AD NAUSEAM – Il mosaico dell’orrore

Pubblicato il 11/05/2021 da

Con “Imperative Imperceptible Impulse” i death metaller italiani Ad Nauseam si sono confermati una delle realtà più audaci del nostro panorama, confezionando un album estremamente complesso e avventuroso, dove i pezzi sono dotati di una tensione ritmica più che mai densa, in cui le assortite trame chitarristiche trovano sempre linee evolutive di grandissima laboriosità. A tratti l’ascolto può dare l’impressione di essere un vero e proprio tuffo in apnea, con la sensazione di essere risucchiati dall’abisso. Siamo decisamente sulla sponda del death metal più contorto e ricco di dissonanze, quello che tutti ormai associano a maestri come Gorguts e Ulcerate, ma in “Imperative Imperceptible Impulse” vi è anche di più, compresi degli esperimenti di plasmabilità e potenzialità dell’elemento suono e un sofferto duello tra opposti che si attraggono. A un paio di mesi dalla pubblicazione dell’opera, avvenuta tramite Avantgarde Music, siamo felici di ospitare il gruppo per saperne di più su uno dei più corrosivi dischi del 2021.

GLI AD NAUSEAM PRENDONO UFFICIALMENTE VITA NEL 2011, DOPO CHE IL NUCLEO DEL GRUPPO ERA STATO ATTIVO PER VARI ANNI COME DEATH HEAVEN. IL VOSTRO ESORDIO AVVIENE SOLO NEL 2015, DIRETTAMENTE CON L’ALBUM “NIHIL QUAM VACUITAS ORDINATUM EST”. POI AVETE LASCIATO TRASCORRERE ALTRI SEI ANNI PER TORNARE CON UNA SECONDA OPERA, “IMPERATIVE IMPERCEPTIBLE IMPULSE”. SI PUÒ DUNQUE DIRE CHE NON AMIATE FARE LE COSE DI FRETTA. VOLETE SPIEGARCI IL VOSTRO MODUS OPERANDI? PENSATE ALLA BAND E SUONATE INSIEME REGOLARMENTE O AD NAUSEAM COME ENTITÀ NECESSITA DI UN PARTICOLARE STATO MENTALE PER ESSERE AFFRONTATA, COSA CHE QUINDI DILATA I TEMPI DI LAVORAZIONE?
– Quando abbiamo cambiato nome abbiamo scelto “Ad Nauseam” per la precisione maniacale che riguarda qualsiasi aspetto che circonda le attività della nostra band, dalla composizione della musica, ai live, alla ricerca del suono, alla grafica, alla registrazione e produzione di un album. È una caratteristica che ci contraddistingue fin dagli albori, come si può notare da “Viral Apocalypse”, disco uscito sotto il nome Death Heaven nel 2007, anch’esso autoprodotto. Da allora l’attitudine è la stessa, ciò che è cambiato sono le capacità. Il nostro modus operandi è incentrato sulla continua ricerca di vie di miglioramento. Questo, di nuovo, riguarda qualsiasi aspetto che gravita attorno alla band. Chiunque sa che per fare le cose fatte bene ci vuole tempo. Nel nostro caso serve tempo per scrivere idee, tempo per impararle, tempo per ottimizzarle, tempo per assemblarle, tempo per smembrarle, tempo per riscriverle, tempo per interiorizzarle, tempo per ripetere il processo ad nauseam.
E non abbiamo nemmeno parlato del tempo necessario a pianificare, studiare, ottimizzare e a finalizzare la registrazione finale. Per dare un’idea, Andrea P. ha cominciato a preparare le registrazioni tre anni prima di quando sono effettivamente iniziate. Da tenere a mente c’è anche l’aspetto che nessuno di noi vive di musica e ha una vita sociale, familiare e lavorativa a cui far fronte. Onestamente, sono molto pochi i gruppi che sono in grado di registrare un album ogni due anni e mantenere una qualità generale senza compromessi, e questi gruppi sono ancora più rari in ambiente metal. Chiaramente, più è semplice la musica e più questi processi si velocizzano.

