AARON TURNER – Anima e cuore

Pubblicato il 18/12/2012 da

Se c’è un musicista che nel 2012 ha mostrato una prolificità assolutamente fuori dal normale, questo è stato senza dubbio Aaron Tunrer, artista ormai popolarissimo e rispetatatissimo in tutto il mondo, in ambito post-metal/sperimentale e oltre, ma ormai quasi esclusivamente votato all’underground. Archiaviata ormai da qualche anno l’esperienza degli Isis, il Nostro musicista si è potuto dedicare in tutta libertà a tutti i tanti progetti che costellano la sua quotidianità e dare libero sfogo alla sua sfaccettartissima, versatilissima e tremendamente inevstigativa personalità musicale. Non importa che sia ambient, sludge metal, noise o punk rock, Turner non è certo il tipo di musicista che vive entro i limiti delineati da generi e stili, ma è un artista sempre pronto ad andare oltre, esplorando sè stesso e il mondo che lo circonda tramite il suono e le miriadi di possiblità espressive che questo veicola. Per Turner il 2012 è stato un anno intenso, che ha visto la tragica fine della sua amatissima etichetta discografica, ritorni discografici inaspettati, e nuovi progetti vedere finalmente la luce, ma soprattutto è stato un anno che lo ha riconfermato come uno dei personaggi più importanti e vitali per l’underground heavy mondiale.

CIAO AARON, PARTIAMO SUBITO DALLA SITUAZIONE HYDRA HEAD. IN QUESTO MOMENTO COME SIETE MESSI?
“Ciao. La situazione finanziaria è seria. Siamo messi male. Nonostante tutto sembra che siamo in grado piano piano di affrontare i nostri debiti. Subito dopo che abbiamo dato l’annuncio della nostra fine, tante persone si sono fatte avanti per aiutare, hanno ordinato merch, lo hanno pagato più di quanto costasse, e alcune persone hanno anche donato senza volere prodotti in cambio. Eravamo tutti incredibilmente sorpresi. Sono consapevole che l’etichetta significa molto a tante persone nel mondo, ma non mi sarei mai aspettato un responso simile. Se le cose proseguono così, con tutta questa generosità, credo che riusciremo a tirarci fuori dai guai. Di certo non riusciremo mai più a pubblicare nuovo materiale, ma l’obiettivo per ora, che appare il più realistico e soprattuto di primaria importanza, è quello di mantenere in vita il vecchio catalogo in qualche modo e finire di pagare le royalties alle nostre band. Tutti quei dischi, usciti negli anni, hanno un valore inestimabile, per me, per i fan, per gli artisti che li hanno fatti; devono dunque restare in vita in qualche modo. Sarebbe un vergogna se quelle uscite finissero fuori stampa o finissero in mano ad altre label senza la benchè minima idea di come trattarle”.

DICI CHE NON C’E’ ALCUNA POSSIBILITA’ AL MONDO CHE L’ETICHETTA UN GIORNO POSSA TORNARE ALLA PIENA ATTIVITA’ DI UN TEMPO?
“Ah, certo, nella vita può succedere di tutto, non bisogna mai escludere alcuna possibilità. Solo che in questo caso è dura. Stavolta le possibilità sono ridotte al minimo. Servirebbe un miracolo. La risposta dei fan è stata incredibile, oltre ogni aspettativa, e stiamo cercando di mettere su una campagna di liquidazione e svendita mirata per vendere tutto il vendibile che abbiamo a disposizione, e svuotare il magazzino quanto prima. Poi però vediamo i debiti che abbiamo, gli stipendi da pagare alla manciata di impiegati che abbiamo, dobbiamo mantenere il catalogo in vita e le royalties da pagare agli artisti, e francamente non riesco a vedere la fine del dissanguamento cui siamo sottoposti. Davvero, servirebbe un miracolo. Francamente adesso vedo la gravità della cosa in piena luce e mi rendo conto che avrei dovuto fermare le attività un anno fa e svendere tutto allora. Purtroppo abbiamo insistito, abbiamo continuato con le regolari attività dell’etichetta nella speranza che le cose si sistemassero, ma così facendo abbiamo peggiorato ancora di più la situazione, ci siamo indebitati ancora di più e abbiamo superato il punto di non ritorno”.

LA HYDRA HEAD ERA LA TUA CREATURA DA QUASI VENT’ANNI, CREDO CHE NON SIA FACILE ACCETTARNE LA FINE IN MANIERA RAZIONALE. CON QUESTE COSE IL CUORE PRENDE SEMPRE IL CONTROLLO DELLA SITUAZIONE E PREVALE SOPRA LA RAZIONALITA’ E DUNQUE SI HA LA TENDENZA A PROCRASTINARE…
“Esatto, l’accettazione della fine di un progetto e una visione alla quale ho lavorato con tutto me stesso da quando ero al liceo, è stata la cosa più difficile di tutte. Non sto dicendo che non pubblicheremo mai un nuovo album, ma voglio che le persone sappiano che siamo messi malissimo e che potrebbero volerci anni prima che ci sentiamo sicuri abbastanza per pubblicare un nuovo album. Poi, caspita, in questa economia qua? In questa industria in cui nessuno compra ma tutti scaricano illegalmente? Beh, capisci che siamo non solo una piccola entità che già di suo pubblica materiale di nicchia dall’appeal limitatissimo, ma, oltre tutto, la gente non compra ma ‘ruba’ la nostra musica. Insomma, errori nostri di certo, ma anche una situazione di questo ‘sistema’ assolutamente insostenibile, che ci ha uccisi. Potremmo tornare, certo, ma non riesco ad immaginare come questa etichetta potrebbe tornare ad operare come ha fatto in passato; quell’era è finita, ormai il declino di questa industria trascende anche le nostre scelte sbagliate come ‘imprenditori’”.

