I timori di un’evoluzione verso lidi sonori più soft o addirittura di una “svolta commerciale” sono stati prontamente scacciati da “The Boats Of The Glen Carrig”, il nuovo album degli Ahab. Pur traendo ispirazione anche da qualche altra fonte e alleggerendo qua e là la proposta, i tedeschi sono tornati con un’opera che indubbiamente ha le sue fondamenta in quel profondo doom metal che fan vecchi e nuovi hanno avuto modo di conoscere e amare con i sempre più celebrati “The Call of the Wretched Sea” e “The Divinity of Oceans”. Anzi, si può persino affermare che la nuova fatica sia per certi versi un ritorno al passato, dato che il candore e le finezze del precedente “The Giant” – lavoro accolto in maniera altalenante da pubblico e critica – sono stati qui messi da parte. L’affabile Christian Hector la vede più o meno così, anche se, ovviamente, il chitarrista non perde occasione per sottolineare le esigenze di concept e la personalità che secondo lui il nuovo “The Boats…” esprime…
“THE BOATS OF THE GLEN CARRIG” E’ ANCORA UNA VOLTA UN CONCEPT ALBUM BASATO SU UN LIBRO. POSSIAMO ORMAI DEFINIRE IL CONCEPT UNO DEI MASSIMI TRADEMARK DEGLI AHAB?
“Certamente, credo che sia già da qualche anno uno dei nostri marchi di fabbrica e non penso che cambieremo approccio in futuro. Abbiamo iniziato quasi per scherzo, ma poi abbiamo iniziato ad amare veramente il comporre musica basandoci sulle sensazioni che ci regala la lettura di un libro. Ormai potremmo arrivare a definirlo il nostro metodo di composizione standard. Facciamo quasi fatica a pensare a della nuova musica se non abbiamo in mente un libro da trattare”.
COME SIETE ARRIVATI ALL’OPERA DI HODGSON?
“Ci è stata consigliata da un fan. Ormai si è sparsa la voce riguardo la nostra serie di concept e non passa giorno che qualcuno su Facebook ci consigli qualcosa. Stephan, il nostro bassista, è stato il primo a leggerlo: ne è rimasto talmente colpito che ci ha spronato a documentarci il prima possibile. Da lì in poi è stato facile tracciare la struttura del disco e decidere quali capitoli affrontare. Ormai stiamo diventando esperti, dopo quattro album così…”.
QUAL E’ LA PARTE DEL LIBRO CHE PIU’ TI HA AFFASCINATO?
“Sostanzialmente ho amato il suo messaggio: il concetto che tutti gli uomini sono uguali. Indipendentemente da dove provieni e da come sia la tua vita, davanti alle forze della natura siamo tutti sullo stesso piano”.
TI SENTI SODDISFATTO DI COME E’ VENUTO IL DISCO OPPURE CAMBIERESTI QUALCOSA ORA CHE QUESTO E’ IN PROCINTO DI ESSERE PUBBLICATO?
“Sono molto contento del disco perchè secondo me siamo riusciti a catturare in pieno le atmosfere del libro. Devo dire che questo è un discorso che posso allargare ad ogni nostro album: siamo sempre gli Ahab, ma puoi sentire delle differenze nel sound di album in album, proprio perchè ognuno di essi ha avuto una fonte di ispirazione diversa. Non so nemmeno come spiegarlo, ma non ci viene difficile lasciarci guidare dalle parole di un libro mentre imbracciamo le chitarre per comporre. Con ‘The Boats…’ abbiamo ampliato lo stile e provato cose nuove, ma non credo si possa affermare che la band si sia snaturata. Siamo sempre noi, siamo ancora una doom metal band”.
VI E’ QUALCOSA CHE AVETE DELIBERATAMENTE DECISO DI FARE DIVERSAMENTE RISPETTO A “THE GIANT”?
“A posteriori, di ‘The Giant’ cambierei la produzione: quel lavoro suona troppo perfetto, sembra iper prodotto. Alcune persone hanno scomodato dei paragoni con gli Opeth e forse non a torto. Tutto sommato, avremmo dovuto dare ai suoni un taglio meno freddo. Con il nuovo album ci siamo quindi mossi nella direzione opposta: è un disco dal sapore live, con suoni caldi e corposi. Del resto, il nuovo materiale aveva sfaccettature più heavy e ruvide: non avrebbe avuto senso replicare la produzione di ‘The Giant’ o ricercare qualcosa di simile”.
IN EFFETTI ALCUNE SEZIONI SEMBRANO QUASI AVERE UN’IMPRONTA SLUDGE…
“Sono d’accordo, il termine sludge è venuto in mente anche a me. Ci siamo presi qualche libertà in più nelle parti heavy questa volta: un tempo potevi dire che quando picchiavamo duro eravamo death metal o funeral doom, mentre oggi puoi sentire anche altre soluzioni”.
E IL CANTATO VA DI PARI PASSO…
“Esattamente. Credo che sul nuovo album la voce pulita sia più mistica che mai, mentre il growling e le voci sporche hanno diverse sfumature. In alcune parti Daniel urla quasi come il cantante dei Gorefest nel loro periodo death’n’roll. Non aveva mai sperimentato nulla di simile prima e siamo tutti molto felici del risultato finale. In realtà per noi è stata una vera sorpresa: Daniel ha inciso le linee vocali alla fine del processo di registrazione e sino ad allora non avevamo un’idea precisa di come si sarebbe espresso. Per noi tanta varietà è stata un piccolo shock. Tutt’ora mi piace riascoltare il disco perchè certe formule sono relativamente nuove anche per me”.