SI PARLA DI VOI COME DI UNA BAND ‘DO IT YOURSELF’ NEL VERO SENSO DELLA PAROLA, NEL SENSO CHE, OLTRE A CURARE LA REGISTRAZIONE DELL’ALBUM, AVETE ANCHE COSTRUITO PARTE DELLA STRUMENTAZIONE. VI ANDREBBE DI RACCONTARCI QUALCOSA IN PIÙ SU QUESTO APPROCCIO?
– La nostra ricerca è iniziata più o meno nel 2009 dall’esigenza di ottenere un suono chiaro, dinamico e definito, per riuscire a rendere più comprensibile un genere musicale molto intricato. Tutto è cominciato quando Andrea P. , che di lavoro fa l’ingegnere elettronico, si è cimentato nella progettazione e realizzazione di preamplificatori per chitarra e basso (i dispositivi che producono il suono distorto, per intenderci). Ci siamo subito resi conto che sul mercato non esistevano prodotti con prestazioni simili, sia per la possibilità di customizzarli a seconda delle nostre esigenze, sia perché, non avendo come obbiettivo la commercializzazione, la qualità dei componenti non era sacrificata al profitto.
Quello è stato il momento in cui abbiamo capito che l’inventiva vale molto più di un marchio. Tutti noi ci siamo dati da fare: Andrea S. costruendo pezzi di batteria scegliendo legni e tecniche costruttive, Matteo B. approfondendo le proprie conoscenze nel mondo dei diffusori acustici per strumenti e realizzando casse per basso, Andrea P., con l’aiuto di Matteo G. per la parte meccanica, realizzando strumentazione da studio che sarebbe stato improponibile comprare, dati i costi.
Dopo anni di lavoro ci siamo autodotati di strumentazione altamente personalizzata e studiata attorno all’idea del suono che vogliamo ottenere. Oggi possiamo contare su un equipaggiamento molto fornito, con macchine professionali che, unite ad anni di ricerca e sperimentazioni, ci hanno permesso di ottenere qualcosa che sarebbe stato impossibile raggiungere tramite uno studio esterno: basti pensare che il fonico non sarebbe stato uno di noi, non avrebbe avuto le idee così chiare su quello che volevamo ottenere e non avrebbe avuto a disposizione la strumentazione costruita specificamente per realizzare i nostri obiettivi.

OLTRE ALLA RICERCA MANIACALE A LIVELLO DI SUONO E PRODUZIONE, CHE COSA AVETE CERCATO DI FARE DI NUOVO SU “IMPERATIVE IMPERCEPTIBLE IMPULSE” RISPETTO A “NIHIL…”? COME PENSATE CHE LA VOSTRA MUSICA SI SIA EVOLUTA?
– Sicuramente abbiamo stravolto il nostro metodo di composizione. In questo nuovo disco abbiamo cercato di creare una struttura che si evolve in modo molto più naturale rispetto al primo album, cercando di dare più spazio alle parti di atmosfera, creando più evoluzioni dello stesso riff e sperimentato in maniera molto più “estrema” l’intersecarsi delle due chitarre, che riteniamo sia il punto di forza principale del disco. Su “NQVOE” la struttura dei brani è stata creata nella quali totalità dei casi utilizzando un collage di riff nati ognuno per conto suo, e quindi senza una vera e propria evoluzione. Per “Imperative Imperceptible Impulse” le cose sono andate in modo nettamente diverso. Si parte da un’idea e la si evolve in maniera naturale, senza cercare di usare il classico metodo “pesco un riff dal mio archivio e cerco di incollarlo ad un altro, e così via”. Quello che ne esce è una composizione che scorre fluida nonostante il minutaggio elevato dei nostri brani. Le parti di atmosfera trovano il loro giusto spazio e si prendono il tempo che serve per evolvere: questo in “NQVOE” non succede e tutto scorre in modo più frettoloso. Per questo nuovo disco, poi, abbiamo deciso di utilizzare un’accordatura aperta, che abbiamo modificato per uscire dalla nostra comfort-zone e che ha influito non poco sul sound generale.