L’ETICHETTA ERA CRESCIUTA PRECCHIO NEGLI ULTIMI ANNI. ERA PARTITA COME TUO PROGETTO PERSONALE ADOLESCENZIALE NEGLI ANNI NOVANTA, MA POI SIETE FINITI CON LO SPOSTARVI A LOS ANGELES, APRENDO TANTO DI UFFICI, CON STAFF STIPENDIATI, ECCETERA. ERA MAI NEI TUOI PIANI QUESTA EVOLUZIONE ED ESPANSIONE? COME SIETE FINITI PER ESSERE COSì GRANDI RISPETTO AGLI INIZI?
“Guarda, me lo chiedo anche io. No, non era mai nei programmi arrivare a questo punto. Quando ero un ragazzino e mi divertivo a pubblicare cassette e settepollici per band locali che mi piacevano e venderli dalla mia camera da letto, non mi sarei mai immaginato di finire in questo modo. Comunque, devo dire che c’è anche una concezione sbagliata delle nostre dimensioni reali, anche quando l’etichetta era al punto di sua massima espansione. Non eravamo mai grandi come la Relapse, la Earache, eccetera, ma la gente ci vedeva al pari di quelle etichette per via del roster e delle numerose uscite che pubblicavamo, e questo la dice lunga su quanto fosse intensa l’attività dell’etichetta, e di che tipo di risorse necessitasse per funzionare. Tante delle nostre band sono poi diventate delle vere star nell’underground – vedi Converge e Pelican, per esempio – ma credo che al nostro punto di massima espansione avevamo circa tre impiegati a tempo pieno e quattro o cinque persone che lavoravano part-time, e ora mi rendo conto che non avremmo mai dovuto avere tutte quelle ‘bocche da sfamare’, avremmo dovuto avere uno staff ben più ridotto; anche se ai più un numero di impiegati simile non sembrerà affatto grande, per noi lo era eccome. Poi, tornando alla tua domanda, non so come è successo. Scoprimmo delle band prima di tutti, e sia noi che quelle band abbiamo lavorato tanto agli esordi, finchè non si sono visti i frutti. Quelle band sono cresciute, hanno coperto i costi, e questo ci ha permesso di dedicarci ad altre band è così via, con maggiore frequenza ed intensità di lavoro. I Cave In e i Botch sono state la band che ci hanno proiettato in avanti, che ci hanno dato la possibilità di continuare perchè sono state le nostre due band di maggior successo nella prima metà della vita dell’etichetta. Nella seconda metà, invece, i Pelican, i Torche e gli Jesu sono stati gli artisti che ci hanno fruttato di più e mantenuti a galla”.

BEH, QUESTO E’ INTERESSANTE, QUINDI I CAVE IN E I BOTCH SONO IN ASSOLUTO LE DUE BAND DI MAGGIOR SUCCESSO DELL’ETICHETTA?
“Penso di sì, ora non ho carte alla mano, ma direi proprio di sì. Come ti dicevo, anche i Pelican, i Torche e gli Jesu hanno fatto benissimo, ma non quanto Cave In e Botch”.

BEH, IN EFFETTI I CAVE IN POI RIMEDIARONO UN CONTRATTO MAJOR CON LA RCA E POI FINIRONO ADDIRITTURA PER FARE UN TOUR CON I MUSE…
“Sì, è vero, ma c’è dell’ironia di fondo in tutta quella storia. Ricordo che la RCA fece salti mortali per accapparrarsi i Cave In da noi, e poi vendettero molte meno copie del nostro disco dei Cave In, il chè ti dà l’idea di che tipo di conoscenze hanno queste major quando si arriva a trattare certi stili e generi di musica. Non conoscono questa roba, non la sanno trattare e finiscono per rovinare delle band validissime. Di certo, comunque, il passaggio dei Cave In alla RCA rappresenta un altro momento fondamentale nella storia della nostra label. Non ci saremmo mai immaginati che una delle nostre band potesse fare un salto simile”.

ANCHE MICHAEL GIRA DEGLI SWANS IN UNA NOSTRA RECENTE INTERVISTA HA AFFERMATO CHE LA SUA LABEL, LA YOUNG GOD, PUO’ FUNZIONARE SOLO SE PUBBLICA ESCLUSIVAMENTE IL SUO MATERIALE SOLISTA O GLI SWANS, E CHE NON E’ PIU’ IN GRADO DI AFFRONTARE I COSTI DI USCITE DA PARTE DI ALTRI ARTISTI, MA CHE QUESTA SCELTA HA SALVATO L’ETICHETTA. COSA NE PENSI?
“Sì, infatti mi sa che lui ci è arrivato prima ed è riuscito a salvarsi in extremis a differenza di noi (ride, ndR)!”.

