AINSOPH – Quella fine che non c’è

Pubblicato il 14/04/2020 da

Paesi Bassi e dark metal dal tocco femminile, un binomio sempre più forte. Dalla terra di The Devil’s Blood, Dool, Gold, ecco spuntare in avvio di 2020 un’altra realtà similare, gli Ainsoph. Un trio di cui si sapeva poco o nulla prima che esordissero con “Ω – V”, sul quale persiste uno spesso velo di mistero; sembra provenire dal nulla, non si hanno memorie di quello che hanno combinato prima questi musicisti e nulla di sé hanno finora spiegato. Se non attraverso le già di per sé enigmatiche tracce del disco, sospese fra doom, post-punk, progressive e pop, in evoluzione incostante per una durata di tempo contenuta, ma che fa toccare con mano una caleidoscopio di intuizioni niente male. Per adesso, come affermavamo nella recensione di “Ω – V”, non tutto è a fuoco, coeso e coerente. Però a volte sono proprio questi esperimenti ancora acerbi ad aprire la strada a un futuro da prim’attori ed è con questa idea in testa che siamo andati a conoscere meglio la band, nelle parole della sua mente principale T. e della cantante I..


ARRIVATE DA SCONOSCIUTI AL VOSTRO DEBUT ALBUM. NON SAPPIAMO NULLA DI VOI, NULLA DEL VOSTRO BACKGROUND, DELLE VOSTRE PASSATE ESPERIENZE ARTISTICHE. POTETE RACCONTARCI QUALCOSA IN PIÙ SU COME GLI AINSOPH SONO NATI E DELL’IDEA DI SUONO CHE INTENDETE SVILUPPARE?
T – A essere onesti, non avevamo alcuna visione di quello che avremmo voluto fare, l’identità di Ainsoph si è sviluppata naturalmente, fuori da ogni piano predefinito. Abbiamo sempre pensato alla nostra musica come alla rappresentazione uditiva di un certo stato d’animo, piuttosto che alla ricerca di un suono ascoltato in precedenza.
I – Vocalmente, avevamo un sacco di idee che poi non sono state utilizzate. Cose vicine a quelle di Siouxsie and The Banshees, per esempio. Siamo arrivati a quello che puoi sentire sul disco sperimentando in molte direzioni diverse.

IL VOSTRO MONIKER E IL TITOLO DEL DISCO SEMBRANO RIFERIRSI A MISTERIOSI SIGNIFICATI CABALISTICI: PERCHÉ AVETE SCELTO DI CHIAMARVI AINSOPH E COME DOBBIAMO INTERPRETARE UN TITOLO COME “Ω – V”?
T – Nella mitologia cabalistica, l’Ain Soph è raffigurato come un movimento circolare senza fine, qualcosa di cui sono diventato ossessionato durante il processo di scrittura. Il nostro processo creativo era privo di ego, come del resto non voleva avere alcuna prevaricazione dell’ego di uno di noi sugli altri, da qui il nome del gruppo.
I – Sembrava rappresentarci benissimo Ainsoph. Nella moderna lingua ebraica, si traduce letteralmente in ‘non fine’ e questa immagine circolare di infinito sembrava il nome più appropriato per la nostra mentalità.
T – Il titolo dell’album è scaturito da una riflessione che io e un amico abbiamo fatto mentre lui stava disegnando la copertina per un album di organo strumentale.
I – Ci sembrava la scelta migliore quel titolo per l’album, rispetto ad avere un titolo omonimo al moniker o addirittura senza titolo, in questo modo racchiude tutti i contenuti dell’album.

MUSICALMENTE, IL PRIMO COLLEGAMENTO CHE VIENE NATURALE FARE È QUELLO CON ALTRE BAND VOSTRE CONNAZIONALI, COME GOLD E DOOL. SENTITE DELLE REALI CONNESSIONI CON QUESTI GRUPPI? QUALI SONO LE QUALITÀ CHE PENSATE VI DISTINGUANO DA LORO?
T – Confesso di non aver mai ascoltato la musica dei Dool, mentre i Gold ho iniziato a sentirli solo dopo le registrazioni del nostro disco, perché alcuni amici ci avevano paragonato a loro. Quindi non ci sono collegamenti tra noi e loro.

