Il caso degli Accept è quello di una metal band profondamente rivoluzionata tra prima e seconda fase di carriera; il ritorno negli anni 2000, nonostante il cambio di frontman e l’ingresso di un – allora – semisconosciuto singer al posto del leggendario Udo Dirkschneider, ha fruttato album di successo e uno status, per la compagine tedesca, ben differente da quello di ‘vecchia gloria’. Gli Accept del 2021, pur stravolti nella line-up e con il solo Wolf Hoffmann a rappresentare il punto di congiunzione col passato remoto, sono una formazione che guarda avanti e non ha alcuna intenzione di lasciar strada a realtà più giovani. Dal nostro punto di vista, la qualità del materiale, come espresso nella recensione di “Too Mean To Die”, ci pare andare un po’ in calo, assestandosi su un lotto di brani indubbiamente robusti, metallici e carichi di energia, però abbastanza monocordi. Insomma, qualche appannamento creativo ci pare di averlo colto. Ciò non toglie che sia un piacere ritrovare il citato Hoffmann così di buon umore, con lo sguardo rivolto al futuro e desideroso di riappropriarsi, appena sarà possibile, di quella dimensione live dove i Nostri, con Tornillo alla voce, hanno dimostrato di sapere ancora far male, senza far rimpiangere i tempi di Udo.
IL NUOVO ALBUM SI INTITOLA “TOO MEAN TO DIE”: A COSA SI RIFERISCE UN TITOLO SIMILE?
– Deriva da un pensiero semplice. Una cosa del tipo: “Siamo un macchina heavy metal, troppo malvagia per essere uccisa”. È una cosa che siamo ripetuti spesso, per darci forza in questi tempi segnati dal coronavirus. Una dichiarazione molto elementare, da non prendere nemmeno troppo sul serio se vogliamo, ma molto, molto metal!
DOPO COSÌ TANTI ANNI DI CARRIERA, QUAL È LA RAGIONE PRINCIPALE CHE TI SPINGE A SCRIVERE NUOVA MUSICA? CHE COSA TI MOTIVA A PROSEGUIRE L’AVVENTURA DEGLI ACCEPT?
– Sono un musicista, questo è il mio lavoro e ho ancora addosso il desiderio di andare avanti con la mia attività e di migliorare. Come afferma il titolo di una nostra nuova canzone, ‘il meglio deve ancora arrivare’! Non sono uno di quelli che guarda indietro, al passato, che si crogiola in quanto di buono già prodotto e si accontenta di suonare le vecchie canzoni, pensando che non si possa più comporre nulla di interessante. Io, al contrario, voglio spingermi più avanti e realizzare ancora oggi il miglior album possibile. Nonostante ora ci siano musicisti completamente diversi nella band, rispetto quelli di trenta/quaranta anni fa, lo spirito è rimasto lo stesso. Il nostro stile in fondo non è cambiato tantissimo nel tempo e, soprattutto da quando c’è Mark nel gruppo, siamo riusciti a progredire di disco in disco.
PARLAVI PRIMA DI “THE BEST IS YET TO COME”: È UNA DELLE CANZONI CHE PIÙ RIMANE IMPRESSA DEL NUOVO ALBUM, COSÌ DIVERSA DAL RESTO DELLA TRACKLIST. È MOLTO PIÙ MELODICA, PRATICAMENTE UNA BALLAD. ASSIEME A “THE UNDERTAKER”, ESULA DAL FILONE PRINCIPALE, FATTO DI EPISODI AGGRESSIVI E TIRATI. VOLEVO QUINDI CHIEDERTI QUALCHE DETTAGLIO IN PIÙ SU COME SONO NATE E SVILUPPATE QUESTE DUE TRACCE?