LUI PERO’ PUNTA IL DITO CONTRO IL DOWNLOAD ILLEGALE COME CAUSA DELLA SITUAZIONE COMATOSA DELLA SUA ETICHETTA. LA TUA ESPERIENZA INVECE SEMBRA PIU’ COMPLICATA…
“Sì, infatti, ci sono molti fattori che hanno determinato la nostra fine: il download certamente, ma, come ti accennavo poc’anzi, anche scelte sbagliate per quanto riguarda la composizione dello staff, il calendario di uscite troppo intenso, eccetera. Comunque, come nel caso di Gira, devo dire che lo stato generale di questa industria è non solo causa, ma il luogo in cui si fatica. Ti faccio un esempio: i Torche. Notavamo che i loro concerti erano sempre affollatissimi, che ricevevano tantissima attenzione dai media e che ricevevano continuamente numerosissimi inviti a suonare agli eventi e nelle location più disparate, segno inequivocabile che godevano di una notevolissima popolarità. Poi però andavamo a constatare le vendite della band in unità vendute e ci rendavamo conto che erano irrisorie e che i conti non tornavano. Le vendite erano praticamente da band emergente sconosciuta. L’unica spiegazione che si può dare ad uno scenario simile è il download illegale. Lì ci siamo resi conto che eravamo fregati. Se la tua band di maggior successo – e dunque con costi elevati, tra PR, promozione e quant’altro – ti frutta quasi zero, allora capisci che la battaglia è persa in partenza. E questo era solo metà dei nostri problemi. L’altra metà sono colpe nostre, scelte sbagliate o non convenienti. Tante cose che abbiamo fatto le abbiamo fatte senza tenere la mano al portafoglio, dal cuore, senza curarci delle spese, del tornaconto o della convenienza. Per pura passione, insomma. Operavamo in regime no-profit praticamente, guidati dalla passione e dall’amore per certi suoni. Però nel frattempo avevamo distributori, royalties e impiegati da pagare. Abbiamo pagato packaging costosissimi, finanziato tour europei con tanto di biglietti aerei alle nostre band, e quant’altro. Insomma, in tutto quello che facevamo mettevamo il centodieci percento, umanamente e finanziariamente, e alla fine ci siamo dreanati di ogni risorsa. Già, per via di ciò che ti ho appena accennato sul download, il disco non lo vendi, e non recuperi neanche il costo; se oltre a qello poi lo fai uscire in confezioni cartonate costosissime ed elaboratissime… beh, allora vuol dire che il tuo naso per gli affari è un po’ fallato, e questo è come noi operavamo quotidianamente, con il cuore, ma in maniera affatto economicamente conveniente. Tutte le persone che lavorano alla Hydra Head sono appassionati di musica, non certo persone laureate in economia o con background finanziari o imprenditoriali. Abbiamo fatto dunque sempre il passo più lungo della gamba, guidati dalla passione, e non abbiamo visto, o non avevamo i mezzi tecnici o la preparazione, per vedere il lato finanziario della cosa. Non c’era mai alcun piano finanziario, o alcuna attività contabile efficiente. Eravamo solo una manciata di persone con la passione per la musica e la sua diffusione. Punto. Tutta questa nostra impreparazione con il tempo si è fatta sentire e alla fine è venuta a chiederci il conto. Di tanti errori mi rendo conto solo ora. Ma non eravamo affatto interessati ai soldi e ora capisco che se non lo sei i soldi ti lasciano, ti svaniscono da sotto agli occhi. Non ci interessavano, ma ci servivano, questo ormai è evidente. Il nostro entusiasmo ha di gran lunga superato le nostre conoscenze o capacità finanziarie. Pensa che ad un certo punto, quando ho visto la situazione, ho iniziato ad usare i miei risparmi personali per coprire i buchi, invece di intervenire in qualche modo e fare qualche aggiustamento. Non certo la migliore soluzione per affrontare difficoltà finanziarie, perchè da un buco ne sono nati due, uno nella casse dell’etichetta, e uno nel mio di conto in banca personale”.

HAI DEI RIMPIANTI? SE POTRESTI TORNARE INDIETRO COSA FARESTI DIVERSAMENTE?
“Da un lato tanti, e cambierei tantissime cose. Ma non dal punto di vista finanziario. Anche ora, in mezzo a tutte queste difficoltà economiche, per me i soldi rimangono un fattore marginale nella storia della mia etichetta. I rimpianti più grandi li ho verso le persone e le band e di come per forza di cose non siamo stati in grado di trattarle al meglio e dare loro la visibilità e le risorse che meritavano. Tante persone e artisti credevano in noi e non sempre siamo riusciti ad evitare delle delusioni. Mi sarebbe piaciuto prendermi cura maggiore di tante persone e band con le quali abbiamo lavorato. Però devo dire che la Hydra Head per me non sarà mai una cosa negativa nella mia vita, anche a fronte di tutti questi problemi. Ci sono molte più cose che non cambierei mai rispetto a quelle che cambierei, del tutto secondarie rispetto alle prime. Nonostante tutto, ho lavorato con le mie band preferite, lavorato con i miei idoli di quando ero ragazzo, scoperto dei talenti enormi e inestimabili, e pubblicato degli album incredibili che ora sono dei veri classici che tanti ci invidiano. Oltre a questo, ho conosciuto tantissimi amici; anche mia moglie Faith Colaccia, l’ho conosciuta grazie alla Hydra Head. Insomma, i bei ricordi legati a questa label sono innumerevoli e non li cambierei con nulla al mondo”.

SI, ANCHE PERCHE’ ALTRIMENTI POI NON SI FANNO MAI I CONTI CON LA REALTA’ E I PROBLEMI NON SI SUPERANO MAI…
“Esatto, le cose sono andate come sono andate, e non si può tornare indietro. Ho imparato tanto e avuto tantissimo dalla Hydra Head. Ho ammesso i miei errori e fatto tesoro dei bei momenti, e grazie a questi due fattori penso di aver dato all’etichetta la sua ultima chance di sopravvivenza. Ora servono umiltà e amore per questa creatura più che mai. Rimorsi, rimpianti e rancori non farebbero altro che danneggiarci ancora di più”.