FRA LE INFLUENZE PER IL NUOVO ALBUM AVETE CITATO COMPOSITORI CLASSICI COME STRAVINSKY, ŠOSTAKÓVIČ, XENAKIS… PER CHI NON HA FAMILIARITÀ CON LA LORO ARTE, POTRESTE PARLARE DEL LORO APPROCCIO ALLA COMPOSIZIONE E DI COME QUESTO SI TRADUCA NEL SUONO DI UNA METAL BAND?
– Non è possibile fare un discorso generale sulla composizione di Stravinsky, Šostakóvič e Xenakis, dato che il loro approccio alla musica è estremamente diverso. Lasciamo fuori da questo discorso Šostakóvič, che ha un approccio alla composizione più classico rispetto agli altri due. L’unica cosa che accomuna Stravinsky e Xenakis è, forse, l’estrema inventiva nella composizione e il non curarsi dei limiti dati dalle regole musicali convenzionali, a tal punto da incorporare la dissonanza (e l’aleatorietà in Xenakis) come elemento portante dello stile compositivo.
Prendiamo la “Sagra Di Primavera” di Stravinsky: la sua musica è basata su delle linee melodiche tra loro discordanti ma, nel complesso armonico, incredibilmente coerenti. La musica, presa nel suo insieme, suona bene ad un orecchio allenato, nonostante i vari strumenti che la compongono siano tra loro spesso non correlati. Questo è lo stesso approccio che sta alla base della nostra composizione. Cerchiamo di creare armonia da linee melodiche dissonanti. Abbiamo capito che la dissonanza è un concetto esistente soltanto perché siamo stati cresciuti circondati da regole armoniche ben precise. Il nostro orecchio percepisce una linea armonica come dissonante perché non ha gli appigli che di solito vengono forniti da queste regole. Siamo convinti che Stravinsky non percepisse la sua musica come dissonante, esattamente come per noi la nostra musica è caratterizzata da un’armonia coerente, addirittura ‘allegra’, a volte. Nella nostra testa riusciamo a ‘cantarci’ le nostre composizioni, fino all’ultimo dettaglio.
“Imperative Imperceptible Impulse” ha diviso in due l’opinione degli ascoltatori. Da una parte abbiamo delle persone ‘totalmente a favore’, che sanno gestire, riprocessare, far loro la disarmonia e a trasformarla in un’esperienza armonica coerente, quasi certamente perché hanno alle spalle una serie di esperienze musicali e culturali che le aiutano ad andare fuori dagli schemi armonici più comuni. La seconda parte, invece, è ‘totalmente contraria’, proprio perché non ha a disposizione questi mezzi e, dunque, percepisce la nostra musica come caos (esattamente come le persone esterne al metal percepiscono come rumore un album metal che per noi ha perfettamente senso). In tutto ciò, la cosa più bizzarra è che entrambe le parti sono composte da ascoltatori di uno dei generi più estremi della terra, il death metal, e troviamo strano che molti non siano ancora pronti a metabolizzare la nostra musica. Questo fenomeno è ben documentato nella storia, basti pensare ad esempio che la premiere della “Sagra Di Primavera” è stata un disastro assoluto, all’epoca nessuno era pronto a metabolizzare un’opera tanto fuori dagli schemi.
Per concludere, ci sono un’infinità di compositori ed artisti che nell’ultimo secolo hanno cercato di fare a pezzi le regole armoniche convenzionali per crearne altre, più o meno esterne ad esse. Noi, per varie ragioni, ci siamo semplicemente trovati a condividere questo approccio, ma ci rendiamo perfettamente conto che, di fronte a questi giganti, siamo solo piccoli insetti insignificanti.

E’ INSOMMA CHIARO CHE NON ASCOLTIATE SOLO DEATH METAL: DI QUALI ALTRE FONTI DI ISPIRAZIONE, MUSICALI E NON, GODONO GLI AD NAUSEAM?
– I nostri ascolti spaziano a 360°, a seconda dell’umore e da cosa in un determinato momento ci attira maggiormente. Pur essendo il metal (principalmente estremo) il filo conduttore che ha caratterizzato i nostri ascolti fin dall’adolescenza, ognuno di noi apprezza numerosi altri generi musicali, siano essi in qualche modo connessi al metal oppure non direttamente. Siamo di mentalità molto aperta e, generalmente, attirati e stimolati da forme di espressione diversificate, innovative, anticonformiste, selvagge e devianti.
Avere una cultura musicale vasta e approfondita ci permette di estrapolare e riconoscere i pregi e le peculiarità dei generi più disparati e sfruttarli nelle nostre composizioni.
Fondamentalmente, le nostre fonti di ispirazione principale sono tutte legate al mondo della musica, ma possiamo citarne altre: stati mentali alterati possono talvolta fungere da catalizzatori per la materializzazione di idee, mentre la filosofia e diverse forme d’arte, dalla letteratura alla pittura, giocano spesso un ruolo non trascurabile in alcuni processi, quali la stesura dei testi o la realizzazione della veste grafica.