– Per “The Undertaker”, siamo partiti da un testo scritto da Mark. Aveva questa specie di poema in testa, nessuna idea della musica, quando ha scritto le parole. Ho scritto la musica cercando di adattarla alla narrazione e di far suonare bene il testo di Mark. Non è propriamente il nostro metodo compositivo usuale, di prassi partiamo dalla musica e aggiungiamo il testo solo in un secondo tempo. “The Best Is Yet To Come” nasce per una melodia che mi è venuta in mente e un ritmo in midtempo che stava bene in accompagnamento. Per quanto riguarda il testo, segue quello che è un po’ un mio motto, ovvero che il futuro sa riservarci sempre qualche gradita sorpresa. Lo penso seriamente, non è una frase fatta. La migliore canzone, il miglior show, li immagino avverarsi nel futuro. È il mio modo di guardare all’esistenza. La mia filosofia di vita.
MENTRE UN TITOLO COME “ZOMBIE APOCALYPSE” ESPRIME SOLO UNA FASCINAZIONE PER GLI ‘ZOMBIE MOVIE’, OPPURE C’È DELL’ALTRO?
– No, si riferisce a tutte queste persone che camminano per strada con lo sguardo rivolto al loro smartphone, senza accorgersi di quello che hanno attorno. Come zombie, appunto. In effetti, quando Mark mi accennato per la prima volta al testo, sono rimasto un attimo perplesso. Parlare di zombie, negli Accept, mi sembrava un’idea un po’ stravagante, per i nostri standard. Poi ho capito meglio quali erano le sue intenzioni, dare un suo punto di vista sull’eccessivo attaccamento delle persone alla tecnologia, ai loro cellulari in particolare.
IN ALCUNE DICHIARAZIONI DEI MESI SCORSI, HAI AFFERMATO CHE AVETE CERCATO DI NON CONCENTRARVI TROPPO SULL’ATTUALITÀ PER LE LIRICHE DEL NUOVO DISCO. CREDI CHE AVRESTE FINITO PER SUONARE OSCURI E PESSIMISTI, SE VI FOSTE BASATI SU QUANTO STA ACCADENDO ATTUALMENTE NEL MONDO?
– Eravamo andati in quella direzione con “The Rise Of Chaos”, il nostro album precedente. Avevamo addirittura scritto una canzone intitolata “Pandemic” su “Blood Of The Nations”! Diciamo anche che le persone sono stufe di leggere e sentire argomentazioni legate alla pandemia, ne siamo invasi, tutti i giorni. Non credo che un metal fan abbia voglia di ascoltare un album che richiami nel titolo quanto sta accadendo da un anno a questa parte. Quando è troppo, è troppo.
FIN DAI PRIMI ASCOLTI, SI PERCEPISCE CHE “TOO MEAN TO DIE” POSSIEDA I TIPICI MARCHI DI FABBRICA DEGLI ACCEPT. AVETE RITENUTO DI CONCENTRARVI SUGLI ASPETTI FONDAMENTALI DEL VOSTRO STILE, SENZA RISCHIARE ALCUN TIPO DI ESPERIMENTO?
– È quello che cerchiamo di fare sempre, essere old-school ma senza suonare ‘vecchi’. Nuove idee, collocate in uno stile tradizionale, che rispetti la legacy degli Accept. Non è detto che restare fedeli alla propria linea sia più facile che svariare in altri contesti: a volte è una sfida rinnovare la propria identità, da un lato restare uguali, dall’altra proporre qualcosa che non sappia di già sentito.
COME TUTTI I VOSTRI ALBUM DELLA VOSTRA ‘SECONDA VITA’, QUELLI DEGLI ANNI 2000, IL SUONO È MOLTO POTENTE E RIFINITO, GROSSO E MODERNO. COME AVETE LAVORATO IN QUEST’OCCASIONE IN STUDIO DI REGISTRAZIONE PER OTTENERE QUESTO RISULTATO? AVETE PROVATO QUALCOSA DI NUOVO PER ENFATIZZARE ALCUNI ASPETTI DEL VOSTRO SOUND?
– No, non direi. Il suono è il ‘dipartimento’ del nostro produttore Andy Sneap. Con lui abbiamo una collaborazione collaudata nel tempo, ci sentiamo a nostro agio e sa come definire il nostro stile in studio di registrazione. Certo, in una musica come la nostra, basata sui riff, il suono non può essere un elemento indipendente da quello che viene suonato e da come viene suonato. Il suono deve essere coerente con l’impronta stilista di una band. Andy ci conosce bene e sa come far risaltare quello che facciamo e non ci snatura.
