Gli Adimiron, nel corso della loro ormai lunga storia, ci hanno abituato alle mutazioni e ai drastici cambiamenti: che si tratti di dislocazione geografica, formazione, etichette discografiche o, più ‘banalmente’, sonorità, Alessandro Castelli, leader, mastermind e chitarrista del combo, non ha mai mostrato paura o tentennamenti nel far cambiare attitudine ed obiettivi alla sua creatura, nel momento in cui le organiche circostanze di vita ed esistenza hanno rischiato di porre fine all’avventura. Ma forse mai quanto in occasione della release dell’ultimo “Et Liber Eris”, i Nostri si sono presentati ai nastri di partenza rinnovati e competitivi su tutti i fronti: il supporto della prestigiosa Indie Recordings norvegese, due nuovi innesti in lineup assolutamente vincenti e affiatati e, dulcis in fundo, il miglior lavoro della loro carriera, un album emozionale e tecnico davvero riuscito, dove le influenze progressive, death, djent e techno-thrash vanno a fondersi ed amalgamarsi con l’unicum stilistico di Alessandro, che dopo anni di ricerca pare avere trovato infine il suo modus exprimendi ideale. E’ proprio con lui che interagiamo per sapere tutto sugli Adimiron del 2017-2018 e su “Et Liber Eris”…
CIAO ALESSANDRO! FINALMENTE RIVEDIAMO GLI ADIMIRON SU QUESTE PAGINE! SONO ACCADUTE PARECCHIE COSE DALLA RELEASE DI “TIMELAPSE” AD OGGI, QUINDI PER PRIMA COSA MI PIACEREBBE CHE TRACCIASSI UN BILANCIO DEL PERIODO APPENA POSTCEDENTE L’USCITA DEL VOSTRO PENULTIMO DISCO…
– Ciao Marco, ben ritrovato! E’ un piacere essere di nuovo qui ad aggiornarvi un po’ sulla band. Be’, sì, subito dopo la release di “Timelapse” la nostra attività ha in effetti subito un po’ di rallentamenti dovuti ad una migrazione di management necessaria per rientrare nel pieno controllo del gruppo. La cosa ha richiesto un po’ di mesi, per cui, sebbene a livello di critica il disco fu accolto benissimo a livello internazionale, ci volle un po’ per portare la band on the road a supporto della release e tornare a pieno regime. Una volta sciolto questo nodo, siamo partiti in tour con gli Swallow The Sun a fine 2015 e da lì abbiamo ricominciato il ciclo tra tour europeo, date italiane selezionate e festival estivi.
LO SCOSSONE PIU’ IMPORTANTE ALLA VITA ADIMIRON E’ STATO SICURAMENTE IL CAMBIO DI LINEUP: FUORI TRE MUSICISTI, DENTRO DUE NUOVI MEMBRI. CI SPIEGHI COS’E’ SUCCESSO, ANCHE RAMMENTANDO CHE GIA’ IN PASSATO, DOPO IL VOSTRO DEBUTTO “BURNING SOULS”, AVEVATE VISSUTO UNA SITUAZIONE SIMILE?
– Non posso darti torto, in effetti non é stato facile negli anni dare una continuità di line up al progetto. Credo che alla fine la cosa si riduca sempre ad una questione di priorità. All’epoca di “Burning Souls” il nucleo della band era composto da quattro compagni di banco di un liceo, per cui il fattore determinante fu il dividersi geograficamente per seguire quelli che sarebbero stati i rispettivi studi universitari. Una volta a Roma e con Federico (Maragoni, batteria, ndR) a bordo si é cementato il nuovo nucleo compositivo Adimiron. Tutto ora è pulsante e funzionante. Con Fede c’é davvero un’intesa fuori dal comune, abbiamo scritto insieme decine di pezzi e cesellato anno dopo anno il nostro sound. Mi piace pensare che, a prescindere dai fattori esterni, il cuore pulsante della band sia questo. Attorno a noi hanno ruotato molte persone che sempre per questioni di priorità hanno poi deciso di tirarsi indietro, chi per lavoro, chi per stanchezza dopo i vari tour. Ruoli, i loro, sicuramente importanti nei rispettivi periodi: penso ad Andrea Spinelli, nostro precedente cantante, con cui abbiamo girato il mondo e con cui abbiamo pubblicato tre album di cui andiamo molto fieri.