DI COSA PARLA “IMPERATIVE…”? LA RICERCA SUL FRONTE PRETTAMENTE MUSICALE VIENE APPLICATA ANCHE ALLE PAROLE E AGLI ARGOMENTI ALLA BASE DI ESSE?
– I testi sono stati scritti da due soli membri del gruppo, con approcci e messaggi diversi.
Matteo B. tratta di stati d’animo, sensazioni e circostanze introspettivi, alienati e viscerali. Andrea P. invece adotta solitamente un approccio surreale, affidandosi all’inconscio nella ricerca di immagini che poi riorganizza in testi; i contenuti personali che emergono da questa ricerca presentano caratteristiche oniriche, allucinatorie, filosofiche e spirituali.
Gli stili con cui sono scritti i testi sono molto diversi. Ciò nonostante, c’è una coerenza di fondo, data dal comune interesse per l’ignoto, interno ed esterno, l’infinito e l’infinitesimo, il vuoto cosmico e il vuoto che caratterizza la natura umana, la definizione di realtà e la sua percezione.
Nessuno di noi può considerarsi uno scrittore, e cimentarsi in questo ruolo utilizzando una lingua diversa dalla nostra lingua madre aggiunge un’ulteriore criticità, tuttavia anche su questo fronte lavoriamo puntando sempre al massimo risultato, evitando gli stereotipi e cercando di dare un’impronta che sia allineata al mood della musica.

DATE L’IDEA DI ESSERE DEI PERFEZIONISTI, QUINDI SORGE SPONTANEO CHIEDERVI SE, A DISTANZA DI TEMPO DAL COMPLETAMENTO DEL DISCO E DI UN PAIO DI MESI DALLA SUA PUBBLICAZIONE, OGGI CAMBIERESTE QUALCOSA SU “IMPERATIVE IMPERCEPTIBLE IMPULSE”.
– Bella domanda e la risposta è, stranamente, no.
Il perfezionismo comporta tutto un vortice di paranoie musicali che ci portano a studiare ogni più banale e minuscola minuzia che riguarda la nostra musica. Delle idee che scriviamo teniamo sì e no il 20% e, una volta proposte agli altri del gruppo e sperimentate in stanza, questo 20% sarà ulteriormente scremato. C’è poi da contare l’impietoso giudizio del tempo: è successo spesso che, a distanza di mesi o anni, abbiamo accantonato pezzi interi perché non più conformi alla nostra visione o ai nostri gusti.
Lo stesso vale per l’approccio al suono. Nel momento in cui arriviamo alla fase di registrazione, abbiamo già provato così tante combinazioni ed effettuato talmente tanti test, che è inevitabile andare a ‘colpo sicuro’. In queste condizioni, la sensazione che si ha quando si mette mano al materiale registrato è che ‘l’album si mixi da solo’.
Di “Imperative Imperceptible Impulse”, anche se fosse possibile, non cambieremmo nemmeno una singola nota. Della produzione non modificheremmo un singolo aspetto. I dubbi ci sono stati, specialmente riguardo alla produzione, ma Andrea P., che ultimamente ha molti contatti con studi di registrazione di alto calibro ed ha, quindi, avuto modo di raccogliere vari pareri da professionisti del settore e di ascoltare l’album in vari ambienti trattati acusticamente e dotati di impianti tarati per un ascolto molto preciso, puntualmente torna a casa conscio che con i mezzi a propria disposizione non si sarebbe potuto fare di meglio. Non so se avete idea di che sollievo possa essere questa constatazione, per un perfezionista.

