ABORTED – I racconti della cripta

Pubblicato il 07/04/2024 da

Passano gli anni, cambiano i membri della line-up, ma gli Aborted rimangono una vera certezza in campo death metal e affini. L’ultimo “Vaults of Horror”, in particolare, ci ha mostrato la band guidata dal frontman Sven de Caluwé abbracciare compiutamente quella dimensione orrorifica e moderna che, a partire dal notevole “Retrogore” del 2016, ne ha via via caratterizzato lo stile e le atmosfere, per un album in grado di muoversi da confortevoli e consolidatissime basi death/grind per poi esplorare territori ben più moderni e bombastici, in odore di ciò che oggi va per la maggiore fra i giovanissimi. Il tutto, comunque, senza rinunciare alla proverbiale cura nel songwriting insita nel DNA del progetto fin dai tempi del semi-leggendario “Engineering the Dead”, e che nell’ultimo paio di decenni ha trasformato il moniker in un marchio di garanzia. Una sorta di seconda giovinezza che, non a caso, ha portato i Nostri a livelli di fortuna e visibilità forse mai ottenuti in carriera, di cui lo stesso membro fondatore, raggiunto su Zoom qualche settimana fa, sembra essere fiero e consapevole…

Artista: Aborted | Fotografa: Benedetta Gaiani | Data: 01 aprile 2024 | Venue: Legend Club | Città: Milano

NON È CERTO LA PRIMA VOLTA CHE INVITATE DEGLI OSPITI SU UN DISCO, MA PER QUEST’ULTIMO SI PUÒ DIRE ABBIATE FATTO DAVVERO ‘ALL IN’. COME VI È VENUTA QUESTA IDEA? COME AVETE SCELTO CHI AVREBBE CANTATO UNA CANZONE PIUTTOSTO CHE UN’ALTRA?
– L’idea per il concept mi è venuta pensando a “I racconti dalla cripta” (serie TV antologica trasmessa dal 1989 al 1996, ndR). Anche “Vault of Horrors” si sviluppa in modo simile: ogni canzone parla di un film differente ed è ambientata in un universo specifico. Avere dieci cantanti al mio fianco, ognuno col proprio stile, penso accentui questa cosa. E poi sono un idiota a cui piace sperimentare cose nuove: che io sappia, nessuna band come la nostra aveva mai fatto una cosa simile, per cui mi sono detto “Perché no?”. Potrebbe essere una buona idea. Potrebbe essere un’idea del cazzo. Non lo sapremo mai. O magari ci sapremo dare una risposta fra un paio d’anni, non lo so (ride, ndR). Di sicuro è stato un album divertente da realizzare. In fondo parliamo di buoni amici, persone che conosciamo da anni, se non addirittura decenni. In questo modo è anche possibile trovare un equilibrio. Visto che là fuori è pieno di stronzate che dividono la gente, volevamo unire le persone e costruire un ponte tra varie tipologie di pubblico. Un ragazzino entrerà in connessione col disco grazie agli ospiti della scena death-core, per poi magari scoprire una band della vecchia scuola che non aveva mai ascoltato o sentito nominare. Viceversa, un fan di lunga data potrebbe concedere una chance ad un gruppo più giovane dopo aver sentito una voce di suo gradimento. Trovo sia un bel modo per allargare gli orizzonti, scoprire cose nuove e uscire dalla comfort zone.

L’ALBUM SUONA UN PO’ PIÙ FRENETICO E AGGRESSIVO DEI PRECEDENTI, CON UN’ATMOSFERA MOLTO MARCATA IN SOTTOFONDO. LO VEDO COME L’APICE DEL PERCORSO DI MODERNIZZAZIONE INIZIATO CON “RETROGORE”…
– Sì, siamo riusciti a portare l’idea avuta con “Retrogore” agli standard che avevamo in mente, trovando il modo di combinare in modo organico metal estremo e musica horror. Penso che parte del merito spetti anche a Spencer Creaghan, che si è occupato di tutti i synth che puoi sentire sul disco. È un compositore di soundtrack, ha ottenuto anche diversi premi e riconoscimenti, e quando ha aggiunto i suoi ritocchi alle canzoni è stato subito chiaro che il risultato fosse quello giusto. Un mix di death metal – tecnico, veloce e brutale – e atmosfere cinematografiche. Siamo contenti di aver centrato al 100% l’obiettivo.

