“Tales From The Thousand Lakes” è sicuramente uno dei dischi più iconici nella storia della musica metal: usciti nel 1994, questi dieci pezzi hanno saputo coniugare, in un modo ai tempi non comune, l’oltranzismo del death metal con melodie struggenti, atmosfere folk, voci pulite ed un’interpretazione dal sapore prog. A fare da contorno, un immaginario che, fin dall’esplicito titolo dell’opera, è strettamente legato alla terra natale di questi musicisti.
Da allora, gli Amorphis ne hanno fatta di strada, rimanendo però saldamente connessi con le loro origini, tanto che, tra cambi di formazione e crisi di identità, sono ancora tra noi con una proposta magari differente rispetto al passato ma coerente con la loro storia, ed una line-up che non si discosta molto da quella originale.
Per festeggiare i trent’anni di vita di quello che rimane il loro capolavoro indiscusso, i sei finlandesi hanno suonato l’album dal vivo al club Tavastia, locale storico della loro città, in un concerto tenutosi ad ottobre 2021, senza pubblico poiché in piena pandemia, e la registrazione dell’evento è stata pubblicata come CD, vinile e blu-ray.
Abbiamo incontrato l’affabile chitarrista della band di Helsinki, Esa Holopainen, in occasione della loro esibizione al festival Luppolo In Rock di Cremona e ne è nata un’interessante chiacchierata che, avendo come punto di partenza la celebrazione del trentennale del disco, si è trasformata in una retrospettiva sulla loro carriera, dagli albori fino ai giorni nostri.
QUANDO E’ NATA L’IDEA DI CELEBRARE IL TRENTESIMO ANNIVERSARIO DI “TALES FROM THE THOUSAND LAKES” E COME HA PRESO FORMA?
– A dir la verità il nostro piano originale era quello di fare un tour a supporto dell’anniversario di “Tales From The Thousand Lakes”, che doveva avere inizio negli Stati Uniti. Tutto era già organizzato, con noi ci sarebbero dovuti essere Entombed A.D. e Nervosa, ma abbiamo dovuto cancellare per la pandemia. Avevamo già provato in studio tutti i pezzi per questi show, così è nata l’idea di registrare dal vivo prima “Queen Of Time” e poi quest’altro live celebrativo. Era il 2021, se ricordo bene.
“TALES FROM THE THOUSAND LAKES” E “QUEEN OF TIME” SONO STATI REGISTRATI NELLO STESSO CLUB DI HELSINKI, IL TAVASTIA, SENZA UN PUBBLICO DI FRONTE A VOI. CHE TIPO DI ESPERIENZA E’ STATA? PERCHE’ AVETE SCELTO PROPRIO QUESTO POSTO?
– Avevamo diverse idee, non volevamo fare qualcosa tipo uno streaming perchè sarebbe stato ancora più strano per noi suonare in quel modo durante il periodo del Covid. Abbiamo pensato a diverse location ma alla fine abbia optato per il Tavastia perchè è il nostro club da sempre, lì siamo nati e abbiamo fatto i nostri primi concerti. E’ un posto storico ad Helsinki, molti gruppi ci hanno suonato, per esempio i Type O Negative. Per noi ha una certa importanza.
PENSI CHE “TALES FROM THE THOUSAND LAKES” SIA STATO UN GROSSO PASSO AVANTI RISPETTO A CIO’ CHE AVEVATE FATTO IN PRECEDENZA?
– Sicuramente c’è stato un distacco rispetto a “The Karelian Isthmus”, rispecchia il modo in cui volevamo procedere con la nostra musica. Penso che sia la somma di molti fattori: abbiamo inserito nuovi elementi, sperimentato con diverse melodie, preso ispirazione anche dalla musica folk finlandese. Non ci abbiamo pensato sopra troppo, e abbiamo arrangiato i pezzi provando a mescolare idee differenti, finché hanno assunto la forma finale. Il risultato è stato unico e sì, è stato un grosso passo avanti.
COSA TI RICORDI DI QUEI GIORNI? C’E’ QUALCHE EPISODIO AVVENUTO DURANTE LA REGISTRAZIONE DELL’ALBUM CHE TI E’ RIMASTO IMPRESSO? HAI QUALCHE RIMPIANTO?
– Ricordo che Tomas (Skogsberg, il produttore di “Tales From The Thousand Lakes”, ndr) era molto preoccupato per come l’etichetta avrebbe potuto reagire all’ascolto dell’album, in quanto molto differente da quanto ci si aspettava. Alla fine fu un successo, quindi non ci furono lamentele da parte loro (ride, ndr).