PER LE REGISTRAZINI DI “TOO MEAN TO DIE” ERANO PRESENTI DUE NUOVI MUSICISTI (MARTIN MOTNIK AL BASSO, PHILIP SHOUSE ALLA TERZA CHITARRA), CHE NON AVEVANO MAI PRESO PARTE PRIMA ALLA REGISTRAZIONE DI UN DISCO DEGLI ACCEPT. È STATO DIFFICILE PER LORO INTEGRARSI? SONO CAMBIATI IN QUALCHE MODO GLI EQUILIBRI INTERNI ALLA BAND?
– No, non abbiamo avuto alcun problema di adattamento, né loro hanno dovuto compiere grandi sforzi per entrare nei meccanismi di lavoro degli Accept. Quando hai a che fare con professionisti di questo calibro, musicisti esperti, è difficile che ci siano particolari frizioni o difficoltà di comprensione. Al contrario, il lavorare assieme, il decidere chi suonava cosa, come ognuno avrebbe contribuito ai singoli pezzi, è stato un lavoro divertente e appassionante. Il clima nel gruppo al momento è ottimo sotto ogni punto di vista.
RIGUARDO ALLE TEMPISTICHE DI PUBBLICAZIONE, AVETE MAI PENSATO DI POSTICIPARE DI QUALCHE MESE L’USCITA DI “TOO MEAN TO DIE”, IN CONSIDERAZINE DI QUANTO STA AVVENENDO ATTUALMENTE?
– Ci abbiamo pensato, per il fatto che non saremmo potuti andare in tour per promuoverlo. Ma non avendo tempi certi su quando il mondo potrà tornare alla normalità, abbiamo deciso che fosse meglio farlo uscire ora, piuttosto che rimanere mesi ad attendere, con un disco pronto, senza sapere quale sarebbe stato il momento opportuno per pubblicarlo.
PER QUANTO RIGUARDA L’ASPETTO VISUALE DEI VOSTRI ALBUM, NOTAVO CHE NELLA PRIMA PARTE DELLA VOSTRA CARRIERA UTILIZZATE SPESSO DELLE FOTO, MENTRE ADESSO PREDILIGETE DISEGNI MOLTO MODERNI, CON SOGGETTI AGGRESSIVI E UN FORTE USO DI METODI DI ILLUSTRAZIONI MODERNI. AVETE MAI PENSATO DI TORNARE A UN TIPO DI ARTWORK PIÙ IN LINEA CON QUELLI DEGLI ANNI ’80?
– Dipende molto dal titolo dell’album, dal soggetto abbiamo in mente per la copertina. “Blood Of The Nations” aveva una foto in copertina. Per “Too Mean To Die”, allo scopo di rappresentare un soggetto abbastanza cattivo, volevamo fosse ritratto un serpente. Avere una foto in copertina non ci convinceva, mentre il serpente che è stato infine disegnato è abbastanza malvagio per i nostri gusti.
LA ‘SECONDA VITA’ DEGLI ACCEPT È COMINCIATA NEL 2009 E PROSEGUE TUTT’ORA. TI SARESTI ASPETTATO UNA TALE LONGEVITÀ E UN SUCCESSO COSÌ DURATURO, NONOSTANTE I CAMBI DI LINE-UP AVVENUTI IN QUESTI ANNI?
– No, all’epoca non avevamo pianificato nulla che non andasse oltre un nuovo disco. Da lì avremmo valutato cosa sarebbe potuto accadere. Nessuno avrebbe potuto ipotizzare che la band potesse durare così a lungo. Certo, se vado ancora più indietro e penso che il primo album degli Accept è datato 1979, allora mi rendo conto che la nostra storia è davvero lunghissima. Non puoi predisporre alcun piano per queste cose, non sei in grado di guardare così avanti e vedere cosa potrebbe succederti.
QUALE PENSI POSSA ESSERE L’ASPETTO PIÙ IMPORTANTE CHE HA CONTRIBUITO A DARVI IL SUCCESSO E L’ATTUALE IMPORTANZA SULLE SCENA METAL, SIA NEGLI ANNI ’80 CHE OGGIGIORNO?