DELLA SIEGE RECORDS INVECE CHE CI DICI? SBAGLIO HO HAI DATO VITA A QUESTA NUOVA ENTITA’ DA POCO INSIEME A TUA MOGLIE FAITH?
“Esatto, ho dato vita alla Siege come uscita di emergenza per la Hydra Head e per riflettere su tutti i miei errori con la Hydra Head. L’ho creata come archetipo di una amara lezione imparata. E’ del tutto slegata dalla Hydra Head, è nata minuscola, e rimarrà tale. Il problema più grande che la Hydra Head ha mai avuto è stato la sua dimensione. L’etichetta è cresciuta troppo, oltre le sue possibilità, diventando un mastodonte instabile e ingestibile. Con La Siege Records, invece io e Faith vogliamo come riscoprire le origini di questo business e mantenere le cose piccole e sempre a fuoco. Ci siamo anche posti delle regole ferree e pre-stabilite per questa label, regole che alla Hydra Head sono sempre mancate. Ovvero pubblicheremo solo uscite di progetti di cui o io o Faith o entrambi siamo parte, o di nostri amici intimi; null’altro. In questo modo, l’etichetta gode di una disciplina e di un set di regole mirata a preservarla e mantenerla sempre al sicuro finanziariamente”.

NON CREDI CHE SE AVESSI AVUTO GLI ISIS ALLA HYDRA HEAD, VISTO IL SUCCESSO PLANETARIO DI QUELLA BAND, AVRESTE PIU’ SOLDI ORA?
“No! Assolutamente no (ride, ndR)! Forse avrebbe aiutato da un lato, ma creato tutta una serie di altri problemi dall’altro. Non credere che gli Isis abbiano venduto più dei Botch o dei Cave In, perchè questa è un’altra leggenda metropolitana a cui tanti credono e non so perchè. Gli Isis sono divenuti molto popolari, è vero, ma hanno anche ormai un catalogo enorme. Inoltre, gli Isis hanno costi enormi. I nostri album sono costati sempre un sacco di soldi, abbiamo sempre usato tecniche di registrazione e spazi per registrare dai costi proibitivi per una etichetta come la Hydra Head. Tutti quei costi avrei dovuto accollarmeli io come proprietario dell’etichetta, e capisci insomma che sarebbe stato molto in cui investire, pur nella certezza di tenermi tutti i guadagni della band a lavoro compiuto. Ma il problema più grande che ho visto, quasi fosse stata una preveggenza, era quello delle royalties. La Hydra Head ha sempre fatto fatica a pagare royalties: fosse successa una cosa del genere con i miei compagni di band negli Isis, la band avrebbe potuto potenzialmente attraversare enormi tensioni e, chissà, forse anche esplodere. Non me lo potevo permettere, non sarebbe stato giusto per le altre band della Hydra Head – vivere con un mostro succhia soldi simile nel roster – o per i miei compagni di band negli Isis. Era un conflitto di interesse troppo grande e sono felicissimo di non aver mai fatto quella scelta”.

ABBIAMO AMPIAMENTE PARLATO DEL MOMENTI TRISTI DELLA HYDRA HEAD, ORA PERCHE’ NON CI DICI I MOMENTI PIU’ BELLI CHE RICORDI NELLA STORIA DELL’ETICHETTA?
“Allora, vediamo un po’… Non dimenticherò mai il momento, in adolescenza, in cui l’azienda di pressing mi diede tra le mani il mio primo sette pollici che pubblicai. Inoltre, credo che quando realizzi che non stai solo pubblicando musica che ti piace, ma che questa è delle tue band preferite in tutto il mondo, beh, credo che quelli siano momenti di cui far tesoro per tutta la vita. Ti senti incredibilmente fortunato di essere il proprietario di una entità come la Hydra Head, che ha reso sogni simili, che mi portavo dietro da ragazzo, realtà”.

QUAL E’ LA TUA USCITA DELLA HYDRA HEAD PREFERITA IN ASSOLUTO?
“Domanda quasi impossibile a cui rispondere. Ce ne sono talmente tante e per così tanti motivi diversi che non saprei proprio da dove iniziare. Non riuscirei a nominartene una, come due, come neanche dieci. Sono semplicemente troppe. Poi a me i dischi piacciono per motivi diversi di volta in volta: a volte per via della musica, altre per via di ciò che hanno rappresentato nella mia vita. Sono infiniti i motivi per i quali un album mi può piacere, e tutti diversi. Pubblicare la musica di Justin Broadrick, per esempio, musicista che ho amato fin dall’adolescenza, è stato un sogno divenuto realtà. Non so che dirti, io mi sento solo tremendamente fortunato di aver potuto pubblicare tanti dischi così belli e ormai iconici”.

COME MAI KURT BALLOU HA ANNUNCIATO SU FACEBOOK CHE STAVA REGISTRANDO UN ALBUM DI REUNION DEGLI OLD MAN GLOOM E POI HA RITRATTATO TUTTO, BOLLANDO IL POST COME UNO SCHERZO?
“Sì, in effetti quello è stato davvero un momento bizzarro (ride, ndR). Semplicemente, non sapeva che la nostra intezione era quella di far rimanere il nostro comeback una segreto e se lo è lasciato scappare su Facebook. Quando ha capito che ci aveva sputtanati a mezzo mondo ha deciso di cercare di aggiustare le cose affermando che scherzava!”.