L’ALBUM È PENSATO PER ESSERE UN CONTINUUM, SENZA REALI PAUSE TRA UNA CANZONE E L’ALTRA. PENSO POSSA ESSERE UN SEGNO DISTINTIVO, MA ANCHE UN ELEMENTO CHE METTE IN DIFFICOLTÀ, PERCHÉ A VOLTE NON È SEMPLICE CAPIRE IL CAMMINO DI UNA SINGOLA TRACCIA. VOLEVO SAPERE PERCHÉ L’ALBUM È COSTRUITO IN QUESTO MODO E SE AVETE PRESO SPUNTO DA ALTRI DISCHI PER CONCEPIRE IL MODO DIPANARSI DELLA TRACKLIST.
T – Il processo di scrittura si è svolto in due sessioni di una settimana ciascuna, la canzone “Back To Purgatory” segna il punto centrale da cui si dirama tutto il resto. Quindi, come ho accennato prima, è stato un processo naturale piuttosto che una vera scelta stilistica. Non c’era una visione chiara e tutte le influenze esterne stavano nel nostro subconscio.

LA CANZONE PIÙ LUNGA DELL’ALBUM, CHE POTREBBE ESSERE VISTA COME IL CUORE PULSANTE DI “Ω – V”, È “THE LONG AND SELF-DESTRUCTIVE ROAD”: A QUALE STRADA VI RIFERITE E QUAL È LA SUA FUNZIONE NEL PROCESSO DI AUTODISTRUZIONE, SECONDO LA VOSTRA INTERPRETAZIONE?
I – La strada di cui parliamo può essere qualsiasi strada che ti viene ‘data’, la strada che scegli di percorrere o il sentiero sul quale rifiuti di proseguire.
T – L’autodistruzione a volte può essere più rovinosa per il mondo che ti circonda che non per te stesso. La sua funzione è quella di farti compiere il ‘salasso’ necessario per aprirti la strada che alla fine porterà al sogno lungamente atteso, ti condurrà ‘a casa’, dove vorresti essere veramente stare.

LA VOSTRA MUSICA INCORPORA MOLTE INFLUENZE DIVERSE, COMPRENDENDO BLACK METAL, POP, PROGRESSIVE, POST-PUNK, JAZZ: C’È PER VOI UN GENERE PIÙ IMPORTANTE DEGLI ALTRI NEL MODELLARE LA VOSTRA IDENTITÀ?
T – No, le nostre influenzano entrano nella nostra musica senza che noi agiamo consciamente per farle risaltare. Non ve n’è una che conti più di un’altra, vanno a incastonarsi in quello che suoniamo quasi che noi neanche ce ne accorgiamo.
I – Non è necessario collocarle da qualche parte in modo predeterminato. L’idea stessa di collocare certa un musica sotto un determinato genere finisce solo per limitare la creatività e costringere a scelte non necessarie quando si compone.


LE VOCALS CATTURANO UNA FORTE ATTENZIONE, DIFFONDONO UN FEELING SOGNANTE, RESTANDO IN TERRITORI SIMILI A QUELLI DELLA MUSICA DA CAMERA, DEL POP E DEL JAZZ. QUAL È IL BACKGROUND MUSICALE DELLA VOSTRA CANTANTE? COME AVETE LAVORATO PER FONDERE MUSICA E VOCE, PER OTTENERE QUESTO PARTICOLARE MIX DI GENTILEZZA, ANSIA E SOAVITÀ CHE POSSIAMO PERCEPIRE DURANTE L’ALBUM?
I – Quella di “Ω – V” è stata la mia prima esperienza nel mondo della musica. Sono cresciuta ascoltando pop e jazz, credo sia per questo che il modo di cantare ricordi quel modo di esprimersi, è stato il mio modo di interpretare le linee vocali fin dall’inizio.
T – Quello che non voglio è sempre stato più chiaro, per me, di quello che voglio, ma adoro il suono di una voce che stona, come commettere dei piccolo errori.
I – È vero, siamo finiti per avere molti errori durante le prove di registrazione, e abbiamo finito per tenerli, perché sembravano interessanti o più espressivi di un approccio più pulito. Ci siamo accorti che questo approccio funzionava per noi e abbiamo preferito non eliminare alcune imperfezioni.