I DUE NUOVI MEMBRI, CECILIA NAPPO AL BASSO E SAMI EL KADI ALLA VOCE, MI SEMBRANO DUE ELEMENTI DAVVERO CAPITATI (E SCELTI) AD HOC PER L’EVOLUZIONE DEL VOSTRO SOUND. CE LI PRESENTI PIU’ NEL DETTAGLIO?
– Sia Sami che Cecilia si sono innestati nella band dopo un periodo intermedio di gestazione. Personalmente, dopo l’uscita di Andrea, avevo già individuato un potenziale successore, ma ho preferito che le cose si aggiustassero col tempo senza alcun tipo di forzatura. Sami é uscito dal precedente progetto in cui era coinvolto, ci siamo allineati su molte cose e al momento giusto ci siamo ritrovati in studio a lavorare su “Et Liber Eris”. E’ un cantante dotato di un talento straordinario. Ha dalla sua un ampissimo range vocale e una padronanza ottimale di vari stili ed approcci, cose che fin da subito mi hanno incoraggiato a proporgli di unirsi a noi. Con Cecilia più o meno le cose sono andate nello stesso modo, con la differenza che lei ha preso parte a tutto il ciclo promozionale di “Timelapse” integrandosi perfettamente nella band già nel tour europeo. Poi semplicemente ci siamo resi conto che non ne potevamo fare più a meno, il suo playing dà veramente tantissima spinta alla band.
VENIAMO ORA A “ET LIBER ERIS”. PARLIAMO DELLA COMPOSIZIONE DEL DISCO: COM’E’ NATO, QUANDO SONO AVVENUTI I PRIMI APPROCCI ALLA SCRITTURA, QUALI IDEE DI BASE VI SIETE PORTATI DIETRO DAL PASSATO E QUALI NUOVI ORIZZONTI VOLEVATE RAGGIUNGERE?
– Primo obiettivo sicuramente provare a scrivere quarantacinque minuti di musica che ci piacessero, sempre più convincenti e a fuoco, anzitutto per noi stessi. E’ sempre una questione di setting della propria asticella personale: si vuole fare sempre di meglio e credo sia questo a tenere viva la band dopo tutto questo tempo. Una nuova release é un’istantanea della band aggiornata ad un certo periodo, possibilmente ancora più bella delle precedenti, pur nella sua diversità. Dalla nostra partivamo da un approccio compositivo ben rodato e da un concetto scalpitante di libertà. In effetti eravamo più liberi che mai. A livello contrattuale, ma anche e soprattutto a livello di progetti per il futuro. L’unica vera priorità era scrivere il disco che volevamo e prenderci il tempo necessario. Il tutto ha richiesto una gestazione di un anno tra pre-produzioni varie e tempi in studio nei quali ci sono stati molta ricerca e un clima estremamente creativo e ottimista. I primi riff sono nati da una dodici corde, altri durante un freddo inverno in casa ad Amsterdam, altri in tour a caldo (ricordo “Joshua Three 39” la sera di ritorno da un festival con Opeth e Katatonia) e così via. Il tutto poi, filtrato attraverso le personalità degli altri ragazzi, ha preso forma in maniera decisamente naturale.
L’ARTWORK, IL TITOLO STESSO E SUPPONGO ANCHE LE LYRICS FANNO PARECCHIA PRESA SULL’ASCOLTATORE E SI RESPIRA PROPRIO UN’ARIA DI LIBERTA’ E LIBERAZIONE NELL’OSSERVARE LA COPERTINA (UN TUFFO VERSO IL CIELO APERTO E L’IGNOTO). QUALI SENSAZIONI E CONCETTI CI SONO DIETRO TUTTI QUESTI ASPETTI DEL LAVORO?
– Torniamo al concetto di libertà di cui sopra, della quale cercavamo anche un’espressione chiara a livello grafico. L’unico elemento in possesso all’inizio del processo compositivo era questo titolo, “Et Liber Eris”, che è stata la chiave di lettura di tutto, una specie di comune denominatore. Un po’ come successe a suo tempo per il precedente “K2”. In questo caso ci siamo lasciati guidare da questa idea di libertà sia nel creare, sia poi successivamente nella ricerca di un’immagine che potesse descrivere in un istante lo spirito di questo lavoro. E’ lì che a un certo punto abbiamo scovato questa foto di Manuel Pina, artista che é stato felice di condividere con noi tutti gli scatti analogici relativi a quel set che catturano momenti dimenticati in una Cuba di metà anni ’90.