IL DISCO CONTIENE SIA IL VOSTRO BRANO PIU’ CORTO – “LIKE RED FOAM” – CHE QUELLO PIU’ LUNGO IN ASSOLUTO, “THE WEEDMEN”…
“Sì, un’altra cosa che si può dire del nuovo album è che sia piuttosto vario. Sia a livello di produzione che di suoni e stile si può dire che rispetto a ‘The Giant’ siano stati compiuti un passo indietro e due in avanti. E’ un lavoro più crudo e violento, ma anche più progressivo e più accessibile allo stesso tempo”.
PER “LIKE RED FOAM” AVETE ANCHE GIRATO UN VIDEO. IL PRIMO DELLA VOSTRA CARRIERA…
“Sì, è un video piuttosto particolare, certamente diverso da quello che la gente si aspetterebbe da noi. Del resto, sarebbe stato sin troppo ovvio basare il tutto su acqua e navi. Siccome il pezzo è controverso – trattandosi di una traccia molto ritmata per i nostri standard, che sicuramente qualcuno criticherà per poi accusarci di esserci ‘venduti’ (ridate, ndR) – abbiamo deciso di proporre qualcosa di ambiguo anche a livello visivo. Con questo non voglio dire che non realizzeremo mai un video vicino al nostro solito concept, ma in tal senso bisognerà fare anche i conti con il budget a nostra disposizione: mostri, balene e naufragi richiedono un bel po’ di denaro per essere ben inscenati. Non è nostra intenzione pubblicare qualcosa di raffazzonato: scadremmo nel ridicolo”.
TI RITIENI SODDISFATTO DELLA CARRIERA DELLA BAND SIN QUI? VI VEDETE DIVENTARE MUSICISTI DI PROFESSIONE?
“Sono molto soddisfatto di ciò che abbiamo fatto e ottenuto sin qui. Gli Ahab oggi sono una realtà affermata e che ci toglie grandi soddisfazioni dal punto di vista artistico. Abbiamo pubblicato quattro album di cui andiamo fieri e non abbiamo mai dovuto scendere a compromessi. Per quanto riguarda la seconda parte della tua domanda, non credo che diventeremo mai un gruppo a tempo pieno: per una formazione doom metal quel tipo di carriera è praticamente un’utopia. Inoltre, anche se provassimo a suonare live più spesso e ad accrescere il nostro pubblico, non credo che i risultati sarebbero poi così positivi: il bello degli Ahab è che per noi quattro il gruppo è un hobby. Ci piace ritrovarci, suonare insieme e condividere questa passione, ma non vogliamo che la musica diventi un lavoro. Per noi i tour e le date live sono come delle vacanze: ci divertiamo un mondo ad andare in giro insieme. Se fossimo obbligati a farlo per pagare le bollette il rapporto tra di noi si logorerebbe e lo spirito alla base del gruppo cambierebbe di molto. In tutti questi anni ho visto tante band in tour e nei vari backstage alcuni dei loro membri non si parlano nemmeno prima dello show. Ho paura di arrivare a quel punto”.
E SE “THE BOATS…” OTTENESSE UN SUCCESSO OLTRE OGNI PIU’ ROSEA PREVISIONE?
“Non credo che ciò avverrà: si tratta pur sempre di un disco lento e difficile, anche se vanta la nostra prima hit (ride, ndR). No, non abbiamo intenzione di strafare: è importante mantenere i piedi per terra e ricordarsi chi siamo e da dove veniamo. Non vogliamo perdere contatto con le nostre famiglie. Inoltre di questi tempi è davvero difficile capire se un disco sta andando bene. Certo, le recensioni possono essere positive, ma le vendite sono ai minimi storici. Il nostro album più venduto è ancora “The Call of the Wretched Sea”, perchè nel 2006 evidentemente c’era ancora gente che acquistava CD. Oggi probabilmente il nostro seguito è ben più ampio, ma i fan preferiscono andare ai concerti o comprare merchandise. Per noi non c’è problema, ma è ovvio che così diventa arduo fare programmi con l’etichetta o andare a suonare in giro allo sbaraglio”.
INTANTO DI RECENTE AVETE SUONATO ALL’HELLFEST…
“Sì, è stata un’esperienza magnifica. E’ sempre interessante esibirsi davanti ad un pubblico tanto vasto, che magari ti ha solo sentito nominare. Trovo surreale che un gruppo come il nostro arrivi ad esibirsi in un evento che ospita anche Alice Cooper, ma questo è appunto il bello della nostra carriera”.
DOVE ANDRETE PER SUPPORTARE E PROMUOVERE “THE BOATS…”?
“Stiamo pensando di concentrarci soprattutto su Gran Bretagna e Francia per questo disco, visto che di recente abbiamo notato un aumento della nostra popolarità da quelle parti. Gli show che abbiamo tenuto ci sono davvero piaciuti e ci piacerebbe tornare. Gli USA per ora restano un sogno, mentre Germania e Austria sono praticamente casa nostra: terremo sempre dei concerti in quelle zone. In generale, ci piacerebbe avere modo di visitare posti nuovi, magari con degli show mirati, nei weekend. Come dicevo, per noi la band è una vacanza e abbinare musica e turismo non è affatto male”.
ALBUM O BAND CHE HAI APPREZZATO DI RECENTE?
“Ho gusti molto ampi: sto ascoltando soprattutto grind e hardcore, quindi gruppi come Nasum, Napalm Death e Trap Them, ma anche roba ben più lenta e ricercata: Esoteric, Darkher, Conan… in generale, non mi pongo limiti. Sono uno che si annoia facilmente (risate, ndR)”.