AMENRA – Il trono di spine

Pubblicato il 02/07/2021 da

Il trono di spine intessuto dagli Amenra con “De Doorn” è già segno di come il post-metal (o il post-hardcore) sia divenuto sempre di più un fenomeno mistico, esoterico, radicato profondamente nella cultura e nel folklore propri di un popolo o di una tradizione. Dal verbo dei Neurosis, la band belga si è sempre trovata a mischiare la sua personalità rituale, fatta di esperienza personale e comunitaria, storia, passato, tutti allacciati come rami della stessa umanità. Un’umanità colpita dalla guerra, dal sangue, dalla colpa. E proprio per questo capace – se davvero guardasse dentro se stessa – di trovare la propria luce e la propria pace. Se, dal punto di vista musicale, le cose non sembrano essere cambiate molto dai soliti pattern armonici e ritmici, è anche vero che l’evoluzione degli Amenra è passata attraverso una nuova (ma antica) lingua, e una profondità sacra sempre più emblematica, una narrazione ancora più convincente che in passato. Ne parliamo con il suo stendardo principale, Colin H. Van Eeckhaut.

Artista: Amenra | Fotografo: Gloria Soverini | Data: 28 febbraio 2018 | Venue: Locomotiv | Città: Bologna

 

PARLIAMO UN ATTIMO DELL’ERA IN CUI “DE DOORN” VEDE LA LUCE. COME QUESTI TEMPI HANNO INFLUENZATO LA COSTRUZIONE E LA PRODUZIONE DEL NUOVO DISCO? PENSI CHE QUESTO POSSA ESSERE LA RAPPRESENTAZIONE DEL SUO TEMPO O AVETE DECISO DI PORLO AL DI SOPRA DELLA CONTINGENZA? 
– L’album era già finito prima che il Covid arrivasse nelle strade. Abbiamo finito il mix e masterizzato l’album durante la pandemia, il resto c’era già. Nella loro essenza, tutti i nostri album trattano del senso di solitudine, mettendo in discussione le cose intorno a te, la perdita o il trauma. Questo periodo, da un certo punto di vista, è stata la prima esperienza collettiva di perdita. Libertà, salute, persino calore umano: tutti hanno perso molto. In un certo senso credo che ogni album che abbiamo scritto potrebbe riguardare quello che ci è successo nell’ultimo anno e mezzo.

ENTRIAMO DUNQUE NELLA STORIA RACCONTATA IN “DE DOORN”. IL SUO RITO DI BUIO E DI RITROVAMENTO DELLA LUCE.
– “De Doorn” è stato scritto in più fasi e in diversi momenti, in base a diverse cerimonie e rituali che abbiamo tenuto negli ultimi anni. Abbiamo iniziato a scrivere a proposito di questi temi intorno al 2018, subito dopo l’uscita di “Mass VI”. Il primo evento speciale è stata una cerimonia di commemorazione per la fine della prima guerra mondiale in una città chiamata Dixmude Belgium. Abbiamo integrato il carillon del campanile quadrato nel nostro set e abbiamo fatto eseguire a Imre Thormann una performance di Butoh su “De Dood In Bloei“. Il nostro amico Tine Guns ha realizzato le immagini appositamente per quello spettacolo. Un giorno, chissà, lo trasmetteremo magari in streaming.
Il secondo e il terzo erano rituali del fuoco svoltisi in tutte le Fiandre. Uno di questi era un rituale in cui il fuoco serviva a ricordare tutte le perdite degli abitanti della nostra città la cui scomparsa non è mai stata riconosciuta. Abbiamo avuto con noi lo scultore indonesiano Toni Kanwa Adikusumah per creare una scultura di venti piedi che è stata collocata nel centro artistico della città per un paio di settimane. Le persone sono state invitate a inserire note che indicassero esattamente cosa aveva causato loro, o a una persona cara, del dolore. La statua è stata mossa insieme alla processione verso il parco cittadino, dove duemila persone si sono unite a noi per assistere all’incendio. Noi Amenra eravamo lì nell’ombra a fornire il soundcore a tutto: abbiamo affrontato la notte, il fuoco, le fiamme insieme tutti quelli che erano lì con noi.
L’ultimo è stato fatto nella città di Menen, dove ci è stata concessa una statua in bronzo alta venti piedi, realizzata dallo scultore Johan Tahon. Abbiamo ripetuto il rituale del fuoco, ma questa volta la statua usciva direttamente dalle fiamme. Prima nascosta da una costruzione in legno, fatta dai nostri amici austriaci della società Funkenflug, la statua è risorta dalle sue ceneri, rossa incandescente in calore, proprio mentre la copertura in legno andava in fiamme. È diventata, nel suo rinascere, un simbolo di speranza.
Perciò queste canzoni non erano più le nostre storie. Esse sono diventate una comunione di storie, sono diventate la nostra storia collettiva. L’ascoltatore o spettatore è diventato un membro attivo nel dialogo. Non ci siamo mai resi conto che stavamo scrivendo un album, e in un modo che ci ha liberato profondamente.
Negli ultimi anni sono diventato ossessionato dalle spine, dagli aghi, dai rami. Amo il modo in cui la natura ha fornito armi alle sue creazioni. Mezzi per proteggersi dal male, con diverse forme e diverse modalità. Un fiore potrebbe proteggere la sua bellezza, una pianta o un cespuglio potrebbero proteggere i suoi semi o i suoi frutti. Ho trasposto quell’idea o immagine sugli esseri umani e l’ho confrontata con il modo in cui abbiamo anche coltivato il nostro specifico tipo di spine per proteggerci da qualsiasi danno potesse venire dall’esterno. Impariamo a non fidarci di nessuno da bambini. E c’è anche la parte in cui tutti noi portiamo in giro le ferite e le cicatrici inferte dalle spine di altri popoli. Per l’occasione ho avuto sei diversi tipi di rami di spine fusi in bronzo, con l’aiuto di amici: ogni ramo simboleggia un musicista che ha contribuito a questo disco e come tutti noi abbiamo creato individualmente una verità collettiva.