– Penso che le persone si accorgano dei nostri sforzi per scrivere anche adesso delle buone canzoni. Quando è entrato Mark nella band, avremmo anche potuto decidere di starcene fermi sul fronte discografico e di continuare a suonare i classici del passato. Sarebbe stato un modo facile e privo di rischi di andare avanti. Ma non faceva per noi. Volevamo sfidarci e vedere sin dove saremmo potuti arrivare, cosa saremmo stati in grado di inventarci. I fan percepiscono questo nostro desiderio, la volontà di essere un gruppo attuale e non legato per forza a quanto prodotto in precedenza. Le nostre motivazioni sono intatte, l’entusiasmo è palpabile e chi ci segue se ne accorge.
SE DECIDESTE DI CELEBRARE UN DETERMINATO PERIODO DELLA VOSTRA STORIA, SU QUALE DISCO/PERIODO STORICO CADREBBE LA VOSTRA SCELTA? ANDANDO MAGARI A RIPESCARE CANZONI CHE SONO PASSATE UN PO’ IN SORDINA AL MOMENTO DELLA LORO USCITA…
– In generale gli album degli anni Novanta non sono stati generalmente bene accolti, hanno trovato parecchie difficoltà nel farsi apprezzare. Potrebbe essere bello risuonare un po’ del materiale di “Eat The Heat”, ad esempio, alcune canzoni di quell’album meriterebbero di essere suonate dal vivo. Purtroppo l’opportunità finora non c’è stata. Abbiamo sempre qualche nuovo album da mettere in mostra, quando suoniamo dal vivo, ci sono tante vecchie canzoni imprescindibili, che i fan vogliono ascoltate a tutti i costi… A dire il vero, ritenendo valido il materiale che abbiamo scritto negli ultimi anni, non sentiamo tutta questa necessità di andare a scavare nel passato per riportare qualche brano dimenticato nelle nostre setlist.
DA MUSICISTA, COME CHITARRISTA, COSA TI PIACE DI PIÙ DEL METAL ODIERNO, SIA NELLA SUA COMPONENTE CLASSICA, CHE IN QUELLA PIÒ MODERNA E SPERIMENTALE?
– Non ascolto molta musica recente, se devo essere sincero. Non sono un grande consumatore di musica attualmente, non compro molti dischi, ammetto di non essere aggiornatissimo sui trend attuali. Se dovessi citarti un chitarrista che mi piace molto, un vero fenomeno del suo strumento, ti farei il nome di Joe Bonamassa. Ma non parliamo tanto di heavy metal, quanto di hard/blues. Non è che non ascolti proprio musica, ma se lo faccio metto su musica classica o cose lontane dall’hard rock e dal metal. Ma, ripeto, non sento l’esigenza di essere sempre circondato dalla musica.
PER QUANTO RIGUARDA IL TUO MODO DI SUONARE, C’È QUALCOSA IN CUI TI SENTI PARTICOLARMENTE MIGLIORATO NEGLI ULTIMI ANNI? STAI PROVANDO A SUONARE COSE SU CUI NON TI ERI MAI CIMENTATO IN PASSATO?
– Penso che, a un certo punto, più suoni e più tendi a rimanere praticamente uguale a te stesso, nel modo di suonare. Per come la vedo io, col tempo puoi diventare più espressivo, fare alcune cose con più facilità, ma non riesci ad apportare chissà quali cambiamenti al tuo modo di suonare. I miglioramenti che puoi avere diventano qualcosa di marginale col trascorrere degli anni, quasi impercettibili. Come chitarrista, quando inizi a suonare con una certa serietà ti accorgi di compiere dei grossi passi avanti man mano che la tua tecnica e confidenza con lo strumento progrediscono. Quando arrivi a un buon livello e suoni da tanto tempo, ottenere miglioramenti significativi è nettamente più arduo.
HAI A VOLTE NOSTALGIA DEI COSIDDETTI ANNI D’ORO, QUELLI PER INTENDERCI DI UN “RESTLESS AND WILD” O DI “BALLS TO THE WALL”?