“VAULTS OF HORROR” SEMBRA UN TITOLO PROGRAMMATICO. UNA SORTA DI TRIBUTO DEFINITIVO AL GENERE. COM’È NATO QUESTO CONCEPT? RICORDI QUALI SONO STATI I PRIMI FILM CHE TI HANNO FATTO INNAMORARE DEL CINEMA DELL’ORRORE?
– Per quanto riguarda il concept, ho voluto fare un passo indietro rispetto a “Maniacult”, che era e rimane un lavoro molto cupo. Mi sono guardato attorno e, pensando al quantitativo di fattori e stronzate che ogni giorno ci dividono, ho preferito cimentarmi in qualcosa di più divertente, riportando al centro la vera ragione per cui ascoltiamo questa musica. Voglio dire, ognuno ha il proprio lavoro, la propria routine, magari le cose non vanno granché bene, e spesso il metal è qualcosa che porta gioia nella vita, che rende le giornate più leggere e che permette di fuggire da quello che si sta facendo o dallo schifo che si sta attraversando. Ognuno poi lo vive a modo suo, ma in generale volevo scrivere un album che avesse questa funzione. “Vaults of Horror” è spensierato e si basa su una cosa che accomuna moltissimi metallari, ossia i film dell’orrore. Per rispondere alla seconda parte della domanda, li guardo da quando sono piccolo e sì, ricordo esattamente com’è avvenuto l’imprinting (ride, ndR). Avevo tra i sei e gli otto anni, e coi miei genitori vidi “Lo squalo” in TV. Mi spaventò a morte.

CAPISCO PERFETTAMENTE…
– Sì, quando sei piccolo quel film non ti lascia scampo! Da quel momento in poi è stata una spirale. Andavo dai miei nonni ogni fine settimana, guardando tutto ciò su cui riuscivo a mettere le mani per il sabato sera: “Nightmare”, “Hellraiser”, “Fog”, “La casa”, film del genere… ricorderò sempre anche la prima visione de “La mosca”. Visivamente è terrificante, con effetti invecchiati benissimo, oltretutto, ma di fatto è una storia romantica e drammatica. Davvero un gran film.

IL FINALE IN CUI LUI LA SUPPLICA DI UCCIDERLO, A METAMORFOSI ORMAI AVVENUTA, È SEMPRE STRUGGENTE. TRA I FILM RECENTI, INVECE, CE N’È QUALCUNO CHE HAI APPREZZATO IN MODO PARTICOLARE?
– Assolutamente! Qualche tempo fa ho visto “Upgrade”, che ho trovato molto interessante. “Barbarian” invece mi ha proprio colpito: ti siedi, lo guardi e non sai mai dove ti porterà la trama, il che ovviamente è una gran cosa. Anche “Don’t Breath” (“Man in the Dark” nella versione italiana, ndR) è un bel thriller/horror, con un plot twist notevole. Poi ovviamente c’è “Get Out”… in generale, direi che negli ultimi anni i film horror di qualità non sono mancati.

IERI SERA HO RECUPERATO “TALK TO ME”…
– Anche quello, sì! Super inquietante.

DAVE OTERO È UN NOME DI PUNTA NEL MONDO DELLA PRODUZIONE METAL, E PENSO CHE ANCHE IN QUESTO CASO ABBIA SVOLTO UN LAVORO INCREDIBILE. CHE TIPO DI NUOVI INPUT VI HA DATO? È ANCHE LA PRIMA VOLTA CHE REGISTRATE NEGLI STATI UNITI…
– Per “Maniacult”, Ken aveva registrato le sue parti di batteria a San Francisco, con Zach Oren, ma per “Vaults of Horror” ci siamo rivolti interamente a Dave. Abbiamo trascorso sei settimane nel suo studio, e poi lui ha mixato il disco nell’arco di altre due settimane. Un’esperienza assolutamente fantastica. Dave è un maestro in quello che fa, ma soprattutto ama questa musica. Ascolta metal anche quando non ci lavora, motivo per cui sa perfettamente come dovrebbe suonare una band e, più in generale, come dovrebbe suonare questa musica. La sua è una passione autentica. È stato un piacere lavorare con lui. È una persona sempre motivata, motivante ed energica. Appena arrivati in Colorado, abbiamo speso tre-quattro giorni sulla pre-produzione con lui, finendo per cambiare un po’ i brani e le loro strutture. Si è subito fatto avanti con un sacco di idee, dal modo di suonare la batteria a come accentuare alcuni passaggi e ritmiche… e con la voce e le chitarre non è stato diverso. Quando cantavo, registravo le canzoni in un solo take, e poi le analizzavamo insieme. Spesso, è capitato che modificassimo qualcosa delle versioni originali, incluse le parole, per adattarle meglio alla musica e renderle più efficaci. Grazie a lui l’intero processo ha preso una piega molto collaborativa e creativa. È stata senza dubbio la miglior sessione di registrazione della mia vita, e trovo che il risultato finale sia davvero fantastico.