– PERCHE’ AVETE SCELTO DI ALLONTANARVI DALLA SEQUENZA DEI “MASSES”?
– Perché non ci sembrava di aver scritto la ‘Messa’ numero ‘VII’. Dopo aver realizzato che in realtà avevamo ultimando un album, ci siamo posti questa domanda. E abbiamo convenuto che avevamo scritto qualcos’altro. I “Masses” provenivano da disordini personali entro un certo lasso di tempo. Esperienze traumatiche che si sono imbattute nel nostro cammino, che avevano bisogno di essere raccontate proprio in quel momento. E qui non è stato così, è come se avessimo fatto un passo indietro e avessimo avuto uno sguardo più alto su noi tutti.

IL LINGUAGGIO È COLLEGATO A QUESTA FORMA DI STORYTELLING (FATEMI USARE QUESTA PAROLA ABUSATA, FORSE NON APPROPRIATA), IL KLEINKUNST. AVETE SEMPRE UTILIZZATO PARTE DEL FOLKLORE FIAMMINGO E NORDEUROPEO NELLA VOSTRA PRODUZIONE MA, IN QUESTO MOMENTO, QUAL È IL MOTIVO PRINCIPALE DI QUESTA DECISIONE? IN PARTICOLARE QUANDO IL CONCETTO E LA NARRAZIONE OCCUPANO UN ENORME SPAZIO IN QUESTO LAVORO, FORSE ANCHE PIU’ DI PRIMA.
– Come detto sopra, abbiamo iniziato a scrivere musica per i riti e le processioni nel nostro paese, quindi sapevamo che il 90% delle persone erano di lingua fiamminga. Volevo una linea diretta per connettermi con loro. È sempre stato importante per noi rimanere vicini alla nostra vera identità e verità in generale. Una rappresentazione necessaria e onesta di ciò che vive dentro noi cinque individui. La cosa interessante è che non avevo mai cercato di utilizzare la nostra lingua, il che è molto strano. Dopo aver ripreso come cover le canzoni dei kleinkunst degli anni ’70, ho iniziato a vedere il potenziale nel lavorare con la mia lingua madre. Ho iniziato a scrivere poesie fiamminghe, alcune delle quali sono finite in “Mass VI”. Ho iniziato a scrivere sempre più in fiammingo e ho visto quanto il discorso diventava più profondo, stratificato, strutturato. Radicato a fondo. Aveva senso avvicinare tutto alla nostra pelle e identità.

LA PURIFICAZIONE, LA ‘VERA GUARIGIONE’ E LA CATARSI HANNO SEMPRE FATTO PARTE DELLA TUA MUSICA E DEL TUO MESSAGGIO. MA IN QUESTO MOMENTO, QUAL E’ L’ICONA PRINCIPALE, L’EMBLEMA, CHE RAPPRESENTA IL MOTIVO PER CUI L’ANIMA DEBBA ESSERE PURIFICATA? VOGLIO DIRE, QUAL È IL PECCATO CHE ABBIAMO BISOGNO DI ESPIARE ATTRAVERSO UNA TALE ESPERIENZA? QUAL È IL MALE DA CUI POTREMMO ESSERE PURIFICATI? COME LO IDENTIFICHI, OGGI?
– Non c’è ‘una cosa’ o ‘icona’ da cui essere ‘purificati’. Tutto ciò si presenta in milioni di forme e differisce a seconda dell’individuo: ognuno ha i suoi demoni che lo seguono in giro, nuvole scure che si librano sopra le proprie teste, il peso portato sulle spalle, la colpa propria e della propria comunità. Difficile da descrivere, ma tutti sanno cosa intendiamo. Si tratta di fare introspezione e analisi di sé. E una volta acquisita un’idea di cosa sia quella particolare cosa che porti dentro, il come gestisci tutto, cosa hai fatto e così via, allora puoi identificarlo tu stesso. Puoi, se tutto va bene, venire ad abbracciarlo e riconoscerlo, permettendoti di dargli un posto nella tua vita futura. E vai avanti.
Non sono qui per dare risposte universali, non esiste una cosa del genere.

