCRIVERE, DIPINGERE I PEGGIORI ORRORI POSSIBILI – ED EVIDENZIARE COSÌ CHE SONO TUTTI, INDISCRIMINATAMENTE, CAUSATI DA ESSERI UMANI. CI POTETE DIRE COSA NE PENSATE A RIGUARDO?
– Non scrivo canzoni pensando “questo è un buon argomento per una canzone metal”. Quello di cui parliamo nella nostra musica mi influenza profondamente: mangio e dormo con queste storie in testa, si può dire che quasi ci conviva. Devo ogni volta raccogliere moltissime informazioni e farle filtrare nel mio io più profondo – altrimenti è come se non le facessi mie del tutto. Nel mio caso è stupido pensare di scrivere un testo solo perché va bene per una canzone metal: la storia deve essere viva, piena di emozioni, esperienze, e questo si può rendere solo con uno studio dettagliato ed approfondito delle fonti e degli eventi. In caso contrario, si avrebbe soltanto un’altra ‘canzone metal di cui nessuno ha bisogno’. Lo dico sempre – non suoniamo musica, raccontiamo storie.
SPESSO NELLE INTERVISTE CI CAPITA DI CHIEDERE AI GRUPPI CHE TIPO DI RELAZIONE HANNO CON LA PROPRIA – PIÙ O MENO – SCENA UNDERGROUND LOCALE: VOI COSA CI DITE?
– Sinceramente? La scena underground non è molto forte qui in Ucraina, o almeno nella nostra città. C’è qualche concerto o qualche band da vedere dal vivo, certo. O forse sono io che sto mollando un po’ il colpo, non so. In ogni caso ci sono molte band e singoli musicisti ucraini con cui siamo amici, cerchiamo di supportarci gli uni agli altri. Non abbiamo un forte movimento o una determinata scena più florida di altre, quanto piuttosto singoli entusiasti in ogni genere.
IN CHE MODO IL POSTO IN CUI VIVETE INFLUENZA LA MUSICA CHE CREATE, O IL VOSTRO GUSTO PER UN DETERMINATO TIPO DI MUSICA?
– Nei primi anni degli anni Novanta trovare un certo tipo di musica, specialmente di nicchia, era impossibile, qui. Non avevamo negozi di dischi dove poter andare e scegliere un vinile o una cassetta (anche perché queste sono comparse solo a metà dei ’90), così compravamo qualsiasi cosa che ci passava tra le mani, dai Metallica ai Nirvana, andavamo addirittura in altre città per acquistare le cassette, o all’estero; una connessione internet vagamente normale e stabile è comparsa solo intorno al 2001, quindi finché abbiamo vissuto tra i resti – storici e politici – lasciati della Cortina di ferro, eravamo in una specie di vuoto temporale, anche per l’evoluzione della musica e dei vari generi.
Nonostante queste condizioni abbiamo assistito in realtà alla nascita di una scena death metal forte e stabile, così come di quella black, o gli albori di una industrial. Quello che il resto del mondo sperimentava negli anni ’70 per noi era nuovo e interessante ancora alla fine degli anni ’90. Quindi si, sicuramente c’è stato un progressivo degrado o ritardo nello sviluppo della musica, in Ucraina; ecco perché non abbiamo formato scene di genere troppo nitide, movimenti di nicchia o un forte ambiente underground. Per quanto mi riguarda non mi sono mai sentito soddisfatto da questa situazione, spendevo tutti i soldi che avevo in nuova musica, scrivevo lettere alle band, andavo in altre città per registrare una nuova bella band o un bell’album, chiedevo a chi andava all’estero di portarmi riviste, musica etc., perché ero e sono un appassionato di musica.
Purtroppo non posso dire che la maggior parte delle mie conoscenze abbia seguito lo stesso percorso: si limitavano piuttosto a consumare ciò che era immediatamente disponibile sottomano. Infatti credo che, nonostante siamo nel 2021, i gusti e la cultura musicale in Ucraina siano ancora in una fase iembrionale, come se fossero solo passati pochissimi anni dalla nascita.
ASCOLTATE ALTRA MUSICA MENTRE COMPONETE O REGISTRATE UN ALBUM? COSA STATE ASCOLTANDO ADESSO?
– Ascolto sempre musica. Questo influenza il processo di scriverne di propria? Spero di no.
Cerco di tenere ‘separati’ i due campi – quello dell’ascolto e della composizione, nonostante ci siano solo sette note e tutti gli accordi o i riff siano probabilmente già stati suonati tempo fa.
Per quanto riguarda quello che ascolto ora beh, non penso che abbiate così tanto spazio libero nel sito se dovessi cominciare ad elencare tutti i gruppi dungeon synth che ho apprezzato soltanto l’anno scorso, o tutte le uscite black, punk, industrial, electro, folk, rap, indie, pop che mi hanno impressionato positivamente, che soggiornano ancora nel mio stereo o che ho comprato in vinile, CD, o cassetta.
Se proprio devo restringere il campo, ultimamente sto ascoltando i nuovi dischi di Lana Del Rey, Meg Myers, Lingua Ignota, le nuove uscite delle etichette Ant-Zen, Dungeons Deep Records, Heimat Der Katastrophe (sto cercando i collezionare tutte le loro cassette), Gondolin Records, Out Of Season e Ancient Meadow Records, il nuovo di Den Sorte Død e Offermose; mi sono piaciuto molto anche i lavori di SaffronKeira e Deaf Center, Nordvargr e Nils Frahm,e adoro virtualmente tutto quello che la Denovali Records rilascia ((Mansur, Dictaphone, The Mount Fuji Doomjazz Corporation etc.). Il discorso che riguarda la musica che amo e che mi ispira potrebbe essere argomento per un’intervista a sé stante, davvero, talmente è lungo e complicato.
IN UN MONDO CHE ANCORA COMBATTE CONTRO UNA PANDEMIA, COME VE LA CAVATE CON I PIANI RIGUARDO IL FUTURO IN QUANTO MUSICISTI (QUINDI PER ESEMPIO LA PROGRAMMAZIONE DI TOUR, DATE LIVE O SIMILI)?
– Non ne ho idea. Stiamo solo aspettando che tutta questa merda passi, in modo da poter tornare ad una vita normale. Chiaramente tour, festival e concerti sono già programmati e irrealisticamente vorremmo davvero che si realizzassero, ma non dipende da noi. Spero che il mondo guarisca presto e tutto torni ad una normalità di qualche tipo. È difficile andare avanti senza.