COME MAI AVETE DECISO DI RIESUMARE GLI OLD MAN GLOOM? A QUESTO PUNTO CHE PIANI AVETE PER IL FUTURO CON QUELLA BAND?
“Difficile dirlo. Intanto non era mai stata nostra intenzione prenderci una pausa così lunga, nè tantomeno era mai stato nei piani di ricominciare adesso. Non ci siamo mai sciolti ufficialmente, ci siamo solo persi di vista. Dopo l’uscita di ‘Christmas’ avevamo piani per andare subito in tour e fare altri album da subito ma non se ne è mai fatto nulla alla fine. Siamo sempre stati tutti impegnati in altre band e viviamo tutti in luoghi diversi del paese, per cui per noi vederci per scrivere e registrare non è mai stato facile. Poi un paio di anni fa ne abbiamo riparlato ed eravamo tutti daccordo sul fatto che o facevamo un disco subito o non lo avremmo fatto mai più. A quel punto abbiamo smesso di cazzeggiare e abbiamo fatto dei piani seri, per vederci in un posto tutti insieme e mettere da parte del tempo adeguato per finalmente dare alle stampe seriamente un altro album degli Old Man Gloom”.

QUESTO ALBUM DEGLI OLD MAN GLOOM SEMBRA PIU’ COMPIUTO DEGLI ALTRI LAVORI PASSATI, NON CREDI? HA CANZONI PIU’ LUNGHE E STRUTTURATE, E MENO DISPERSIVE E SPERIMENTALI. CI SONO MENO INTERLUDI E PARTI NOISE E AMBIENT E PIU’ “METAL”. SEI DACCORDO?
“Sì, ora siamo musicisti diversi da quelli che eravamo dieci anni fa, e siamo anche in lughi diversi artisticamente come persone. Stavolta abbiamo deciso di andare più al sodo. Sarebbe stato strano ripresentarci dopo quasi dieci anni con un altro album ambient o noise. Volevamo dare alla gente quella parte degli Old Man Gloom che sentivamo era mancata loro maggiormente. Siamo musicisti più realizzati e competenti ora, per cui realizzare in poco tempo un lavoro più massiccio e strutturato, dal feel più “metal” e diretto, è stato più semplice per noi stavolta. Però, come ti dicevo, piani futuri non ce ne sono, ma questa band è sempre stata così: si sveglia per un nuovo album e qualche data live e poi inevitabilmente risprofonda nel letargo per via dei nostri impegni principali. Ci siamo promessi però di fare album regolarmente da ora in avanti e se per questioni di tempo dobbiamo sacrificare l’attvità live per farlo, così sia. Alla fine questa band ha la sua natura ben precisa, e noi non la vogliamo snaturare facendola diventare all’improvviso una band prolifica che sta sempre in tour”.

QUANDO AVETE INIZIATO CON GLI OLD MAN GLOOM ERAVATE TUTTI DEGLI SCONOSCIUTI. ORA INVECE SIETE TUTTI MUSICISTI FAMOSI E LA BAND VIENE ADDIRITTURA DEFINITA UNA “SUPERBAND”. COME TI FA SENTIRE QUESTA COSA?
“Sì, molto interessante questo fenomeno creatosi con gli Old Man Gloom. Ma alla fine noi facciamo le cose come le abbiamo sempre fatte in questa band. Le nostre band principali suonano in venue più grandi ormai, ma gli Old Man Gloom continuano a suonare nelle bettole, nei garage e nei salotti della gente. Non ci siamo mai lasciati trasportare sotto questo aspetto e non abbiamo mai perso di vista la nostra vera natura e le nostre origini in questa band. Alla fine, siamo sempre gli amici di sempre, ora come allora. Forse ora facciamo musica migliore e più matura perchè siamo musicisti migliori e con più esperienza, ma per il resto siamo sempre e solo un gruppo di amici in sintonia totale che amano fare questo genere di musica”.

SANTOS MONTANO (IL BATTERISTA , ndR) E’ FORSE L’UNICO MEMBRO NON “FAMOSO” DEGLI OLD MAN GLOOM…
“Sì, infatti è il più defilato e misterioso di tutti noi, insieme a Luke Scarolla, ma ha sempre suonato su ogni nostra uscita fin dagli esordi. L’unico di noi che non ha suonato sul nuovo ‘No’ è proprio Luke Scarolla, che però ha suonato sui precedenti tre. Per il resto siamo sempre stati noi quattro. Anzi, sul primo album degli OMG, eravamo solo io e Santos. Lui è con noi proprio dagli esordi! E poi è vero, è meno ‘famoso’ di me, Nate e Caleb, ma ha suonato in parecchi progetti: sul primo album degli Zozobra, ha suonato dal vivo in moltissime occasioni con Steve Brodsky (Cave In, ndR), e in una band chiamata New Idea Society. Ha suonato anche nei Forensics, e poi fa il session musician e gli piace anche dare una mano alle band più disparate quando ne hanno bisogno. Forse è meno attivo e meno in vista di noi tre, sì, ma è pur sempre un grande musicista che sa benissimo quello che fa e dalla grandissima esperienza. Io e Santos siamo andati al liceo insieme e abbiamo iniziato gli OMG prima ancora che gli Isis fossero anche una idea nella mia testa”.