– No, non mi accade mai di avere questo tipo di riflessioni. Non sono quel tipo di persona. Non mi piace guardarmi indietro né ho un’immagine così mitizzata degli anni ’80. Sai, si tende a pensare sempre a quei tempi come a un’età dell’oro dove era tutto più semplice. Non è così. E, almeno nel mio caso, stare nella band ha sempre voluto dire sobbarcarsi grossi carichi di lavoro, avere molte responsabilità, non l’ho mai vissuto come un semplice divertimento. Oggi come allora si alternano momenti buoni e cattivi. Negli ultimi tempi, i primi sono stati sicuramente superiori ai secondi. Mi sono goduto molto di più gli ultimi dieci anni di Accept rispetto a tutto il resto della nostra storia precedente.
DEGLI ULTIMI ANNI, DOVESSI ELENCARE SOLTANTO TRE CANZONI CHE RAPPRESENTINO GLI ACCEPT, QUALI SCEGLIERESTI?
– Eh, domanda impegnativa. Vediamo… La prima che mi viene in mente è “Teutonic Terror”, quindi nominerei “Shadow Soldiers” e “Pandemic”. Sì, queste tre possono andar bene. Ma se me lo chiedessi in un altro momento, probabilmente ti darei una risposta completamente diversa.
SE INVECE DOVESSI CHIEDERTI QUAL È LA CANZONE PIÙ STRANA SUONATA DAGLI ACCEPT NELLA LORO CARRIERA, SU QUALE CADREBBE LA TUA SCELTA?
– Qua sono ancora più in difficoltà di prima! Forse “Teach Us To Survive”, da “Metal Heart”. Rispetto al nostro stile abituale, può rientrare nella categoria dei brani ‘strani’, non propriamente attesi dagli Accept.
NEGLI ULTIMI MESI HAI VENDUTO DIVERSI STRUMENTI ED EQUIPAGGIAMENTI VARI UTILIZZATI NEI PASSATI TOUR DEGLI ACCEPT. L’INIZIATIVA HA AVUTO UNA CERTO ECO. VOLEVO CHIEDERTI PER QUALI RAGIONI L’HAI FATTO.
– L’ho fatto adesso perché, molto semplicemente, ho avuto tempo per pensare a questa cosa e a organizzarmi per vendere questi oggetti. Era un’idea che avevo in mente già da tempo, infatti. Prima, stando spesso in tour, finivo per accantonare l’idea. Era tutto materiale che avevo in magazzino e non veniva usato da tanto tempo. Un po’ di roba è finita in qualche museo, molta a casa di qualche collezionista. Sono contento che chi l’abbia acquistata ci tenesse e la conservi al meglio.
DOPO IL LIVE ALBUM ORCHESTRALE REGISTRATO A WACKEN QUALCHE ANNO FA, AVETE ALTRI PROGETTI DI QUESTO TIPO, QUALCHE EVENTO SPECIALE, CHE PENSATE DI CONCRETIZZARE COME ACCEPT IN FUTURO?
– Nel caso in cui lo stop ai tour perdurasse ancora a lungo, può darsi che ci rimetteremo a lavorare su altre rivisitazioni in chiave classica di nostre vecchie canzoni. Mi piace la musica classica, il concerto di Wacken a cui ti riferisci ci ha soddisfatto, quindi potrebbe essere che rimettiamo mano a qualcosa di simile in futuro. Un altro progetto che potrei considerare è quello di un nuovo album solista. Avendo più tempo a disposizione del solito, penso a come sfruttarlo proficuamente. Non mi piace stare con le mani in mano.
SPERANDO CHE IL 2021 CI RISERVI UN PERIODO PIÙ DISTESO E CON MENO RESTRIZIONI, QUALI SAREBBERO I PIANI DEGLI ACCEPT PER QUEST’ANNO?
– Al momento avremmo diversi festival programmati. A partire da giugno dovremmo essere molto impegnati, se la macchina dei live potrà ripartire. Per quanto riguarda un tour da headliner, è già tutto posticipato a gennaio 2022. Certezze, come tutti, non ne abbiamo.