AHAB – Il cuore sopra l’oceano

Pubblicato il 19/01/2023 da

Il 2023 si è aperto con uno dei più graditi ritorni per gli appassionati di note lente e pesantissime, impregnate di aria salmastra e profondità abissali: gli Ahab, formazione tedesca pioniera di un modo unico di suonare funeral doom legandolo indissolubilmente a tematiche marine e letterarie, sono tornati sulle scene con “The Coral Tombs” ad otto anni di distanza dal precedente lavoro e, sia per concept (“Ventimila leghe sotto i mari” di Jlues Verne) che per atmosfera generale, il nuovo album racconta di una band dalle energie rinnovate, determinata a sperimentare nuovi modi di intrecciare la pesantezza del doom metal con una forte vena progressive e suggestioni psichedeliche. Abbiamo raggiunto il chitarrista Chris Hector, che insieme al cantante e chitarrista Daniel Droste si è da sempre occupato delle musiche e testi degli Ahab, per una lunga chiacchierata sulle sfaccettature (musicali e di trama) del nuovo lavoro, la fascinazione per l’ignoto nascosto nelle acque marine e un’immersione retrospettiva sull’intera storia dei quattro lupi di mare.

OTTO ANNI SEMBRANO IL GIUSTO INTERVALLO DI TEMPO CHE OCCORRE PER LAVORARE AD UN NUOVO DISCO DOOM METAL. PUOI RACCONTARCI SU QUALE ROTTA HANNO VIAGGIATO GLI AHAB IN QUESTI ANNI?
– A dire la verità, non abbiamo scritto né composto nulla per più o meno… sette anni e mezzo (ride, ndr)? Potremmo quasi dire che è la vita ad essersi messa di traverso: alcuni di noi hanno avuto dei figli, abbiamo dato la precedenza ai concerti e ci siamo concentrati sulle prove per quelli, poi sono arrivati altri figli, altri concerti, altre prove. Certo, avevamo qualche idea per un nuovo disco, ma non era mai il momento giusto.
Normalmente si dice che debbano passare tre anni tra un disco e l’altro, perciò mi auguro che tra questo e il prossimo non ne passino altri sette/otto!

COME BAND AVETE SEMPRE AVUTO UN RAPPORTO MOLTO EVIDENTE E STRETTO TRA LA VOSTRA MUSICA E LA LETTERATURA CHE RIGUARDA IL MARE, E PENSO FOSSE SOLO QUESTIONE DI TEMPO PERCHÉ ARRIVASTE A METTERE IN MUSICA UN CLASSICO COME “VENTIMILA LEGHE SOTTO I MARI” DI JULES VERNE. IN CHE MODO LE AVVENTURE DESCRITTE, LE ESPLORAZIONI DI SCENARI O CIVILTÀ IGNOTE E QUEL SENSO DI TRAGEDIA LATENTE SI RIFLETTONO NELLA VOSTRA MUSICA?
– L’esplorazione e i viaggi mi hanno sempre avuto un notevole impatto su di me sin dai miei primi viaggi vent’anni fa, sono sempre stato affascinato dal mare e dalla natura marina, anche mentre studiavo biologia al liceo. Credo che una parte di me abbia sempre voluto diventare un biologo marino, ed infatti il mio personaggio preferito del libro è il professor Arronax, anche se normalmente chi viene ritenuto più interessante è il capitano Nemo.
La settimana scorsa in un’altra intervista mi hanno chiesto se ci fossero somiglianze tra quest’ultimo e il capitano Ahab, ma non credo: Nemo in realtà è un filantropo che però viene costretto a diventare misantropo – come racconta – per salvarsi sia dagli squali che dagli esseri umani. Proprio per questo credo che “Ventimila leghe sotto i mari” sia profondamente anticolonialista e antirazzista, ed è uno dei motivi per cui mi è sempre piaciuto molto.