GLI OLD MAN GLOOM USANO MOLTI IMMAGINARI COMICI, TIPO LE SCIMMIE, PRIMATI E QUANT’ALTRO, E COMUNICATE COL MONDO SPESSO IN MANIERA IRONICA, SARCASTICA E AMBIGUA. LA BAND E’ PER CASO UN MODO CHE AVETE PER NON PRENDERVI TROPPO SUL SERIO COME MUSICISTI?
“Sì e no. E’ una band sia comica che seria. Suoniamo metal e credo che lo facciamo con grande intensità e serietà, ma dall’altro lato vogliamo anche divertirci e spassarcela, per cui ci inventiamo modi strani di porci o di comunicare. Questa band in fondo è durata così a lungo perchè è sempre stata divertente e un luogo amichevole e familiare in cui cazzeggiare in libertà. Sia i Cave In, che i Converge, che gli Isis, sono entità musicali ben delineate, che si pongono in un certo modo, che hanno un modo di porsi essenziale alla loro esistenza, e che dunque necessitano di una certa serietà. Gli OMG invece sono il nostro cazzeggio, il luogo in cui ci troviamo per spassarcela tra amici. Non ci sono regole e la band, che non ha alcun ‘business’ da mantenere, o responsabilità artistiche di sorta; è dunque libera di fare quello che gli pare, per questo ci lasciamo spesso andare a cazzeggi di ogni sorta, scherzi e comicità senza senso proprio perche questa band è un modo per noi di spezzare la monotonia e staccare la spina”.

PARLIAMO DEI JODIS ORA. COME E’ NATA QUESTA COLLABORAZIONE TRA TE E JAMES PLOTKIN E COSA STATE CERCANDO DI VEICOLARE CON LA VOSTRA MUSICA?
“Io e James stavamo contemplando un ritorno alla collaborazione da un pezzo ormai, da quando il progetto Lotus Eaters si è dissolto. Non sapevamo che suono avrebbe avuto o come il progetto si sarebbe sviluppato, ma abbiamo lavorato talmente tanto bene in passato che lavorare di nuovo insieme sembrava praticamente una cosa inevitabile. Ad un certo punto James mi ha telefonato dicendomi che aveva dei demo che aveva registrato a casa sua che mi voleva far sentire, e così me li ha mandati e sono rimasto davvero colpito dalle idee e dallo stile che aveva sviluppato, così gli ho proposto di approfondire il discorso e fare un po’ più sul serio. Tuttavia, ci siamo messi giù a lavorare in libertà totale, senza restrizioni e senza un set di regole prestabilito: non sapevamo minimamente in che direzione saremmo finiti quando abbiamo iniziato. Sapevamo solo che entrambi volevamo realizzare un progetto molto ambient e atmosferico, e molto silenzioso e docile. Ad entrambi mancava musicalmente quella sfera davvero melodica e sognante, ed entrambi volevamo un progetto che si sviluppasse lungo queste linee guida, per cui è stato naturale e del tutto spontaneo lavorare insieme”.

DI COSA VI OCCUPATE RISPETTIVAMENTE TU E JAMES NEGLI JODIS?
“James ha suonato praticamente tutti gli strumenti: chitarra, bassi, batteria ed effetti vari. Ha curato anche tutta la produzione e l’impostazione generale del sound sull’ultimo disco, ‘Black Curtain’. Io invece ho fatto tutte le voci e mi sono occupato delle parti elettroniche, synth, tastiere e quant’altro. Lui, insomma, ha curato la sfera strumentale, io invece ho curato maggiormente le atmosfere e la parte concettuale”.

“BLACK CURTAIN” DEI JODIS E’ DUNQUE UFFICIALMENTE, ALMENO PER QUALCHE ANNO A VENIRE, L’ULTIMA USCITA A MARCHIO HYDRA HEAD…
“Tristemente, sì. Anche se è l’ultimo full-length che l’etichetta pubblicherà, non è l’ultima uscita in assoluto che licenzieremo, visto che abbiamo all’orizzonte due split, uno tra i Mamiffer e i Pyramids e uno tra JK Flesh e Prurient; tuttavia, come detto, sono collaborazioni-split, per cui non propriamente dei full-length veri e propri. In questo senso, ‘Black Curtain’ ha una valenza e un significato tutto speciale per me. Stranamente, inoltre, la musica è molto placida ed eterea, quasi perfetta per un momento così triste e riflessivo della mia vita. Devo dire che è una strana coincidenza che questo disco, con un sound così inconsolabile, sia l’ultimo album ufficiale ad uscire tramite la Hydra Head. Sono felice di aver posto fine a tutto con un disco del genere, è stato davvero il preambolo perfetto alla fine di questa esperienza meravigliosa. Un canto del cigno davvero appropriato, soprattuto se si considera che è un disco che ho fatto io e in cui suono. Insomma, se proprio le cose dovevano finire, non potevano finire in modo migliore”.