NON È UN SEGRETO CHE ULTIMAMENTE ABBIATE AMPLIATO IL VOSTRO PUBBLICO, PRENDENDO PARTE A DIVERSI TOUR DEATH-CORE. PERSONALMENTE, PENSO SIA UNA MOSSA INTELLIGENTE, MA ALCUNI FAN DI LUNGA DATA SE NE SONO LAMENTATI. COME SONO ANDATE NEL COMPLESSO QUESTE ESPERIENZE? COS’HAI DA DIRE A COLORO CHE RIMPIANGONO I GIORNI DI UN “GOREMAGEDDON” O DI UN “THE ARCHAIC ABATTOIR”?
– Penso che le persone debbano smettere di lamentarsi, etichettare le cose e ricordarsi il vero motivo per cui tutti noi ascoltiamo questa musica, ossia per svagarci e divertirci. Apporre etichette e iper-analizzare le cose è sciocco e controproducente. Per me, esistono solo due tipologie di musica: quella buona e quella cattiva. Merda che ti piace e merda che non ti piace. A chi cazzo importa del resto? Death-core, old-school death metal, jazz, reggae… davvero, chi se ne frega. Se ti piace, ascoltalo. Se non ti piace, non ascoltarlo. La gente non dovrebbe spendere tutte queste energie nel giudicare le cose, focalizzandosi piuttosto sul nocciolo della questione. Il consiglio che do, quindi, è di viverla serenamente e di non preoccuparsi di diventare i ragazzi più popolari su Internet, seguendo ciò che viene scritto online. Internet non è reale. Non ha importanza nella vita vera. A nessuno frega un cazzo. Questa è la conclusione. Questo è tutto quello che ho da dire al riguardo. E le esperienze di quei tour sono state fantastiche, a dire il vero, perché abbiamo potuto suonare davanti a molte persone che non avrebbero mai sentito parlare di noi. Persone che poi hanno avuto modo di scoprire il metal estremo, che apre la strada a mille altre band oltre alla nostra. Non ci vedo alcun aspetto negativo, e penso sia strano che i fan si arrabbino di questo, per il fatto che suoniamo davanti a target diversi. Se per questo, anni fa, abbiamo anche fatto un tour con i Kreator, che non era neppure death metal (il bill includeva anche Sepultura e Soilwork, ndR). Quindi come la mettiamo?

AVETE SEMPRE PRESTATO MOLTA ATTENZIONE ALLE GRAFICHE, AL MERCHANDISE E (NEGLI ULTIMI ANNI) AI VARI CANALI SOCIAL. A QUESTO PROPOSITO, ERO CURIOSO DI SAPERE LA RILEVANZA DI QUESTI ASPETTI NEL SOSTENTAMENTO DI UNA BAND COME GLI ABORTED…
– Penso sia molto importante, perché un artista non dovrebbe offrire al pubblico solo la musica che scrive, ma un pacchetto completo. Quindi, se vuoi che le persone comprino effettivamente un album, devi vendere loro un’esperienza. E la componente grafica è un tassello fondamentale del quadro. Lo paragono a quando, da piccoli, andavamo da Blockbuster. Molte volte, parlo per me ma credo di non essere stato il solo, noleggiavo un film unicamente per la locandina. Prendevo una cassetta dallo scaffale, la guardavo e pensavo “Wow, sarà un film fantastico”. A volte ci prendevo, a volte no (ride, ndR). Ad ogni modo, hai capito cosa intendo dire. Nella vita di tutti i giorni sono un designer, per cui è logico che riponga molta cura e attenzione in questi aspetti. Se ripenso agli anni Novanta, le opere di artisti come Dan Seagrave e Wes Benscoter erano tra le cose che ti facevano dire “Okay, questo album potrebbe essere bello”. Poi magari non lo acquistavi subito, ma di sicuro facevi qualche ricerca sulla band. È un qualcosa che non andrebbe dimenticato. L’artwork è una parte essenziale di questa musica, e aiuta a definire l’atmosfera che stai cercando di creare. Investirci tempo e denaro, anche con edizioni limitate piene di merchandise extra, è utile, e il nostro caso lo dimostra. È un peccato che oggigiorno non tutti i gruppi sembrino pensarla così…

