ALBEZ DUZ – Anime condannate

Pubblicato il 13/09/2019 da

Nel mezzo della fiorente scena doom continentale, i tedeschi – con cantante messicano – Albez Duz si stanno sommessamente ritagliando un ruolo di tutto rispetto. Nulla a che vedere con l’hype suscitato da formazioni come Witchcraft, Uncle Acid And The Dead Beats o Dool, intendiamoci, ma la presenza del quartetto berlinese nei festival underground è diventata sempre meno episodica col passare degli anni. A partire dal secondo album “The Coming Of Mictlan”, il particolare mix di dark rock, prog, doom ed heavy metal professato dalla band ha attecchito nell’immaginario dei metalhead di ampie vedute, soprattutto chi segue il metal estremo meno rigido e più incline alla contaminazione. Con “Enigmatic Rites” il songwriting di Eugen Herbst, principale compositore, si è fatto forse più canonico e prevedibile, mentre non è scesa la qualità dei pezzi, che continuano ad avere nella voce di Brito Lopez un motivo di innegabile seduzione. Ben volentieri andiamo allora a sentire dalle parole proprio di Herbst e del nuovo chitarrista Julian Müsseler come si sia arrivati al quarto album e cosa li abbia condotti a quest’ultimo capitolo della loro evoluzione.

QUALI SONO I “RITI ENIGMATICI” DI CUI PARLATE NEL TITOLO DELL’ALBUM?
Eugen: – “Enigmatic Rites” parla di come osserviamo le cose del mondo dal nostro punto di vista. Il titolo deriva da tutte le cerimonie che sono parte delle nostre vite da secoli, spesso le persone non si accorgono che sono parte di un rituale, loro come migliaia di altri soggetti che gli stanno attorno. La musica in sé è un rituale enigmatico.

PER “ENIGMATIC RITES” SONO ENTRATI IN LINE-UP UN NUOVO BASSISTA E UN NUOVO CHITARRISTA. COME HANNO CONTRIBUITO ALLA COMPOSIZIONE DEL NUOVO MATERIALE?
Eugen: – Il nostro bassista David Petersene, a dire il vero, è con noi già dall’estate del 2016. Julian Müsseler, invece, si è aggiunto durante l’estate 2018.

Julian: – Quando sono entrato nella band Eugen aveva alcune idee che non si erano ancora concretizzate in canzoni finite. Per esempio, aveva un’intro molto elaborata e una strofa e qui il pezzo si interrompeva bruscamente, non riusciva a connettere assieme due parti che aveva composto. Così ci abbiamo lavorato assieme, creando e approfondendo alcuni riff e altre parti fino a quando non siamo stati completamente soddisfatti. Con ogni briciolo di idea che ho portato con me, ho cercato di inserire elementi che potessero combaciare perfettamente con il sound degli Albez Duz, una vera sfida per me all’inizio.

L’ULTIMO ALBUM EVIDENZIA LE INFLUENZE SETTANTIANE DEL GRUPPO, INSISTENDO PIÙ CHE IN PASSATO SU UNA FORMA DI DOOM OLD STYLE E SULL’HARD ROCK. SI SENTE MOLTE VOLTE UN TOCCO ALLA SAINT VITUS, AD ESEMPIO. PERCEPITE QUALCOSA DI DIVERSO DAGLI ALTRI ALBUM, OPPURE PENSATE CHE QUEST’ULTIMO SIA SOLO UNA NATURALE CONTINUAZIONE DEI PRECEDENTI?
Julian: – Quel che cambia rispetto al passato è che in studio ognuno ha suonato tutte le parti relative al suo strumento, come accade dal vivo. Anche se la maggior parte della musica proviene indubbiamente dal gusto musicale di Eugen, ora vi è un’interpretazione del materiale che risente del contributo dell’intero gruppo.

MI PARE CHE NEL DISCO EMERGA ANCHE UN CERTO FEELING STONER, CON RIFF IPNOTICI CHE RISUONANO NEL PROFONDO DELL’ANIMO DELL’ASCOLTATORE. CIÒ È FRUTTO DI UNA PRECISA SCELTA, O SOLO IL RISULTATO SPONTANEO DEL PROCESSO DI COMPOSIZIONE?
Eugen: – Direi che è stato qualcosa di spontaneo. I riff sono influenzati da vecchie band come Black Sabbath, Uriah Heep e di recente i Pink Floyd. Se devo essere sincero, non sono molto attratto dalla corrente ‘marijuana-stoner’!