PERCHÈ SECONDO VOI QUESTO ‘EFFETTO NINNANANNA’ DATO DALLE VOCI FEMMINILI È DIVENTATO COSÌ IMPORTANTE NELLA SCENA MUSICAL ODIERNA, INTENDO NELLA SCENA METAL E IN HARD ROCK E IN ALTRE AL DI FUORI DI QUESTI CONFINI, COME LA DARKWAVE, LA MUSICA DA CAMERA E QUELLA ELETTRONICA?
I – Nel pop e nel jazz sono vocalità molto diffuse quelle femminili, non pensavo si stessero diffondendo così tanto anche nel mondo metal odierno. Nel nostro caso è complementare alla musica molto più che una voce sporca o a volume elevato. In tanti casi, odio il cantato pulito spesso utilizzato nel metal, ma alcune volte le clean vocals sono importanti per raccontare una storia, molto più efficaci che sfogare la propria rabbia con delle urla. Il modo migliore di cantare dipende molto dallo specifico stato d’animo che vuoi esprimere.

COLLEGATA ALLA DOMANDA PRECEDENTE, QUALI SONO LE EMOZIONI CHE LA VOCE FEMMINILE SA ESPRIMERE MEGLIO DI QUELLA MASCHILE?
I – Potrei risponderti facilmente dicendo ‘vulnerabilità’, ma quando la esprime un uomo, in un certo senso può essere anche più espressivo di una donna. Credo che l’altezza delle note e la morbidezza del cantato possano provocare contrasti più forti di quanto accada per le voci maschili.

NEGLI ULTIMI ANNI I PAESI BASSI HANNO PRODOTTO GRUPPI ECCELLENTI SUL FRONTE DARK/DOOM/OCCULT ROCK, COME THE DEVIL’S BLOOD, DOOL E GOLD. COME SPIEGHERESTE CHE QUESTO PARTICOLARE SOTTOGENERE ABBIA TROVATO TERRENO FERTILE DALLE VOSTRE PARTI?
T – Penso che i The Devil’s Blood siano stati tra i primi a provare a rivitalizzare questo suono settantiano, di gruppi come Coven e Roky Erikson, e hanno compiuto un lavoro eccellente. La scena olandese a volte può essere molto incestuosa (e intendo questo termine in senso positivo), musicisti che hanno idee in sintonia tra di loro tendono poi a lavorare assieme su molti progetti. Così questo tipo di approccio si è diffuso facilmente all’interno di una specifica cerchia di artisti.

FUORI DA HARD ROCK ED HEAVY METAL, QUALI SONO GLI ARTISTI CHE VI HANNO MAGGIORMENTE INFLUENZATO?
I – Per quanto mi riguarda, è funzionato al contrario: nessuna band hard rock ed heavy metal mi ha portato a quello che ho fatto per Ainsoph. Le mie influenze arrivano da tutt’altri mondi musicali.
T – Penso non ci sia nessun’altra band a questo mondo che ho ascoltato più dei Sigh giapponesi. Oltre a loro, ho ascoltato tantissimo i Blue Oyster Cult e i Tribulation poco prima delle registrazioni del nostro album, ma a quel tempo ero anche molto coinvolto dal jazz e dal funk.

SE DOVESTE ESPRIMERE UNA SPERANZA PER IL FUTURO DELLA BAND, QUALE SAREBBE?
I – Non ho in mente un obiettivo preciso. Posso parlare per entrambi, quando dico che è più qualcosa che facciamo per noi stessi che per gli altri, e sono ancora molto curiosa ed entusiasta di tutto ciò che potrebbe accadere lungo il nostro percorso.
T – Alcuni musicisti con cui ho lavorato in passato vedono il suonare musica e soprattutto l’esibirsi dal vivo come una sorta di status symbol. Io non condivido affatto il loro pensiero. Per me è uno sbocco necessario per rimanere ancora un po’ sano di mente, non farmi fagocitare dalla realtà. Sono curioso di come ci si senta ad esibirci dal vivo come Ainsoph e ascoltare come possa suonare in quell’occasione il nostro materiale. Spero anche di incontrare e conoscere bene persone con una visione della musica simile alla nostra.

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