TU SEI UN MUSICISTA INSTANCABILE, SEMPRE IMEPGNATO IN TANTISSIMI PROGETTI DIVERSI. NON PENSI CHE DILUISCI IL TUO LAVORO E INFLAZIONI LA TUA CREATIVITA’ LAVORANDO A TUTTI QUESTI PROGETTI CONTEMPORANEAMENTE? COME MAI QUESTO IMPULSO COSTANTE IN TANTE DIREZIONI DIVERSE?
“Sì, a volte lo penso, ma poi mi rendo conto che non essere limitato entro i confini di un solo progetto è ciò che mi rende più felice di tutto. Il mio ambiente ideale è quello in cui sono in grado di esprimermi su più fronti, ancora meglio se molto diversi e opposti. Il problema principale degli Isis era proprio quello: troppo tempo passato sullo stesso progetto, con le stesse persone, ed entro lo stesso stile e tipologia di musica. A me piacciono tantissime sonorità diverse, e dunque cerco sempre di esprimermi in tutte queste direzioni e lo trovo frustrante quando vedo che non posso. Mi sento completo e soddisfatto quando ho la consapevolezza che ho totale libertà artistica. Inoltre, vedo che lavorare in questo modo, ovvero diversificando ogni volta i miei output stilistici e musicali, mi sta facendo migliorare tantissimo come musicista e mi sta facendo crescere in tanti modi diversi. Ho esperienza con molti più stili di scrittura ora, con molti più strumenti, e dimestichezza con molti più generi ora, e questa evoluzione costante del mio essere musicista mi sta dando tanto, e mi sta facendo sentire perfettamente calato nel mio ideale di cosa significa essere un musicista completo. Poi, certo, ci sono gli aspetti della tua domanda da considerare. Essere troppo impegnati a volte mi fa sentire stressato, stanco o al contrario instancabile, cosa che mi rende poco tranquillo. Senz’altro devo stare attento a non strafare e a non perdermi in troppe cose contemporaneamente. Probabilmente a breve rallenterò o mi fermerò per un po’ per riprendere fiato e non sentirmi stressato, ma in generale questo modo di lavorare mi aggrada tantissimo. In generale, ti posso dire che gli ultimi anni per me sono stati molto più appaganti del tempo che ho speso a fare gli ultimi due album degli Isis, segno inequivocabile che allora ero nel posto sbagliato e ora invece ho trovato la mia dimensione. Gli Isis ad un certo punto hanno raggiunto una sorta di quiete perfetta. Quella band aveva raggiunto un suo equilibrio perfetto e difficilmente si sarabbe evoluta in qualcos’altro. Io invece continuavo a crescere come musicista e dunque gli Isis, come i vestiti di un bambino che cresce, ad un certo punto hanno cominciato a venirmi stretti e mi facevano sentire limitato e incapace di esprimermi al pieno del mio potenziale. Cerco sempre nuove sfide musicali, e gli Isis non me ne ponevano più”.

E’ STATA QUESTA LA CAUSA DELLO SCIOGLIMENTO DEGLI ISIS?
“No, non totalmente, almeno. Io non ero l’unico nella band a sentirsi così, non sono stato io l’unica causa della fine degli Isis. Sicuramente la situazione nella band a quel punto era complessa e difficile da sbrogliare. Alcuni erano incazzati, e volevano continuare, altri, come me, erano svogliati e non vedevano più il senso di continuare su un binario artistico praticamente morto, almeno sotto il punto di vista dell’evoluzione musicale. Se avessi visto che c’era un fronte solido contro di me, che tutta la band voleva continuare, avrei smesso io soltanto, e avrei lasciato la band per permettere agli altri di continuare; ma, come vedi, non ero l’unico a sentire la monotonia che avanzava nella band”.

TI MANCANO GLI ISIS? PENSI CHE TORNERETE?
“Assolutamente no, capitolo chiuso. Io non ne ho alcuna voglia e il solo pensiero di suonare di nuovo negli Isis per me rappresenterebbe una enorme involuzione e un gran passo indietro. Ho fatto tutto quello che era fattibile in quella band e sono davvero fiero di dove la band è arrivata e di tutto ciò che è riuscita a fare negli anni, ma questo non significa che mi devo guardare alle spalle e tornare indietro. Poi, ti dirò, io sono anche uno che è contro le reunion. Secondo me nella stragrande maggioranza dei casi non funzionano e sono solo motivo di confusione e delusioni. L’anno scorso ho visto dal vivo per la prima volta gli Swans e ti posso dire che in vita mia vedere loro tornare è stato l’unica volta in cui mi sono ricreduto su questo concetto delle reunion. Ma gli Swans sono un caso tutto a parte, sono una band troppo particolare e unica per rientrare in categorie più ampie. Per il resto, ci sono prove sotto gli occhi di tutti, che le reunion nella maggior parte dei casi sono inutili e a volte anche dannose. Poi, certo, lo sappiamo tutti come è fatta la vita. Oggi dici una cosa e tra qualche anno succede il contrario, per cui non dirò mai no in maniera assoluta, giusto per non sembrare uno che non sa quello che dice; allo stato attuale, nel presente, il no alla reunion è assolutamente inappellabile. Poi, ti ripeto, a parte gli Swans, che sono su un altro pianeta, vedo reunion a destra e a sinistra e mi fanno tenerezza: tutte queste band che tornano dopo anni senza motivo, riproponendosi esattamente come erano anni fa, senza idee nuove, senza energie nuove e senza un obiettivo visibile. Io non vorrei mai che gli Isis facessero una fine simile. E’ fuori discussione”.

GLI SPLIT CRANIUM INVECE COME SONO NATI?
“Gli Split Cranium sono la mia ultima creatura, progetto nuovo di zecca di cui sono molto contento. Il progetto è nato attorno alla profondissima amicizia che lega me e Jussi Lehtisalo (della band progressive rock finlandese Circle, ndR). Anni fa insieme agli Isis facemmo un tour europeo con i Circle e fu così che conobbi Jussi. Appena ci siamo conosciuti abbiamo legato immediatamente e ci siamo immediatamente detti che prima o poi, in un modo o nell’altro, dovevamo fare qualcosa insieme, perchè sorprendentemente avevamo tante idee in comune che ci frullavano in testa contemporaneamente. Qualche tempo dopo, Jussi mi contattò dicendomi che stava lavorando ad un progetto con un paio di altre persone e mi chiese se ero interessato ad occuparmi della parti vocali. Così ascoltai i demo e rimasi davvero colpito. Era da tempo che volevo suonare musica più veloce e primitiva ma non avevo mai trovato il tempo o la gente giusta per cominciare un progetto punk da zero, e dunque Jussi mi stava offrendo un’occasione irripetibile di tuffarmici senza grossi sforzi, per cui la colsi al volo. Di certo suonare punk rock scarno e irruente non era ciò di cui avevamo parlato anni prima quando ci trovammo daccordo sul suonare insieme, ma non ha importanza, ciò che conta alla fine è che abbiamo collaborato e che ad entrambi la proposta è sembrata divertente ed avvincente! Da poco abbiamo iniziato i lavori per un split di Mamiffer e Circle e durante questo lavoro abbiamo deciso di cogliere la palla al balzo e buttare giu qualche idea anche per un nuovo album degli Split Cranium, che a questo punto credo uscirà nel 2013. Sì, sono sicuramente molto preso da questo progetto e molto curioso di vedere dove andrà a finire”.