GLI ALBEZ DUZ SUONANO UN IBRIDO DI DOOM, GOTHIC ROCK, PROG ED HEAVY METAL CLASSICO. PENSI CHE IL NON ATTENERVI A UN GENERE PRECISO SIA UN VANTAGGIO O UNO SVANTAGGIO?
Julian: – È sia l’uno che l’altro. Per i puristi, noi siamo probabilmente troppo complessi e versatili. Mentre per tutti coloro che hanno interessi verso numerosi generi, che per la mia esperienza sono la maggior parte dei metal fan, abbiamo per lo meno la possibilità di stuzzicarli per l’accento posto su uno dei generi che seguono. Poi, c’è anche la possibilità che a qualcuno piaccia un lato della nostra proposta e, allo stesso tempo, storca il naso per l’accostamento ad altre soluzioni che non riescono proprio ad ascoltare. Fa parte del gioco, non me la posso prendere per questo! L’apprezzamento della musica è qualcosa di molto soggettivo, come forse nessun’altra cosa a questo mondo i gusti e le opinioni possono variare tantissimo.

LE SCELTE CROMATICHE E I SOGGETTI SCELTI PER L’ARTWORK DELL’ULTIMO ALBUM SEMBRANO TRACCE UNA PICCOLA SEPARAZIONE CON GLI ASPETTI VISUALI DEI DUE DISCHI PRECEDENTI. NE POSSIAMO DEDURRE CHE SIATE ANDATI IN UNA DIREZIONE DIVERSE NELLE VOSTRE FONTI DI ISPIRAZIONE E NEI TEMI DELLE LIRICHE?
Julian: – Sì e no: nonostante la mitologia Azteca sia ancora importante per le liriche di Alfonso, il nostro singer, e probabilmente continueranno ad esserlo a lungo, nessuno di noi voleva essere perennemente associato a una singola tematica. Così, questa volta non vi è un unico argomento centrale attorno a cui ruotano tutti i testi. Piuttosto, una collezione di canzoni che riguardano persone o ‘entità’ che sono condannate a qualche orribile destino, in un modo o nell’altro. Nei testi vi sono molti pensieri ed emozioni personali, spesso nascosti dietro oscure metafore.

NEGLI ULTIMI ANNI AVETE SUONATO NUMEROSI CONCERTI, INIZIANDO A INCONTRARE AUDIENCE CHE NON CONOSCEVANO IN ORIGINE LA VOSTRA MUSICA. MOLTE VOLTE AVETE SUONATO CON ACT ESTREMI E SIETE DIVENTATI UNA PRESENZA ABBASTANZA FREQUENTE NEI FESTIVAL UNDERGROUND. QUAL È IL FESTIVAL DOVE VI SIETE TROVATI MEGLIO? E DOVE INVECE AVETE PERCEPITO UNA REAZIONE FREDDA DA PARTE DEL PUBBLICO?
Eugen: – Vero, negli quattro anni abbiamo suonato molto. Non solo a fianco di altri gruppi doom. Come fai notare, spesso ci siamo accompagnati a gruppi molto più estremi ed è bello vedere che anche chi ascolta soprattutto black e death metal ci apprezza. Reazioni fredde? Non molte, per fortuna, solo qualche occasione in cui eravamo la band di apertura. In alcune occasioni, quando abbiamo tenuto degli show da headliner in Austria, il pubblico è andato fuori di testa ed è stato molto bello ammirare una cosa simile. Enfatizzare un singolo concerto sugli altri mi è difficile, alcuni dei momenti migliori degli ultimi anni li abbiamo vissuti al Chaos Descends, al Funkenflug, all’In Flammen Open Air e al Navajo Calling.