Per quanto riguarda i rimpianti, posso dirti che, all’epoca, non mi piaceva la produzione dell’album. Ci sono molti livelli, le tastiere, due chitarre, diverse dinamiche, ed il suono che Tomas ci aveva conferito sembrava quasi punk, qualcosa di più adatto ad una band la cui musica è basata sui riff, ad esempio gli Entombed. Ma, in seguito, ho capito che era la scelta giusta; quel sound è unico e pienamente riconoscibile. Ora lo adoro, ed ho grandi ricordi di quei momenti.
COME E’ CAMBIATO, DA ALLORA, IL MONDO DELLA MUSICA? DALLA PARTE DEGLI ARTISTI, ORA CI SONO NUOVE TECNOLOGIE PER REGISTRARE ED INCIDERE, DA QUELLA DEGLI ASCOLTATORI, INVECE, TROVIAMO UN PUBBLICO DIFFERENTE E METODI DI FRUIZIONE DIVERSI…
– Tutto è cambiato, ad esempio allora non c’era Pro Tools… Era tutto realizzato con uno spirito diverso, tipo ‘una sola ripresa e via’, ma penso che sia anche il motivo per cui le produzioni suonavano una completamente diversa dall’altra, tornando agli anni ’90 o prima. Ora, invece, tutte le band usano gli stessi metodi di produzione e, soprattutto, per i suoni di chitarra non c’è più una grande differenza.
E’ un peccato, ma è anche comprensibile, poiché lavorare in questo modo rende il processo molto più semplice e, alla fine, anche se molti album hanno suoni simili tra loro, la qualità della produzione è elevata per tutti.
Questo è il motivo per cui ascolto soprattutto musica degli anni ’70, ’80 e ’90 (ride, ndr).
COME MAI AVETE DECISO DI INSERIRE LA COVER DI “VULGAR NECROLATRY” DEGLI ABHORRENCE COME BONUS NEL DVD DI “TALES FROM THE THOUSAND LAKES – LIVE IN TAVASTIA”? ERA UN PEZZO CHE AVEVATE PUBBLICATO COME PRIMO VOSTRO SINGOLO E POI INSERITO NELL’EP “PRIVILEGE OF EVIL”. HA UN SIGNIFICATO PARTICOLARE?
– Ai tempi gli Abhorrence erano la band di Tomi (Koivusaari, chitarrista degli Amorphis, ndr) e “Vulgar Necrolatry” era la loro hit, per questo è stato naturale portarla negli Amorphis per farne una cover. Alla Relapse, nostra etichetta dell’epoca, erano tutti grandi fan degli Abhorrence e, per questo motivo, abbiamo deciso di inserirla nel nostro debutto. Perciò sì, possiamo dire che per noi ha un significato particolare.
DOPO “TALES FROM THE THOUSAND LAKES” IL VOSTRO SUONO E’ CAMBIATO, CON ALBUM COME “ELEGY” E POI “TUONELA” ED IN QUALCHE MODO ANCHE LE TEMATICHE AFFRONTATE DAI TESTI ERANO DIFFERENTI. COME E’ AVVENUTO QUESTO PROCESSO?
– Eravamo un po’ stufi del “Kalevala” (poema epico della metà dell’Ottocento, basato sui canti tradizionali della Finlandia dal quale gli Amorphis hanno tratto ispirazione per i primi dischi, ndr) a quel punto della nostra carriera. Inoltre, Pasi (Koskinen, cantante degli Amorphis dal 1995 al 2004, ndr) era molto bravo a scrivere i testi, così abbiamo pensato di sfruttare le sue idee nel modo migliore.
Dal punto di vista della musica, più o meno ti potrei dire lo stesso: volevamo andare avanti, magari troppo lontano da dove eravamo allora. Ma tutta quella storia del “Kalevala” era arrivata al culmine, il passo successivo poteva essere solo quello di indossare costumi tradizionali ed andare sul palco a ballare (ride, ndr).
Ripensandoci ora, forse avremmo dovuto prestare più attenzione ai nostri fan, capire cosa avrebbero voluto invece che scrivere la musica che noi avremmo desiderato ascoltare. In ogni caso, penso che gli album che abbiamo realizzato in quegli anni siano buoni, per esempio “Tuonela” e “Am Universum”, anche se erano diversi da quelli precedenti.
Così, quando ci siamo ritrovati ancora senza cantante, poiché Pasi se ne era andato, abbiamo iniziato a pensare quali erano i punti di forza degli Amorphis, per poterci lavorare. L’umore nella band non era buono, perché Pasi non era più motivato a rimanere con noi, lo vedevamo. Così, quando ha lasciato, siamo praticamente partiti da zero e l’ingresso di Tomi (Joutsen, attuale cantante degli Amorphis, ndr) ha portato nuove idee e nuova energia; siamo approdati su Nuclear Blast, abbiamo ripreso a scrivere, cercando di raggiungere un livello più alto.
A PROPOSITO DI TOMI JOUTSEN, ORMAI E’ CON VOI DA VENT’ANNI. QUAL E’ STATO IL SUO CONTRIBUTO? COS’E’ CAMBIATO DOPO IL SUO ARRIVO?