ERO CURIOSO INFATTI DI SENTIRE IL TUO PARERE SULL’UTILIZZO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE IN QUESTO CAMPO, VISTI ANCHE I RECENTI CASI DI PESTILENCE E DEICIDE…
– Penso ci sia un posto per l’IA nel workflow di un illustratore. Un luogo dove fare brainstorming e farsi venire idee su come qualcosa potrebbe apparire, realizzando composizioni a cui forse non avresti pensato in quel momento. Quindi sì, penso che possa far parte della quotidianità di un artista visivo. Non penso però che dovrebbe essere utilizzata in un prodotto finito, sia esso una copertina o la stampa di una maglietta, anche perché ovviamente prende spunto dal lavoro di altri. Ma è uno strumento con cui sperimentare, quello sì. Ed è qui per restare, non c’è modo di aggirarlo o di impedirne la diffusione. Solo, trovo sia un po’ meschino uscirsene con artwork e merchandise realizzati in questa maniera, soprattutto se penso a chi cerca di farsi strada nel settore delle illustrazioni. Bisognerebbe poi razionalizzare il proprio budget per sfruttarlo in modo intelligente: anziché sponsorizzare un post su Instagram con 500€, tagliando poi le spese sul resto, una band piccola o esordiente dovrebbe pensare a cos’è davvero importante, artisticamente parlando.

DUE ANNI FA, TI SEI RIUNITO AI LENG TCH’E PER QUALCHE DATA. COME SONO ANDATI QUEI CONCERTI? AMMETTO DI ESSERE MOLTO AFFEZIONATO AD UN ALBUM COME “MANMADEPREDATOR”, RICORDO DI AVERLO COMPRATO AD UNA VECCHIA EDIZIONE DEL NEUROTIC DEATHFEST…
– Grazie! La cosa divertente è che quando facevo parte della band mi occupavo della batteria, non della voce, ma avendo scritto i testi mi ricordavo le metriche e tutto il resto. Quindi è successo così, in modo molto naturale, letteralmente un giorno prima. Ricordo che Jan (Hallaert, chitarra, ndR) mi chiamò per uno show ad Anversa: “Ehi, hai da fare domani?” “No, perché?” “Il nostro cantante ha avuto un problema, ti va di sostituirlo? Ah, dovresti imparare 17 canzoni in 24 ore!” (ride, ndR). Ma è stato divertente, è sempre un piacere uscire e suonare con quei ragazzi. Alla fine, ho tenuto quattro/cinque show con loro al microfono, una cosa del genere.

COSA TI TIENE MOTIVATO DOPO TUTTI QUESTI ANNI?
– Banalmente, l’amore per questa musica. Voglio dire, non è certo per diventare famoso o fare i soldi con questa merda. Gli Aborted non sono esattamente Beyonce! (ride, ndR). È quello che più amo fare: scrivere, suonare dal vivo, tenere interviste… fa parte della mia vita e lo sarà sempre.

COM’È AVVENUTO IL TUO COINVOLGIMENTO NELLA COLONNA SONORA DI “DOOM ETERNAL”? SEI UN GIOCATORE ATTIVO?
– Assolutamente, amo i videogiochi! Nella band, io, Ken e Ian siamo quelli che giochiamo di più. Penso che anche Daníel lo facesse, anche se oggi ha un po’ smesso. Mentre Stefano (Franceschini, al basso fino a qualche mese fa, ndR) era un vero fanatico di Crash Bandicoot e di altri titoli degli anni Novanta. Per quanto riguarda “Doom Eternal”, un mio amico negli Stati Uniti ha visto l’annuncio in cui si diceva che cercavano persone per un coro death metal, e me lo ha inviato dicendomi “Dovresti provarci”, ma io ero un po’ scettico. Allora mi ha risposto “Cos’hai da perdere? Basta che ti candidi. Se succede, sarà divertente, altrimenti pazienza”. A quel punto mi sono detto “Sai che c’è? Hai ragione!”, e ho scritto una e-mail Mick Gordon, il responsabile della colonna sonora. Due giorni dopo mi ha risposto, dicendo che conosceva la mia band e che mi potevo considerare a bordo del progetto. È stata un’esperienza incredibile. Mick è un ragazzo davvero simpatico, inoltre sono state coinvolte un sacco di persone fantastiche, tutti grandi cantanti. Una giornata memorabile. Otto ore ad urlare sono tante, ma Mick ha mantenuto tutti energici guidando la cosa alla perfezione. Sono ancora in contatto con molte persone della produzione di “Doom Eternal”, e ascoltare il risultato finale all’interno del gioco è stato divertentissimo.

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