RIASCOLTANDO ADESSO IL VOSTRO ESORDIO “ALBEZ DUZ”, PENSATE ANCORA CHE SIA RAPPRESENTATIVO DEL VOSTRO SOUND, O RITENETE CHE FOSSE IL FRUTTO DI UN ALTRO GRUPPO, DAL MOMENTO CHE L’INGRESSO IN FORMAZIONE DI ALFONSO BRITO LOPEZ HA DATO UN CARATTERE MOLTO FORTE AL VOSTRO STILE?
Eugen: – Ho riascoltato di recente il nostro primo disco, dopo molti anni. Me lo ricordavo peggiore, non è così male. È stato il nostro primo passo, eravamo ancora alla ricerca di una direzione all’epoca. Il cantante era diverso e non era così adatto alla nostra musica. La produzione era abbastanza scarna e naturale, era adeguata, purtroppo alcuni brani non erano realmente finiti e ci sono tanti errori sull’album. In effetti, successivamente siamo diventati un gruppo ben diverso. All’inizio gli Albez Duz erano una specie di studio project, nulla di così serio. Dal 2014, siamo una ‘vera’ band!

PROVENITE DA UNA CITTÀ MOLTO CREATIVA COME BERLINO: PENSI SIA UN ASPETTO CHE ABBIA AIUTATO LO SVILUPPO DELLA VOSTRA MUSICA?
Julian: – Non saprei, non so se abbia avuto un peso. Io, Eugen e David, il nostro bassista, siamo nati a Berlino, non saprei fare un confronto con altri luoghi. Può essere un vantaggio perché è una città grande, così se devi cercare altri musicisti con cui collaborare, diventa abbastanza semplice farlo, oppure trovare un posto dove provare, ci sono buone possibilità di trovare uno spazio adeguato per questa esigenza. Tuttavia, la scena metal è abbastanza ristretta, più piccola di quanto si possa immaginare in una città di tre milioni e mezzo di abitanti.

C’È QUALCOSA CHE CAMBIERESTE NEGLI ALBUM REALIZZATI FINORA, OPPURE SIETE TOTALMENTE SODDISFATTI DI COME SONO VENUTI FUORI?
Eugen: – Tendenzialmente, non sono mai del tutto soddisfatto di qualsiasi disco io realizzi. La musica è così piena di dettagli che è quasi impossibile riuscire a fare tutto perfettamente. Ma in fondo, le idee che avevamo in testa siamo riusciti a realizzarle. Dopo tutto, non è così fondamentale che sia tutto perfetto. La musica perfetta è spesso noiosa, così le produzioni ‘perfette’. Preferisco vi siano imperfezioni che diano un tocco di spontaneità e freschezza alla musica.

SUONATE UNA MUSICA OSCURA, MA PIENA DI SENTIMENTO. QUALI SONO LE EMOZIONI FONDAMENTALI CHE UN BRANO DEGLI ALBEZ DUZ DOVREBBE EMANARE?
Julian: – Dipende dal pezzo. Paura, rabbia, tristezza, mancanza di aiuto, una qualche sorta di gratificazione, sono tutti elementi che si possono rintracciare all’interno di “Enigmatic Rites”. Emozioni forti, cupe. Mi è più facile dirti cosa non vogliamo che emani, la nostra musica: indifferenza, per esempio. E mi stupirei alquanto se qualcuno ci sentisse della felicità scaturire dalle nostre canzoni!

Eugen: – Concordo in tutto e per tutto con Julian!

IL DARK/DOOM È UN SOTTOGENERE SOSTANZIALMENTE NATO NEGLI ANNI ’90, CHE HA MANTENUTO UNA FORTE RILEVANZA NELL’UNDERGROUND FINO AI GIORNI NOSTRI. C’È QUALCHE BAND DI OGGI CHE SENTI VICINA AL VOSTRO APPROCCIO?
Eugen: – Per me le band più importanti di questo filone sono i Paradise Lost dei primi due album e i Count Raven di “High On Infinity”. Ce ne sarebbero molte altre da citare, ma queste due emergono su tutte. Il doom metal non è mai stato ‘trendy’, oppure così popolare come il death e il black metal. Ciò me lo rende affine alla mia personalità, potrebbe essere rimasto l’unico genere ‘serio’ all’interno del metal, che non potrebbe finire in un festival ormai carnevalesco come Wacken.

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