– Avevamo già scritto alcuni pezzi per “Eclipse” quando Tomi si è unito a noi. Quando è venuto per la prima volta in sala prove, eravamo tutti realmente sorpresi: sapeva gestire voce pulita e growl in modo incredibile, l’abbiamo capito da subito, da come ha cantato alcuni vecchi pezzi. Abbiamo subito pensato: “Wow, questo è il pezzo mancante di cui abbiamo assolutamente bisogno“. Ha regalato una motivazione enorme a tutti noi.
Se dovessimo dividere la nostra carriera in diverse ere, la prima comprenderebbe i primi due dischi, la seconda quelli fino a “Far From The Sun” e la terza partirebbe proprio da “Eclipse”.
ALLA LUCE DI QUANTO CI HAI RACCONTATO, POSSIAMO DIRE CHE IL VOSTRO PERCORSO NON E’ SEMPRE STATO SEMPLICE O LINEARE? PENSI CHE COMUNQUE CI SIA QUALCOSA DEI VECCHI AMORPHIS IN QUELLI ATTUALI?
– Penso proprio di sì. Non si tratta solo di suonare i pezzi del primo album, alla fine siamo sempre la stessa band, le radici musicali sono quelle che ci hanno ispirato fin dal principio.
NEGLI ANNI AVETE AVUTO MOLTI CAMBI DI FORMAZIONE MA, SE FACCIAMO UNA COMPARAZIONE FRA “TALES FROM THE THOUSAND LAKES” ED “HALO”, IL VOSTRO ULTIMO ALBUM, LA LINE-UP NON E’ MOLTO DIVERSA. COSA SIGNIFICA?
– Penso che significhi solamente che c’è una buona chimica tra noi e che ognuno di noi è realmente dedicato agli Amorphis. Il motivo per cui abbiamo avuto molti cambi di formazione è che, giustamente, ciascuno ha una propria idea di quella che deve essere la propria vita. Se suoni in un gruppo, capisci quasi da subito se ti piace andare in tour e, in caso contrario, non hai molte soluzioni. E, inoltre, passi molto tempo con altre persone, devi andarci d’accordo se vuoi fare questo lavoro.
RECENTEMENTE AVETE CREATO DIVERSI PROGETTI PARALLELI ED ALCUNI DI VOI SONO IMPEGNATI CON QUESTE NUOVE BAND (OCTOPLOID, SILVER LAKE, BJORKO, THE ETERNAL…). SENTITE LA NECESSITA’ DI SPERIMENTARE QUALCOSA DI DIFFERENTE?
– Probabilmente non ci ho mai pensato prima dell’arrivo del Covid. Silver Lake è nato come un progetto estemporaneo, avevo i pezzi e quello era il momento giusto per concretizzare il lavoro con un disco. Ed è stata un’ottima idea, che ha salvato i miei anni di pandemia.
Non c’era nessun album degli Amorphis in preparazione e avevo tutto il tempo per dedicarmi a qualcos’altro. E’ stato divertente, mi è piaciuto poter sviluppare attraverso altre vie spunti che non necessariamente dovevano essere dedicati agli Amorphis.
SO CHE SEI APPASSIONATO DI MUSICA PROG, ANCHE DI BAND ITALIANE. CE N’E’ UNA CHE SEGUI IN MODO PARTICOLARE?
– Sì, i Goblin. Purtroppo non ho mai visto un loro concerto; sono passati anche dalla Finlandia di recente, ma ero in tour con gli Amorphis e me li sono persi.
STATE LAVORANDO AD UN NUOVO ALBUM, COME STA ANDANDO?
– Siamo nel mezzo del processo creativo. Inizieremo a registrare a dicembre, ci sarà molto materiale su cui lavorare. Lavoreremo con un produttore nuovo, sarà un’esperienza interessante. All’inizio del 2025, poi, ci prenderemo una piccola pausa.
SONO PASSATI TRENT’ANNI DALLA REALIZZAZIONE DI “TALES FROM THE THOUSAND LAKES” E QUASI TRENTACINQUE DALLA VOSTRA NASCITA. TI ASPETTAVI UN SUCCESSO COME QUELLO CHE AVETE OTTENUTO, ALL’INIZIO DELLA VOSTRA CARRIERA? QUALI ASPETTATIVE HAI PER IL FUTURO?
– Non avrei mai creduto che gli Amorphis avrebbero avuto una carriera così lunga. Se qualcuno mi avesse detto che saremmo stati ancora in giro a suonare a cinquant’anni l’avrei preso per pazzo. Ma siamo qui, e niente ci può più sorprendere, potremmo continuare per altri dieci o vent’anni. Ci sono band molto più vecchie di noi – pensa ai Saxon! – e sono da ammirare, perchè andare in tour è veramente un lavoro duro ed impegnativo.