THE CORAL TOMBS” È UN’ALTRA PAGINA SUL VOSTRO DIARIO DI BORDO (SEMPRE PER USARE DELLE METAFORE NAUTICHE) IN CUI AVETE FUSO UN MAI CELATO GUSTO PROGRESSIVE CON LA FORZA DEL FUNERAL DOOM, PIÙ UN PIZZICO DI PSICHEDELIA – MI VIENE IN MENTE IL RIFF IPNOTICO DI “THE SEA AS A DESERT” – E ALCUNI NUOVI ELEMENTI, COME LE VOCI HARSH IN “PROF. ARRONAX’ DESCENT INTO THE VAST OCEANS”. COME SI SONO INCASTRATI QUESTI ASPETTI NEL PROCESSO DI COMPOSIZIONE?
– Quando sei in un progetto o in una band è difficile vedere con precisione la differenza tra questi aspetti, come ad esempio fai tu, o parlare delle differenze tra questo e l’album precedente. Ma quando io e Daniel (Droste, ndr) siamo entrati in studio per registrare le chitarre, nel parlare con il nostro ingegnere del suono ci siamo accorti di volere un sound più sporco – sulle chitarre, ma anche su tutto il resto – perché, vedi, “The Boats of Glen Carrig” è bello e ben prodotto, ma alla fine risulta un po’ troppo liscio, rifinito.
Per quel disco poteva anche andare bene, ma questa volta cercavamo qualcosa di diametralmente opposto, anche perché basandoci ogni volta su libri diversi nei nostri concept per me è naturale adattare la musica al tipo di racconto che si va ad interpretare. Per quanto riguarda le voci in screaming di Chris (Noir, cantante degli Ultha, ndr), il discorso è più spostato sulla scelta degli ospiti: volevamo averne diversi, però a livello di range vocale non cercavamo qualcuno che somigliasse troppo a Daniel – ne abbiamo già uno (ride, ndr) – e ci siamo quindi detti “perché non una voce black metal?”. È stato Daniel a farmi ascoltare gli Ultha perché io non avevo un’idea precisa di come muovermi, ma quando ho sentito Chris ho capito che era esattamente quello che cercavamo, violento e graffiante.
Per quanto riguarda il resto, abbiamo cercato di incorporare nella nostra musica, oltre agli aspetti più tragici della storia, quel senso stupore e meraviglia che si trova nel libro, per esempio quando Arronax scorge l’immensità meravigliosa delle profondità marine che ha sempre sognato di poter vedere.

SEMPRE PARLANDO DEGLI OSPITI, SE APPUNTO CHRIS NOIR SCUOTE L’INIZIO DELL’ALBUM, È LA VOCE DI GREG CHANDLER DEGLI ESOTERIC A DARE CORPO E SOSTANZA A “MAELSTRÖM”, NEL FINALE, DANDO UN SENSO ULTERIORE DI APERTURA E CHIUSURA DI UNA NARRAZIONE O DI UN CICLO. È QUALCOSA CHE AVEVATE COSCIENTEMENTE IN MENTE DALL’INIZIO OPPURE L’IDEA È EMERSA MENTRE SCRIVEVATE O REGISTRAVATE LE CANZONI?
– L’idea ci è venuta nelle fasi finali di rifinitura delle canzoni, quando stavamo decidendo l’ordine e il posizionamento di ciascun pezzo nella scaletta del disco. Ovviamente all’inizio doveva esserci il momento in cui Arronax e il suo servitore Conseil salgono a bordo della nave per cominciare il viaggio, e se ci pensi quella che segue è la parte più ‘veloce’ del libro, perché vengono sbalzati fuori bordo, rischiano di affogare, non hanno punti di orientamento, quindi era il punto perfetto per inserirvi delle voci black metal o comunque in screaming. E ovviamente il maelström doveva essere la conclusione; mentre discutevamo su quali potessero essere gli ospiti Corny (Cornelius Althammer, batterista, ndr) ha proposto Greg dicendo “perché no? Alla fine è un nostro amico ed ha una voce particolare”. La sua voce è potente ed usa delle distorsioni fantastiche – ha un pedale gigantesco solo per gli effetti vocali – e quindi è stato naturale buttare Greg giù nel maelström (ride, ndr).