IL DISCO E’ MOLTO COMPATTO, QUASI CONCISO. MA LA VERITA’ E’ CHE CONDENSA TUTTO IL VOSTRO SUONO IN UN MINUTAGGIO PERFETTO. SPESSO SI PENSA CHE SCRIVERE UN’ORA DI MUSICA SERVE, MA TROPPE VOLTE IL METAL CI HA STUPITO AL CONTRARIO: SI PUO’ DIRE TUTTO CON MOLTO DI MENO, ANCHE PRESENTANDO MOLTISSIME COSE. QUESTO GIRO DI PAROLE PER CHIEDERTI DI RACCONTARCI A TUO PIACERE LE TRACCE CHE COMPONGONO “ET LIBER ERIS”…
– Questa volta puntavo ad un disco di durata non superiore ai tre quarti d’ora già dall’inizio. Sapendo che le trame sarebbero state piuttosto complesse abbiamo puntato su un numero non esorbitante di canzoni, tendendo a scartare tutto il materiale che non ci convincesse al 100%, piuttosto che convogliarlo in canzoni da infilare a fine tracklist per fare numero. Avevamo tantissime bozze, ma davvero poche sono sopravvissute a questo continuo processo di aggiornamento e rinnovamento. Più che un track-by-track proverei a dirti qualche curiosità:
“The Sentinel”: scritta in una tonalità inusuale per il mio modo di comporre, é stata una vera sfida ed é passata attraverso diverse versioni e accordature prima di diventare la nostra opener ideale.
“Zero Sum Game”: nasce da una sessione in solitaria tra me e Fede, tra le primissime del ciclo, alla quale é stata poi accostata una sezione di basso con Cecilia protagonista. Curiosità, questo pezzo non ha effettivamente un ritornello se ci pensi, ma scorre in maniera talmente naturale che non ce ne siamo minimamente preoccupati.
“Joshua Three 39”: dopo un festival insieme a Opeth, Katatonia e Anathema, l’ispirazione non poteva che essere ai massimi livelli.
“The Coldwalker” / “Stainless”: i pezzi più complessi da chiudere e quelli con una gestazione più lunga a livello di successione tra le varie sezioni. Volevamo che il mare di elementi in nostro possesso avesse una sua perfetta organicità e abbiamo lavorato molto sul concetto di sintesi.
“As Long As It Takes”: tornano a galla alcuni elementi del nostro sound più legati al passato, che invece di ignorare abbiamo assecondato e aggiornato.
“The Unsaid” / “Zona Del Silencio”: molte volte partiamo da una semplice cellula di basso e ci lasciamo andare. E’ quello che é successo anche per le precedenti “Collateral” e “Ayahuasca”. In questo caso i due brani hanno preso differenti strade: il primo con una struttura più classica e rock-oriented, l’altro con una prima parte onirica e un epilogo necessario e funzionale alla chiusura dell’intero lavoro.
UN ALTRO IMPORTANTE PASSO IN AVANTI CREDO SIA IL CONTRATTO FIRMATO CON INDIE RECORDINGS. COM’E’ NATO TUTTO E QUALI SBOCCHI PENSI E CREDI VI POSSA DARE QUESTA MAGGIORE INTERNAZIONALIZZAZIONE?
– Sì, devo dire un ottimo passo per noi e un obiettivo su cui abbiamo lavorato molto negli ultimi anni. Da band Italy-based non é stato affatto facile guadagnare la loro attenzione, ma dopo l’attività in tour intrapresa da “K2” in poi abbiamo avuto la possibilità di suonare davvero tanto in giro, per cui il grado di riconoscibilità della band da parte degli addetti ai lavori era incoraggiante. Con Indie eravamo in contatto già dal disco precedente, ma anche in questo caso abbiamo lasciato che le cose accadessero senza forzature. Con il nuovo master in mano li abbiamo risentiti e a quanto pare la musica ha parlato per noi. E a volte vale più di mille parole. Ci tengo a dire che ci siamo scelti a vicenda, pur avendo sul tavolo diverse proposte abbiamo creduto fin da subito che questa nuova avventura con loro sarebbe stata la scelta ottimale. Sicuramente il loro aiuto é fondamentale e lo sarà nel corso del tempo per avere una cassa di risonanza sempre più internazionale e vasta. Parliamo sempre di un’etichetta indipendente, ma il loro essere così selettivi su ogni band e fase del progetto rende il loro roster davvero competitivo. Penso a Satyricon, Kvelertak, Cult Of Luna. Felicissimi di farne parte e di esserci guadagnati la loro fiducia.