PER QUANTO RIGUARDA I GREYMACHINE E I TWILIGHT, INVECE, HAI DEI PIANI PER ALTRO MATERIALE PER IL FUTURO PROSSIMO?
“Per i Greymachine (band inudustrial-noise-doom formata da Aaron Turner e Justin Broadrick, ndR) sì, vogliamo certamente fare una altro disco, ma non ci sono dei piani ben definiti. Justin è sempre molto impegnato e, come vedi, anche io! A me personalmente interessa molto questo progetto e inoltre facciamo tutto via internet, ci scambiamo file e idee in rete, per cui la distanza che ci separa non è mai un problema. Credo che io e Justin riprenderemo il discorso a breve e stavolta si era detto anche di coinvolgere persone nuove sul prossimo album per allargare il discorso e realizzare un progetto più ampio. Per quanto rigurarda i Twilight, invece, no, non parteciperò al prossimo album, nè tantomeno a questo punto ad altri lavori che quella band farà. Anzi, se non sbaglio, il nuovo album dei Twilight è addirittura già finito e io non ne ho preso parte in nessun modo”.

QUEI TIPI NEI TWILIGHT SONO SOGGETTI INTERESSANTI, NON CREDI? QUELLA BAND E’ FORMATA DA MOLTE PERSONALITA’ DIVERSE…
“Sì, è vero, e alla fine è famosa anche per quello. A differenza di ciò che comunemente si potrebbe pensare, io però non li conosco molto bene. Di tutti i membri di quella band quello che conosco meglio è Blake (Judd, dei Nachtmystium, ndR), ma gli altri mi sono quasi estranei. Non ho avuto modo di conoscerli bene perchè anche quella è una band i cui membri vivono sparpagliati in zone diverse del paese e dunque il lavoro di scrittura e registrazione anche per loro avviene via internet, scambiandosi file e idee in rete. Li ho conosciuti di pesona, quello sì, ma non ho avuto mai il tempo di spendere del tempo con nessuno di loro e approfondire la conoscenza”.

TU INVECE CHI STAI ASCOLTANDO IN QUESTI GIORNI? QUALI ALBUM TI HANNO COLPITO NEL 2012?
“Bella domanda. Tanta roba! I miei gusti musicali vanno in mille direzioneìi, che poi è uno dei motivi per cui ho così tanti progetti musicali miei, e non sempre riesco a fare ordine nella mia testa. Vediamo un po’… Non so se posso dire di essere stato spazzato via, ma il nuovo album degli Hooded Menace mi è piaciuto assai. Poi il suono di quella band non è certo fisica quantistica, ma ho apprezzato molto il songwriting, il suono e la brutalità di quel lavoro. Mi ricorda tante cose che cerco di fare anche io negli Old Man Gloom. Quell’estetica musicale di brutalità mista a humor mi piace. Inoltre, c’è un artista di cui non so nulla, neanche da dove proviene, so solo che si chiama Helm, e anche il suo lavoro mi è piaciuto tanto, ho preso due LP di recente ed entrambi mi hanno colpito molto. Il genere non è facile da classificare, è una sorta di rock acustico misto all’elettronica, molto sperimentale e alquanto inaudito. Questo artista mischia tanti elementi diversi ma non risulta mai dispersivo, anzi la musica è molto coesa e a fuoco, interessante davvero. Ho visto dal vivo i Martyrdod, inoltre, questa punk band svedese, che dal vivo mi ha davvero impressionato: hanno una potenza notevole, che hanno ben trasmesso su disco. Secondo me sono davvero un passo avanti alla maggior parte delle band come loro. Mi sono piaciuti anche gli EP usciti di recente di Cut Hands, progetto di William Bennett degli Whitehouse. Non sono mai stato un grandissimo fan degli Whitehouse, ma questa roba che sta facendo a nome Cut Hands spacca davvero. Sono rimasto piacevolmente colpito”.

BENE, TI LASCIAMO ANDARE, ALTRIMENTI NON FINIAMO PIU’. CHIUDI PURE COME VUOI, AARON, E GRAZIE DI TUTTO!
“Grazie a voi, ragazzi, davvero, parlare della Hydra Head e vedere un continuo interesse in questa label, che è stata una componente così fondamentale della mia vita, mi fa davvero piacere, e sono contento che persone come voi, anche a cospetto della sua fine, ne parlino e mi spingano a parlarne a mia volta, poichè tutta questa attenzione mi ci fa credere ancora, mi fa ancora credere che posso salvarla in qualche modo grazie a tutti voi. Sono davvero felice del ruolo che ha avuto la mia etichetta nella mia vita, e nella vita di altre persone. So che per molti di voi la musica che abbiamo pubblicato ha un significato speciale e io non posso che essere orgoglioso di una cosa del genere. Fa davvero piacere, dunque grazie di tutto!”.

 

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