PROPRIO PER QUESTA FORTE ADESIONE TRA MUSICA E LETTERATURA, RIUSCIRESTI A RICOSTRUIRE L’EVOLUZIONE DEL VOSTRO PERCORSO MUSICALE ATTRAVERSO I LIBRI CUI VI SIETE ISPIRATI?
– Accidenti, che domanda (ride, ndr)! Vediamo: beh, sicuramente per il primo capitolo (“The Call Of The Wretched Sea”, ispirato a “Moby Dick” di Melville, ndr) è facile.
All’epoca io e Daniel eravamo solo due ragazzi alla scoperta del doom metal e del funeral doom, e siamo inciampati su “The Pernicious Enigma” degli Esoteric, o sui lavori dei Tyranny, Torture Wheel, Shape Of Despair e tutta quella scena lì. Avevamo in mente varie idee per delle canzoni e volevamo che suonassero funeral doom, anche se a dire la verità il primo album è più death-doom che funeral doom in senso stretto, era come che volevamo suonare in quel momento lì.
Per “The Divinity Of Oceans” ci siamo detti “bene, abbiamo gli Ahab, abbiamo Moby Dick, cosa facciamo adesso?”. È stato in quel momento che mi è venuto in mente “In The Heart Of The Sea: The Tragedy Of The Whaleship Essex” (romanzo di Nathaniel Philbrick, ndr), la cui storia vera è stata d’ispirazione a Melville per “Moby Dick”, appunto. In un certo senso è stato un passaggio naturale. Ricordo che Daniel stava lavorando già alla canzone “The Divinity of Oceans” e aveva queste melodie e questi testi estremamente inquietanti e tormentati, mi sembrava già così un gran pezzo ed anche ascriverlo a quella storia è stato estremamente semplice.
Parlando di “The Giant” (ispirato a “The Narrative of Arthur Gordon Pym of Nantucket” di Edgar Allan Poes, ndr), invece, in quella fase abbiamo cominciato a fare ricerche più approfondite sui libri che potevano ispirarci e “Ventimila leghe sotto i mari” avrebbe potuto essere la base di “The Giant”, ma non lo è stato. Ricordo che in quel momento stavo attraversando in un periodo difficile e molto di quanto stavo affrontando è filtrato nei testi, e Daniel voleva sperimentare riff più progressive perché in quel momento eravamo più spostati su quel genere anche con gli ascolti.
Infine, il libro di “The Boats Of Glen Carrig” è uscito fuori da un sondaggio che avevamo lanciato su Facebook, è stato un fan a consigliarlo a Stephen (Wandernoth, ndr), il nostro bassista. A volte succede anche questo, ed effettivamente il libro non è male, mi era piaciuto molto, ed ha dato vita al nostro album più ‘estremo’: dentro c’è la nostra canzone più veloce, quella più breve e la più lunga del nostro repertorio. Sicuramente è anche il più progressive, e in un certo senso il più ‘raffinato’, soprattutto a livello di sound. Ed è appunto agli antipodi con il primo, che invece faceva schifo a livello di produzione: ci sono due ragazzi che suonano funeral doom, ma con un suono terribile. È perfetto per quello che avevamo in mente ma qualsiasi tecnico del suono sarebbe orripilato da quello che sente; per fare due esempi, il sound di “The Pernicious Enigma” è ugualmente tremendo eppure io lo adoro, o anche “Left Hand Path” degli Entombed… Nessuno avrebbe mai pensato di registrare un album così, eppure è perfetto a modo suo, per me è stato una rivelazione. Questa è la relazione tra “The Call…” e “The Boats…”, non so se mi spiego.

SONO OPPOSTI, MA HANNO SENSO COSÌ, NEL LORO ESSERE AI DUE ESTREMI.
– Esattamente. Per quanto riguarda l’ultimo album non sono in grado di dirti ora in che direzione ci siamo spostati, magari se mi rifarai la stessa domanda tra qualche anno potrò darti una risposta approfondita, in questo momento è lo stato dell’arte attuale, qui e ora. Non credo che avremmo potuto scrivere un disco di altro tipo se non quello che uscirà a breve (l’intervista si è svolta a metà dicembre, ndr).

SECONDO TE, PERCHÉ IL MARE È UN ARGOMENTO PERFETTO PER UN GENERE COME IL FUNERAL DOOM?
– Secondo me puoi inserire le tematiche marine in qualsiasi genere metal ‘oscuro’ perché è mistico, profondo, sconosciuto, crudele, immenso, stupefacente… Va bene per qualsiasi tipo di musica, che siano gli Ahab o i Pink Floyd – certo, magari non Britney Spears, ma qualsiasi cantautore pop potrebbe scrivere un bel pezzo parlando del mare.

VERO, PERÒ PER ESEMPIO È MOLTO PIÙ DIFFICILE TROVARE UN ALBUM BLACK METAL CON QUESTO TIPO DI TEMATICHE, MENTRE PENSANDO AL DOOM METAL MI VENGONO IN MENTE SLOW, IN MOURNING O GLI ISIS DI “OCEANIC”, GUARDANDO ALTROVE.
– Non sono molto d’accordo, prendi per esempio “My Bonnie Is On The Ocean” (canzone tradizionale scozzese, ndr), calza perfettamente, a modo suo. Restando su tematiche più attinenti al mondo metal, prendi Chtulhu, è un soggetto che va bene per qualsiasi tipo di metal e comunque c’entra tantissimo con le profondità marine, sono spesso presenti come ad esempio in “The Shadow Over Innsmouth” …Però ora che mi ci fai pensare non mi viene in mente nessuna band black metal che parli di mare come facciamo noi – ma se dovessi suonare black metal penso che ne parlerei (risate, ndr).