IL SUONO ADIMIRON, PUR ESSENDO MOLTO TECNICO E RICERCATO, CARICO DI DETTAGLI, E’ ANCHE FORIERO DI UNA SPESSA PARTE EMOTIVA, EMOZIONALE. COME RIUSCITE A BILANCIARE, IN SEDE DI COMPOSIZIONE, QUESTE DUE ANIME MUSICALI, TECNICA E ‘SENTIMENTALE’, CHE SPESSO RISULTANO AGLI ANTIPODI NELL’UNIVERSO METAL?
– Semplicemente seguendo il proprio istinto senza paletti di sorta. Ti sembrerà una risposta scontata, ma di fatto é la verità, a mio modo di vedere. Il paletto é nocivo per definizione in qualsiasi forma artistica e metterne nella musica é qualcosa che trovo decisamente asfissiante. Detto questo, credo invece sia davvero avvincente lavorare sull’armonizzazione di cose apparentemente difficili da conciliare.
ALCUNE VOSTRE INFLUENZE SONO PIUTTOSTO CHIARE (OPETH, GOJIRA, TOOL, IN PASSATO NEVERMORE E MESHUGGAH), MA NEGLI ULTIMI ANNI COSA VI HA COLPITO DELLA SCENA METAL, O DELLE VARIE SCENE METAL, CHE RITENETE TALMENTE VALIDO DA POTERVI ISPIRARE?
– I nomi che fai sono tutti pesi massimi della scena contemporanea, per cui prima di tutto grazie per questi paragoni. In realtà, arrivati ormai a un discreto numero di release pubblicate, l’approccio alla scrittura deve essere necessariamente personale e non rincorrere nessun altro modello se non quello che si ha forgiato personalmente negli anni. Ascolto tantissima musica e sono costantemente aggiornato sulla scena, anche grazie al mio lavoro da manager in K2Music, per cui potrei farti decine di nomi, da Leprous a Gorguts passando per The Mars Volta e Slowdive, ma una volta entrato nella fase compositiva preferisco chiudere i compartimenti e isolarmi in una solitudine creativa filtrando quanto captato in precedenza per rielaborarlo a mio modo.
ALESSANDRO, TU SEI IL FONDATORE ED UNICO MEMBRO ORIGINALE DEGLI ADIMIRON, ORMAI IN GIRO DA PIU’ O MENO QUINDICI ANNI. RIESCI A FARE UN BILANCIO DELLA TUA CARRIERA AD OGGI?
– Su questo potremmo fare decisamente uno speciale a parte! Troppo difficile fare un bilancio, tantissime le cose successe, i vicoli ciechi, le vicende personali. Dall’altra parte della medaglia, ho inconsapevolmente dato vita a qualcosa che nonostante tutto prosegue il suo percorso e cresce. Un progetto con il quale abbiamo girato il mondo e grazie al quale, nel nostro piccolo, continuiamo a dare un contributo al genere che amiamo. Mi guardo indietro e vedo belle fotografie coerenti di un passato che man mano ci ha portato ad essere qui. Dall’ingenuo “Burning Souls” allo spirito consapevole di “Et Liber Eris”. ‘A crazy ride’, si potrebbe dire, portata avanti da una voglia di fare che si rinnova anno dopo anno.
L’ULTIMA DOMANDA RIGUARDA LA PROMOZIONE LIVE DEL DISCO: COSA BOLLE IN PENTOLA, A PARTE LE DATE CON GLI ENSLAVED? LA INDIE VI DARA’ UNA MANO IN QUESTO SENSO?
– Nel frattempo le date con gli Enslaved sono state portate a casa e devo dire che come battesimo di nuova release e di nuova formazione questa prima uscita é andata decisamente bene. Ora ci prepariamo per un 2018 interamente dedicato alla promozione di “Et Liber Eris”, presumibilmente con un tour europeo e per l’Italia, nello specifico, qualche data selezionata tutt’ora in fase di definizione. Indie é parte integrante del processo e credo che il fatto di lavorare in sinergia possa sicuramente agevolare molte cose, soprattutto in mercati dove il disco é stato accolto bene. Detto questo, ora c’é da battere il ferro!