SIETE PARTE DI QUALCOSA CHE LA MAGGIOR PARTE DI NOI CHIAMA ‘POST-METAL’. SIETE A VOSTRO AGIO CON QUESTA ETICHETTA? E COME PENSI CHE LA SCENA POST-METAL POTREBBE RAPPRESENTARE LE TUE CREDENZE, LA TUA MUSICA, IL TUO MESSAGGIO OGGI?
– Sono a mio agio con quel termine. È qualcosa che è germogliato dal metal e nel nostro caso anche dall’hardcore. Quindi puoi chiamarlo anche post-hardcore. La verità è che non ci interessa come le persone chiamino quello di cui vogliono parlare, eppure capiamo che hanno bisogno di termini a cui aggrapparsi. Tutto deve essere classificato o spiegato. Sono abbastanza sicuro che ora siamo una cosa a sé stante anche rispetto a quell’etichetta. Non penso che una scena o qualsiasi altra cosa che non sia ‘noi’ e quello che facciamo possa rappresentare le nostre convinzioni, la nostra musica o il nostro messaggio.

QUAL È L’ARTE CHE (A OLTRE LA MUSICA, OVVIAMENTE) INFLUENZA DI PIU’ IL TUO MODO DI PENSARE, CREARE E VIVERE? HAI TITOLI O NOMI CHE VUOI SUGGERIRE?
– No, non lo so davvero. Mi guardo intorno ogni secondo della giornata, ascolto e penso. Giudicate dal sentimento e dalla ragione.

LA COSA CHE, PERSONALMENTE, AMO DI PIU’ NEGLI AMENRA È LA LORO SINCERITÀ, LA LORO ONESTÀ. A MIO PERSONALE PARERE QUESTA E’ LA COSA PIU’ IMPORTANTE CHE TUTTE LE ARTI DEVONO OFFRIRE ALLE PERSONE. HAI MAI LA SENSAZIONE CHE SIA QUALCOSA DI MOLTO DIFFICILE DA TROVARE IN GIRO? NON SOLO NEI PRODOTTI D’ARTE, MA ANCHE NELLA VITA QUOTIDIANA.
– Devo ammettere che è, in effetti, è un contenuto che si presenta come scarso, sia nell’industria musicale sia nella società odierna, del resto. Le persone tengono la guardia molto più alta del necessario, o di quanto sia bene per loro. E le decisioni vengono prese principalmente in termini di vendite o scambi: le aspettative esterne o ‘dei mercati’ sono costantemente ricercate per essere soddisfatte. È triste da vedere. Ma c’è molta qualità veritiera là fuori, ci vuole solo più sforzo per trovarla.

VOLEVO PARLARTI DEL TUO MODO DI ESSERE IN SCENA, LA TUA POSTURA, IL FATTO CHE CANTI DI SPALLE – PER LA MAGGIOR PARTE DEL TEMPO – AL PUBBLICO È IN QUALCHE MODO LEGATO AL POSSESSO E ALLA COMUNICAZIONE DELLA VERITÀ, IN MODO BIBLICO, O SBAGLIO?
– È una parte del motivo sì: questo approccio risponde alla nostra visione dell’esperienza dal vivo e della traduzione della nostra musica. Ad orientem, guardo nella stessa direzione delle persone. Adoriamo tutti lo stesso altare, guidati dal sangue.

HO SEMPRE PENSATO CHE, SE ORA SEI SICURO DELLA VERA VERITÀ (IN MODO RELIGIOSO), NON PUOI STARE DAVANTI AD UN PUBBLICO DI FEDELI E GUARDARLI NEGLI OCCHI. SAREBBE UN PECCATO DI FALSA PREDICAZIONE. HO SEMPRE PENSATO CHE FOSSE QUESTO IL TUO PUNTO.
– Già. Nessuno potrà mai essere sicuro della Verità. Non c’è verità. C’è solo un tentativo di offrire una guida e un senso di unità.

PIANI PER L’ITALIA, PROSSIMAMENTE? HO VISTO CHE NON CI SONO DATE NEL TOUR…
– Non che io sappia. Cerchiamo sempre di tornare il prima possibile in ognuno dei luoghi in cui abbiamo suonato. Il mondo, lo sai, è un posto grande.

 

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