NEGLI SCORSI OTTO ANNI AVETE LAVORATO SOLO AL NUOVO ALBUM OPPURE VI SIETE – USANDO UNA METAFORA – ‘IMBARCATI SU ALTRE NAVI’, PARTECIPANDO AD ALTRI PROGETTI?
– All’inizio della pandemia avevo creato un progetto più orientato verso la musica degli anni Ottanta, avevo anche comprato una specie di sintetizzatore e altra strumentazione e mi ero messo a sperimentare un po’ nello studio casalingo; si chiamava Silurian, era un progetto con voce femminile più spostato verso il dreamcore, una sorta di shoegaze con tematiche sci-fi.
Corny invece ha tonnellate di band: sicuramente i Fisted Mister, che però è più una rock band, ma al momento suona anche con i Raptvre, un bel progetto black metal, negli Svärd con alcuni membri presenti e passati degli In Mourning, nei Dead Eyed Sleeper insieme a Stephan, con cui avevano anche un’altra band, i Legacy, ma ora si chiamano Narbenvater.

UNA BAND COME LA VOSTRA, CON DEI RITMI SIA MUSICALI CHE DI SCRITTURA MOLTO DILATATI, SEMBRA ESSERE UN PO’ UNA MOSCA BIANCA NELLA REALTÀ ODIERNA DELL’INDUSTRIA DISCOGRAFICA, CHE SPESSO SPINGE I MUSICISTI A PRODURRE MUSICA IN TEMPI MOLTO RISTRETTI E CON UNA DURATA CONTENUTA. CREDETE DI VOLER PROVARE A TENERE IL PASSO CON QUESTO SETTORE, VI SENTITE INVECE DEGLI OUTSIDERS E VA BENE COSÌ, OPPURE SEMPLICEMENTE NON VI IMPORTA?
– Stai parlando appunto con una persona che ha impiegato otto anni per scrivere e pubblicare un disco nuovo (sghignazza, ndr)! Ovviamente non contavamo di metterci così tanto, ma questo discorso è qualcosa a cui penso ogni volta che esce un nostro disco. Oggi i gruppi metal che finiscono nelle classifiche commerciali non sono lì perché vendono di più – come poteva succedere qualche anno fa – ma perché nessuno compra gli altri dischi sul mercato, mentre invece chi ascolta metal tende a supportare di più con i propri acquisti i gruppi che apprezza. Sono passati otto anni, appunto, dal nostro disco precedente, e non so se i nostri fan compreranno ancora l’album in formato fisico o lo ascolteranno soltanto sulle piattaforme di streaming.
Non mi sento un estraneo o un alieno rispetto all’industria discografica, penso che come Ahab non abbiamo ancora avuto l’opportunità – ma forse non ci interessava neanche – di tastare con mano questo cambiamento fino ad ora proprio perché ci abbiamo messo anni per avere una nuova release. Al contrario, quello che ho veramente apprezzato in questi anni è stato vedere che comunque ci sono persone che hanno continuato a comprare il nostro merch, hanno continuato a venire ai nostri concerti e che comunque la nostra fanbase si è allargata.
Non sento che facciamo parte di una scena ‘doom metal’ in senso stretto, ma della scena metal in generale sì, invece, ci sentiamo parte di una ‘famiglia’, per tutto il resto non mi interessa; certo, quando il nostro penultimo album è finito nelle classifiche è stato un bel momento, ma non puntavamo a quello. Se miri a finire in classifica devi distribuire il tuo disco attraverso canali speciali, con di contro un ricavo minimo; ovviamente siamo grati alla Napalm Records per aver coperto parte delle spese di questo album, ma il resto l’abbiamo finanziato noi perché tenevamo ad avere i migliori risultati possibili e speriamo di riuscire a vendere abbastanza copie da poter mantenere quello che comunque per noi è uno status ‘privilegiato’, come avere le spalle coperte da un’etichetta può essere. Questo vale anche per il video di “Colossus Of The Liquid Graves”: volevamo a tutti i costi che fosse in stop-motion, che non è per niente un metodo di lavoro economico e abbiamo deciso che valeva la pena investire i nostri soldi in questo.

ULTIMA DOMANDA: VERSO QUALI ORIZZONTI VOLGERETE LE VOSTRE PRUE IN FUTURO?
– E che ultima domanda (ride, ndr!)! Dunque, se dovessi risponderti io in prima persona ti direi che, pur rimanendo ancorato alle tematiche marine, mi piacerebbe salpare più verso universi sci-fi, a livello di tematiche – e se ci pensi, proprio Jules Verne è uno dei più iconici scrittori di fantascienza. Ma nella band siamo quattro e dovremo decidere di comune accordo; ci sono già delle idee abbozzate e proprio ieri, durante le prove, ci siamo detti di voler scrivere un altro album non tra otto anni, ma come dicevo all’inizio, almeno nei prossimi tre o quattro!

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