PENSATE CHE IL PANORAMA METAL SIA DIVENTATO PIÙ RICETTIVO PER PROPOSTE SIMILI ALLA VOSTRA NEGLI ULTIMI TEMPI? UN DISCO COME “IMPERATIVE…” SAREBBE STATO POSSIBILE E AVREBBE AVUTO LO STESSO TIPO DI RISONANZA VENT’ANNI FA? OPPURE, COME CERTI DISCHI DEI GORGUTS, SAREBBE STATO RIVALUTATO O DAVVERO APPREZZATO SOLO QUALCHE TEMPO DOPO?
– Sì, indubbiamente queste sonorità sono riuscite ad emergere negli ultimi anni, trovando il loro spazio e i loro sostenitori. Di certo oggi la situazione è molto cambiata rispetto agli anni ’90, quando gruppi rivoluzionari come Gorguts, Demilich, Ved Buens Ende, Kobong e Human Remains sono stati snobbati da buona parte del pubblico e della critica. Allora la massa non era certamente preparata ad una tale proposta, il divario da colmare tra ciò che era lo standard per un ascoltatore medio e la proposta di queste band era troppo grande. Sono dovuti passare molti anni prima che la gente si accorgesse dell’importanza di certi album e riuscisse a familiarizzare con questi nuovi approcci.
Se ritorniamo indietro con la memoria a quando stavamo scrivendo “NQVOE”, gruppi come Gorguts, Deathspell Omega, Immolation, Ulcerate e Demilich non erano certo sulla bocca di tutti, anzi. La maggior parte delle band era presa col clonare il sound svedese old-school alla Entombed e trovare qualcuno che fosse appassionato di sonorità più ‘dissonanti’ era veramente arduo.
Con “Everything Is Fire”, “Paracletus” e “Colored Sands”, per citare i calibri più grossi, qualcosa si è risvegliato: questi album hanno attirato l’attenzione di una vasta schiera di pubblico e altri gruppi hanno cercato di seguirne le orme. Le nostre composizioni erano già quasi pronte all’epoca, ma le registrazioni e la pubblicazione dell’album si sono protratte per un paio d’anni ancora, per cui abbiamo trovato indubbiamente un terreno piuttosto fertile quando quando è uscito il nostro primo full-length.
Da lì in poi si può dire che sia nato quasi un trend, dove pochi, a nostro parere, sono riusciti ad emergere, ma in ogni caso molte persone hanno aperto la mente e le orecchie a queste sonorità più ostiche.
Le reazioni positive che ha ricevuto il nostro nuovo disco ce lo confermano, e ci riteniamo fortunati per questo. Se il disco fosse uscito nel 2000, probabilmente sarebbe finito subito nel dimenticatoio, questo è poco ma sicuro. In ogni caso, senza l’apporto e la spinta fornita al metal estremo da alcuni grippi capostipiti, noi probabilmente non saremmo mai arrivati a realizzare un tale album.

DOVE PENSATE CHE “IMPERATIVE…” SAPRÀ CONDURVI COME GRUPPO? AVETE GIÀ UN’IDEA DELL’EVOLUZIONE CHE LA VOSTRA MUSICA PRENDERÀ DOPO QUESTA IMPORTANTE OPERA? PENSATE CHE SIA POSSIBILE CONTINUARE SU QUESTO PERCORSO DI RICERCA?
– Non abbiamo mai avuto piani sulla nostra evoluzione musicale. Niente è mai stato programmato a tavolino. Quando abbiamo cambiato nome, da Death Heaven ad Ad Nauseam, lo abbiamo fatto di conseguenza ad una virata artistica avvenuta naturalmente, che ormai era già consolidata da tempo. Siamo una barca in un mare in tempesta, il controllo che abbiamo sulla direzione è minimo. Scriviamo musica che deve piacere esclusivamente a noi, e i nostri gusti evolvono in continuazione. Per noi è ancora veramente difficile metabolizzare l’incredibile risposta che il mondo sta mostrando verso la nostra ultima release. Una cosa è certa, però: continueremo a comporre musica per noi stessi, il parere del pubblico e della critica resterà sempre un aspetto secondario, che non influirà sulle nostre decisioni artistiche.

LA PANDEMIA HA MESSO IN STANDBY QUALSIASI PROGRAMMA. AVEVATE IN MENTE DI ANDARE IN TOUR DOPO LA PUBBLICAZIONE DEL DISCO? IN QUESTO SENSO, VI CONSIDERATE UNA LIVE BAND? COSA ACQUISTANO I VOSTRI BRANI DAL VIVO?
– Sicuramente vogliamo portare il nuovo disco dal vivo; ci è già arrivata qualche proposta e noi siamo ben felici di accettare, sperando che la situazione migliori in corso d’anno. Suonare dal vivo per noi è una cosa fondamentale, anche se non ci siamo mai imbarcati in grossi tour a causa delle nostre vite private e per questioni lavorative. É comunque una cosa a cui teniamo molto, soprattutto per questo nuovo album.
Difficile rispondere a questa tua ultima domanda: stiamo parlando di musica complessa e, come puoi immaginare, quando si suona dal vivo le variabili aumentano. Potresti avere la serata in cui suoni sono eccellenti grazie ad un buon fonico e all’impianto del locale, oppure trovarti nella situazione opposta.
Solitamente il pubblico rimane colpito dai nostri concerti, sia per l’atmosfera che si crea, sia per i suoni.
A Gennaio 2020 abbiamo avuto l’occasione di fare due date in Svizzera e in quelle occasioni abbiamo portato il nuovo album dal vivo, ancora prima di ultimare le registrazioni. La reazione delle persone è stata diversificata: c’è chi è rimasto affascinato e si è lasciato trasportare, e chi se n’è andato dopo neanche due pezzi.

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